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ORGANI COLLEGIALI SCOLASTICI

 

ORGANI COLLEGIALI​​ SCOLASTICI

Strumenti di partecipazione alla vita e alla gestione della​​ ​​ scuola. Previsti in Italia fin dal 1859 a livello provinciale e nazionale, sono stati successivamente modificati, integrati e democratizzati negli anni ’70.

1.​​ L’evoluzione della collegialità nella scuola.​​ La necessità di uscire da un lungo periodo di tensione, soprattutto fra studenti e docenti, contrapposti da una schematica ideologia rivoluzionaria elaborata nella seconda metà degli anni ’60, periodo della cosiddetta contestazione globale, portò le forze culturali e politiche a cui si deve la Costituzione italiana a ricercare una nuova mediazione culturale, che rendesse possibile la convivenza delle componenti e delle forze che confliggevano nella scuola. Ne uscirono la L. delega 477 / 1973 e i decreti delegati del 1974, che fornirono alla scuola una mappa complessivamente accettabile di mediazione verso l’alto, che non solo riconosceva le posizioni guadagnate sul campo dalle diverse componenti, ma le impegnava tutte a un «lavoro» culturale e relazionale che i più prudenti chiamavano​​ ​​ partecipazione​​ (rispettivamente dei docenti, studenti, genitori e forze sociali, queste ultime solo a livello distrettuale) alla vita e alla gestione della scuola (con la distinzione fra ambiti politico, didattico, amministrativo, in riferimento ai diversi o.c.), e che i più innovatori chiamavano, con indubbia enfasi,​​ gestione sociale​​ della scuola. I luoghi istituzionali di questa nuova concezione della scuola e dell’organizzazione incaricata di darle concretezza sono appunto gli o.c., rinnovati nella composizione e nei poteri o istituiti​​ ex novo,​​ a livello di classe e d’interclasse, d’istituto e di circolo, di distretto (novità assoluta, ora abbandonata), di provincia e di nazione (il Consiglio nazionale della P.I. sostituì il Consiglio superiore di antica memoria). Per i genitori e per gli studenti sono state previste​​ assemblee​​ a livello d’istituto, e​​ comitati di rappresentanti, con poteri solo di tipo espressivo-consultivo, mentre veniva rafforzato il​​ collegio dei docenti, cui spettano poteri di tipo didattico-disciplinare, e veniva istituito​​ ex novo​​ il​​ consiglio d’istituto e di circolo, composto dai rappresentanti delle componenti scolastiche, oltre al capo d’istituto, con poteri di tipo organizzativo-gestionale. Fra sistema delle assemblee, dei comitati e dei consigli non esiste però un raccordo di tipo rappresentativo e funzionale. Dei​​ consigli di classe​​ e dei​​ consigli di circolo e d’istituto​​ fanno parte i rappresentanti dei genitori (e degli alunni nelle scuole secondarie superiori): essi non sono invece presenti a livello nazionale, nel CNPI,​​ Consiglio nazionale della P. I.​​ I genitori sono anche presenti a livello distrettuale e provinciale, mentre gli studenti solo a​​ livello distrettuale. Nonostante alcuni tentativi di modifiche parlamentari, questo disegno è sostanzialmente immutato dal 1974, e mostra tutti i suoi anni. I limiti del compromesso fra centralismo e partecipazione non hanno tardato però a manifestarsi. Il «carburante ideologico» spinse per un certo tratto in avanti la «macchina» scolastica, ma non riuscì ad alimentare quella cultura pedagogica e quella capacità d’interazione finalizzata all’educazione, nel rispetto di ruoli e competenze diverse, che costituiscono il vero fondamento di una relazionalità matura e produttiva. D’altra parte il legislatore delegato del ’74 previde che il nuovo apparato partecipativo avesse il compito di fare della scuola una​​ comunità​​ aperta all’ambiente, ma non riuscì a fornirgli strumenti normativi e finanziari utili a renderlo motivante ed efficiente. Si cercò in tal modo di contenere, sotto un ombrello di tipo valoriale, le spinte conflittuali relative alla conquista degli spazi e dei poteri. Dopo iniziali entusiasmi, l’alleanza tra docenti e genitori in funzione antiburocratica entrò in crisi. Molti docenti hanno temuto i genitori vicini più che i ministri lontani: la comunicazione, appena avviata, si è rallentata e talora interrotta per equivoci, per beghe locali o per astratte contrapposizioni ideologiche, e per caduta di interesse nei riguardi di un meccanismo che si rivelava più complicato e meno gratificante del previsto. All’interno dei consigli di classe il dialogo è risultato talora vivace e produttivo, talora stentato, per la difficoltà di ottenere reciproca non superficiale conoscenza e chiarezza di ruoli e di compiti fra insegnanti, genitori e studenti. Il cambiamento insomma non è stato pienamente vissuto e attuato.

2.​​ Conquiste e limiti della democratizzazione degli anni ’70.​​ Il legislatore ha implicitamente riconosciuto, sia pure in termini un po’ approssimativi, i diritti degli studenti, ha solennemente sancito la libertà d’insegnamento dei docenti, finalizzandola però alla promozione della personalità dello studente e vincolandola al rispetto della sua coscienza, ha riconosciuto spazi e diritti ai genitori, legittimando la pluralità delle visioni della vita e dei ruoli, impegnando però tutti al confronto collegiale, dai consigli di classe a quelli d’istituto a quelli di distretto, a quelli provinciali, nella prospettiva di una scuola intesa come​​ comunità​​ educativa che interagisca con la più vasta comunità sociale e civica. Tali diritti sono stati poi precisati, per gli studenti, col dpr 10.10.1996, n. 567 e col dpr 24.6.1998, n. 249,​​ Statuto delle studentesse e degli studenti, e per i genitori col dpr 301 2005, che istituisce i​​ Forum delle associazioni di genitori, FONAGS, a livello nazionale e regionale. Conquiste importanti, ma di debole impatto nel costume scolastico. Centralismo e decentramento, libertà del docente e collegialità, didattica e amministrazione, pluralismo e impegno educativo, apprendimento e partecipazione, discipline curricolari e attività extracurricolari sono coppie di valori non alternative, ma componibili: questo il succo della «difficile convivenza» resa possibile dalle scelte pedagogiche e organizzative compiute dai decreti delegati. Come spiegare il nuovo disagio, la cattiva comunicazione, i sospetti e il pratico abbandono del campo della maggior parte dei genitori? Qualcuno denuncia la scarsità o l’illusorietà dei poteri trasferiti alla base, qualche altro invece ritiene che questi poteri siano troppi e che gli organismi partecipativi siano una palla al piede di chi vuole modernizzare, o, all’opposto, conservare la scuola. Indubbiamente il «taglio» dei diversi o.c., lo scollegamento fra il sistema delle assemblee generali, dei previsti comitati dei rappresentanti e dei consigli hanno le loro responsabilità. Le critiche però sono state talora globalistiche e poco attente alla distinzione di piani e livelli, dei valori in gioco e degli strumenti previsti per salvare questi valori. Il rischio maggiore è quello di tentare di uscirne semplicemente con la rimozione del problema, come se tutto il tema della democrazia scolastica fosse frutto di un equivoco, di un problema mal posto o di una congiuntura un po’ folle, che ha confuso le idee alle persone per bene, inducendole a cose inutili o sconvenienti.

3.​​ La collegialità sfidata dalle «educazioni»,​​ dalle competenze e dall’efficienza.​​ Di fatto questa scuola, che difende la sua autonomia anche nei riguardi della componente genitori, deve poi registrare notevoli difficoltà per quanto concerne gli apprendimenti, come rivelano le indagini OCSE PISA, che vedono i ragazzi italiani in complesso meno preparati dei loro compagni europei; difficoltà che hanno a che fare non solo con le competenze didattiche dei docenti, ma anche, da parte degli studenti, col disagio, la demotivazione, la devianza, la droga, la dispersione scolastica, la delinquenza e la disoccupazione: tutti temi che chiamano in causa le dimensioni esistenziale, motivazionale, relazionale del lavoro scolastico e i rapporti fra scuola e sistema formativo. Il ricupero dell’esistenziale può giustificare una nuova fase d’intesa tra scuola e famiglia, che prenda in considerazione, come ha fatto la L. 309 / 1992, il concetto di​​ salute.​​ Se la​​ salute​​ può essere intesa come quello stato di benessere fisico, psichico, sociale, morale che dà energia, tono e prospettive alla vita, e che dalla cultura ricava ragioni e significati positivi, di essa non deve interessarsi solo una famiglia che istituzionalmente ha il diritto e il dovere di «mantenere, istruire ed educare i figli», ma anche una scuola, che abbia il compito di «promuovere attraverso un confronto aperto di posizioni culturali, la piena formazione della personalità degli alunni» e cioè non solo di «trasmettere», ma di «elaborare» cultura, nel rispetto della coscienza morale e civile degli alunni. La teoria pedagogica del sistema formativo integrato, prima che utopia legata alle idee della società educante e dell’educazione permanente, è frutto della necessità operativa di chi intenda risolvere i problemi in termini istituzionalmente e professionalmente corretti. Il tutto va coordinato col dovere di una​​ valutazione, che sia attenta agli aspetti nazionali e internazionali, come agli aspetti locali e personali. L’INVALSI e l’INDIRE vanno ripensati come agenzie di supporto all’autonomia e alla funzionalità del​​ sistema educativo d’istruzione e formazione.

4.​​ Il ridisegno dei confini del sistema costituzionale di educazione e di istruzione.​​ Dopo la fase della scuola nazionalburocratica e la fase della scuola democratica, registriamo infatti, a partire dalla fine degli anni ’80, una domanda insistente di efficacia / efficienza del servizio, identificato nella prospettiva della scuola autonoma, manageriale, di qualità. Le fasi precedenti non sono superate, ma restano presenti nell’organismo della scuola, come negli alberi i cerchi di fasi di vita precedenti. La terza fase è iniziata sul piano normativo, ma non ha raggiunto ancora standard di efficacia / efficienza soddisfacenti. Dopo i cambiamenti vorticosi della stagione del primo Centro sinistra, che hanno introdotto novità istituzionali rimaste poi in vigore (il dpr 8.3.1999, n. 275 attribuisce alle singole scuole autonomia e personalità giuridica; la nuova Costituzione varata dalla l. cost. 3 / 2001 la riconosce all’art. 117), è giunta la legge delega 28.3.2003 n. 53 del ministro Letizia Moratti, con i relativi provvedimenti delegati, fra cui le​​ Indicazioni nazionali​​ per i piani di studio personalizzati, ispirate dall’idea guida della​​ personalizzazione, che ha introdotto il concetto di​​ cooperazione tra scuola e genitori​​ (art.1), ma che mette in ombra la collegialità. Su questa base si rende ancor più necessaria la modifica dei decreti delegati del ’74, sia quelli a livello scolastico, sia quelli a livello territoriale. Quanto ai primi, le novità che derivano dall’autonomia, dal dimensionamento-accorpamento delle scuole comprensive, in verticale e in orizzontale (1998) e dal conferimento della dirigenza ai capi d’istituto, dotati di poteri e responsabilità gestionali (d. leg. 30.3.2001, n. 165), pongono problemi di difficile armonizzazione delle procedure decisionali. Quanto agli o. a livello nazionale e periferico, il d. leg. 30.6.1999, n. 233 di Berlinguer che li ha riordinati non è entrato in vigore. Lo stesso è accaduto al testo «Norme concernenti il governo delle istituzioni scolastiche», votato nella passata legislatura il 23.2.2005 dalla VII Commissione della Camera. Il clima culturale si è fatto più incerto. Si può dire che si sia abbassata la marea delle energie motivazionali di tipo ideale, ideologico, pedagogico e politico, e anche demografico e finanziario, che avevano indotto il Parlamento ad un’apertura di credito verso le componenti scolastiche e le forze sociali, mettendo in cantiere le navicelle degli o.c. La nuova stagione del Centro sinistra, iniziata il 2006, sta cercando di consolidare gli ordinamenti sul piano della definizione giuridica e operativa dei confini fra ambiti e poteri sul piano della​​ governance,​​ anzitutto nel Tavolo Stato-Regioni; e cerca di rilanciare la partecipazione, con una rinnovata iniziativa parlamentare, sul «governo partecipato delle istituzioni scolastiche» e sui «rapporti tra queste, le istituzioni della Repubblica e il territorio». Il «sistema educativo d’istruzione e formazione», articolato in sottosistemi statale e paritario, va governato a quattro livelli relativamente indipendenti: statale, regionale, locale e scolastico, secondo le prospettive ancora acerbe del nuovo testo costituzionale, che affidano allo Stato le «norme generali sull’istruzione» e «la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» (art. 117, m e n). Che cosa è bene dire a livello di legge statale e che cosa lasciare alle regioni e all’autonomia dei singoli istituti, in materia di regolamento sugli o.c.? È certo che la normativa dev’essere a maglie più larghe.

5.​​ Un quadro di riferimento per l’azione.​​ Per quanto riguarda la vita degli o.c. interni alla scuola, si tratta di superare la distonia attuale e di valorizzare quel poco di partecipazione che si riesce ad ottenere, con criteri di accoglienza, di trasparenza, di spirito di servizio, non disgiunto dal rispetto dell’istituzione, dei ruoli e delle persone. A livello di istituto e di classe, si possono indicare gli elementi di una possibile matrice decisionale, da cui risultino risposte pertinenti ad un complesso sistematico di domande: chi partecipa a che cosa, perché, come, dove, quando, con quali risultati. Ricordiamo intanto che si possono raggiungere diversi livelli di partecipazione: si va dall’informazione,​​ alla​​ consultazione,​​ all’elaborazione,​​ alla​​ decisione,​​ all’esecuzione.​​ Non è opportuno che per ogni materia i genitori e gli studenti debbano salire ogni gradino di questa scala. Occorre poi passare in rassegna i momenti fondamentali del curricolo scolastico, dagli obiettivi educativi agli obiettivi didattici, ai contenuti disciplinari, ai metodi, alla condotta o disciplina nella scuola, alla valutazione, e metterli in relazione, in una tabella a doppia entrata, con i soggetti della comunità scolastica, dirigenti, docenti, genitori, personale ATA, altre figure professionali esterne. Se sulla conoscenza dei ragazzi, sugli obiettivi educativi, sulla disciplina, sui comportamenti, sulle motivazioni, sul complesso dell’organizzazione scolastica l’intervento dei genitori appare utile e pertinente, sui metodi d’insegnamento e sulla valutazione certo lo è meno, o non lo è affatto. L’ipotesi da verificare è che la partecipazione quale si è attuata finora nella scuola debba il suo relativo insuccesso alla mancata distinzione fra momenti​​ espressivi​​ e momenti​​ decisionali​​ e che ai genitori (e agli studenti) interessi assai più poter esprimere le loro aspettative, i loro bisogni e le loro valutazioni che partecipare alla presa di decisioni in materia di curricolo.

Bibliografia

Corradini L.,​​ Democrazia scolastica,​​ Brescia, La Scuola, 1975; Id.,​​ La comunità incompiuta,​​ Milano, Vita e Pensiero, 1979; Agazzi L.,​​ Struttura organizzazione e attività degli o.c.,​​ Brescia, La Scuola, 1982; Corradini L.,​​ Educare nella scuola. Cultura comunità curricolo,​​ Ibid., 1983; Id., «I nessi tra famiglia e scuola e l’associazionismo familiare in campo scolastico», in P. Donati (Ed.),​​ Terzo Rapporto sulla famiglia in Italia,​​ Cinisello Balsamo (MI), CISF-San Paolo, 1993, 193-244; Auriemma S. - M. Tiriticco,​​ Carta dei servizi e progetto d’istituto,​​ Napoli, Tecnodid, 1995; Corradini L.,​​ Essere scuola nel cantiere dell’educazione,​​ Roma, SEAM, 1995; Osservatorio sulla Scuola dell’Autonomia,​​ Rapporto sulla scuola dell’autonomia 2004, Roma, LUISS University Press / Armando, 2004; Associazione Treelle,​​ Il governo della scuola autonoma: responsabilità e accountability, Fondazione per la scuola della Compagnia di San Paolo, Seminario n. 5, settembre, 2005; Barbieri E., «Governo della scuola», in G. Cerini - M. Spinosi,​​ Voci della scuola, vol. V, Napoli, Tecnodid, 2005.

L. Corradini




ORGANISMO

 

ORGANISMO

Si intende per o. un’entità unitaria risultante dall’organizzazione strutturale e funzionale di diverse componenti che prendono il nome di organi, apparati, sistemi.

1. Il termine è usato in diverse discipline, dalla fisica alla cibernetica, alla sociologia e alla stessa pedagogia (​​ organi collegiali,​​ ​​ istituzioni educative). Ma l’uso più comune è quello della biologia, dove si dà particolare risalto all’o. vivente. Tale entità è capace di svolgere le «funzioni vitali» o funzioni biologiche di base, che sono: la capacità di assimilazione, di adattamento attivo e passivo, di riproduzione, di autogestione. Tali capacità sono espresse in forma più elementare degli altri o. più semplici della scala dei viventi e in forma più elaborata man mano che cresce la complessificazione degli o. stessi. Negli animali più elevati della scala zoologica si può parlare, con sempre maggiore chiarezza, di funzioni più strettamente biologiche e funzioni psichiche.

2. Nell’​​ ​​ uomo (homo sapiens)​​ si parla anche di attività mentale. L’essere infatti, data la complessità della sua struttura, è capace di svolgere funzioni che si denominano «culturali». L’o. umano, o​​ soma​​ dell’essere umano, consta di organi e sistemi appropriati fra cui i più importanti sono: il​​ sistema nervoso​​ che coordina tutte le attività dell’o. e costituisce il substrato delle più elevate funzioni psichiche e mentali; il​​ sistema cardio-circolatorio​​ che consente l’irrorazione di ogni parte dell’o.; il​​ sistema muscolo-scheletrico​​ che, coordinato dal sistema nervoso, attua le posture e i movimenti; l’apparato digerente​​ che serve per l’alimentazione; il​​ sistema secretore​​ che provvede alla depurazione.

3. È evidente che per educare adeguatamente un soggetto umano è necessario conoscere bene anche le esigenze del suo o. e le risonanze di esse nei sentimenti, negli atteggiamenti e nei comportamenti del soggetto medesimo. Lo studio appropriato della biologia entra così a far parte del curriculum delle scienze dell’educazione (​​ biologia e educazione).

Bibliografia

Polizzi V.,​​ Psiche e soma,​​ Roma, LAS, 1976; Martínez Costa J.,​​ Biología,​​ personalidad y conducta,​​ Madrid, Paraninfo, 1981; Polizzi V.,​​ Identità dell’homo sapiens,​​ Roma, LAS, 1986; Umiltà C. (Ed.),​​ Manuale di neuroscienze,​​ Bologna, Il Mulino, 1995; Reitano M. (Ed.),​​ Appunti di fondamenti anatomo-fisiologici dei processi psichici,​​ Roma, Kappa, 1996.

V. Polizzi




ORGANIZZAZIONE SCOLASTICA

 

ORGANIZZAZIONE SCOLASTICA

L’o.s. è quella disciplina delle​​ ​​ scienze dell’educazione che studia la gestione dei sistemi formativi a livello​​ micro​​ (singola scuola) allo scopo di conoscerla meglio e di renderla più efficace. Per il livello​​ macro,​​ come per la giustificazione della definizione di o.s. vedi​​ ​​ amministrazione scolastica: data la difficoltà di tracciare un confine netto tra le due voci si consiglia di leggerle insieme. L’o.s. è anche il complesso degli organi, delle persone e delle strutture che provvede al funzionamento della singola scuola.

1.​​ La nuova cultura delle o.​​ Nell’accezione più condivisa o. significa quel tipo di unità sociale che si caratterizza per la finalizzazione a obiettivi specifici. In questo senso si distingue da una famiglia, da una comunità, da una nazione che, invece, perseguono una pluralità di fini generali. La definizione è stata messa in discussione in relazione alla scuola in quanto se è vero che quest’ultima si propone la meta dell’educazione, tuttavia tale finalità si presenta complessa e molteplice. Un altro tratto distintivo dell’o. sarebbe costituito dal coordinamento delle attività individuali in vista dell’interesse generale. Non mancano anche in questo caso osservazioni circa l’eccessiva sottolineatura del controllo dall’alto, implicita nel concetto appena richiamato, rispetto alle più comuni forme di autodisciplina dei membri. La teoria organizzativa più antica si caratterizza per la focalizzazione sulla​​ razionalità​​ tecnica e funzionale, sull’efficienza, sul rapporto ottimale tra mezzi e scopi. L’accento è posto su due proprietà strutturali: la specificità dei fini e la formalizzazione dell’o. Un secondo approccio, la scuola delle​​ relazioni umane,​​ benché sia sorto in contrapposizione alla concezione razionale, ha di fatto sottolineato due aspetti che si presentano come complementari ai precedenti, piuttosto che contraddittori. Le o. non possono essere concepite semplicemente come meccanismi mirati al perseguimento di fini specifici esterni di produzione, ma costituiscono anche dei gruppi sociali che devono preoccuparsi di soddisfare una serie di bisogni di autosostentamento e di mantenimento del sistema. In secondo luogo viene affermata l’importanza delle strutture informali che possono incidere su quelle formali, perfezionandole, condizionandole e persino cambiandole. Nonostante gli indubbi progressi compiuti dalla riflessione e dalla prassi, le due concezioni citate conservano un carattere autocentrato. Tuttavia, già negli anni ’70 l’o. viene ad essere concepita in termini di​​ sistema,​​ cioè come un insieme di parti tra loro interrelate, e questo sistema è​​ aperto​​ nel senso che si trova in un rapporto di stretta interdipendenza con il contesto in cui opera. Esso può conservarsi solo sulla base di un flusso continuo di risorse da e per l’ambiente; lo scambio con il contesto costituisce il meccanismo fondamentale che consente il funzionamento dell’o. Indubbiamente, apertura non significa assenza di confini, ma piuttosto sta a sottolineare la loro flessibilità: l’o. deve certamente impegnarsi per conservarli, ma al tempo stesso svolge attività che si situano oltre i confini stessi. Il collegamento con l’ambiente mette in crisi tra l’altro uno degli assunti di fondo della prospettiva razionale che presupponeva l’esistenza di un modello di o. migliore in assoluto e si sforzava di elaborarlo; la formula più valida dipende al contrario dalle caratteristiche del contesto in cui opera l’o. L’approccio del sistema aperto mette in evidenza come le o. (con particolare riguardo a quelle formative) non si presentano sempre come strutture compatte le cui parti siano strettamente collegate e coordinate tra loro, ma anche come o.​​ a maglie larghe​​ (loose coupling).​​ Le relazioni tra le varie componenti si caratterizzano spesso per la complessità e la variabilità, per la mancanza di rigidità delle connessioni per la forte autonomia operativa di ciascun sottosistema. La​​ leadership​​ non appare sempre come un’unità di comando monolitica, ma si rivela anche come una coalizione piuttosto allentata di gruppi mutevoli, ciascuno con i propri interessi, obiettivi e strategie. La presenza di collegamenti non molto rigidi non costituisce di per sé un ostacolo allo sviluppo, ma può contribuire in maniera importante alla crescita, stimolando l’intraprendenza delle componenti. Il sistema aperto è anche in grado di regolarsi autonomamente in base a propri parametri. La complessità della società attuale pone tre sfide alle o.: cresce la diversità, cioè il numero degli elementi tra loro differenti, anche fortemente, da trattare al medesimo tempo; l’imprevedibilità diviene una condizione normale; aumenta l’interdipendenza tra i fattori da tenere sotto controllo. Questa situazione ha messo in risalto l’insufficienza dei meccanismi strutturali con cui le o. avevano cercato finora di far fronte alla complessità, quali, per citare quelli comuni anche alle scuole, i regolamenti, i programmi, gli orari, l’articolazione in dipartimenti, la gerarchia e la delega. Una strada alternativa è consistita nel rafforzamento dei centri decisionali mediante la diffusione della distinzione «staff / line». Gli esperti che compongono lo «staff» forniscono consulenza tecnica ai dirigenti generalisti che sono incaricati delle deliberazioni definitive: ciò consente di aumentare la capacità di trattare le informazioni senza introdurre un decentramento formale e senza infrangere il principio dell’unicità della funzione di comando, anche se molto potere viene acquisito dagli esperti. Una strategia promettente è costituita dall’o.​​ a matrice​​ che consiste nell’introduzione di un gruppo di meccanismi strutturali che mirano alla promozione della comunicazione delle informazioni a livello orizzontale, mentre finora si era generalmente cercato di potenziare i canali verso l’alto o il basso. Il tratto qualificante è dato dalla compresenza sia di reparti funzionali che garantiscono lo svolgimento dei dinamismi verticali e rispondono a bisogni consolidati, sia di gruppi di progetto che assicurano le connessioni laterali e vengono incontro alle domande mutevoli del contesto. Un’altra strategia rilevante è offerta dal modello della​​ qualità totale. La qualità viene intesa in base a una prospettiva non più interna all’impresa, ma esterna, e consiste nella soddisfazione del cliente per cui diviene centrale nel rapporto con l’esterno l’impegno per identificare la domanda: è la qualità percepita che è decisiva e la misura operativa è fornita dal successo commerciale. All’interno, poi, il collega non deve più essere immaginato come un competitore, ma come un cliente a cui fornire un prodotto di qualità. A monte vi sarebbe la riscoperta della finalizzazione del processo produttivo all’uomo che tornerebbe al centro della scena, anche se lo sganciamento della definizione della qualità da parametri assoluti potrebbe essere foriero di un relativismo pericoloso. Comunque, i modelli a matrice, progettuale e della qualità totale segnano il passaggio dalla burocrazia alla «adhocrazia».​​ Un ulteriore progresso è rappresentato dai​​ modelli culturali​​ di o. che concentrano l’attenzione sui principi, le idee, i simboli e le tradizioni condivisi dai membri di una o. in quanto contribuiscono a definire l’identità dell’o. L’approccio ritiene che l’o.s. non sia un scienza applicativa, come nell’impostazione tradizionale, ma sostiene che il suo oggetto è la pratica riflessiva, cioè una interrelazione tra teoria, intuizione ed esperienza. Dal punto di vista organizzativo, i principi fondamentali sono quelli della cooperazione, dell’empowerment​​ dei membri dell’o., della responsabilità nella gestione, della partecipazione, della significatività del proprio lavoro e dell’equilibrio tra competenza e autorità.

2.​​ Modelli di o.s.​​ Tra i più antichi e diffusi si può ricordare quello​​ burocratico​​ ispirato alle teorie organizzative di​​ ​​ Weber. La singola scuola è qualificata da tratti come il carattere gerarchico dell’autorità, la divisione del lavoro, la specializzazione basata sulla competenza, la strutturazione in ruoli impersonali, una regolamentazione fondata su norme generali e astratte, una carriera per merito. La formula burocratica ha costituito uno strumento utile per regolare i rapporti tra diritti, responsabilità, ruoli e funzioni e per coordinare o. complesse; inoltre, ha trovato ampie applicazioni nei sistemi formativi centralizzati e più recentemente nei Paesi in via di sviluppo durante la fase di costruzione delle strutture statali. Sul piano negativo, essa non offre adeguato riconoscimento a dimensioni importanti dei processi educativi come l’autonomia della singola scuola, la professionalità degli insegnanti, la personalizzazione dell’azione educativa, l’efficacia, la flessibilità e l’innovatività degli interventi. Il modello​​ industriale​​ classico segue i principi dell’o. tayloristica del lavoro: standardizzazione, che si manifesta nella presenza di un curricolo nazionale, di esami centralizzati, di requisiti minimi di conoscenze e di competenze; specializzazione, a livello di insegnanti e di programmi; sincronizzazione, che si esprime in calendari ed in orari dettagliati; concentrazione, per cui si tende a coniugare varie attività nella stessa istituzione; razionalizzazione delle offerte sul territorio; centralizzazione dei controlli. La formula presenta i suoi vantaggi soprattutto in un contesto di espansione della scuola, ma può portare a gravi inconvenienti perché la scuola non è del tutto identificabile con una grande impresa stile anni ’30 o ’60. Il modello​​ politico,​​ ispirato alle teorie conflittuali di Weber e neo-marxiste, concepisce la scuola come un’o. in cui la lotta per il potere o sui valori tra gruppi di interesse è normale e va risolta attraverso la negoziazione. La formula è utile per rispondere alla domanda di partecipazione e di democrazia che ha raggiunto il sistema formativo durante soprattutto gli anni ’70 e per correggere una visione troppo idilliaca della scuola. Al tempo stesso non manca di svantaggi perché può portare a una conflittualità endemica, a una svalutazione della professionalità, a forme di assemblearismo e soprattutto si muove in controtendenza rispetto agli orientamenti attuali del rinnovamento della scuola che sottolineano la collaborazione, la comunità e il lavoro di gruppo. Il modello​​ culturale​​ è caratterizzato da: complementarità tra coordinamento centrale e potere d’iniziativa e decisionale locale, focalizzazione sulla comunità educativa, partecipazione delle varie componenti, centralità dell’educando, responsabilità per i risultati, imprenditorialità, innovazione dal basso, introduzione di una funzione intermedia fra dirigenti e docenti. Corrisponde agli orientamenti più recenti della teoria organizzativa e può essere interpretato in due forme diverse, una manageriale che subordina le finalità formative alle esigenze organizzative e di mercato e una educativa che afferma la priorità della formazione. Il modello nella seconda accezione sembra adeguato sia sul piano ideale sia su quello pratico della corrispondenza alle caratteristiche della società complessa. La sua realizzazione, però, presuppone una cultura organizzativa conforme nelle componenti della scuola, soprattutto nel personale docente e dirigente, e una politica di impulso, sostegno, coordinamento e verifica da parte del centro senza indebite ingerenze gestionali. Il modello culturale ha approfondito in particolare le funzione della​​ leadership​​ educativa, articolandola nelle seguenti direzioni: la funzione tecnica che consiste nell’uso di valide tecniche di gestione (pianificazione, gestione del tempo, coordinamento, programmazione e o.); la funzione di gestione delle relazioni umane che si esprime nella capacità di rapportarsi con le persone, si esplica nel sostegno al miglioramento e ha come base la motivazione e lo sviluppo degli studenti e del personale, a partire da quello docente, nella prospettiva della collegialità e dell’autonomia scolastica; la funzione educativa in senso stretto che deriva dalla conoscenza esperta dell’istruzione e dell’educazione e fa percepire il dirigente come leader riconosciuto dai propri insegnanti; la funzione simbolica che si esprime nella capacità di finalizzazione, di visione, o di far cogliere il senso delle cose, di indicare le priorità, di orientare ed identificare le varie componenti della scuola e interpretare i loro sentimenti e aspettative; la funzione culturale che è la forza chiave per creare un’identità condivisa attorno ai valori distintivi dell’istituto e per inserire i nuovi collaboratori e studenti, per costruire un pensiero comune e una «comunità morale».

Bibliografia

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G. Malizia




ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI

 

ORGANIZZAZIONI​​ INTERNAZIONALI

Molte sono le o.i. che, direttamente o indirettamente, si occupano di problemi educativi; soltanto poche, però, sono tali in senso stretto, cioè interstatali. Sorte per promuovere e rendere stabile e organica la cooperazione fra gli Stati membri in vista del conseguimento di scopi comuni, esse hanno struttura, organi e norme giuridiche propri che disciplinano gli interessi di ciascun Paese.

1. Al di là degli scopi specifici, gli obiettivi comuni in ambito pedagogico sono: offrire una visione di insieme sui problemi educativi, individuare tendenze e indirizzi, proporre soluzioni ai problemi, valutare i risultati di queste e confrontarli. L’efficacia reale del loro operato dipende dal potere effettivo che ciascuna ha di impegnare gli Stati membri. Gli strumenti operativi di cui dispongono sono​​ Direttive​​ e​​ Regolamenti​​ (gli unici per sé vincolanti perché hanno valore di leggi),​​ Convenzioni​​ (forme decisionali con possibilità di diventare vincolanti ma soltanto se ratificate dagli Stati e integrate nella legislazione nazionale),​​ Raccomandazioni,​​ Risoluzioni,​​ Dichiarazioni​​ e​​ Avvisi​​ (non vincolanti se non come impegno morale, e con contenuti sovente di natura pratica). Tutte le o.i. offrono un contributo significativo a livello conoscitivo (studi, ricerche, incontri, dibattiti), operativo (sperimentazioni, progetti pilota) e informativo. Reti per la raccolta di documentazione e per lo scambio di informazioni sui sistemi formativi europei sono state attivate dalla CEE con EURYDICE, dal CdE con l’EUDISED, sull’istruzione e l’educazione mondiale dall’UNESCO con il BIE. Quest’ultima, in collaborazione con le altre o.i., elabora le statistiche educative attraverso un ufficio con sede a Parigi a cui si deve, tra l’altro, la pubblicazione dell’annuario internazionale dell’educazione.

2. CEE (Comunità economica europea)​​ ora UE (Unione Europea): è dotata di strutture istituzionali dal Trattato di Roma (1957) e si è occupata, dal suo nascere, della​​ ​​ formazione professionale nei Paesi aderenti (art. 118 e 128 del Trattato). L’obiettivo limitato rispecchia lo scopo proprio dell’istituzione: «promuovere lo sviluppo economico degli Stati Membri». Soltanto con difficoltà e lentamente gli interessi educativi si espandono fino al Trattato di Maastricht (1991), in cui, per la prima volta, le competenze comunitarie riguardanti l’educazione e la formazione vengono ufficialmente ampliate e ratificate (art. 126 e 127). Nel 1975 viene creato a Berlino il CEDEFOP (Centro Europeo per lo sviluppo e la formazione professionale)​​ con il compito di fornire consigli e informazioni tecniche e scientifiche alle istituzioni della Comunità. La CEE è l’unica o.i. che ha un’autorità reale sancita da poteri sovranazionali, con possibilità di emanare​​ Direttive​​ e​​ Regolamenti.

3. CdE (Consiglio d’Europa):​​ è la prima o.i. europea creata nel dopoguerra (1949) con lo scopo di promuovere la riconciliazione e la pace tra i popoli. Fin dal suo nascere il CdE ha sostenuto la cooperazione culturale e educativa come mezzo per avvicinare gli Stati e per raggiungere una pace durevole. Nel 1954 ha attivato al suo interno la «Convenzione Europea della Cultura», a cui possono aderire anche Stati che non fanno parte a pieno titolo dell’o., per partecipare ai programmi in materia di cultura, educazione, sport e gioventù. Il programma riguardante la cultura e l’educazione, parte integrante dell’o., è sviluppato dal CDCC (Consiglio per la cooperazione culturale)​​ al cui interno operano 4 comitati permanenti.

4. OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico):​​ è creata a Parigi nel 1961 con lo scopo di promuovere la cooperazione e lo sviluppo economico, condividendo la fiducia nei valori democratici e in una economia di libero mercato. La sua politica formativa riflette gli scopi istituzionali. L’o. non dispone di alcun potere coercitivo né finanziario. Il Comitato per l’educazione (uno tra i tanti) e il CERI (Centro per la ricerca e l’innovazione nell’insegnamento),​​ organismo che funziona in modo autonomo in seno all’OCSE, attuano congiuntamente i programmi in tale ambito. I principali interessi dell’o. sono: il contributo dell’istruzione allo sviluppo sociale e alla perequazione economica; il miglioramento della qualità dell’insegnamento.

5. UNESCO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione,​​ la scienza e la cultura):​​ Istituto specializzato e autonomo dell’ONU, fu fondato a Londra nel 1945 e iniziò le sue attività a Parigi nel 1946. L’o. si propone di contribuire al mantenimento della pace e della sicurezza, rafforzando, attraverso educazione, scienza e cultura la collaborazione tra le nazioni. Per il numero degli Stati aderenti è la prima e sicuramente la più importante o.i. che si occupa di problemi educativi. La sua peculiarità strutturale e operativa deriva dal suo carattere mondiale. La struttura di lavoro dell’Unesco è costituita innanzitutto dalle «Commissioni nazionali». L’o. dà grande importanza alla cooperazione.

Bibliografia

Unesco (Ed.),​​ L’Unesco et l’éducation dans le monde,​​ Paris, 1985; Conseil de l’Europe, Conférence permanente des Ministres Européens de l’éducation,​​ La coopération européenne en matière d’éducation: activités de l’Unesco,​​ du Conseil de l’Europe,​​ des Communautés européennes…,​​ Strasbourg,​​ 1991; Rissom H. W.,​​ Unesco​​ and the new Europe,​​ in «International Review of Education» 38 (1992) 700-705; Skilbeck M. - I. Whitman,​​ OECD and education links with central and eastern Europe,​​ in Ibid., 696-700; Unità Italiana di Eurydice,​​ Normativa comunitaria in materia di istruzione,​​ Firenze, Biblioteca di Documentazione Pedagogica, 1992;​​ Allegri M. R.,​​ Le o.i. Strategie e strumenti della comunità internazionale,​​ Padova, CEDAM, 2002.

C. Di Agresti