ORGANI COLLEGIALI SCOLASTICI
Strumenti di partecipazione alla vita e alla gestione della → scuola. Previsti in Italia fin dal 1859 a livello provinciale e nazionale, sono stati successivamente modificati, integrati e democratizzati negli anni ’70.
1. L’evoluzione della collegialità nella scuola. La necessità di uscire da un lungo periodo di tensione, soprattutto fra studenti e docenti, contrapposti da una schematica ideologia rivoluzionaria elaborata nella seconda metà degli anni ’60, periodo della cosiddetta contestazione globale, portò le forze culturali e politiche a cui si deve la Costituzione italiana a ricercare una nuova mediazione culturale, che rendesse possibile la convivenza delle componenti e delle forze che confliggevano nella scuola. Ne uscirono la L. delega 477 / 1973 e i decreti delegati del 1974, che fornirono alla scuola una mappa complessivamente accettabile di mediazione verso l’alto, che non solo riconosceva le posizioni guadagnate sul campo dalle diverse componenti, ma le impegnava tutte a un «lavoro» culturale e relazionale che i più prudenti chiamavano → partecipazione (rispettivamente dei docenti, studenti, genitori e forze sociali, queste ultime solo a livello distrettuale) alla vita e alla gestione della scuola (con la distinzione fra ambiti politico, didattico, amministrativo, in riferimento ai diversi o.c.), e che i più innovatori chiamavano, con indubbia enfasi, gestione sociale della scuola. I luoghi istituzionali di questa nuova concezione della scuola e dell’organizzazione incaricata di darle concretezza sono appunto gli o.c., rinnovati nella composizione e nei poteri o istituiti ex novo, a livello di classe e d’interclasse, d’istituto e di circolo, di distretto (novità assoluta, ora abbandonata), di provincia e di nazione (il Consiglio nazionale della P.I. sostituì il Consiglio superiore di antica memoria). Per i genitori e per gli studenti sono state previste assemblee a livello d’istituto, e comitati di rappresentanti, con poteri solo di tipo espressivo-consultivo, mentre veniva rafforzato il collegio dei docenti, cui spettano poteri di tipo didattico-disciplinare, e veniva istituito ex novo il consiglio d’istituto e di circolo, composto dai rappresentanti delle componenti scolastiche, oltre al capo d’istituto, con poteri di tipo organizzativo-gestionale. Fra sistema delle assemblee, dei comitati e dei consigli non esiste però un raccordo di tipo rappresentativo e funzionale. Dei consigli di classe e dei consigli di circolo e d’istituto fanno parte i rappresentanti dei genitori (e degli alunni nelle scuole secondarie superiori): essi non sono invece presenti a livello nazionale, nel CNPI, Consiglio nazionale della P. I. I genitori sono anche presenti a livello distrettuale e provinciale, mentre gli studenti solo a livello distrettuale. Nonostante alcuni tentativi di modifiche parlamentari, questo disegno è sostanzialmente immutato dal 1974, e mostra tutti i suoi anni. I limiti del compromesso fra centralismo e partecipazione non hanno tardato però a manifestarsi. Il «carburante ideologico» spinse per un certo tratto in avanti la «macchina» scolastica, ma non riuscì ad alimentare quella cultura pedagogica e quella capacità d’interazione finalizzata all’educazione, nel rispetto di ruoli e competenze diverse, che costituiscono il vero fondamento di una relazionalità matura e produttiva. D’altra parte il legislatore delegato del ’74 previde che il nuovo apparato partecipativo avesse il compito di fare della scuola una comunità aperta all’ambiente, ma non riuscì a fornirgli strumenti normativi e finanziari utili a renderlo motivante ed efficiente. Si cercò in tal modo di contenere, sotto un ombrello di tipo valoriale, le spinte conflittuali relative alla conquista degli spazi e dei poteri. Dopo iniziali entusiasmi, l’alleanza tra docenti e genitori in funzione antiburocratica entrò in crisi. Molti docenti hanno temuto i genitori vicini più che i ministri lontani: la comunicazione, appena avviata, si è rallentata e talora interrotta per equivoci, per beghe locali o per astratte contrapposizioni ideologiche, e per caduta di interesse nei riguardi di un meccanismo che si rivelava più complicato e meno gratificante del previsto. All’interno dei consigli di classe il dialogo è risultato talora vivace e produttivo, talora stentato, per la difficoltà di ottenere reciproca non superficiale conoscenza e chiarezza di ruoli e di compiti fra insegnanti, genitori e studenti. Il cambiamento insomma non è stato pienamente vissuto e attuato.
2. Conquiste e limiti della democratizzazione degli anni ’70. Il legislatore ha implicitamente riconosciuto, sia pure in termini un po’ approssimativi, i diritti degli studenti, ha solennemente sancito la libertà d’insegnamento dei docenti, finalizzandola però alla promozione della personalità dello studente e vincolandola al rispetto della sua coscienza, ha riconosciuto spazi e diritti ai genitori, legittimando la pluralità delle visioni della vita e dei ruoli, impegnando però tutti al confronto collegiale, dai consigli di classe a quelli d’istituto a quelli di distretto, a quelli provinciali, nella prospettiva di una scuola intesa come comunità educativa che interagisca con la più vasta comunità sociale e civica. Tali diritti sono stati poi precisati, per gli studenti, col dpr 10.10.1996, n. 567 e col dpr 24.6.1998, n. 249, Statuto delle studentesse e degli studenti, e per i genitori col dpr 301 2005, che istituisce i Forum delle associazioni di genitori, FONAGS, a livello nazionale e regionale. Conquiste importanti, ma di debole impatto nel costume scolastico. Centralismo e decentramento, libertà del docente e collegialità, didattica e amministrazione, pluralismo e impegno educativo, apprendimento e partecipazione, discipline curricolari e attività extracurricolari sono coppie di valori non alternative, ma componibili: questo il succo della «difficile convivenza» resa possibile dalle scelte pedagogiche e organizzative compiute dai decreti delegati. Come spiegare il nuovo disagio, la cattiva comunicazione, i sospetti e il pratico abbandono del campo della maggior parte dei genitori? Qualcuno denuncia la scarsità o l’illusorietà dei poteri trasferiti alla base, qualche altro invece ritiene che questi poteri siano troppi e che gli organismi partecipativi siano una palla al piede di chi vuole modernizzare, o, all’opposto, conservare la scuola. Indubbiamente il «taglio» dei diversi o.c., lo scollegamento fra il sistema delle assemblee generali, dei previsti comitati dei rappresentanti e dei consigli hanno le loro responsabilità. Le critiche però sono state talora globalistiche e poco attente alla distinzione di piani e livelli, dei valori in gioco e degli strumenti previsti per salvare questi valori. Il rischio maggiore è quello di tentare di uscirne semplicemente con la rimozione del problema, come se tutto il tema della democrazia scolastica fosse frutto di un equivoco, di un problema mal posto o di una congiuntura un po’ folle, che ha confuso le idee alle persone per bene, inducendole a cose inutili o sconvenienti.
3. La collegialità sfidata dalle «educazioni», dalle competenze e dall’efficienza. Di fatto questa scuola, che difende la sua autonomia anche nei riguardi della componente genitori, deve poi registrare notevoli difficoltà per quanto concerne gli apprendimenti, come rivelano le indagini OCSE PISA, che vedono i ragazzi italiani in complesso meno preparati dei loro compagni europei; difficoltà che hanno a che fare non solo con le competenze didattiche dei docenti, ma anche, da parte degli studenti, col disagio, la demotivazione, la devianza, la droga, la dispersione scolastica, la delinquenza e la disoccupazione: tutti temi che chiamano in causa le dimensioni esistenziale, motivazionale, relazionale del lavoro scolastico e i rapporti fra scuola e sistema formativo. Il ricupero dell’esistenziale può giustificare una nuova fase d’intesa tra scuola e famiglia, che prenda in considerazione, come ha fatto la L. 309 / 1992, il concetto di salute. Se la salute può essere intesa come quello stato di benessere fisico, psichico, sociale, morale che dà energia, tono e prospettive alla vita, e che dalla cultura ricava ragioni e significati positivi, di essa non deve interessarsi solo una famiglia che istituzionalmente ha il diritto e il dovere di «mantenere, istruire ed educare i figli», ma anche una scuola, che abbia il compito di «promuovere attraverso un confronto aperto di posizioni culturali, la piena formazione della personalità degli alunni» e cioè non solo di «trasmettere», ma di «elaborare» cultura, nel rispetto della coscienza morale e civile degli alunni. La teoria pedagogica del sistema formativo integrato, prima che utopia legata alle idee della società educante e dell’educazione permanente, è frutto della necessità operativa di chi intenda risolvere i problemi in termini istituzionalmente e professionalmente corretti. Il tutto va coordinato col dovere di una valutazione, che sia attenta agli aspetti nazionali e internazionali, come agli aspetti locali e personali. L’INVALSI e l’INDIRE vanno ripensati come agenzie di supporto all’autonomia e alla funzionalità del sistema educativo d’istruzione e formazione.
4. Il ridisegno dei confini del sistema costituzionale di educazione e di istruzione. Dopo la fase della scuola nazionalburocratica e la fase della scuola democratica, registriamo infatti, a partire dalla fine degli anni ’80, una domanda insistente di efficacia / efficienza del servizio, identificato nella prospettiva della scuola autonoma, manageriale, di qualità. Le fasi precedenti non sono superate, ma restano presenti nell’organismo della scuola, come negli alberi i cerchi di fasi di vita precedenti. La terza fase è iniziata sul piano normativo, ma non ha raggiunto ancora standard di efficacia / efficienza soddisfacenti. Dopo i cambiamenti vorticosi della stagione del primo Centro sinistra, che hanno introdotto novità istituzionali rimaste poi in vigore (il dpr 8.3.1999, n. 275 attribuisce alle singole scuole autonomia e personalità giuridica; la nuova Costituzione varata dalla l. cost. 3 / 2001 la riconosce all’art. 117), è giunta la legge delega 28.3.2003 n. 53 del ministro Letizia Moratti, con i relativi provvedimenti delegati, fra cui le Indicazioni nazionali per i piani di studio personalizzati, ispirate dall’idea guida della personalizzazione, che ha introdotto il concetto di cooperazione tra scuola e genitori (art.1), ma che mette in ombra la collegialità. Su questa base si rende ancor più necessaria la modifica dei decreti delegati del ’74, sia quelli a livello scolastico, sia quelli a livello territoriale. Quanto ai primi, le novità che derivano dall’autonomia, dal dimensionamento-accorpamento delle scuole comprensive, in verticale e in orizzontale (1998) e dal conferimento della dirigenza ai capi d’istituto, dotati di poteri e responsabilità gestionali (d. leg. 30.3.2001, n. 165), pongono problemi di difficile armonizzazione delle procedure decisionali. Quanto agli o. a livello nazionale e periferico, il d. leg. 30.6.1999, n. 233 di Berlinguer che li ha riordinati non è entrato in vigore. Lo stesso è accaduto al testo «Norme concernenti il governo delle istituzioni scolastiche», votato nella passata legislatura il 23.2.2005 dalla VII Commissione della Camera. Il clima culturale si è fatto più incerto. Si può dire che si sia abbassata la marea delle energie motivazionali di tipo ideale, ideologico, pedagogico e politico, e anche demografico e finanziario, che avevano indotto il Parlamento ad un’apertura di credito verso le componenti scolastiche e le forze sociali, mettendo in cantiere le navicelle degli o.c. La nuova stagione del Centro sinistra, iniziata il 2006, sta cercando di consolidare gli ordinamenti sul piano della definizione giuridica e operativa dei confini fra ambiti e poteri sul piano della governance, anzitutto nel Tavolo Stato-Regioni; e cerca di rilanciare la partecipazione, con una rinnovata iniziativa parlamentare, sul «governo partecipato delle istituzioni scolastiche» e sui «rapporti tra queste, le istituzioni della Repubblica e il territorio». Il «sistema educativo d’istruzione e formazione», articolato in sottosistemi statale e paritario, va governato a quattro livelli relativamente indipendenti: statale, regionale, locale e scolastico, secondo le prospettive ancora acerbe del nuovo testo costituzionale, che affidano allo Stato le «norme generali sull’istruzione» e «la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale» (art. 117, m e n). Che cosa è bene dire a livello di legge statale e che cosa lasciare alle regioni e all’autonomia dei singoli istituti, in materia di regolamento sugli o.c.? È certo che la normativa dev’essere a maglie più larghe.
5. Un quadro di riferimento per l’azione. Per quanto riguarda la vita degli o.c. interni alla scuola, si tratta di superare la distonia attuale e di valorizzare quel poco di partecipazione che si riesce ad ottenere, con criteri di accoglienza, di trasparenza, di spirito di servizio, non disgiunto dal rispetto dell’istituzione, dei ruoli e delle persone. A livello di istituto e di classe, si possono indicare gli elementi di una possibile matrice decisionale, da cui risultino risposte pertinenti ad un complesso sistematico di domande: chi partecipa a che cosa, perché, come, dove, quando, con quali risultati. Ricordiamo intanto che si possono raggiungere diversi livelli di partecipazione: si va dall’informazione, alla consultazione, all’elaborazione, alla decisione, all’esecuzione. Non è opportuno che per ogni materia i genitori e gli studenti debbano salire ogni gradino di questa scala. Occorre poi passare in rassegna i momenti fondamentali del curricolo scolastico, dagli obiettivi educativi agli obiettivi didattici, ai contenuti disciplinari, ai metodi, alla condotta o disciplina nella scuola, alla valutazione, e metterli in relazione, in una tabella a doppia entrata, con i soggetti della comunità scolastica, dirigenti, docenti, genitori, personale ATA, altre figure professionali esterne. Se sulla conoscenza dei ragazzi, sugli obiettivi educativi, sulla disciplina, sui comportamenti, sulle motivazioni, sul complesso dell’organizzazione scolastica l’intervento dei genitori appare utile e pertinente, sui metodi d’insegnamento e sulla valutazione certo lo è meno, o non lo è affatto. L’ipotesi da verificare è che la partecipazione quale si è attuata finora nella scuola debba il suo relativo insuccesso alla mancata distinzione fra momenti espressivi e momenti decisionali e che ai genitori (e agli studenti) interessi assai più poter esprimere le loro aspettative, i loro bisogni e le loro valutazioni che partecipare alla presa di decisioni in materia di curricolo.
Bibliografia
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L. Corradini