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OMERO

 

OMERO

Vissuto tra il IX e l’VIII sec. a.C., è chiamato per antonomasia «l’educatore della Grecia», in quanto è all’origine della cultura greca, non solo cronologicamente, ma perché coglie e comunica con la forza della poesia epica alcune linee di formazione umana, che restano comune retaggio di tutta la cultura greca.

1. Ne indichiamo in sintesi gli elementi essenziali, senza fermarci sul cosiddetto​​ problema omerico​​ (identità e unicità del poeta designato con questo nome). O. è, in primo luogo, testimone e trasmettitore di una tradizione culturale precedente (il cosiddetto​​ Medioevo greco)​​ che sopravvive e diventa patrimonio culturale attraverso i suoi poemi: l’Iliade​​ e l’Odissea.​​ È pure testimone di un tipo di educazione che si attuò nel ceto aristocratico delle corti (il re e i suoi nobili guerrieri), sia come ideale di​​ areté,​​ sia come processo di formazione dei giovani nella vita della corte e all’arte militare. L’ideale aristocratico,​​ come realizzazione superiore di umanità, risulta così punto di partenza per la visione greca dell’uomo e della sua formazione. Tale ideale O. canta, con incomparabile ispirazione poetica, nelle figure degli​​ Eroi;​​ perciò esso è chiamato​​ ideale eroico:​​ l’eroe​​ impersona un tipo di​​ areté​​ (nel senso di pieno valore umano) che si afferma come paradigma e punto di riferimento per tutte le successive fasi della cultura​​ / paideia​​ greca. Con ciò O. realizza anche, in modo eminente, la caratteristica del popolo greco di avere nei poeti (insieme ai filosofi e ai politici) una fonte della sua​​ ​​ paideia​​ e dimostra la forza pedagogica in particolare della poesia epica in quanto trasmettitrice di paradigmi di umanità.

2. I contenuti di​​ paideia​​ sono notevolmente diversi nelle due epopee, l’Iliade​​ e l’Odissea,​​ come diverso è l’ambiente in cui gli eroi sono collocati: quello guerriero nella prima; quello civile nella seconda. Il​​ valore paradigmatico​​ delle figure degli eroi omerici sta soprattutto nell’eccellenza​​ dell’ideale umano ricercato e celebrato e nell’equilibrio​​ degli elementi che lo compongono e che, unitamente, formano​​ areté.​​ Ciò interpreta il senso di completezza, costante nell’ideale formativo greco. La ricerca dell’eccellenza​​ (il dover essere migliore di tutti, la celebrazione dell’aristéia​​ dell’eroe) traduce il bisogno dell’attuazione più perfetta del valore umano (areté​​ appunto). L’equilibrio​​ (o integralità) è dato, nel paradigma dell’eroe, dalla ricerca e realizzazione non solo del valore militare, ma, insieme, della​​ saggezza.​​ Integrazione, quindi, di interiorità ed esteriorità, indicata da O. nell’espressione:​​ «essere dicitore di discorsi e operatore di azioni»,​​ che intende caratterizzare l’eroe. Una sintesi in cui rientrano le molteplici doti dell’ideale cavalleresco. La ricerca e celebrazione della propria eccellenza comportano anche una particolare visione etica, propria dell’areté​​ eroica: l’etica dell’onore,​​ da non svilirsi in vuota ambizione, ma da considerare come il bisogno dell’eroe di una verifica e una comprova dell’eccellenza raggiunta.

3. O. previene pure la polemica sull’insegnabilità dell’areté​​ (​​ Grecia: educazione), non solo perché egli stesso compie un’opera di educazione del popolo greco, ma perché la stessa formazione degli eroi è frutto di un intervento (o addirittura di un mandato) educativo (per es. il centauro Chirone e Fenice per Achille nell’Iliade; Mentore-Atena per Telemaco, figlio di Ulisse, nell’Odissea). L’areté virile​​ ha certo il primo posto nei poemi omerici. È tuttavia celebrato anche l’ideale femminile,​​ in modo suggestivo (si ricordino, per es., le figure di Clitemnestra, di Criseide, di Penelope, di Nausicaa) e con la stessa esigenza di integralità: al binomio «operatore di azioni e dicitore di discorsi» dell’eroe corrispondono​​ bellezza e saggezza e abilità domestiche​​ nell’ideale della donna.

Bibliografia

a)​​ Fonti: Iliade,​​ trad. it. di G. Tonna, introd. di F. Codino, Milano, Garzanti, 1983;​​ Odissea,​​ trad. it. di G. Tonna, introd. di F. Codino, Ibid., 1985. b)​​ Studi:​​ Jaeger W.,​​ Paideia. La formazione dell’uomo greco,​​ Scandicci (FI), La Nuova Italia, 1991; Marrou H. I.,​​ Storia dell’educazione nell’Antichità,​​ Roma, Studium, 1994; Montanari F. (Ed.),​​ O. Gli aedi,​​ i poemi,​​ gli interpreti, Scandicci (FI), La Nuova Italia, 1998.

M. Simoncelli




OMOSESSUALITÀ

 

OMOSESSUALITÀ

L’o. vera e propria costituisce una condizione abbastanza ben definita, non assimilabile con alcune forme di comportamento sessualmente invertito temporanee od occasionali. L’attrazione erotica verso il proprio sesso e la ripulsione, spesso invincibile per quello complementare hanno nell’o. vera e propria un carattere di esclusività e stabilità, che ne fanno una vera struttura psichica.

1. Tale situazione non è il prodotto di una scelta; in se stessa non ha quindi una vera e propria rilevanza etica in senso proprio. Si dice a volte che essa è una condizione naturale. Dicendo questo, oggi si fa spesso non tanto una constatazione ovvia sulla non volontarietà di questa condizione, ma una valutazione discutibile di natura ultimamente etica sul comportamento omosessuale che viene così giudicato non moralmente diverso da quello eterosessuale. Naturalmente si tratta di un equivoco: quando si parla di natura in questo campo, il criterio di riferimento non può prescindere dall’​​ ​​ etica. E dal punto di vista etico, l’omosessuale può essere un peccatore o un santo, ma il suo modello di sessualità non è un modello vero: è in sé una forma mancante della sua regola, quali ne possano essere la volontarietà e l’eventuale colpevolezza soggettiva. L’individuazione, finora purtroppo solo incerta, delle sue cause, se può avere un grande interesse dal punto di vista clinico, non può dirci nulla sulla colpevolezza soggettiva dell’omosessuale: avere delle tendenze non è in sé peccato, come non lo è il soffrire di qualsiasi altra forma di perversione sessuale. Diversa, e comunque non facile sarà la valutazione del comportamento omosessuale soggettivo.

2. Il motivo fondamentale della sua oggettiva negatività è naturalmente l’inautenticità di un gesto d’amore che non rispetta il significato oggettivo e le leggi interne del linguaggio della sessualità. Questo non dice nulla sulla qualità psicologica dell’amore omoerotico; ma tale qualità non può essere l’unica ragione della valutazione etica: la qualità etica del linguaggio di questo amore, non può essere ignorata in questa valutazione. A una valutazione così negativa del comportamento preso in sé stesso, non può naturalmente corrispondere sempre un giudizio altrettanto negativo sulla responsabilità, e quindi sulla effettiva qualità morale, dei singoli soggetti. In misura varia, ma spesso molto grande, questo comportamento sembra essere condizionato da meccanismi psicologici che diminuiscono, fino ad annullare, la volontarietà e la responsabilità morale della persona.

3. Il comportamento nei confronti dell’o. si ispirerà pertanto a criteri educativi, non naturalmente nel senso di considerare l’omosessuale come un «minore», ma nel senso di aprirgli il più largo orizzonte, a lui concretamente possibile di maturazione umana e di vera​​ ​​ autorealizzazione. L’atteggiamento di base dovrà essere la totale accettazione dell’omosessuale come persona, la comprensione del suo dramma, la solidarietà leale con le sue sofferenze e i suoi problemi. Si cercherà di rompere la barriera della solitudine e dell’incomunicabilità, che la società spesso erige nei suoi confronti, e che rappresenta il principale ostacolo al suo ricupero anche morale. Ci si dovrà chiedere quale sia l’ideale umano di vita più ordinata e più umanamente ricca a lui concretamente possibile. Quando egli fosse veramente disposto a percorrere fino in fondo il difficile itinerario di un riordinamento totale della sua vita, tale ideale, supposta l’impossibilità di una vera guarigione clinica, si aprirebbe, nel suo livello più alto, a una astinenza totale e alla sublimazione della sua libido nelle attività superiori dello spirito. Questo peraltro potrà essere raggiunto, anche nella migliore delle ipotesi, solo gradualmente, attraversando, non senza gravi lotte, le tappe intermedie di volta in volta concretamente possibili. Ma, anche se si deve riconoscere che l’amicizia omosessuale che si esprime anche sessualmente costituisce un male meno grave della promiscuità risultante da relazioni sessuali con compagni che mutano continuamente, essa va ritenuta moralmente difendibile solo alla condizione che sia solo una piattaforma per il decollo di una liberazione ulteriore e si accompagni quindi con un certo impegno di graduale ridimensionamento del peso della sessualità e dei suoi appetiti nel complesso della vita.

Bibliografia

Overing et al.,​​ L’o., Brescia, Queriniana, 1967; Bottani​​ A. (Ed.),​​ Educazione alla sessualità, Milano, Ancora, 1982; Gius E.,​​ Una messa a punto della o., Torino, Marietti, 1972; Kosnik A. et al.,​​ La sessualità umana, Brescia, Queriniana, 1978;​​ Thévenot X.,​​ Homosexualités masculines et morale chrétienne, Paris, Du Cerf,​​ 1985; Teisa S.,​​ O. e vita morale: tentativo di un approccio integrato, Roma, P. Studiorum Universitas a S. Thoma Aq., 2001; Lacroix X.,​​ In principio la differenza: o.,​​ matrimonio,​​ adozione, Milano, Vita e Pensiero, 2006.

G. Gatti