1

OBBEDIENZA

 

OBBEDIENZA

L’o. è accettazione di prescrizioni, è essenza di auto-realizzazione secondo bisogni di appartenenza, stima, auto-realizzazione (​​ Maslow).

1. La libertà del decidere d’accordo con​​ ​​ valori personali è centrale nell’educazione: il fine educativo non sarebbe tanto il dover obbedire, quanto l’imparare ad obbedire con personale responsabilità. L’intervento dell’autorità, in questa educazione, assume forme di relazione stimolante, offerte con prudenza, valutate in giustizia, applicate con moderazione, perseguite con perseveranza. L’educatore ha un’identità personale autentica ed un’identità sociale empatica (​​ Rogers, Curran). L’autorità educativa si esercita più con la propria eccellenza e competenza che con lo «status» professionale. La personalità dell’educatore garantisce l’auto-realizzazione nell’o. con una bontà ben disposta e una socievolezza stimolante (Remplein): allegria, buonumore, sicurezza, fiducia, empatia, comprensione. La​​ ​​ bontà è una condizione essenziale: per mezzo dell’amore, si passa dal dover obbedire al voler obbedire.

2. L’o. è disposizione attitudinale e risposta esistenziale all’ordine e all’autorità; matura con il volontario esercizio della​​ ​​ responsabilità. Si tratta d’un processo di allenamento per esperienze poggiate su verità riconosciute (​​ ragione) e convertite in spirito di amore gioioso (​​ amore). Il riferimento ad un Dio personale (​​ religione) mette in relazione religione ed etica, o. umana ed autorità divina, sempre in ordine al bene personale e sociale. Questi postulati richiamano la libertà e l’apertura dell’amore. In tale orizzonte di senso l’o. appare come promozione della fraternità universale in libertà ed uguaglianza. Questo tipo di o. è criterio valido dell’ordine sociale e si apre a progetti di solidarietà: in essi si esercita lo spirito dell’o. La volontà dell’ordine è fondamento dell’o.: dalla volontà dell’ordine personale in sé, alla volontà dell’ordine sociale. In tal senso essa rientra, ben motivata, nel contesto dell’educazione alla convivenza sociale, specie per ciò che attiene a comportamenti ed atteggiamenti di fronte alle leggi della società organizzata. Si tratta di una educazione difficile, perché l’o. è stata spesso invocata in relazione a comportamenti e atteggiamenti di passiva sottomissione a richieste od ordini ingiusti o perlomeno discutibili (obiezione di coscienza) e perché suppone il senso di appartenenza e quello di comunitarietà dell’esistere: atteggiamenti entrambi piuttosto difficili oggi a fronte del diffuso soggettivismo etico, individualismo sociale e tendenziale massificazione che caratterizza l’esistenza umana contemporanea.

Bibliografia

Curran Ch.,​​ Counseling in catholic life and education,​​ New York, Macmillan, 1952;​​ Remplein H.,​​ Psychologie der Persönlichkeit,​​ München, Reinhard,​​ 61967; Bachnaier H. K.,​​ L’o.,​​ fondamento dell’educazione,​​ Brescia, La Scuola, 1969;​​ Esteve Zugazaga J. M.,​​ Autoridad,​​ obediencia y educación,​​ Madrid, Narcea,​​ 1977; Marrocu G. (Ed.),​​ L’o.​​ e la disobbedienza nella Bibbia, L’Aquila, ISSRA, 1996; Gilardonti A.,​​ I meccanismi dell’o. e le tecniche della resistenza, Milano, Nimesis, 2005.

A. Sopeña




OBBLIGO DISTRUZIONE

 

OBBLIGO D’ISTRUZIONE

Per o.d.i. si intende il dovere imposto per legge al cittadino di ricevere una formazione almeno sufficiente per inserirsi nella società o per continuare gli studi. Ad esso corrisponde il diritto del singolo all’istruzione e il diritto / dovere della società, da una parte, di esigere che il cittadino si istruisca e, dall’altra, di porre le condizioni affinché quest’ultimo possa a sua volta esercitare il suo diritto / dovere.

1.​​ Le tendenze generali.​​ Sull’introduzione dell’o.d.i. hanno influito​​ ragioni​​ di diversa natura. Anzitutto, vanno ricordati i motivi religiosi che risalgono al​​ ​​ Medioevo e che poi hanno trovato terreno fertile nella Riforma: si mirava, infatti, a favorire la partecipazione alla vita e alla cultura religiosa. Successivamente, l’​​ ​​ Illuminismo ha contribuito con la dottrina dei diritti naturali e in particolare di quello allo sviluppo integrale delle capacità ricevute dalla natura. I sovrani illuminati, i movimenti nazionali e recenti teorie economiche hanno messo in evidenza i benefici che una cittadinanza colta può fornire alla crescita del Paese. A loro volta, i sindacati e i partiti progressisti hanno insistito sulla promozione delle classi popolari anche attraverso l’istruzione. Nonostante ciò, l’introduzione dell’o. in Europa dovrà attendere la seconda metà del sec. XIX. Se veniamo ai nostri tempi, una prima tendenza consiste nel voler coniugare​​ contemporaneamente eguaglianza e diversità.​​ Il consenso generale sul principio che l’educazione è un diritto di tutti senza discriminazioni né per il singolo né per alcun gruppo, è accompagnato dalla crescente consapevolezza che esso non significa una formazione eguale per tutti riguardo alle strutture e ai contenuti. Inoltre, l’istruzione obbligatoria non può più essere concepita come una formazione sufficiente per tutta la vita, ma va pensata come una​​ preparazione iniziale​​ che si integra in un progetto di​​ ​​ educazione permanente. La politica di un progressivo allungamento dell’o. non ha mai incontrato opposizioni di principio nei Paesi dell’Unione Europea. In questi ultimi anni, si registra in proposito una tendenza interessante al​​ superamento del concetto stesso di o.d.i. e alla sua sostituzione con quello di diritto-dovere all’istruzione e alla formazione. Infatti, l’o.d.i., se dal punto di vista storico ha esercitato una funzione essenziale nel passaggio da una scuola per pochi a una per tutti, al presente sembra costituire piuttosto un impedimento alla piena realizzazione dei diritti di​​ ​​ cittadinanza. In una società complessa come l’attuale, la focalizzazione scolasticistica perde di senso perché ciò che conta è il risultato e la sua qualità e non i percorsi con cui si ottengono che possono essere i più vari. Inoltre, l’istruzione e la​​ ​​ formazione, prima che dei doveri, sono dei diritti della persona e vanno assicurati a tutti in modo pieno. Pertanto, le varie istituzioni che le garantiscono devono operare in​​ ​​ rete, in una prospettiva di​​ ​​ solidarietà cooperativa piuttosto che come alternative tra loro escludentisi.

2.​​ La situazione italiana.​​ In​​ ​​ Italia l’istruzione obbligatoria è stata introdotta dalla L. Casati (1859) per la durata di 2 anni ed elevata successivamente a 3 nel 1877, a 6 nel 1904 e a 8 nel 1923. La normativa è rimasta però ampiamente​​ disattesa​​ per molto tempo e soltanto negli anni ’70 ha trovato un’attuazione sostanziale. Anche se in un quadro di principi senz’altro più avanzato, la Costituzione repubblicana (1947) si è limitata a riaffermare all’art. 34 che l’istruzione inferiore è obbligatoria e gratuita per almeno 8 anni. Durante la decade successiva il dibattito si è concentrato sul significato dell’espressione «istruzione inferiore» se essa cioè volesse dire un’istruzione elementare in cui si fornivano i rudimenti del sapere – una interpretazione che implicava il mantenimento del doppio canale dell’avviamento e della media – oppure semplicemente un’istruzione che veniva prima. Alla fine è prevalsa la seconda interpretazione, giustificata anche da valide ragioni psico-pedagogiche e di giustizia sociale, ed è stata varata nel 1962 la scuola media unica, obbligatoria, orientativa e secondaria, benché di primo grado. Dalla fine degli anni ’70 esisteva anche un largo consenso sull’opportunità di prolungare l’o. da 8 a​​ 10 anni,​​ fino cioè ai 16 di età, per fornire a tutti i giovani una formazione in linea con gli altri Paesi dell’​​ ​​ Europa e corrispondente alle esigenze culturali e professionali sempre più elevate della società industriale. Nonostante ciò, l’elevazione è stata realizzata solo negli anni ’90. L’introduzione dell’o. formativo con la L. 144 / 1999, che sanciva l’o. di frequenza di attività formative fino al compimento del 18° anno di età da assolvere in percorsi anche integrati di istruzione e formazione nel sistema di istruzione scolastica, nel sistema della formazione professionale di competenza regionale o nell’esercizio dell’apprendistato, riconosceva la pari dignità a tutti gli itinerari formativi previsti dopo l’o.d.i. In altre parole, l’uscita dalla scuola per iscriversi alla formazione professionale non era più vista come un abbandono, ma come un completamento normale del proprio curricolo formativo in vista del conseguimento della qualifica. Ma la riforma Berlinguer (L. 30 / 2000) ha continuato a mantenere la formazione professionale in una posizione di fondamentale marginalità e di subalternità rispetto al percorso scolastico. Quasi contemporaneamente veniva innalzato l’o. scolastico di un anno con la L. 9 / 99, e in prospettiva di due anni con la L. 30 / 2000: questo ha fortemente penalizzato gli adolescenti, soprattutto i più svantaggiati e in difficoltà, per effetto sia dello spostamento della scelta dell’o. formativo al secondo anno della scuola secondaria superiore, sia soprattutto dell’imposizione dell’o. scolastico e di frequenza ad una scuola che li costringeva a un parcheggio di un anno nelle aule scolastiche. Al contrario, la riforma Moratti (L. 53 / 03) si è mossa nella linea della tendenza che è emersa recentemente in Europa al superamento del concetto stesso di o.d.i. ed ha assicurato a ognuno il​​ diritto all’istruzione e alla formazione,​​ per almeno 12 anni​​ o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di età. Da ultimo, il nuovo governo di centro-sinistra, pur deciso a mantenere come quadro generale di riferimento la riforma Moratti, e certamente con una intenzionalità positiva, ha innalzato di due anni l’o.d.i., cioè da 8 a 10 (cfr. comma 626 della L. 296 / 06), perché sarebbero necessari per rafforzare ed elevare le competenze di base e per effettuare le scelte di indirizzo e di percorso con una maggiore consapevolezza. Per le ragioni esposte sopra questo provvedimento mi sembra che costituisca un arretramento.

Bibliografia

Rapporto del Gruppo Ristretto di Lavoro costituito con D. M. n. 672 del 18 luglio 2001, in «Annali dell’Istruzione» 47 (2001) 1 / 2, 3-176; Malizia G., «La legge 53 / 2003 nel quadro della storia della riforma scolastica in Italia», in R. Franchini - R. Cerri (Edd.),​​ Per​​ una istruzione e formazione professionale di eccellenza, Milano, Angeli, 2005, 42-63;​​ Audizione del Ministro dell’Istruzione Giuseppe Fioroni. VII Commissione Cultura,​​ Scienza e Istruzione​​ (29 giugno 2006), Roma, 2006; Nicoli D.,​​ Diritto-dovere di istruzione e formazione o o. scolastico, in «Presenza CONFAP» (2006) 1-2, 53-59.

G. Malizia




OBERLIN Jean-Frédéric

 

OBERLIN Jean-Frédéric

n. a Strasburgo nel 1740 - m. a Waldersbach nel 1826, pastore evangelico e educatore francese.

1. Nasce in una famiglia numerosa. Il padre, professore di ginnasio, inculca nei figli «abiti di ordine, di economia e di generosità verso i poveri». Compiuti gli studi umanistici e teologici, O. esercita l’ufficio di precettore. Nel 1767 è nominato pastore di Ban de la Roche, località montuosa, tra l’Alsazia e la Lorena. La popolazione, costituita da rudi contadini, era per la maggior parte analfabeta, sfruttata dai proprietari terrieri. Convinto dell’efficacia dell’istruzione per migliorare tale situazione, O. fornisce di scuola i villaggi che comprende la parrocchia. Sulla sua esperienza si conserva solo un regolamento inedito:​​ Règlement de police et de discipline pour les écoles​​ (1778).

2. L’organizzazione scolastica delineata riflette il modello militare a cui O., adolescente, si era interessato. Gli alunni più grandi partecipano alla responsabilità della vita della scuola mediante l’esercizio di diverse cariche (le guardie, i comandanti di un plotone, il giurato, l’anziano). L’aspetto più noto e originale dell’opera sociale e educativa di O. è quello di aver avviato una «sorta di scuola materna» per i figli dei contadini. I bambini vengono raccolti in sale chiamate​​ asiles,​​ dove le «conduttrici dell’infanzia» li lasciano giocare liberamente (a contatto con la natura, coltivando aiole e giardini) e insegnano loro «alcune regole di pulizia, l’orrore alla menzogna, il rispetto verso i poveri», mediante il racconto di storie edificanti e attraverso l’esempio. Nella proposta si racchiudono elementi significativi della​​ ​​ scuola dell’infanzia.

Bibliografia

Stucki​​ A.,​​ J.F.O.,​​ Basilée, [s.e.],1945; Missinne L. E.,​​ J.F.O. (1740-1826):​​ un précurseur de la planification de l’enseignement,​​ in «Revue de Psychologie et de Pédagogie»​​ 29 (1967) 117, 29-32; Prellezo J. M. - R. Lanfranchi,​​ Educazione e pedagogia nei solchi della storia, vol. 3, Torino, SEI, 2004, 55-58.

J. M. Prellezo




OBIETTIVI

 

OBIETTIVI

Intenti educativi, formativi o didattici che la​​ ​​ comunità educativa o formativa, o anche il singolo insegnante, elabora in modo chiaro e non ambiguo come riferimento esplicito per la​​ ​​ progettazione, conduzione e​​ ​​ valutazione della propria​​ ​​ azione educativa e didattica. Si distingue spesso in base al carattere di generalità e astrattezza che assume l’espressione di tali intenti tra finalità, propositi, mete e o.

1.​​ Finalità istituzionali e o. educativi e didattici.​​ L’azione educativa che si svolge nella scuola, come ogni azione umana, è orientata verso dei fini. Discutere dei​​ ​​ fini dell’azione educativa scolastica è compito delle teorie dell’​​ ​​ educazione e della scuola. Più specifico e immediato, invece, è il discorso relativo alle finalità istituzionali della scuola, finalità proprie dell’istituzione in cui si opera e che quindi superano la competenza del singolo insegnante, come della stessa scuola. Il processo educativo scolastico è, infatti, un processo intenzionale e l’istituzione scolastica è al servizio della comunità nazionale e locale. La fonte di tali finalità sta nelle leggi e nei decreti che hanno dato origine e caratterizzazione ai vari ordini e gradi scolastici e nei programmi di studio in vigore.

2.​​ O. educativi e didattici e comunità educativa.​​ È inerente alla definizione di o. il processo decisionale attraverso il quale la comunità educativa locale giunge alla determinazione e alla formulazione non solo delle mete da porre a fondamento dell’azione educativa e didattica a favore di un gruppo di giovani preciso, ma​​ anche dei modi di verifica del loro raggiungimento. Tale processo si svolge tra due poli di riferimento fondamentali: le finalità istituzionali e i bisogni di educazione dei giovani. Le prime vanno lette e interpretate contestualizzandole alla cultura e alla condizione giovanile dell’ambiente in cui si opera; i secondi vanno rilevati nella maniera più fedele possibile e rispondente al tipo di intervento prefigurato e quindi interpretati alla luce dei valori e delle finalità istituzionali contestualizzate. Si tratta di realizzare una vera e propria mediazione operativa tra un quadro ideale e una situazione reale, tra un dover essere e dati di fatto. Questo lavoro consente anche di assegnare priorità tra i vari o. Da una parte infatti sono considerati i valori e le finalità educative secondo un ordine di importanza dettato da considerazioni generali, dall’altro viene studiata la distanza o discrepanza esistente tra la loro presenza ideale nei giovani e la loro attuale presenza. Questo lavoro consentirà alla comunità la scelta e l’organizzazione degli o. educativi.

3.​​ O. educativi e o. didattici.​​ La distinzione tra o. educativi e o. didattici può essere fatta derivare da tre elementi fondamentali (Pellerey, 1994): a) il contesto di riferimento, se cioè riguardano la crescita della persona considerata nella sua totalità (o. educativi) o se si riferiscono all’acquisizione di conoscenze, abilità e atteggiamenti connessi con una disciplina o un’area disciplinare particolare (o. didattici); b) l’estensione temporale a cui fanno appello, se cioè riguardano una formazione da raggiungere in un lasso di tempo considerevole, al limite nel corso di tutta la vita (o. educativi), oppure mirano al conseguimento di competenze in un tempo ragionevolmente breve (o. didattici); c) il grado di specificità, precisione e verificabilità (o. didattici), o se restano ad un livello di specificazione minore e di conseguenza la possibilità di verificarne il conseguimento è collegata a indizi e mediazioni (o. educativi). Recentemente Baldacci (2006) ha proposto di distinguere i due livelli, riferendo il primo ai singoli contenuti delle discipline di insegnamento, e attribuendo al secondo mete a più a lungo termine, tenendo conto dello sviluppo di competenze e di disposizioni stabili (abiti).

4.​​ Ruolo e funzione degli o.​​ Il ruolo e la funzione degli o. possono essere riassunti sotto quattro titoli. Il primo concerne la necessità di convergenza delle iniziative educative delle azioni e intenzioni dei singoli e dei gruppi particolari. Un secondo titolo riguarda la possibilità stessa di elaborare un itinerario educativo e una​​ ​​ programmazione dei tempi, delle persone, dei luoghi e delle risorse. Gli o. sono criteri di giudizio e di decisione nella predisposizione di percorsi educativi concreti. Senza di essi è ben difficile riuscire a trovare e a selezionare quanto è necessario, o anche solo utile, alla realizzazione dell’impresa educativa che la comunità vuole sviluppare. Il terzo titolo si riferisce alle questioni di comunicazione. Comunicazione tra gli educatori e le famiglie, tra le comunità educative e le altre comunità (civile, ecclesiastica...). I giovani da una parte debbono poter partecipare alla definizione degli o., a mano a mano che l’età e la maturazione personale li rendano capaci di giudizio e di discernimento (sarebbe ben strano che i primi interessati al processo formativo venissero esclusi da questo momento decisionale), dall’altra debbono essere informati sia all’inizio sia costantemente circa gli intenti che guidano l’azione e l’impegno educativo dell’istituzione. Il quarto titolo è connesso con i primi. Gli o. educativi sono il concreto orizzonte di valori entro il quale la comunità educativa cammina. Costantemente quindi ci si dovrà confrontare con essi per verificare se le iniziative, il clima, i rapporti, le scelte, i risultati, sono con essi coerenti o se invece se ne discostano più o meno fortemente e per quali cause.

5.​​ La determinazione degli o. educativi.​​ La determinazione degli o. educativi impegna tutta la comunità educativa locale. Le strade che possono essere percorse sono sostanzialmente tre: una ascendente, che parte cioè dalla realtà della popolazione scolastica, l’altra discendente, che cerca di derivare le indicazioni da quadri di riferimento teorici più generali (di natura filosofica, psicologica, sociologica, ecc.); una terza che integra in maniera dinamica le prospettive dell’una e dell’altra. Quest’ultima via si basa sul concetto di bisogno educativo inteso come discrepanza, o distanza, esistente tra una situazione o stato educativo desiderato o «quale dovrebbe essere» e la situazione «quale essa è». Il primo riferimento è quindi messo in relazione con un giudizio di valore, il secondo con una rilevazione, quanto è possibile oggettiva e pertinente. La valutazione dei bisogni è in sintesi il processo che porta alla determinazione degli o. sulla base di assunzioni di ordine valoriale e di rilevazioni empiriche e che conduce alle decisioni relative all’ordine di precedenza degli interventi. Per la determinazione degli o. didattici è ormai consuetudine seguire l’impostazione suggerita da R. Tyler (1949), secondo il quale, se si vuole giungere a degli o. veramente utili nello scegliere le esperienze di apprendimento più opportune e nel pilotare l’insegnamento, non basta indicare quello che farà l’insegnante e nemmeno elencare gli argomenti o i contenuti dell’apprendimento; occorre, invece, tenere presente contemporaneamente sia la condotta da apprendere sia l’area nella quale essa deve essere esplicata. Dal momento che si tratta di due dimensioni strettamente intersecate tra di loro è naturale usare una matrice a doppia entrata dove in una dimensione sono elencate le capacità che l’allievo deve sviluppare e nell’altra sono enumerate le specificazioni contenutistiche in cui tali capacità devono essere sviluppate. Negli anni sessanta e settanta sono state elaborate molte indicazioni operative basate su questa impostazione. Tra queste si possono ricordare la varie tassonomie degli o. educativi, tra le quali le più diffuse furono quelle dovute a B.S. Bloom e collaboratori.

6.​​ Gli o. comportamentali e le critiche sviluppate nei loro riguardi.​​ Sono stati​​ definiti comportamentali quegli o. che rispondono alla definizione che ne ha data R. Mager (1972, 3): «intento comunicato da una definizione che descrive un cambiamento che ci si prefigge di realizzare in un allievo: definizione di come un allievo dovrebbe comportarsi quando ha completato con successo una esperienza di apprendimento. È la descrizione di un modello di comportamento che, a nostro avviso, l’allievo deve saper esibire». Numerose critiche sono state avanzate nei riguardi degli o. comportamentali. Si è ad es. affermato (Eisner, 1985) che solo in parte gli o. possono essere espressi in termini comportamentali. Questo è possibile quando si tratta di abilità abbastanza precise e facilmente osservabili, ma è oltremodo difficile farlo quando si tratta di processi cognitivi più generali e complessi, come la capacità di soluzione di problemi, o di attività di natura espressiva i cui risultati in termini di esperienze di apprendimento non possono essere predefiniti con chiarezza in quanto dipendono da molti fattori concorrenti.

7.​​ Critiche alla pedagogia per o.​​ L’impianto educativo poggiato sul principio di progettazione dell’azione didattica sulla base di o. predefiniti è stato spesso contestato. In primo luogo si mette in risalto la fondamentale e irripetibile caratterizzazione dei diversi soggetti educandi. Volerli tutti imbrigliare in un unico progetto e in un analogo percorso educativo significa da una parte misconoscere la realtà e la dignità delle singole persone, dall’altra esporsi a brucianti delusioni e fallimenti. In secondo luogo si constata che è difficile prevedere in anticipo tutti i bisogni e le possibilità educative che durante l’attività formativa emergeranno. Essere prigionieri di un progetto prefabbricato rende ciechi e sordi a nuove istanze, a occasioni inaspettate, a nuove presenze e a nuove prospettive. Le cose veramente importanti nel fatto educativo sono l’attività e l’esperienza che vengono proposte, che devono essere in sé cariche di potenzialità e di valori in molte direzioni. Ciascun giovane le vivrà secondo il suo animo e la sua motivazione, le farà fruttificare secondo i propri ritmi, il proprio stile, arricchendo se stesso secondo le proprie esigenze e prospettive (Stenhouse, 1977). In terzo luogo ci si espone a pericoli di formalismo tecnicista, di burocraticismo, di comportamentismo riduttivo (Damiano, 1991). A questa serie di obiezioni si risponde generalmente con una molteplicità di argomentazioni. Si afferma in primo luogo che il processo educativo promosso dalla scuola è un processo caratterizzato dall’intenzionalità e dalla sistematicità e quindi ha bisogno di riferimenti chiari per poter essere impostato, attuato e valutato. Occorre poi mettere in evidenza che non è possibile a una comunità di tale fatta agire senza elaborare una ipotesi educativa, che coinvolga sia nella sua definizione, che nella sua realizzazione tutte le componenti interessate. Infine occorre certamente evitare tecnicismi e riduzionismi pericolosi, ma 1’azione educativa esige per sua stessa natura un riferimento progettuale sia per quanto concerne la sua dimensione etico-sociale, sia per quanto riguarda la sua componente tecnico-pratica.

Bibliografia

Tyler R. W.,​​ Principles of curriculum and instruction,​​ Chicago, University of Chicago Press, 1949; Mager R.,​​ Gli o. didattici,​​ Teramo, Lisciani e Zampetti, 1972; Id.,​​ L’analisi degli o.,​​ Ibid., 1974; Stenhouse L.,​​ Dalla scuola del programma alla scuola del curricolo,​​ Roma, Armando, 1977; De Landsheere V. e G.,​​ Definire gli o. dell’educazione,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1977;​​ D’Hainaut L.,​​ Des fins aux objectifs de l’éducation,​​ Bruxelles, Labor, 1979; Hameline D.,​​ Les objectifs pédagogiques,​​ Paris, ESF,​​ 21979; Bloom B. S. (Ed.),​​ Tassonomia degli o. educativi:​​ Vol. 1:​​ Area cognitiva,​​ Teramo, Lisciani e Giunti, 1983; Bloom B. S. - D. R. Krathwohl - B. B. Masia,​​ Tassonomia degli o. educativi:​​ Vol. 2:​​ Area affettiva,​​ Ibid., 1984; Eisner E.,​​ The educational imagination: On the design and evaluation of educational programs,​​ New York, Macmillan,​​ 21985; Damiano E.,​​ La razionalità dell’insegnare. Per un bilancio della «Pedagogia per o.»,​​ in «Il Quadrante Scolastico» 14 (1991) 51, 10-42; Pellerey M.,​​ Progettazione didattica,​​ Torino, SEI,​​ 21994.

M. Pellerey