1

OBBEDIENZA

 

OBBEDIENZA

L’o. è accettazione di prescrizioni, è essenza di auto-realizzazione secondo bisogni di appartenenza, stima, auto-realizzazione (​​ Maslow).

1. La libertà del decidere d’accordo con​​ ​​ valori personali è centrale nell’educazione: il fine educativo non sarebbe tanto il dover obbedire, quanto l’imparare ad obbedire con personale responsabilità. L’intervento dell’autorità, in questa educazione, assume forme di relazione stimolante, offerte con prudenza, valutate in giustizia, applicate con moderazione, perseguite con perseveranza. L’educatore ha un’identità personale autentica ed un’identità sociale empatica (​​ Rogers, Curran). L’autorità educativa si esercita più con la propria eccellenza e competenza che con lo «status» professionale. La personalità dell’educatore garantisce l’auto-realizzazione nell’o. con una bontà ben disposta e una socievolezza stimolante (Remplein): allegria, buonumore, sicurezza, fiducia, empatia, comprensione. La​​ ​​ bontà è una condizione essenziale: per mezzo dell’amore, si passa dal dover obbedire al voler obbedire.

2. L’o. è disposizione attitudinale e risposta esistenziale all’ordine e all’autorità; matura con il volontario esercizio della​​ ​​ responsabilità. Si tratta d’un processo di allenamento per esperienze poggiate su verità riconosciute (​​ ragione) e convertite in spirito di amore gioioso (​​ amore). Il riferimento ad un Dio personale (​​ religione) mette in relazione religione ed etica, o. umana ed autorità divina, sempre in ordine al bene personale e sociale. Questi postulati richiamano la libertà e l’apertura dell’amore. In tale orizzonte di senso l’o. appare come promozione della fraternità universale in libertà ed uguaglianza. Questo tipo di o. è criterio valido dell’ordine sociale e si apre a progetti di solidarietà: in essi si esercita lo spirito dell’o. La volontà dell’ordine è fondamento dell’o.: dalla volontà dell’ordine personale in sé, alla volontà dell’ordine sociale. In tal senso essa rientra, ben motivata, nel contesto dell’educazione alla convivenza sociale, specie per ciò che attiene a comportamenti ed atteggiamenti di fronte alle leggi della società organizzata. Si tratta di una educazione difficile, perché l’o. è stata spesso invocata in relazione a comportamenti e atteggiamenti di passiva sottomissione a richieste od ordini ingiusti o perlomeno discutibili (obiezione di coscienza) e perché suppone il senso di appartenenza e quello di comunitarietà dell’esistere: atteggiamenti entrambi piuttosto difficili oggi a fronte del diffuso soggettivismo etico, individualismo sociale e tendenziale massificazione che caratterizza l’esistenza umana contemporanea.

Bibliografia

Curran Ch.,​​ Counseling in catholic life and education,​​ New York, Macmillan, 1952;​​ Remplein H.,​​ Psychologie der Persönlichkeit,​​ München, Reinhard,​​ 61967; Bachnaier H. K.,​​ L’o.,​​ fondamento dell’educazione,​​ Brescia, La Scuola, 1969;​​ Esteve Zugazaga J. M.,​​ Autoridad,​​ obediencia y educación,​​ Madrid, Narcea,​​ 1977; Marrocu G. (Ed.),​​ L’o.​​ e la disobbedienza nella Bibbia, L’Aquila, ISSRA, 1996; Gilardonti A.,​​ I meccanismi dell’o. e le tecniche della resistenza, Milano, Nimesis, 2005.

A. Sopeña




OBBLIGO DISTRUZIONE

 

OBBLIGO D’ISTRUZIONE

Per o.d.i. si intende il dovere imposto per legge al cittadino di ricevere una formazione almeno sufficiente per inserirsi nella società o per continuare gli studi. Ad esso corrisponde il diritto del singolo all’istruzione e il diritto / dovere della società, da una parte, di esigere che il cittadino si istruisca e, dall’altra, di porre le condizioni affinché quest’ultimo possa a sua volta esercitare il suo diritto / dovere.

1.​​ Le tendenze generali.​​ Sull’introduzione dell’o.d.i. hanno influito​​ ragioni​​ di diversa natura. Anzitutto, vanno ricordati i motivi religiosi che risalgono al​​ ​​ Medioevo e che poi hanno trovato terreno fertile nella Riforma: si mirava, infatti, a favorire la partecipazione alla vita e alla cultura religiosa. Successivamente, l’​​ ​​ Illuminismo ha contribuito con la dottrina dei diritti naturali e in particolare di quello allo sviluppo integrale delle capacità ricevute dalla natura. I sovrani illuminati, i movimenti nazionali e recenti teorie economiche hanno messo in evidenza i benefici che una cittadinanza colta può fornire alla crescita del Paese. A loro volta, i sindacati e i partiti progressisti hanno insistito sulla promozione delle classi popolari anche attraverso l’istruzione. Nonostante ciò, l’introduzione dell’o. in Europa dovrà attendere la seconda metà del sec. XIX. Se veniamo ai nostri tempi, una prima tendenza consiste nel voler coniugare​​ contemporaneamente eguaglianza e diversità.​​ Il consenso generale sul principio che l’educazione è un diritto di tutti senza discriminazioni né per il singolo né per alcun gruppo, è accompagnato dalla crescente consapevolezza che esso non significa una formazione eguale per tutti riguardo alle strutture e ai contenuti. Inoltre, l’istruzione obbligatoria non può più essere concepita come una formazione sufficiente per tutta la vita, ma va pensata come una​​ preparazione iniziale​​ che si integra in un progetto di​​ ​​ educazione permanente. La politica di un progressivo allungamento dell’o. non ha mai incontrato opposizioni di principio nei Paesi dell’Unione Europea. In questi ultimi anni, si registra in proposito una tendenza interessante al​​ superamento del concetto stesso di o.d.i. e alla sua sostituzione con quello di diritto-dovere all’istruzione e alla formazione. Infatti, l’o.d.i., se dal punto di vista storico ha esercitato una funzione essenziale nel passaggio da una scuola per pochi a una per tutti, al presente sembra costituire piuttosto un impedimento alla piena realizzazione dei diritti di​​ ​​ cittadinanza. In una società complessa come l’attuale, la focalizzazione scolasticistica perde di senso perché ciò che conta è il risultato e la sua qualità e non i percorsi con cui si ottengono che possono essere i più vari. Inoltre, l’istruzione e la​​ ​​ formazione, prima che dei doveri, sono dei diritti della persona e vanno assicurati a tutti in modo pieno. Pertanto, le varie istituzioni che le garantiscono devono operare in​​ ​​ rete, in una prospettiva di​​ ​​ solidarietà cooperativa piuttosto che come alternative tra loro escludentisi.

2.​​ La situazione italiana.​​ In​​ ​​ Italia l’istruzione obbligatoria è stata introdotta dalla L. Casati (1859) per la durata di 2 anni ed elevata successivamente a 3 nel 1877, a 6 nel 1904 e a 8 nel 1923. La normativa è rimasta però ampiamente​​ disattesa​​ per molto tempo e soltanto negli anni ’70 ha trovato un’attuazione sostanziale. Anche se in un quadro di principi senz’altro più avanzato, la Costituzione repubblicana (1947) si è limitata a riaffermare all’art. 34 che l’istruzione inferiore è obbligatoria e gratuita per almeno 8 anni. Durante la decade successiva il dibattito si è concentrato sul significato dell’espressione «istruzione inferiore» se essa cioè volesse dire un’istruzione elementare in cui si fornivano i rudimenti del sapere – una interpretazione che implicava il mantenimento del doppio canale dell’avviamento e della media – oppure semplicemente un’istruzione che veniva prima. Alla fine è prevalsa la seconda interpretazione, giustificata anche da valide ragioni psico-pedagogiche e di giustizia sociale, ed è stata varata nel 1962 la scuola media unica, obbligatoria, orientativa e secondaria, benché di primo grado. Dalla fine degli anni ’70 esisteva anche un largo consenso sull’opportunità di prolungare l’o. da 8 a​​ 10 anni,​​ fino cioè ai 16 di età, per fornire a tutti i giovani una formazione in linea con gli altri Paesi dell’​​ ​​ Europa e corrispondente alle esigenze culturali e professionali sempre più elevate della società industriale. Nonostante ciò, l’elevazione è stata realizzata solo negli anni ’90. L’introduzione dell’o. formativo con la L. 144 / 1999, che sanciva l’o. di frequenza di attività formative fino al compimento del 18° anno di età da assolvere in percorsi anche integrati di istruzione e formazione nel sistema di istruzione scolastica, nel sistema della formazione professionale di competenza regionale o nell’esercizio dell’apprendistato, riconosceva la pari dignità a tutti gli itinerari formativi previsti dopo l’o.d.i. In altre parole, l’uscita dalla scuola per iscriversi alla formazione professionale non era più vista come un abbandono, ma come un completamento normale del proprio curricolo formativo in vista del conseguimento della qualifica. Ma la riforma Berlinguer (L. 30 / 2000) ha continuato a mantenere la formazione professionale in una posizione di fondamentale marginalità e di subalternità rispetto al percorso scolastico. Quasi contemporaneamente veniva innalzato l’o. scolastico di un anno con la L. 9 / 99, e in prospettiva di due anni con la L. 30 / 2000: questo ha fortemente penalizzato gli adolescenti, soprattutto i più svantaggiati e in difficoltà, per effetto sia dello spostamento della scelta dell’o. formativo al secondo anno della scuola secondaria superiore, sia soprattutto dell’imposizione dell’o. scolastico e di frequenza ad una scuola che li costringeva a un parcheggio di un anno nelle aule scolastiche. Al contrario, la riforma Moratti (L. 53 / 03) si è mossa nella linea della tendenza che è emersa recentemente in Europa al superamento del concetto stesso di o.d.i. ed ha assicurato a ognuno il​​ diritto all’istruzione e alla formazione,​​ per almeno 12 anni​​ o, comunque, sino al conseguimento di una qualifica entro il diciottesimo anno di età. Da ultimo, il nuovo governo di centro-sinistra, pur deciso a mantenere come quadro generale di riferimento la riforma Moratti, e certamente con una intenzionalità positiva, ha innalzato di due anni l’o.d.i., cioè da 8 a 10 (cfr. comma 626 della L. 296 / 06), perché sarebbero necessari per rafforzare ed elevare le competenze di base e per effettuare le scelte di indirizzo e di percorso con una maggiore consapevolezza. Per le ragioni esposte sopra questo provvedimento mi sembra che costituisca un arretramento.

Bibliografia

Rapporto del Gruppo Ristretto di Lavoro costituito con D. M. n. 672 del 18 luglio 2001, in «Annali dell’Istruzione» 47 (2001) 1 / 2, 3-176; Malizia G., «La legge 53 / 2003 nel quadro della storia della riforma scolastica in Italia», in R. Franchini - R. Cerri (Edd.),​​ Per​​ una istruzione e formazione professionale di eccellenza, Milano, Angeli, 2005, 42-63;​​ Audizione del Ministro dell’Istruzione Giuseppe Fioroni. VII Commissione Cultura,​​ Scienza e Istruzione​​ (29 giugno 2006), Roma, 2006; Nicoli D.,​​ Diritto-dovere di istruzione e formazione o o. scolastico, in «Presenza CONFAP» (2006) 1-2, 53-59.

G. Malizia




OBERLIN Jean-Frédéric

 

OBERLIN Jean-Frédéric

n. a Strasburgo nel 1740 - m. a Waldersbach nel 1826, pastore evangelico e educatore francese.

1. Nasce in una famiglia numerosa. Il padre, professore di ginnasio, inculca nei figli «abiti di ordine, di economia e di generosità verso i poveri». Compiuti gli studi umanistici e teologici, O. esercita l’ufficio di precettore. Nel 1767 è nominato pastore di Ban de la Roche, località montuosa, tra l’Alsazia e la Lorena. La popolazione, costituita da rudi contadini, era per la maggior parte analfabeta, sfruttata dai proprietari terrieri. Convinto dell’efficacia dell’istruzione per migliorare tale situazione, O. fornisce di scuola i villaggi che comprende la parrocchia. Sulla sua esperienza si conserva solo un regolamento inedito:​​ Règlement de police et de discipline pour les écoles​​ (1778).

2. L’organizzazione scolastica delineata riflette il modello militare a cui O., adolescente, si era interessato. Gli alunni più grandi partecipano alla responsabilità della vita della scuola mediante l’esercizio di diverse cariche (le guardie, i comandanti di un plotone, il giurato, l’anziano). L’aspetto più noto e originale dell’opera sociale e educativa di O. è quello di aver avviato una «sorta di scuola materna» per i figli dei contadini. I bambini vengono raccolti in sale chiamate​​ asiles,​​ dove le «conduttrici dell’infanzia» li lasciano giocare liberamente (a contatto con la natura, coltivando aiole e giardini) e insegnano loro «alcune regole di pulizia, l’orrore alla menzogna, il rispetto verso i poveri», mediante il racconto di storie edificanti e attraverso l’esempio. Nella proposta si racchiudono elementi significativi della​​ ​​ scuola dell’infanzia.

Bibliografia

Stucki​​ A.,​​ J.F.O.,​​ Basilée, [s.e.],1945; Missinne L. E.,​​ J.F.O. (1740-1826):​​ un précurseur de la planification de l’enseignement,​​ in «Revue de Psychologie et de Pédagogie»​​ 29 (1967) 117, 29-32; Prellezo J. M. - R. Lanfranchi,​​ Educazione e pedagogia nei solchi della storia, vol. 3, Torino, SEI, 2004, 55-58.

J. M. Prellezo




OBIETTIVI

 

OBIETTIVI

Intenti educativi, formativi o didattici che la​​ ​​ comunità educativa o formativa, o anche il singolo insegnante, elabora in modo chiaro e non ambiguo come riferimento esplicito per la​​ ​​ progettazione, conduzione e​​ ​​ valutazione della propria​​ ​​ azione educativa e didattica. Si distingue spesso in base al carattere di generalità e astrattezza che assume l’espressione di tali intenti tra finalità, propositi, mete e o.

1.​​ Finalità istituzionali e o. educativi e didattici.​​ L’azione educativa che si svolge nella scuola, come ogni azione umana, è orientata verso dei fini. Discutere dei​​ ​​ fini dell’azione educativa scolastica è compito delle teorie dell’​​ ​​ educazione e della scuola. Più specifico e immediato, invece, è il discorso relativo alle finalità istituzionali della scuola, finalità proprie dell’istituzione in cui si opera e che quindi superano la competenza del singolo insegnante, come della stessa scuola. Il processo educativo scolastico è, infatti, un processo intenzionale e l’istituzione scolastica è al servizio della comunità nazionale e locale. La fonte di tali finalità sta nelle leggi e nei decreti che hanno dato origine e caratterizzazione ai vari ordini e gradi scolastici e nei programmi di studio in vigore.

2.​​ O. educativi e didattici e comunità educativa.​​ È inerente alla definizione di o. il processo decisionale attraverso il quale la comunità educativa locale giunge alla determinazione e alla formulazione non solo delle mete da porre a fondamento dell’azione educativa e didattica a favore di un gruppo di giovani preciso, ma​​ anche dei modi di verifica del loro raggiungimento. Tale processo si svolge tra due poli di riferimento fondamentali: le finalità istituzionali e i bisogni di educazione dei giovani. Le prime vanno lette e interpretate contestualizzandole alla cultura e alla condizione giovanile dell’ambiente in cui si opera; i secondi vanno rilevati nella maniera più fedele possibile e rispondente al tipo di intervento prefigurato e quindi interpretati alla luce dei valori e delle finalità istituzionali contestualizzate. Si tratta di realizzare una vera e propria mediazione operativa tra un quadro ideale e una situazione reale, tra un dover essere e dati di fatto. Questo lavoro consente anche di assegnare priorità tra i vari o. Da una parte infatti sono considerati i valori e le finalità educative secondo un ordine di importanza dettato da considerazioni generali, dall’altro viene studiata la distanza o discrepanza esistente tra la loro presenza ideale nei giovani e la loro attuale presenza. Questo lavoro consentirà alla comunità la scelta e l’organizzazione degli o. educativi.

3.​​ O. educativi e o. didattici.​​ La distinzione tra o. educativi e o. didattici può essere fatta derivare da tre elementi fondamentali (Pellerey, 1994): a) il contesto di riferimento, se cioè riguardano la crescita della persona considerata nella sua totalità (o. educativi) o se si riferiscono all’acquisizione di conoscenze, abilità e atteggiamenti connessi con una disciplina o un’area disciplinare particolare (o. didattici); b) l’estensione temporale a cui fanno appello, se cioè riguardano una formazione da raggiungere in un lasso di tempo considerevole, al limite nel corso di tutta la vita (o. educativi), oppure mirano al conseguimento di competenze in un tempo ragionevolmente breve (o. didattici); c) il grado di specificità, precisione e verificabilità (o. didattici), o se restano ad un livello di specificazione minore e di conseguenza la possibilità di verificarne il conseguimento è collegata a indizi e mediazioni (o. educativi). Recentemente Baldacci (2006) ha proposto di distinguere i due livelli, riferendo il primo ai singoli contenuti delle discipline di insegnamento, e attribuendo al secondo mete a più a lungo termine, tenendo conto dello sviluppo di competenze e di disposizioni stabili (abiti).

4.​​ Ruolo e funzione degli o.​​ Il ruolo e la funzione degli o. possono essere riassunti sotto quattro titoli. Il primo concerne la necessità di convergenza delle iniziative educative delle azioni e intenzioni dei singoli e dei gruppi particolari. Un secondo titolo riguarda la possibilità stessa di elaborare un itinerario educativo e una​​ ​​ programmazione dei tempi, delle persone, dei luoghi e delle risorse. Gli o. sono criteri di giudizio e di decisione nella predisposizione di percorsi educativi concreti. Senza di essi è ben difficile riuscire a trovare e a selezionare quanto è necessario, o anche solo utile, alla realizzazione dell’impresa educativa che la comunità vuole sviluppare. Il terzo titolo si riferisce alle questioni di comunicazione. Comunicazione tra gli educatori e le famiglie, tra le comunità educative e le altre comunità (civile, ecclesiastica...). I giovani da una parte debbono poter partecipare alla definizione degli o., a mano a mano che l’età e la maturazione personale li rendano capaci di giudizio e di discernimento (sarebbe ben strano che i primi interessati al processo formativo venissero esclusi da questo momento decisionale), dall’altra debbono essere informati sia all’inizio sia costantemente circa gli intenti che guidano l’azione e l’impegno educativo dell’istituzione. Il quarto titolo è connesso con i primi. Gli o. educativi sono il concreto orizzonte di valori entro il quale la comunità educativa cammina. Costantemente quindi ci si dovrà confrontare con essi per verificare se le iniziative, il clima, i rapporti, le scelte, i risultati, sono con essi coerenti o se invece se ne discostano più o meno fortemente e per quali cause.

5.​​ La determinazione degli o. educativi.​​ La determinazione degli o. educativi impegna tutta la comunità educativa locale. Le strade che possono essere percorse sono sostanzialmente tre: una ascendente, che parte cioè dalla realtà della popolazione scolastica, l’altra discendente, che cerca di derivare le indicazioni da quadri di riferimento teorici più generali (di natura filosofica, psicologica, sociologica, ecc.); una terza che integra in maniera dinamica le prospettive dell’una e dell’altra. Quest’ultima via si basa sul concetto di bisogno educativo inteso come discrepanza, o distanza, esistente tra una situazione o stato educativo desiderato o «quale dovrebbe essere» e la situazione «quale essa è». Il primo riferimento è quindi messo in relazione con un giudizio di valore, il secondo con una rilevazione, quanto è possibile oggettiva e pertinente. La valutazione dei bisogni è in sintesi il processo che porta alla determinazione degli o. sulla base di assunzioni di ordine valoriale e di rilevazioni empiriche e che conduce alle decisioni relative all’ordine di precedenza degli interventi. Per la determinazione degli o. didattici è ormai consuetudine seguire l’impostazione suggerita da R. Tyler (1949), secondo il quale, se si vuole giungere a degli o. veramente utili nello scegliere le esperienze di apprendimento più opportune e nel pilotare l’insegnamento, non basta indicare quello che farà l’insegnante e nemmeno elencare gli argomenti o i contenuti dell’apprendimento; occorre, invece, tenere presente contemporaneamente sia la condotta da apprendere sia l’area nella quale essa deve essere esplicata. Dal momento che si tratta di due dimensioni strettamente intersecate tra di loro è naturale usare una matrice a doppia entrata dove in una dimensione sono elencate le capacità che l’allievo deve sviluppare e nell’altra sono enumerate le specificazioni contenutistiche in cui tali capacità devono essere sviluppate. Negli anni sessanta e settanta sono state elaborate molte indicazioni operative basate su questa impostazione. Tra queste si possono ricordare la varie tassonomie degli o. educativi, tra le quali le più diffuse furono quelle dovute a B.S. Bloom e collaboratori.

6.​​ Gli o. comportamentali e le critiche sviluppate nei loro riguardi.​​ Sono stati​​ definiti comportamentali quegli o. che rispondono alla definizione che ne ha data R. Mager (1972, 3): «intento comunicato da una definizione che descrive un cambiamento che ci si prefigge di realizzare in un allievo: definizione di come un allievo dovrebbe comportarsi quando ha completato con successo una esperienza di apprendimento. È la descrizione di un modello di comportamento che, a nostro avviso, l’allievo deve saper esibire». Numerose critiche sono state avanzate nei riguardi degli o. comportamentali. Si è ad es. affermato (Eisner, 1985) che solo in parte gli o. possono essere espressi in termini comportamentali. Questo è possibile quando si tratta di abilità abbastanza precise e facilmente osservabili, ma è oltremodo difficile farlo quando si tratta di processi cognitivi più generali e complessi, come la capacità di soluzione di problemi, o di attività di natura espressiva i cui risultati in termini di esperienze di apprendimento non possono essere predefiniti con chiarezza in quanto dipendono da molti fattori concorrenti.

7.​​ Critiche alla pedagogia per o.​​ L’impianto educativo poggiato sul principio di progettazione dell’azione didattica sulla base di o. predefiniti è stato spesso contestato. In primo luogo si mette in risalto la fondamentale e irripetibile caratterizzazione dei diversi soggetti educandi. Volerli tutti imbrigliare in un unico progetto e in un analogo percorso educativo significa da una parte misconoscere la realtà e la dignità delle singole persone, dall’altra esporsi a brucianti delusioni e fallimenti. In secondo luogo si constata che è difficile prevedere in anticipo tutti i bisogni e le possibilità educative che durante l’attività formativa emergeranno. Essere prigionieri di un progetto prefabbricato rende ciechi e sordi a nuove istanze, a occasioni inaspettate, a nuove presenze e a nuove prospettive. Le cose veramente importanti nel fatto educativo sono l’attività e l’esperienza che vengono proposte, che devono essere in sé cariche di potenzialità e di valori in molte direzioni. Ciascun giovane le vivrà secondo il suo animo e la sua motivazione, le farà fruttificare secondo i propri ritmi, il proprio stile, arricchendo se stesso secondo le proprie esigenze e prospettive (Stenhouse, 1977). In terzo luogo ci si espone a pericoli di formalismo tecnicista, di burocraticismo, di comportamentismo riduttivo (Damiano, 1991). A questa serie di obiezioni si risponde generalmente con una molteplicità di argomentazioni. Si afferma in primo luogo che il processo educativo promosso dalla scuola è un processo caratterizzato dall’intenzionalità e dalla sistematicità e quindi ha bisogno di riferimenti chiari per poter essere impostato, attuato e valutato. Occorre poi mettere in evidenza che non è possibile a una comunità di tale fatta agire senza elaborare una ipotesi educativa, che coinvolga sia nella sua definizione, che nella sua realizzazione tutte le componenti interessate. Infine occorre certamente evitare tecnicismi e riduzionismi pericolosi, ma 1’azione educativa esige per sua stessa natura un riferimento progettuale sia per quanto concerne la sua dimensione etico-sociale, sia per quanto riguarda la sua componente tecnico-pratica.

Bibliografia

Tyler R. W.,​​ Principles of curriculum and instruction,​​ Chicago, University of Chicago Press, 1949; Mager R.,​​ Gli o. didattici,​​ Teramo, Lisciani e Zampetti, 1972; Id.,​​ L’analisi degli o.,​​ Ibid., 1974; Stenhouse L.,​​ Dalla scuola del programma alla scuola del curricolo,​​ Roma, Armando, 1977; De Landsheere V. e G.,​​ Definire gli o. dell’educazione,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1977;​​ D’Hainaut L.,​​ Des fins aux objectifs de l’éducation,​​ Bruxelles, Labor, 1979; Hameline D.,​​ Les objectifs pédagogiques,​​ Paris, ESF,​​ 21979; Bloom B. S. (Ed.),​​ Tassonomia degli o. educativi:​​ Vol. 1:​​ Area cognitiva,​​ Teramo, Lisciani e Giunti, 1983; Bloom B. S. - D. R. Krathwohl - B. B. Masia,​​ Tassonomia degli o. educativi:​​ Vol. 2:​​ Area affettiva,​​ Ibid., 1984; Eisner E.,​​ The educational imagination: On the design and evaluation of educational programs,​​ New York, Macmillan,​​ 21985; Damiano E.,​​ La razionalità dell’insegnare. Per un bilancio della «Pedagogia per o.»,​​ in «Il Quadrante Scolastico» 14 (1991) 51, 10-42; Pellerey M.,​​ Progettazione didattica,​​ Torino, SEI,​​ 21994.

M. Pellerey




OCEANIA sistemi educativi

 

OCEANIA: sistemi educativi

In quella che E. Sabatier chiamava la «via lattea terrestre» l’universo educativo appare altrettanto differenziato e costituito da piccole unità indipendenti. Sebbene le numerose isole dell’Oceano Pacifico si trovino vicino a paesi altamente industrializzati, non condividono con essi i concetti di «sviluppo» e di «povertà», mentre prevale la norma etico-culturale del​​ self-help.​​ Dell’O. fanno parte tre grandi complessi insulari: Melanesia, Micronesia, Polinesia.

1.​​ L’istruzione in Melanesia​​ (Papuasia Nuova Guinea, Isole Salomone, Nuova Caledonia, Figi, Vanuatu). In Papuasia Nuova Guinea e nelle Isole Salomone l’istruzione formalmente intesa inizia con l’arrivo degli europei e con le missioni cristiane divenute stabili dal 1870. Nel 1873 la «London Missionary Society» lancia il primo programma di alfabetizzazione ed apre la prima scuola di formazione degli insegnanti a Port Moresby. Dal punto di vista amministrativo vige il decentramento dei poteri ed ogni responsabilità scolastica è di competenza provinciale. L’istruzione non è obbligatoria. La primaria (community schools) inizia a 7 anni e dura 6 anni. La secondaria comincia a 13 anni e prevede dai 4 ai 6 anni di studio, 5 nelle Isole Salomone. La frequenza della scuola non è generalizzata e diminuisce sensibilmente al livello secondario; anche per questa ragione i curricoli sono predisposti in modo da favorire il reinserimento dei ragazzi, soprattutto se provenienti dalle aree rurali. Dopo il decimo anno di scuola inizia l’istruzione al terzo livello che comprende l’università, i centri per la formazione dei docenti, gli istituti tecnici, collegi statali e non statali. Gli indirizzi maggiormente potenziati sono quelli di carattere economico. Dal 1977 ad Honiara (Isole Salomone) funziona il Centro dell’Università del Pacifico del Sud. Nella Nuova Caledonia la prima scuola aperta dal governo francese risale al 1860. Dopo l’autonomia (1976), l’istruzione preprimaria (4-6 anni di età) e quella primaria, quinquennale, sono di responsabilità locale, mentre la scuola secondaria, settennale (4+3 anni di corso) e l’istruzione di terzo livello seguono le direttive della Francia. Nelle scuole si insegna in fr. ed il modello di insegnamento è quello della scuola francese. L’obbligo dura fino a 14 anni. In tutta la Melanesia è rilevante l’abbandono della scuola anche per la selettività delle prove di passaggio da un livello all’altro. Il fenomeno interessa in minor misura i bambini europei. Per l’istruzione superiore in genere i giovani si recano nelle università francesi. L’arcipelago delle Figi, indipendente dalla corona britannica dal 1970, continua a mantenere legami politici e sociali con il Regno Unito, la Nuova Zelanda, l’Australia attraverso l’appartenenza al Commonwealth Britannico, nonché con l’India dal momento che dal 1879 vi è stata un’alta immigrazione di lavoratori indiani. La scuola fu di iniziativa metodista (sec. XIX) ed ancora oggi la chiesa metodista risulta la più seguita. Anche nelle Figi l’istruzione non è obbligatoria, sebbene ci siano piani volti alla generalizzazione dell’istruzione per i primi 10 anni di scuola. Le scuole multirazziali convivono con le scuole dove vi è una unica componente etnica. Nell’arcipelago è organizzata la formazione degli insegnanti della secondaria; possono essere conseguiti i titoli di​​ bachelor,​​ master,​​ Ph.D.;​​ sono predisposti corsi di educazione degli adulti e per corrispondenza. A Vanuatu (ex Isole Ebridi) si parlano più di 100 dialetti melanesiani oltre a fr. e ingl., bislama (il cosiddetto ingl.​​ pidgin​​ nato dall’incontro tra lingua europea e lingua locale). Ancora negli anni ’80 l’analfabetismo adulto (oltre 15 anni di età) è intorno al 47%. Dall’indipendenza (1980) Vanuatu cerca di emanciparsi dai precedenti modelli educativi coloniali, promuovendo un sistema nazionale d’istruzione a livello di scuola secondaria.

2.​​ L’istruzione in Micronesia​​ (Isole Caroline, Isole Marshall, Marianne settentrionali, Kiribati). Dalla dissoluzione del precedente «Territorio di amministrazione fiduciaria degli USA» (1947) nasce nel 1986 la Confederazione degli Stati della Micronesia (Yap, Truk, Pohnpei, Kosrae) che con Palau forma l’arcipelago delle Isole Caroline. Nel 1989 solo la Repubblica di Palau continua a far parte del precedente «Territorio». Progressivamente gli USA hanno cessato di essere presenti con l’amministrazione fiduciaria, ma restano responsabili per la difesa e gli aiuti economici. In Micronesia l’obbligo va dai 6 ai 14 anni di età e l’offerta di istruzione copre i tre livelli. Gli insegnanti sono formati nel Community College (Marianne settentrionali) ed in base ai programmi comuni alle Università di Guam e delle Hawaii, esperti dell’educazione bilingue producono materiali didattici e sussidi nelle sette maggiori lingue micronesiane. Kiribati, ex Isole Gilbert britanniche, è indipendente dal 1979. Su questi atolli l’istruzione è obbligatoria da 6 a 15 anni di età (6 anni di primaria e almeno 3 di secondaria) e funziona il collegamento via satellite con l’Università del Pacifico del Sud (Figi).

3.​​ L’istruzione in Polinesia​​ (Nuova Zelanda, Isole Cook, Niue, Tokelau, Tonga, Samoa, Polinesia francese, Tuvalu, Isole Wallis e Futuna). I Maori, primi abitanti della Nuova Zelanda, rappresentano oggi circa il 12% della popolazione e il passato coloniale britannico (1792-1947) si fa ancora sentire nell’impostazione dell’educazione. La preprimaria (4-5 anni) è organizzata in modi diversi ed è significativo che nella comunità dei Maori sono le madri stesse a seguire i figli. L’istruzione obbligatoria e gratuita, di competenza delle autorità distrettuali, va dai 5 o 6 ai 15 anni di età (primaria + secondaria di primo ciclo). L’istruzione al secondo livello riceve fondi dal Ministero dell’Istruzione. Servizi specifici sono offerti a coloro che vivono nelle zone più interne (corsi per corrispondenza) e ai portatori di handicap. Al terzo livello d’istruzione si accede previo superamento di appositi esami. Diverse iniziative riguardano l’educazione degli adulti ed altrettanto curata è la ricerca pedagogica, il​​ New Zealand Council for Educational Research​​ è attivo dal 1934. Le Isole Cook, Niue, Tokelau sono territori autonomi uniti alla Nuova Zelanda da un’associazione libera che contempla la cittadinanza neozelandese, aiuti economici, scambio di personale e materiale scolastico. Nelle Isole Cook la prima istruzione formale su modello occidentale fu introdotta dal missionario J. Williams (1823); in precedenza l’educazione dell’infanzia era di esclusiva competenza della famiglia e degli anziani. Oggi si prevedono dieci anni di obbligo scolastico (6-16 anni di età). L’istruzione secondaria è offerta presso Colleges locali e per l’università i giovani si recano nelle Figi, in Papuasia-Nuova Guinea, in Australia, nelle Samoa occidentali. Accanto alla scuola statale funziona la scuola non statale ad opera delle missioni, cristiane. A Niue e a Tonga l’obbligo è dai 6 ai 14 anni. L’arcipelago delle Samoa, già occupato dagli Olandesi (1722), passò nel 1900 agli USA (l’Est) e alla Germania (l’Ovest). Nelle Samoa occidentali, indipendenti dal 1962, l’obbligo è di 11 anni (3+3+2+3) e sussistono i due modelli educativi: quello tradizionale fondato sulla vita del villaggio, e quello occidentale. Nelle Samoa orientali alla primaria di 8 anni segue la secondaria di 4 anni. In genere nelle scuole primarie viene mantenuta la lingua locale, mentre nelle secondarie si insegna in ingl. nella Polinesia francese l’obbligo è dai 6 ai 14 anni, la secondaria è sia statale che confessionale, e dal 1986 il governo francese ha promosso la costruzione di una università a Tahiti. A Tuvalu, già Isole Ellice, la scuola primaria dura 7 anni e la secondaria 3 anni con un sistema di studio e di valutazione che riprende quello ingl. nelle Isole Wallis e Futuna la scuola segue il modello francese.

4.​​ Problemi in discussione.​​ Questioni aperte restano: a) la decolonizzazione delle aree ancora politicamente dipendenti e la creazione di modelli educativi autonomi; b) il finanziamento di piani per superare l’analfabetismo e promuovere lo sviluppo dell’istruzione obbligatoria, nonché la qualificazione professionale dei giovani; c) la pressione del movimento antinucleare che prefigura un altro ecosistema globale; d) la creazione della Comunità del Pacifico utile anche all’istruzione a distanza.

Bibliografia

Cantero C. L.,​​ The evolution of formal education in Micronesia. A future prospects,​​ in «Asian Culture Quarterly» 12 (1984) 3, 91-96; Thomas R. M. - T. N. Postlethwaite (Edd.),​​ Schooling in the Pacific Islands. Colonies in transition,​​ Oxford, Pergamon, 1984; Marshall J. - M. Peters,​​ Te Reo O Te Tai Tokerau. The assessment of oral Maori,​​ in «Journal of Multilingual and Multicultural Development» 10 (1989) 6, 499-514; Chistolini S., «Australia e O., Educazione», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica.​​ Appendice A-Z, Brescia, La Scuola, 2003, 106-108; Garzella S.,​​ Sottosopra: scrittori contemporanei del Sud Pacifico,​​ Roma, Robin, 2006; Mapelli N.,​​ O.: oltre l’orizzonte dei Mari del Sud, Roma, Bulzoni, 2006.

S. Chistolini




OMERO

 

OMERO

Vissuto tra il IX e l’VIII sec. a.C., è chiamato per antonomasia «l’educatore della Grecia», in quanto è all’origine della cultura greca, non solo cronologicamente, ma perché coglie e comunica con la forza della poesia epica alcune linee di formazione umana, che restano comune retaggio di tutta la cultura greca.

1. Ne indichiamo in sintesi gli elementi essenziali, senza fermarci sul cosiddetto​​ problema omerico​​ (identità e unicità del poeta designato con questo nome). O. è, in primo luogo, testimone e trasmettitore di una tradizione culturale precedente (il cosiddetto​​ Medioevo greco)​​ che sopravvive e diventa patrimonio culturale attraverso i suoi poemi: l’Iliade​​ e l’Odissea.​​ È pure testimone di un tipo di educazione che si attuò nel ceto aristocratico delle corti (il re e i suoi nobili guerrieri), sia come ideale di​​ areté,​​ sia come processo di formazione dei giovani nella vita della corte e all’arte militare. L’ideale aristocratico,​​ come realizzazione superiore di umanità, risulta così punto di partenza per la visione greca dell’uomo e della sua formazione. Tale ideale O. canta, con incomparabile ispirazione poetica, nelle figure degli​​ Eroi;​​ perciò esso è chiamato​​ ideale eroico:​​ l’eroe​​ impersona un tipo di​​ areté​​ (nel senso di pieno valore umano) che si afferma come paradigma e punto di riferimento per tutte le successive fasi della cultura​​ / paideia​​ greca. Con ciò O. realizza anche, in modo eminente, la caratteristica del popolo greco di avere nei poeti (insieme ai filosofi e ai politici) una fonte della sua​​ ​​ paideia​​ e dimostra la forza pedagogica in particolare della poesia epica in quanto trasmettitrice di paradigmi di umanità.

2. I contenuti di​​ paideia​​ sono notevolmente diversi nelle due epopee, l’Iliade​​ e l’Odissea,​​ come diverso è l’ambiente in cui gli eroi sono collocati: quello guerriero nella prima; quello civile nella seconda. Il​​ valore paradigmatico​​ delle figure degli eroi omerici sta soprattutto nell’eccellenza​​ dell’ideale umano ricercato e celebrato e nell’equilibrio​​ degli elementi che lo compongono e che, unitamente, formano​​ areté.​​ Ciò interpreta il senso di completezza, costante nell’ideale formativo greco. La ricerca dell’eccellenza​​ (il dover essere migliore di tutti, la celebrazione dell’aristéia​​ dell’eroe) traduce il bisogno dell’attuazione più perfetta del valore umano (areté​​ appunto). L’equilibrio​​ (o integralità) è dato, nel paradigma dell’eroe, dalla ricerca e realizzazione non solo del valore militare, ma, insieme, della​​ saggezza.​​ Integrazione, quindi, di interiorità ed esteriorità, indicata da O. nell’espressione:​​ «essere dicitore di discorsi e operatore di azioni»,​​ che intende caratterizzare l’eroe. Una sintesi in cui rientrano le molteplici doti dell’ideale cavalleresco. La ricerca e celebrazione della propria eccellenza comportano anche una particolare visione etica, propria dell’areté​​ eroica: l’etica dell’onore,​​ da non svilirsi in vuota ambizione, ma da considerare come il bisogno dell’eroe di una verifica e una comprova dell’eccellenza raggiunta.

3. O. previene pure la polemica sull’insegnabilità dell’areté​​ (​​ Grecia: educazione), non solo perché egli stesso compie un’opera di educazione del popolo greco, ma perché la stessa formazione degli eroi è frutto di un intervento (o addirittura di un mandato) educativo (per es. il centauro Chirone e Fenice per Achille nell’Iliade; Mentore-Atena per Telemaco, figlio di Ulisse, nell’Odissea). L’areté virile​​ ha certo il primo posto nei poemi omerici. È tuttavia celebrato anche l’ideale femminile,​​ in modo suggestivo (si ricordino, per es., le figure di Clitemnestra, di Criseide, di Penelope, di Nausicaa) e con la stessa esigenza di integralità: al binomio «operatore di azioni e dicitore di discorsi» dell’eroe corrispondono​​ bellezza e saggezza e abilità domestiche​​ nell’ideale della donna.

Bibliografia

a)​​ Fonti: Iliade,​​ trad. it. di G. Tonna, introd. di F. Codino, Milano, Garzanti, 1983;​​ Odissea,​​ trad. it. di G. Tonna, introd. di F. Codino, Ibid., 1985. b)​​ Studi:​​ Jaeger W.,​​ Paideia. La formazione dell’uomo greco,​​ Scandicci (FI), La Nuova Italia, 1991; Marrou H. I.,​​ Storia dell’educazione nell’Antichità,​​ Roma, Studium, 1994; Montanari F. (Ed.),​​ O. Gli aedi,​​ i poemi,​​ gli interpreti, Scandicci (FI), La Nuova Italia, 1998.

M. Simoncelli




OMOSESSUALITÀ

 

OMOSESSUALITÀ

L’o. vera e propria costituisce una condizione abbastanza ben definita, non assimilabile con alcune forme di comportamento sessualmente invertito temporanee od occasionali. L’attrazione erotica verso il proprio sesso e la ripulsione, spesso invincibile per quello complementare hanno nell’o. vera e propria un carattere di esclusività e stabilità, che ne fanno una vera struttura psichica.

1. Tale situazione non è il prodotto di una scelta; in se stessa non ha quindi una vera e propria rilevanza etica in senso proprio. Si dice a volte che essa è una condizione naturale. Dicendo questo, oggi si fa spesso non tanto una constatazione ovvia sulla non volontarietà di questa condizione, ma una valutazione discutibile di natura ultimamente etica sul comportamento omosessuale che viene così giudicato non moralmente diverso da quello eterosessuale. Naturalmente si tratta di un equivoco: quando si parla di natura in questo campo, il criterio di riferimento non può prescindere dall’​​ ​​ etica. E dal punto di vista etico, l’omosessuale può essere un peccatore o un santo, ma il suo modello di sessualità non è un modello vero: è in sé una forma mancante della sua regola, quali ne possano essere la volontarietà e l’eventuale colpevolezza soggettiva. L’individuazione, finora purtroppo solo incerta, delle sue cause, se può avere un grande interesse dal punto di vista clinico, non può dirci nulla sulla colpevolezza soggettiva dell’omosessuale: avere delle tendenze non è in sé peccato, come non lo è il soffrire di qualsiasi altra forma di perversione sessuale. Diversa, e comunque non facile sarà la valutazione del comportamento omosessuale soggettivo.

2. Il motivo fondamentale della sua oggettiva negatività è naturalmente l’inautenticità di un gesto d’amore che non rispetta il significato oggettivo e le leggi interne del linguaggio della sessualità. Questo non dice nulla sulla qualità psicologica dell’amore omoerotico; ma tale qualità non può essere l’unica ragione della valutazione etica: la qualità etica del linguaggio di questo amore, non può essere ignorata in questa valutazione. A una valutazione così negativa del comportamento preso in sé stesso, non può naturalmente corrispondere sempre un giudizio altrettanto negativo sulla responsabilità, e quindi sulla effettiva qualità morale, dei singoli soggetti. In misura varia, ma spesso molto grande, questo comportamento sembra essere condizionato da meccanismi psicologici che diminuiscono, fino ad annullare, la volontarietà e la responsabilità morale della persona.

3. Il comportamento nei confronti dell’o. si ispirerà pertanto a criteri educativi, non naturalmente nel senso di considerare l’omosessuale come un «minore», ma nel senso di aprirgli il più largo orizzonte, a lui concretamente possibile di maturazione umana e di vera​​ ​​ autorealizzazione. L’atteggiamento di base dovrà essere la totale accettazione dell’omosessuale come persona, la comprensione del suo dramma, la solidarietà leale con le sue sofferenze e i suoi problemi. Si cercherà di rompere la barriera della solitudine e dell’incomunicabilità, che la società spesso erige nei suoi confronti, e che rappresenta il principale ostacolo al suo ricupero anche morale. Ci si dovrà chiedere quale sia l’ideale umano di vita più ordinata e più umanamente ricca a lui concretamente possibile. Quando egli fosse veramente disposto a percorrere fino in fondo il difficile itinerario di un riordinamento totale della sua vita, tale ideale, supposta l’impossibilità di una vera guarigione clinica, si aprirebbe, nel suo livello più alto, a una astinenza totale e alla sublimazione della sua libido nelle attività superiori dello spirito. Questo peraltro potrà essere raggiunto, anche nella migliore delle ipotesi, solo gradualmente, attraversando, non senza gravi lotte, le tappe intermedie di volta in volta concretamente possibili. Ma, anche se si deve riconoscere che l’amicizia omosessuale che si esprime anche sessualmente costituisce un male meno grave della promiscuità risultante da relazioni sessuali con compagni che mutano continuamente, essa va ritenuta moralmente difendibile solo alla condizione che sia solo una piattaforma per il decollo di una liberazione ulteriore e si accompagni quindi con un certo impegno di graduale ridimensionamento del peso della sessualità e dei suoi appetiti nel complesso della vita.

Bibliografia

Overing et al.,​​ L’o., Brescia, Queriniana, 1967; Bottani​​ A. (Ed.),​​ Educazione alla sessualità, Milano, Ancora, 1982; Gius E.,​​ Una messa a punto della o., Torino, Marietti, 1972; Kosnik A. et al.,​​ La sessualità umana, Brescia, Queriniana, 1978;​​ Thévenot X.,​​ Homosexualités masculines et morale chrétienne, Paris, Du Cerf,​​ 1985; Teisa S.,​​ O. e vita morale: tentativo di un approccio integrato, Roma, P. Studiorum Universitas a S. Thoma Aq., 2001; Lacroix X.,​​ In principio la differenza: o.,​​ matrimonio,​​ adozione, Milano, Vita e Pensiero, 2006.

G. Gatti




OPINIONE

 

OPINIONE

Nella considerazione della paideia classica l’o. (dal gr.​​ doxa​​ da​​ dokéo:​​ io ritengo, sono dell’o.) risponde ad una conoscenza piuttosto superficiale e condivisa; contro l’o. un’educazione autentica è in dovere di mettere in atto strategie di verifica e di autenticazione.

1. Il metodo maieutico socratico comprende appunto come prima tappa la denuncia dell’o.: «la domanda» che​​ ​​ Socrate formula magistralmente tende sia a porre a confronto le varie o. per verificarne la contraddizione e quindi l’inconsistenza (​​ Platone,​​ Sofista,​​ 230) sia a denunciare la superficialità che disattende aspetti più profondi e risolutivi della questione. In ambito filosofico il riferimento alle o. altrui, specialmente quelle della tradizione, è sempre stato importante: ha costituito il presupposto su cui articolare un’argomentazione consapevole e rigorosa.

2. Nella più recente riflessione neoscolastica il confronto con le o. ha assunto una sfumatura piuttosto apologetica e talora polemica, dovuta anche al difficile rapporto della riflessione cristiana con la cultura moderna. Nella ricerca contemporanea l’aspetto polemico è notevolmente rientrato: la pluralità delle culture e la consapevolezza della parzialità insita in ogni affermazione ha dato rilevanza alla diversità delle o., di cui si tende a valorizzare la complementarità. Sul piano sociale l’o. pubblica è luogo di raccordo di volontà e di giudizi per effetto di scambi di comunicazioni e di esperienze. Essa appare come elemento unificante l’organizzazione di gruppo e della società per il suo ruolo di controllo e di omologazione dei comportamenti.

3. Sul versante specificamente educativo l’o. assume oggi singolare rilevanza: si è chiaramente avvertita l’importanza che il contesto e l’ambiente culturale assumono nella formazione della persona: donde l’attenzione ai​​ ​​ mass media, come fonte di informazione diffusa che fa o. Anche per quanto concerne l’elaborazione del processo educativo l’attenzione centrata sul soggetto e la sua reale situazione cognitiva ed esistenziale costituiscono il presupposto obbligato per calibrare l’intervento educativo, specialmente là dove si privilegiano metodologie induttive.

Bibliografia

Jaeger W.,​​ La formazione dell’uomo greco,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1970; Apel K. O.,​​ Comunità e comunicazione,​​ Torino, Rosenberg-Sellier, 1977; Ribolzi L.,​​ Processi formativi e strutture sociali,​​ Brescia, La Scuola, 1984; Gergen M. M.,​​ Psicologia sociale,​​ Bologna, Il Mulino, 1985; Cesareo V.,​​ La società flessibile,​​ Milano, Angeli, 1987; Habermas J.,​​ La rivoluzione in corso,​​ Milano, Feltrinelli, 1990; Ricoeur P.,​​ Critica e convinzione, Milano, Jaca Book, 1997.

Z. Trenti




ORATORIANI

 

ORATORIANI

Movimento spirituale-pedagogico francese - Movimento spirituale-pedagogico italiano.

1. Pierre de Bérulle (1575-1629, card. dal 1627) fonda nel 1611 (con approvazione pontificia del 1613), l’«Oratorio di Gesù Cristo», un’associazione di sacerdoti secolari che vivevano in comunità senza voti, dedicati alla formazione iniziale e permanente degli ecclesiastici. Accettano poi anche dei collegi, dove conducono in molte parti della Francia per quasi due secoli (vengono soppressi nel 1792) una esperienza di pedagogia cristiana con molti tratti originali. Il fondamento delle scuole è radicalmente religioso-spirituale, inteso a formare Gesù Cristo nel cuore degli allievi. L’istruzione letteraria è un mezzo a questo scopo. Vi è incluso l’insegnamento del fr., della storia, delle scienze (geografia, cartografia, matematica) e della filosofia moderna cartesiana, ma la base resta il trilinguismo (lat., gr., ebraico) che apre allo studio della Bibbia e dei Padri della Chiesa. Gli allievi appartengono alla piccola e media borghesia piuttosto che alla nobiltà. Si cerca di superare l’antitesi fra la pietà e lo studio, il metodo è quello della comprensione, dolcezza, riserbo, discrezione, fondati sulla carità, l’interiorità e una spiritualità teocentrica e cristocentrica.

2. Filippo Neri (1515-1595), sacerdote dal 1551 e proclamato santo nel 1622, trasferitosi da Firenze a Roma, vi promosse negli anni ’50 un movimento spirituale-educativo che prese il nome di​​ ​​ Oratorio e da cui scaturì nel 1575 una Congregazione di preti e chierici secolari viventi in comune, e dediti all’​​ ​​ educazione cristiana dei fedeli e in particolare dei giovani. L’Oratorio si presenta come un raggruppamento libero e diversificato di giovani e adulti, invitati a passare le ore pomeridiane in trattenimenti spirituali, nell’ascolto della Parola di Dio, esposta e commentata in modo familiare e in vista del perfezionamento della vita cristiana. Vi vengono promossi il culto eucaristico, la confessione e la direzione della coscienza, la musica e le arti figurative, e anche il gioco e il divertimento, in un’atmosfera di festosa cordialità. Alla pedagogia dell’Oratorio filippino si ispira il trattato di​​ ​​ Antoniano. La Congregazione si diffuse in Italia, in Europa, in America e in India. Ne furono membri, tra molti altri, il P. Faber e il card. Newman e i beati Giovenale Ancina, Antonio Grassi e Sebastiano Valfré, come pure i card.​​ Capecelatro e Giulio Bevilacqua.

Bibliografia

a) Su P. Bérulle: Dagens J.,​​ Bérulle et les origines de la restauration catholique (1575-1611),​​ Paris-Bruges, Desclée de Brouwer, 1952; Plongeron B., «Du modèle jésuite au modèle oratorien dans les collèges français à la fin du XVIIIe siècle», in J. Preaux (Ed.),​​ Église et enseignement,​​ Bruxelles, Éditions de l’Université de Bruxelles, 1977, 89-136;​​ Braido P. (Ed.),​​ Esperienze di pedagogia cristiana nella storia,​​ vol.​​ II, Roma, LAS, 1981, 9-64. b) Su F. Neri: Marciano G.,​​ Memorie historiche della Congregazione dell’Oratorio,​​ 5 voll., Napoli, De Bonis, 1693-1702; Capecelatro A.,​​ Vita di S. Filippo Neri,​​ Roma, Desclée et Lefebvre, 1901; Cistellini A.,​​ S.​​ Filippo Neri,​​ l’Oratorio e la Congregazione oratoriana. Storia e spiritualità,​​ Brescia, Morcelliana, 1989.

U. Gianetto




ORATORIO

 

ORATORIO

Che l’o. in quanto istituzione educativa specifica non sia una realtà omogenea appare evidente quando se ne considerino la storia e i diversi filoni pedagogici e spirituali a cui si ispira e da cui è stato «plasmato».

1. La storia dell’o. si può rintracciare ancor prima dei tempi di s. Filippo Neri a Roma e di s. Carlo​​ ​​ Borromeo a Milano (sec. XVI) con le varie esperienze di formazione cristiana della gioventù ci si può anche richiamare ai Patronati e Opere della Gioventù di derivazione francese (sec. XVIII) o a quelli veneziani. L’Ottocento vede il consolidarsi di tale istituzione attraverso la sua reimpostazione nel clima sociale del tempo contrassegnato dai problemi fin troppo noti della prima industrializzazione e urbanizzazione. Nuove forme di o. nascono così attorno a figure come L. Pavoni a Brescia, don G. Cocchi e soprattutto don G.​​ ​​ Bosco a Torino.

2. Ciascuna tradizione, ricollegata alla sua memoria storica, spirituale e pedagogica, ha consolidato nel tempo l’immagine che le è propria, nel continuo tentativo di riproporre l’identità di origine nel confronto con i problemi via via emergenti. Oggi se ne conoscono diversi riferimenti carismatici (specie se legati a Congregazioni religiose, come gli​​ ​​ Oratoriani e i​​ ​​ Salesiani), diverse tradizioni, diversi modelli di organizzazione, su scala regionale e nazionale. La realtà dell’o., tuttavia, è avvertita ancora come un’importante se non decisiva istituzione, integrata o da integrare ad altre istituzioni, di valida efficacia formativa per le giovani generazioni. Accanto a tale riconoscimento e sottostanti alle differenze, talvolta anche di sostanza, è possibile individuare alcuni punti di riferimento comuni che si sono consolidati nella storia: la caratteristica di essere «per tutti», soprattutto per ragazzi e giovani dei ceti polari (come tentativo di «ricerca-avvicinamento» dei giovani stessi e non di attesa di un loro avvicinamento alle strutture usuali di educazione-evangelizzazione); la strutturazione di un «ambiente» tipico, aperto e protetto, dove incontrarsi tra generazioni, non solo per il tempo libero; la creazione di un «clima» di familiarità e di «simpatia» per gli interessi e le domande giovanili; la «via educativa» attraverso cui abilitare i giovani a gestire la propria vita; e la speciale «formula» di offerta formativa attorno alle dimensioni del gioco, del catechismo, del lavoro e dell’aggregazione (ricreatorio, o., laboratorio), come momenti espressivi di un globale progetto di educazione integrale, di ispirazione umanistico-cristiana.

3. Nella riscoperta e riattualizzazione del carisma specifico si è mossa la tradizione degli o., fino a ottenere espliciti riconoscimenti ecclesiali non meno che di pedagogisti ed educatori. Gli anni del dopo Concilio e i fenomeni della contestazione hanno visto una crisi generalizzata dell’o., uno scadimento fino alla sua marginalizzazione sociale, mentre si tentavano nuovi sentieri per il suo rinnovamento: quello catechistico, socio-politico, ludico-sportivo, associazionistico e dell’o. come «casa della comunità». Una rinnovata consapevolezza attuale dell’impegno della Chiesa verso le nuove generazioni, dell’urgenza inderogabile di formazione e prevenzione, la crescita di nuove domande nella stessa condizione giovanile rilanciano oggi l’istituzione dell’o. come uno degli ambienti privilegiati dove è possibile abilitare le nuove generazioni alla crescita di sé nella solidarietà, in una parola dove è possibile rinnovare l’educazione per riappassionarsi alla vita, e riattivare i canali comunicativi tra Chiesa e giovani per la loro educazione alla fede e anche per avviare a un certo protagonismo giovanile.

4. Nel rinnovamento e riproposizione dell’o. come ambiente e «progetto» educativo globale, nella dinamica di sintesi fede-vita, si intrecciano così la memoria e la tradizione, i «segni dei tempi», le nuove prospettive pedagogiche e le domande dei giovani. In questa direzione si pensano e si coniugano il rilancio dell’​​ ​​ animazione come metodo e stile educativo, l’apertura al sociale e civile nel territorio, l’attenzione agli sbocchi e itinerari educativi, la reinterpretazione delle «attività formative» nelle più ampie categorie di «espressione giovanile», «evangelizzazione», «animazione culturale», l’attenzione alla «educazione di rete» nel collegamento più stretto con parrocchie e associazioni che hanno come preoccupazione educativa gli stessi giovani e operatori. Ma anche assumendo una certa dimensione missionaria in un duplice movimento: abbassando la soglia di ingresso (anche nella gradualità delle proposte) e «andando verso i giovani» là dove essi sono: i nuovi luoghi (o «non-luoghi») giovanili, reali o virtuali: la strada, le discoteche, i bar, le palestre, gli stadi e luoghi dei concerti, internet…

5. L’opera degli o. è stata recentemente sostenuta a più livelli anche dal legislatore (sia dal Parlamento Italiano con la L. 206 / 2003, sia da diverse Regioni del nostro Paese) che ne ha riconosciuto «la funzione sociale ed educativa» nell’ottica della sussidiarietà volta a evidenziare e promuovere, in ordine al conseguimento del bene comune, la soggettività peculiare di una realtà tanto efficace e diffusa in Italia.

6. Nel 2001, promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana, con la quale agisce in stretto contatto, è nato il Forum degli O. Italiani, lo strumento di coordinamento nazionale degli organismi ecclesiali che dedicano speciale cura all’O., che ha l’intento di: «studiare la realtà delle nuove generazioni in costante cambiamento per mantenere viva l’attenzione sulle loro esigenze educative; sostenere e coordinare l’azione educativa degli o.; promuovere e finanziare la ricerca pedagogica e metodologica e individuare strutture adeguate; rappresentare gli o. italiani e favorire il raggiungimento dei loro obiettivi nelle istituzioni locali, nazionali e internazionali» (cfr. lo Statuto del Foi). È formato da oltre 30 membri: Coordinamenti regionali di Pastorale giovanile; Istituti religiosi e Congregazioni che hanno l’O. nel loro carisma (Salesiani, Figlie di Maria Ausiliatrice, Giuseppini, Filippini, Canossiani…); Associazioni (ANSPI, NOI, Azione Cattolica, CSI, PGS, CTG…); Federazioni o Coordinamenti locali di o. Il Foi promuove ogni anno in Italia una Giornata di attenzione pastorale e sociale agli o., il 26 maggio, memoria di san Filippo Neri.

Bibliografia

Caimi L., «L’O. salesiano: la specificità di una proposta pedagogica», in​​ Don Bosco. Ispirazione,​​ proposte,​​ strategie educative,​​ Leumann (TO), Elle Di Ci, 1989; Floris F. - M. Delpiano,​​ L’O. dei giovani,​​ Ibid., 1992;​​ L’O. dei giovani: insieme per essere fedeli alla vocazione giovanile e popolare,​​ Roma, CISI, 1993. Diocesi di Milano,​​ Sinodo 47°​​ - Cap. 11: Pastorale giovanile e o.,​​ Milano, 1995; Apeciti E.,​​ L’O. ambrosiano da san Carlo ai giorni nostri, Milano, Ancora, 1998; Sigalini D.,​​ O.: uno spazio di aggregazione indispensabile per educare i giovani alla fede,​​ in «NOI book» (2002) 1; «Ponti tra la strada e la chiesa». L’O. salesiano agli inizi del terzo millennio,​​ in «Note di Pastorale Giovanile» (2002) 2;​​ Il volto missionario degli o. nei prossimi anni – speciale «O. oggi e domani»,​​ in «L’Eco degli O.» (2003) 7-8; Sabbadini M.,​​ Il «mistero» dell’o., in «NOI book» (2004) 12;​​ Spezzibottiani M.,​​ Non c’è o. senza domenica,​​ Foi - Collana O., Roma, EDB, 2005; Gracili R. (Ed.),​​ Funzione educativa e sociale degli O. nelle comunità locali,​​ Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 2005; Cappelli Q.,​​ Negli o. l’o.,​​ Brescia, ANSPI, 2007; sito internet:​​ www.oratori.org​​ (con link ai siti di tutte le altre realtà oratoriane); periodico: «L’Eco degli O.».​​ Rivista della Fondazione diocesana per gli o. milanesi - fondata nel 1907​​ -​​ Ed. In Dialogo.

G. Denicolò