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NOMADELFIA

 

NOMADELFIA

Comunità educativa familiare di orientamento cristiano fondata da don Zeno Saltini (1900-1981) nel 1947. Il nome N. (dal gr.​​ nómos,​​ legge, e​​ adelfós,​​ fratello) esprime i tratti fondamentali dell’opera: un luogo «dove è legge la fratellanza».

1. Nato in una famiglia contadina, Zeno Saltini sentì molto presto l’urgenza di un rinnovamento della società nello spirito del Vangelo. Giovane studente, si impegnò nel ricupero di giovani delinquenti, creando per loro l’Opera Realina (1924-1927); conseguito il dottorato in diritto (1929), e ordinato sacerdote (1931) diede vita all’opera dei Piccoli Apostoli per l’accoglienza di ragazzi abbandonati (S. Giacomo Roncole), trasferitasi nel 1947 a Fossoli (Modena). Accanto alle giovani «mamme di vocazione», responsabili di piccoli gruppi di bambini, don Zeno chiamò a collaborare varie coppie di coniugi e alcuni sacerdoti. Il movimento apostolico-educativo si sviluppò con la creazione dell’Unione dei Padri di Famiglia. Il rifiuto della proposta di creare un «nuovo paese nel paese» (1946) mosse don Zeno a fondare N., nella cui​​ Costituzione​​ (1948) si stabiliva «come legge la fraternità cristiana vissuta sotto forma comunitaria».

2. Con il «Movimento della fraternità umana», don Zeno intendeva costruire una società radicalmente democratica e solidale come alternativa a quelle proposte dal comunismo e dal capitalismo. La fondazione destò però i sospetti e l’opposizione dei ceti conservatori. Ai contrasti e alle accuse degli ambienti esterni si aggiunsero pure le difficoltà interne di carattere economico e amministrativo. Nel 1957, le autorità vaticane del Santo Uffizio invitarono il fondatore ad allontanarsi da N., che fu dissolta dall’autorità civile. Pur di poter continuare la sua attività, don Zeno chiese e ottenne la «riduzione allo stato laicale» (1953), e con un gruppo rimastogli fedele, fondò una nuova comunità, con lo stesso nome di N., nella tenuta Rossellana di Grosseto, organizzandola secondo il sistema dei «gruppi famigliari», costituitisi nel 1961 come «libera associazione civile». Nel 1981 i nuclei familiari della comunità erano 81. Questi, dopo la morte del fondatore, chiamarono come guida don Ennio Tardini. Nel 1962 don Zeno, riammesso alle sue funzioni sacerdotali, era stato nominato parroco di N.

3. Il significato pedagogico di N. va visto nel contesto della proposta di rigenerare la società attraverso la solidarietà universale voluta dal Vangelo. Dalle poche pagine scritte da don Zeno, e soprattutto dalla sua esperienza educativa, emergono principi e orientamenti vigorosi: primato dell’amore e della fiducia nei giovani, collocati «sulle vie della libertà»; centralità della famiglia aperta e del clima familiare nell’ambiente educativo. L’impostazione di N. risponde alla convinzione che si impara attraverso la vita, e la vita nella comunità-famiglia è l’unica scuola in cui si impara a essere liberi dai condizionamenti di una società ingiusta per poter assumere l’impegno di farla solidale e giusta.

Bibliografia

Saltini Z.,​​ N. è una proposta,​​ Grosseto, Nomadelfia, 1965; Belotti G.,​​ La comunità familiare di N.,​​ Roma, LAS, 1976; Bogliancini R. G.,​​ N. Una comunità educante,​​ Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1980;​​ Costituzione della popolazione di N., Nomadelfia, [s.e.], 1995.​​ 

A. García-Verdugo




NON DIRETTIVITÀ

 

NON-DIRETTIVITÀ

Criterio educativo mirante a valorizzare la capacità di autodirezione del soggetto ed anche orientamento pedagogico, affermatosi soprattutto negli anni ’60 e ’70, connesso con le concezioni antiautoritarie e con la​​ ​​ pedagogia istituzionale.

1.​​ Collocazioni. In quanto criterio educativo, il principio della n.-d., che consiste, ricollegandosi idealmente al modello​​ dell’Emilio​​ di​​ ​​ Rousseau, nel sostenere che il soggetto possiede capacità di autoconduzione ed autoorientamento che non vengono utilizzate ed anzi represse ed atrofizzate dal tradizionale rapporto autoritario, circola ampiamente nella visione della scuola attiva, dove si esprime anche in concrete e specifiche realizzazioni (come il lavoro per gruppi, le cooperative scolastiche, l’autogoverno). In quanto orientamento pedagogico, esso trova la sua formulazione più compiuta nel pensiero di​​ ​​ C. Rogers, che, dopo aver elaborato una originale concezione della terapia come relazione di aiuto centrata sul cliente, ne ha proposto una versione in chiave educativa, ripresa ed applicata soprattutto nella cultura francese, in cui la funzione dell’educatore e dell’insegnante consiste nel «facilitare», sulla base dei reali sentimenti di «empatia» e di «congruenza» che egli prova nei suoi confronti, i processi autonomi di sviluppo e di apprendimento del soggetto.

2.​​ Discussioni. Il punto di vista non direttivo, nelle sue varie espressioni e modulazioni, è stato sottoposto a numerose critiche, il cui nucleo centrale è costituito dalla chiusura di ogni valore e ogni significato nell’interno esclusivo del sentimento psicologicamente inteso, per cui viene a cadere la possibilità di ancorare il processo educativo a qualsiasi elemento di fondazione oggettiva (morale, storica, culturale, sociale). In sostanza, il modello originario della terapia finisce coll’invadere ogni altra ulteriore determinazione. Nello stesso tempo, non deve venire dimenticata, di contro, la funzione di richiamo nei confronti degli eccessi autoritaristici e conformistici e non devono essere sottostimati la valorizzazione delle potenzialità positive della persona e l’appello al principio relazionale dell’​​ ​​ empatia.

Bibliografia

Zavalloni R.,​​ La terapia non direttiva nell’educazione, Roma, Armando, 1971; Rogers C.,​​ Libertà nell’apprendimento, Firenze, Giunti-Barbera, 1973; Scurati C.,​​ N.-d., Brescia, La Scuola, 1976; Genco A.,​​ Educazione nuova e n.-d., Ibid., 1977; Bellingreri A.,​​ Per una pedagogia dell’empatia, Milano, Vita e Pensiero, 2005.

C. Scurati




NORMALITÀ

 

NORMALITÀ

1. Nel tentare di definire il concetto di n. ci si imbatte nella difficoltà di trovare una descrizione che sia condivisa dalla maggior parte degli studiosi. Esistono, infatti, notevoli divergenze nell’interpretare la n. che riflettono differenti prospettive. D’altra parte, quando si vuole intervenire per favorire il superamento di disturbi psicologici o per promuovere lo sviluppo della personalità, è necessario far riferimento a determinati parametri che permettono di analizzare, secondo il criterio della n., l’agire psichico dell’individuo consentendo di valutare tanto lo stato psichico attuale quanto lo stato psichico ideale al fine di comprendere verso quali obiettivi debba essere orientato l’intervento.

2. Offer e Sabshin (1974) nell’analizzare le diverse definizioni di n. tratte dalla letteratura clinica e dalle scienze umane e sociali, arrivano a sistematizzarle in quattro categorie, che riflettono quattro differenti prospettive nel concepire la n. Nella prima categoria rientrano le definizioni della n.​​ come salute.​​ La n., cioè, viene concettualizzata in negativo come assenza di malattia; lo stato psichico dell’individuo viene considerato normale quando, dall’esame clinico, non emergono sintomi di interesse psicopatologico (approccio medico-psichiatrico). Nella seconda categoria rientrano le definizioni della​​ n. come utopia.​​ La n. viene a coincidere con il funzionamento ideale o ottimale, di fatto non riscontrabile in realtà. I parametri di riferimento sono sviluppati sul modello di persone eccellenti che si distinguono per le loro qualità personali o in base al punto ideale o finale di promozione terapeutica (teoria psicoanalitica e teoria umanistica). Nella terza categoria rientrano le definizioni della​​ n. come media statistica.​​ La n. fa riferimento a ciò che statisticamente si colloca al centro di una distribuzione della curva normale; la persona, cioè, è considerata normale se, oltre all’assenza di sintomi patologici possiede caratteristiche tipiche di un soggetto medio del gruppo di appartenenza. Il concetto di n. è in questo caso intrinsecamente connesso al valore medio della distribuzione delle caratteristiche individuali del gruppo di riferimento (studi sociologici e comportamentisti). Nella quarta ed ultima categoria rientrano le definizioni della​​ n. come processo.​​ La n. è concepita come un processo che si svolge nel tempo. In tale interpretazione dinamica del concetto di n. assumono particolare rilievo i processi che garantiscono alla persona un funzionamento ottimale nel rapportarsi al mondo e nel gestire le diverse situazioni di vita (Erikson, 1959). Nonostante le diverse interpretazioni ed accezioni di n., nella cultura occidentale si possono registrare alcuni parametri comuni che consentono di stimare il funzionamento normale di un individuo. Tra questi: buona immagine di sé ed autostima positiva e realistica; capacità di stabilire e mantenere relazioni profonde e durevoli; presenza di motivi di crescita piuttosto che di motivi di deficienza; adattabilità, flessibilità e tolleranza allo stress; empatia e rispetto nei confronti degli altri; abilità di funzionamento psicologico (percezione, memoria, problem solving); buone strategie di coping; saldo senso della vita e dei valori.

Bibliografia

Erikson E. H.,​​ Identity and the life circle: psychological issues,​​ New York, International Universities Press, 1959; Offer D. - M. Sabshin,​​ Normality: theoretical and clinical concepts of mental health,​​ New York, Basic Books,​​ 21974; Kenneth Wing J.,​​ N. e dissenso: psichiatria,​​ psicoanalisi,​​ medicina,​​ società, Roma, Il Pensiero Scientifico, 1983; Denes G. - L. Pizzamiglio (Edd.),​​ Manuale di neuropsicologia: n. e patologia dei processi cognitivi, Bologna, Zanichelli, 1990; Fromm E.,​​ I cosiddetti sani: la patologia della n., Milano, Mondadori, 1996; Andreoli V.,​​ La fatica della n., in «Quaderni Italiani di Psichiatria» 20 (2001) 1, 25-35; Belardinelli S.,​​ La n. e l’eccezione: il ritorno della natura nella cultura contemporanea, Soveria Mannelli (CZ), Rubbettino, 2002; Liverta Sempio O. - A. Marchetti - F. Leccio (Edd.),​​ Teoria della mente: tra n. e patologia, Milano, Cortina, 2005.

A. R. Colasanti




NOSENGO Gesualdo

 

NOSENGO Gesualdo

n. a San Damiano (Asti) nel 1906 - m. a Roma nel 1968, educatore italiano.

1. Laureatosi in pedagogia a Milano nel 1934 presso l’Università Cattolica, insegnò per vent’anni religione nelle scuole statali e poi pedagogia religiosa al Pontificio Ateneo Urbaniano. Fondò nel 1944 e diresse fino alla morte l’Unione Cattolica Italiana degli Insegnanti Medi (UCIIM) e influì in modo incisivo sul rinnovamento della scuola in Italia.

2. Attuando nell’insegnamento della religione la lezione didattico-attivistica di M.​​ ​​ Casotti, con una serie di scritti, nati in gran parte dalla pratica della scuola tra il 1936 e il 1942, si affermò come il pioniere dell’introduzione dell’attivismo (​​ Scuole Nuove) nell’insegnamento religioso in Italia, integrandolo con l’insistenza sulla concentrazione dell’insegnamento della religione cattolica nella persona di Cristo, avviando l’alunno all’amicizia con Cristo, con metodi adatti alla sua età. Nel periodo romano studiò e scrisse sull’educazione religiosa dell’adolescente, documentando, con molte testimonianze, l’idea che le esperienze che il giovane fa di Dio sono molto importanti per il suo sviluppo religioso; l’educatore deve ridestarle, farvi riflettere sopra e fissarle nella memoria e nella storia personale del giovane. Si aprì con naturalezza ai nuovi indirizzi di​​ ​​ catechesi biblico-liturgica. Nel campo della pedagogia della scuola si impegnò intensamente nel lavoro delle riforme scolastiche e della formazione professionale e personale degli insegnanti, parlando e scrivendo estesamente sulla professionalità dell’insegnante, sulla scuola, sulla persona umana e l’educazione, con libri e numerosissimi articoli, particolarmente sui periodici da lui fondati e diretti: «La Scuola e l’Uomo», «Ricerche Didattiche», «Fede e Scuola». Pur con qualche limite, dovuto a carenze di approfondimento teologico o filosofico, la sua insistenza sulla vocazione dell’educatore, sull’adozione dei metodi attivi e sulla necessità di rivolgersi a tutta l’esperienza e la persona del giovane, fanno di lui un pioniere e un trascinatore nel movimento pedagogico-scolastico e in quello dell’educazione religiosa scolastica in Italia.

Bibliografia

Uciim,​​ G.N. (1906-1968),​​ Firenze, Le Monnier, 1969; Pagella M.,​​ G.N.,​​ una vita per la scuola,​​ Roma, UCIIM, 1969; Santonocito C.,​​ Pensiero educativo e pedagogico di G.N.,​​ Ibid., 1974; Ruta G.,​​ Il contributo di G.N. alla pedagogia religiosa in Italia,​​ in «Orientamenti Pedagogici» 40 (1993) 823-854; Id.,​​ Ricerca bibliografica sulle opere di G.N.,​​ in «Salesianum» 55 (1993) 751-775; Cavallotto G.,​​ Prima la persona: G.N.,​​ una vita al servizio dell’educazione,​​ Roma, Urbaniana University Press, 2000.

U. Gianetto




NOVIZIATO

 

NOVIZIATO

È la fase iniziale della​​ ​​ formazione consacrata intenzionale e sistematica.

1. La sua prassi accompagna l’intera storia della vita consacrata. Riguarda soggetti che hanno già maturato una chiara e forte opzione vocazionale e che ne chiedono sia la verifica, sia la maturazione verso la identità teologale, spirituale, comunitaria, missionaria apostolica e verso la appartenenza e la partecipazione qualificata, generale e particolare in un istituto o gruppo ecclesiale, secondo i carismi di fondazione e di tradizione e secondo l’attuale collocazione nella Chiesa e per il mondo. Dal punto di vista personale, il n. è l’esperienza educativa che corona l’apertura a Dio con la vocazione-missione nella Chiesa e nel mondo, secondo uno stile di vita caratterizzato da un impegno totale di povertà evangelica, di dedizione a Dio, di carità verso la condizione umana: come Abramo, Mosè, Maria, gli Apostoli, i discepoli e discepole di Cristo che ricercano prima di e sopra ogni cosa il Regno di Dio e la sua giustizia.

2. Il metodo educativo è originale: pratica essenziale delle forme della nuova scelta di vita; e, nel tempo stabilito di uno o due anni, sviluppo del piano formativo di istruzione, motivazione, interiorizzazione e integrazione crescente dei valori consacranti della carità perfetta, fino alla maturità per il segno-rito di professione o impegno analogo (temporanei nella regolazione canonica, ma permanenti nella intenzione teologica e spirituale). La maggiore età, oggi richiesta, e la accertata preparazione umana e cristiana, la decisione, la domanda accettata al termine di un cammino di prenoviziato, garantiscono l’attitudine al lavoro di formazione. Ne sono agenti la realtà di Chiesa e istituto, la comunità formatrice di n. con maestro / a, gruppo formatore, la vita comune e l’azione dialogante degli stessi novizi che insieme assimilano i nuovi valori. I ritmi del n. sono l’introduzione consapevole e partecipante, il tempo centrale di identificazione e formazione, la preparazione dell’atto conclusivo, l’avvio della fase di ulteriore formazione, base di una vita intera di fedeltà crescente e creatrice.

Bibliografia

Barea E.,​​ El noviciado. Directorio y plan formativo,​​ Madrid, Publicaciones Claretianas, 1993; Llanos M.,​​ Servire le vocazioni nella Chiesa. Pastorale vocazionale e pedagogia della vocazione, Roma, LAS, 2006.

P. Gianola




NOZIONISMO

 

NOZIONISMO

Il termine n. non va confuso con quello di​​ nozione​​ (dal lat.​​ notio,​​ deriv. da​​ noscere,​​ conoscere) che designa l’elemento di qualunque contenuto del sapere, per cui viene usato come sinonimo di concetto, idea la cui assimilazione è la base indispensabile di ogni conoscenza più ampia ed elaborata.

1. Il n., invece, è da intendere come tendenza didattica che favorisce il formarsi di una cultura basata su nozioni soltanto mnemoniche, sia misurando il valore intellettuale con l’accumulazione e memorizzazione delle nozioni, sia ponendo l’accento esclusivo sull’informazione – pericolo in crescita nella nostra infosocietà –, e di conseguenza utilizzando principalmente, per non dire esclusivamente, la​​ ​​ lezione intesa come tecnica di trasmissione di nozioni fatte apprendere atomisticamente. In questo modo il n. trasforma la nozione da strumento necessario (ma non sufficiente) in fine dell’apprendimento, della cultura e dell’educazione.

2. In tale tendenza si è ben lungi dal concepire l’alunno come agente principale del suo apprendimento e l’apprendimento come conquista personale dello stesso. Per essa è importante adeguare l’alunno al programma anziché il programma all’alunno. In realtà anche lo stesso programma viene concepito in modo astratto, centrato sull’oggetto della conoscenza, ancorato al passato statico senza tener presenti le esigenze formative dell’alunno che viene ritenuto una tabula rasa da riempire di nozioni.

3. Per il n. l’insegnamento non può essere che verbale, collettivo, libresco, spesso e facilmente impositivo, riducendosi tutto a travaso di notizie, senza favorire quindi un’elaborazione personale e critica da parte dell’alunno, rendendo l’apprendimento staccato dalla vita, riducendolo alla memoria di formule già fatte e non prodotte dall’allievo stesso. Per il n. scompare praticamente la libertà, la vera attività dell’alunno. Il n., perciò, facilmente può portare alla passività, alla ricezione meccanica, all’intellettualismo, all’​​ ​​ individualismo, al culto dei bei concetti, all’erudizione, allo studio fine a se stesso, al dogmatismo, da una parte, e all’autoritarismo, all’​​ ​​ adultismo dall’altra, ragion per cui la scuola impropriamente detta «tradizionale» è stata fortemente criticata di pedantismo. Oggi con la sottolineatura dell’unitarietà e organicità del sapere (​​ interdisciplinarità) e del metodo di studio e di ricerca, così pure con gli studi dell’apprendimento scolastico, il n. dovrebbe essere debellato anche dalla prassi.

Bibliografia

Volpicelli L. (Ed.),​​ Lessico delle scienze dell’educazione,​​ vol. 2, Firenze, Vallardi, 1978, 772 (voci: «Nozione»; «N.»); Ausubel D. P.,​​ Educazione e processi cognitivi: guida psicologica per gli insegnanti, Milano, Angeli, 1978; Novak J.,​​ L’apprendimento significativo. Le mappe concettuali per creare e usare la conoscenza, Trento, Erickson, 2001.

H.-C. A. Chang​​