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NEOUMANESIMO PEDAGOGICO

 

NEOUMANESIMO PEDAGOGICO

Orientamento culturale e pedagogico ted. fiorito fra la fine del XVIII e la prima metà del XIX sec. incentrato sull’idea del primato formativo della cultura classica in quanto espressione ideale insuperata di umanità.​​ 

1.​​ Contenuti.​​ Il n. presenta diverse componenti e comprende nel suo seno differenti autori di grande importanza e significatività – Lessing, Goethe, Herder, Schiller, von Humboldt, Schleiermacher, Wolff – , che appaiono tutti, sia pur nella varietà dei loro contributi e dei loro apporti, tesi ad affermare, di contro al predominio dell’​​ ​​ Illuminismo razionalistico di stampo francese, una nuova idea di​​ ​​ Umanesimo e, conseguentemente, un nuovo principio formativo. Dall’impianto illuministico viene ripreso il principio dell’universale, ma esso viene sottratto all’equivalenza con una astratta razionalità di tipo scientifico-concettuale per essere coniugato con le istanze dell’immediatezza individuale e storica. Nasce, in questo modo, l’idea dell’universale-concreto, e quindi della possibilità di ritrovare in una espressione ben individualizzata ed esistente di attività (identificata, a seconda dei vari autori, nella poesia, nel​​ ​​ gioco, nella storia, nella religione) o di civiltà (idealtipica la grecità classica) le «forme» assolute nelle quali l’umanità ha impresso la sua caratteristica impronta. Esistono, quindi, delle forme originarie ideali che, attraverso la formazione (Bildung),​​ devono essere riproposte per divenire il fondamento educativo del nuovo umanesimo. Sul piano metodologico, il n. presenta due fondamentali diramazioni: la prima si muove in direzione soprattutto storica ed estetica, mentre la seconda, che ispirerà le riforme degli studi liceali ed universitari pressoché in tutto l’Occidente, segue un orientamento di tipo filologico-letterario. In sostanza, con una pedagogia degli «ideali» da conquistare convive una pedagogia dei «modelli» da imitare, che, sul piano scolastico, ha finito col prevalere.

2.​​ Riprese e limiti.​​ Nel nostro sec. le più dirette riprese delle posizioni del n. si sono avute in Germania attraverso la riproposizione della​​ ​​ paideia greca come ideale pedagogico ed in Italia nel quadro dell’idealismo assoluto gentiliano, che ha sostanzialmente mutuato dalla tradizione humboldtiana l’assetto del sistema dell’istruzione nazionale. Connessioni con la mentalità neoumanistica si possono trovare anche nelle formulazioni essenzialistiche della pedagogia americana (v. ad es. il Progetto Paideia). Il nodo critico fondamentale è costituito dalla difficoltà di sciogliere le esigenze del n. in una visione realmente universale in senso democratico e popolare dello sviluppo. Ugualmente cruciale è l’analisi delle derive che lo hanno portato a sfociare in alterazioni di carattere nazionalistico e statalistico contrarie, alla fin fine, agli stessi assunti di partenza.

Bibliografia

Blättner F.,​​ Storia della pedagogia moderna e contemporanea,​​ Roma, Armando, 1961, 183-196; Leser H.,​​ Il problema pedagogico,​​ voll. III (388-576) e IV, Firenze, La Nuova Italia, 1965; De Pascale C. (Ed.),​​ Il problema dell’educazione in Germania: dal n. al Romanticismo,​​ Torino, Loescher, 1979; Adler M. J.,​​ Il​​ progetto Paideia,​​ Roma, Armando, 1985; Gennari M.,​​ Storia della Bildung, Brescia, La Scuola, 1995.

C. Scurati




NEUROSCIENZE

 

NEUROSCIENZE

Le n. (neurofisiologia, neuroanatomia e neurobiologia) sono lo studio scientifico del sistema nervoso. Loro compito è descrivere il cervello e il suo funzionamento in condizioni normali; determinare come il sistema nervoso si sviluppa, matura e si mantiene e trovare le strategie per prevenire e curare le patologie e i disordini neurologici che lo possono colpire. La ricerca di frontiera nel campo delle n. va dallo studio e utilizzo delle cellule staminali per riparare il tessuto nervoso danneggiato alla visualizzazione del cervello «in vivo» per comprendere dove e come esso svolga le funzioni vitali cui è preposto ed eserciti le capacità cognitive e intellettive che lo caratterizzano. Negli anni ’70 si sono ottenute le prime immagini anatomiche del cervello umano grazie alla TAC o tomografia assiale computerizzata; negli anni ’80 è stata utilizzata la RMN o risonanza magnetica nucleare; negli anni ’90 si sono sviluppati i modelli realistici per identificare le sedi precise dell’attività elettrica del cervello rilevata mediante elettroencefalografia (EEG). Le attuali frontiere delle n. sono rappresentate dalla conoscenza precisa di quali regioni corticocerebrali sono responsabili di singole funzioni motorie, sensitive e cognitive e dallo sviluppo di strategie efficaci mirate al recupero e alla riabilitazione delle funzioni perse. Alcuni scienziati considerano la scoperta dei neuroni specchio una delle più importanti delle n. negli ultimi dieci anni. I metodi delle n. dialogano con le scienze cognitive e con la filosofia della mente generando il campo delle n. cognitive che interessano più da vicino il campo dell’educazione.​​ 

Bibliografia

Kandel E. R. - J. H. Schwartz - T. M. Jessell,​​ Fondamenti delle n. e del comportamento, Milano, CEA, 1999; Bear M. F. - B. W. Connors - M. A. Paradiso,​​ N. Esplorando il cervello, Milano, Masson, 2002; Rizzolatti G. - C. Sinigaglia,​​ So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio,​​ Milano, Cortina, 2006.​​ 

C. Cangià




NEVROSI

 

NEVROSI

Disturbo psichico i cui sintomi simboleggiano un conflitto inconscio tra le varie istanze della personalità (Es,​​ Io​​ e​​ Super-Io).​​ Esso affonda le sue radici nelle vicende dei primi anni di vita e costituisce un compromesso non riuscito tra le pulsioni rimosse e la difesa nei loro confronti. Generalmente tale disturbo è ego-distonico: l’individuo vorrebbe disfarsi dei sintomi di esso, perché fonte di sofferenza.

1.​​ Considerazioni generali.​​ Il termine n. è stato introdotto da W. Cullen (1710-1790) verso la fine del XVIII sec. I primi studi sistematici sulle n. risalgono alla seconda metà dell’Ottocento per opera di​​ ​​ Charcot e continuati poi da P. Janet (1859-1947). Ma i contributi più significativi al riguardo sono senz’altro quelli di S.​​ ​​ Freud. Nel 1895, in collaborazione con J. Breuer (1842-1925), egli pubblica​​ Studi sull’isteria e altri scritti.​​ Inizialmente Freud pone una distinzione tra​​ n. attuali,​​ la cui eziologia è fatta risalire ad una disfunzione somatica della sessualità del momento presente, e​​ psiconevrosi,​​ in cui viene invece indicata come avente un ruolo fondamentale l’esistenza di un conflitto psichico prevalentemente inconscio e basato sulle vicende della prima infanzia. Queste ultime comprendono la n. isterica, la n. fobica e la n. ossessiva. Sebbene Freud non abbia mai abbandonato del tutto il concetto di​​ n. attuale,​​ oggi questo termine è pressoché scomparso dalla nosografia, dal momento che, pur riconoscendo l’importanza dei fattori presenti, questi sono comunque da considerarsi dei semplici elementi scatenanti e non invece delle cause, che vanno ricercate nel vissuto passato dell’individuo. In linea generale, Freud colloca la genesi della n. nel conflitto edipico non risolto e nella conseguente ansia di castrazione. a) Oltre alle tre n. classiche citate di cui si dirà a parte, sono da segnalare i seguenti tipi: 1) La​​ n. d’​​ ​​ ansia.​​ Essa è caratterizzata da un’ansia dominante e diffusa e cioè non diretta ad alcun oggetto o ad alcuna situazione specifica. L’individuo si dimostra estremamente pessimista, ricorre ad una vigilanza esagerata e appare sempre affaticato. Freud inizialmente la considerava una​​ n. attuale​​ e la riteneva una conseguenza di comportamenti sessuali, che tendevano a bloccare la scarica adeguata dell’eccitazione sessuale. 2) La​​ n. da successo.​​ L’individuo di fronte al successo si sente in colpa di avere eliminato il padre e quindi inconsciamente si autopunisce soccombendo alla sua stessa riuscita. 3) La​​ n. depressiva​​ (​​ depressione). 4) La​​ n. di carattere.​​ Essa comporta l’assenza dei sintomi classici (angoscia, isteria, fobia, ossessione). Il conflitto intrapsichico è invece rappresentato da tratti del carattere. Tale n. è​​ ego-sintonica​​ e cioè appare evidente all’osservatore esterno, ma non al soggetto interessato, che anzi la nega. In altri termini, l’individuo avverte il suo comportamento come congeniale a sé e quindi lo difende soprattutto attraverso il meccanismo della razionalizzazione. 5) La​​ n. di destino.​​ E determinata dal ripetersi periodicamente di eventi tra loro concatenati e generalmente sfortunati, per cui l’individuo è convinto di essere in balia del destino. In realtà le cause vanno ricercate a livello inconscio e più precisamente nel meccanismo della coazione a ripetere. 6) La​​ n. di transfert.​​ Riguarda la ripetizione da parte del paziente delle modalità nevrotiche infantili nei confronti dello psicoterapeuta nell’ambito del setting analitico. 7) La​​ n. d’organo.​​ Si riferisce ad un conflitto psichico che si manifesta attraverso il cattivo funzionamento di un organo o di un sistema organico. Oggi per indicare tale disturbo si preferisce usare il termine​​ malattia psicosomatica.​​ 8) La​​ n. infantile.​​ Essa è stata particolarmente messa a fuoco da Freud nei casi clinici del​​ Piccolo Hans​​ del 1909 e dell’Uomo dei lupi​​ del 1918. Dall’analisi dei testi freudiani risulta che il termine​​ n. infantile​​ assume un duplice significato: un momento dell’evoluzione psichica, in cui il bambino vive un conflitto espresso o no da sintomi simili a quelli propri di una n. strutturata; uno stato psichico disturbato, espresso da una serie di sintomi che rivelano un’organizzazione conflittuale interiorizzata. In questo secondo caso l’eziologia, secondo Freud, è da ricercarsi nel conflitto edipico non risolto. L’individuo usa i​​ ​​ meccanismi di difesa della fissazione e / o della regressione; inoltre denuncia un Io debole nei confronti sia delle pulsioni che della realtà esterna e sperimenta stati di angoscia. Relativamente alla prima accezione, Freud si riferisce ad una situazione che potremmo denominare​​ conflitto di sviluppo.​​ Esso è considerato come inevitabile in quanto fa parte della crescita normale del bambino. Tale inevitabilità è sottolineata nel saggio​​ Inibizione,​​ sintomo e angoscia​​ del 1925 e ciò a causa di tre fattori tra loro interrelati:​​ biologico​​ (l’individuo sperimenta inizialmente un periodo molto ampio d’impotenza, di dipendenza e di bisogno di aiuto);​​ filogenetico​​ (l’individuo, come la specie, vive uno sviluppo bifasico della sessualità);​​ psicologico​​ (l’individuo ha inizialmente un apparato psichico imperfetto, per cui l’Io vive le pulsioni interne come pericolose). 9) La​​ n. narcisistica.​​ È caratterizzata dal ritiro della libido sull’Io e si oppone alla n. di transfert. 10) La​​ n. traumatica.​​ È dovuta all’esperienza reale di gravi traumi fisici o psichici ed è stata studiata soprattutto in connessione con le vittime della guerra. Essa può essere acuta, ritardata o cronica e comporta la riesperienza ripetitiva dell’evento traumatico, una diminuzione della reattività, uno scarso coinvolgimento con la realtà esterna, una forte insicurezza ed uno stato disforico. Nel momento in cui il trauma viene rivissuto, l’individuo appare irritabile, socialmente isolato e talvolta distruttivo. Una caratteristica tipica di tale n. è la comparsa di sogni ripetitivi, in cui il trauma viene rivissuto. Ciò è motivo di paura di sognare che provoca come conseguenza l’insonnia. b) Mentre nell’ambito psicoanalitico si mantiene sostanzialmente la terminologia sopraccennata, in campo psichiatrico sono in atto dei mutamenti. Ad es., il DSM-IV-R (1994), pur accogliendo la nosologia tradizionale delle n., propone una diversa denominazione. Più precisamente al posto del termine n. viene preferito quello di​​ disturbo.

2.​​ N. isterica.​​ Disturbo nevrotico in cui il conflitto psichico è rappresentato da sintomi sensoriali o motori senza una base anatomica individuabile (isteria di conversione)​​ o da intense manifestazioni ideative ed emotive (isteria d’angoscia).​​ Il termine​​ isteria​​ deriva dal gr.​​ hysteron​​ (utero), poiché la medicina ippocratica faceva risalire i sintomi propri di tale patologia ad una disfunzione dell’utero e pertanto si riteneva che fosse un disturbo esclusivamente femminile. Rispetto ad un secolo fa, oggi l’isteria sembra pressoché scomparsa. Di fatto è però semplicemente cambiato il modo di manifestarsi del conflitto sottostante e cioè il medesimo disagio è ora rappresentato attraverso sintomi depressivi o psicosomatici. S. Freud vede nell’isteria il prototipo della n. Si distinguono due tipi di isteria: 1)​​ Isteria di conversione.​​ Ricorrendo al meccanismo difensivo dello spostamento, l’individuo tenta di dominare il conflitto psichico attraverso sintomi somatici motori (paralisi, afonia, singhiozzo, tics, ecc.) o sensoriali (anestesie, perdita dell’udito, disturbi visivi, ecc.). Ciò che viene alterato è una funzione del corpo o in eccesso (es. tachicardia) o in difetto (es. paralisi), mentre gli organi perturbati rimangono integri. 2)​​ Isteria d’angoscia.​​ Essendo l’apparato difensivo della rimozione piuttosto debole, il tentativo di evitare il conflitto riesce solo in parte, per cui l’individuo si sente travolto da una profonda angoscia, che tende poi a trasformarsi in manifestazioni fobiche. Il conflitto psichico di cui soffre l’isterico è determinato dal fatto che l’oggetto d’investimento emotivo è allo stesso tempo desiderato e temuto, dal momento che esso è a connotazione edipica e quindi a contenuto incestuoso. Per cui, al fine di potere in qualche modo mantenere il rapporto con l’oggetto, si ricorre all’esibizione dei sintomi di​​ conversione somatica​​ o di​​ angoscia,​​ come mezzo per attirare l’attenzione. La tipica difficoltà dell’isterico a gestire le emozioni dipende dal fatto che alla base c’è una posizione libidica di tipo orale-fallico, dovuta al fallimento della fase anale, che impedisce un adeguato ancoraggio ed una congrua canalizzazione delle pulsioni primarie. È difficile riscontrare una vera e propria isteria nell’infanzia. Più che altro esiste un isterismo che si può definire​​ fisiologico.​​ Normalmente l’isteria di conversione tende a comparire verso la fine dell’età di latenza. Nell’età adolescenziale, data la particolare situazione conflittuale che il soggetto vive, è possibile rilevare manifestazioni isteriche.

3.​​ N. fobica.​​ Una seconda n. è quella fobica (dal gr.​​ phóbos:​​ terrore, panico). Essa può essere intesa come paura irrazionale, abnorme, carica di angoscia, nei confronti di oggetti, attività o situazioni, anche se obiettivamente non pericolosi. Ciò comporta un impellente bisogno di evitamento. Manifestazioni tipiche presenti in ogni fobia sono: angoscia cosciente ed intensa fino al terrore, reazioni neurovegetative (tremori, rossori, pallori, sudorazione, aumento della frequenza respiratoria, ecc.), inibizione dell’attività, scarsa concentrazione del pensiero fino all’inibizione intellettuale, instabilità psicomotoria. A seconda degli oggetti, delle attività o delle situazioni, le fobie vengono diversamente denominate. Ad es.: la paura degli animali (zoofobia); la paura di muoversi in ambienti aperti (agorafobia); la paura di arrossire (ereutofobia). Mentre nel passato era vista come una forma d’isteria, ora la fobia viene collegata alla n. ossessiva. S. Freud colloca la genesi della fobia nella fase del conflitto edipico. Come ogni altro sintomo nevrotico, la fobia rappresenta un compromesso tra le varie istanze (Es,​​ Io​​ e​​ Super-Io)​​ della personalità. I meccanismi di difesa usati dal fobico sono la rimozione non del tutto riuscita delle pulsioni (libidiche o aggressive), la proiezione di tali pulsioni all’esterno, lo spostamento dall’oggetto originario ad un altro e l’evitamento di oggetti, di attività e di situazioni che rappresentano a livello simbolico le pulsioni rimosse. Un esempio classico dell’uso di tutti questi meccanismi difensivi è dato dal​​ Caso clinico del piccolo Hans​​ (S. Freud, 1909). Con il termine​​ controfobia​​ s’intende un atteggiamento, per cui l’individuo affronta con piacere oggetti o situazioni che sono consciamente o inconsciamente temuti. Spesso tali oggetti o situazioni sono di per sé pericolosi e sono abitualmente motivo di angoscia per le persone «normali». La controfobia non è altro che una difesa maniacale attraverso cui l’individuo, superando l’angoscia, persegue il soddisfacimento di un bisogno di onnipotenza.

4.​​ N. ossessiva.​​ È un tipo di n. che si manifesta con sintomi o prevalentemente ossessivi o prevalentemente coatti. Per questo motivo viene denominata anche n. ossessivo-coatta. L’ossessione​​ (dal lat.​​ obsidere:​​ assediare) riguarda un’idea, un desiderio, un dubbio, una proibizione, un comando o un’immagine che s’intromettono in maniera imperativa nella coscienza. Il contenuto ossessivo interferisce nell’apprendimento, nella memoria, nella capacità di concentrazione. La​​ coazione​​ (dal lat.​​ cogere:​​ costringere) riguarda invece un’azione o una serie di azioni ripetitive ed incoercibili. Essa ha caratteri simili all’ossessione, ma in più comporta il passaggio all’azione, come, ad es., il toccare, il lavarsi le mani, il contare, il pronunciare determinate parole, ecc. Nella n. ossessivo-coatta si nota un alternarsi di azioni e contro-azioni, di tentativi di soddisfare le pulsioni e bisogni di negazione di esse, dove l’individuo non è mai certo che i meccanismi di difesa messi in atto hanno funzionato in modo corretto. Secondo S. Freud la causa della n. ossessivo-coatta va ricercata nell’eccessiva stimolazione dell’​​ ​​ aggressività, verificatasi nella fase sadico-anale, nei confronti degli oggetti d’amore, conseguentemente vissuti in modo ambivalente, e nella prematura e rapida maturazione dell’Io e della contemporanea emersione di un Super-Io particolarmente crudele e colpevolizzante, il tutto come conseguenza di situazioni stressanti, a cui il bambino viene precocemente esposto. I meccanismi di difesa maggiormente usati nella n. ossessiva sono: la formazione reattiva, la regressione, l’isolamento, l’intellettualizzazione, lo spostamento e l’annullamento retroattivo.

Bibliografia

Breuer J. - S. Freud, «Studi sull’isteria», in S. Freud,​​ Opere,​​ vol. 1, Torino, Bollati Boringhieri, 1967, 171-439; Freud S., «Analisi della fobia di un bambino di cinque anni (Caso clinico del piccolo Hans)», in​​ Opere,​​ vol. 5, Ibid., 1972, 481-589; Id., «La disposizione alla n. ossessiva. Contributo al problema della scelta della n.», in​​ Opere,​​ vol. 7, Torino, Bollati Boringhieri, 1975, 235-244; Id., «Dalla storia di una n. infantile (Caso clinico dell’uomo dei lupi)», in​​ Opere,​​ vol. 7, Ibid., 1975, 487-593; Freud A., «N. ossessiva: riepilogo delle concezioni psicoanalitiche», in​​ Opere,​​ vol. 3, Ibid., 1979, 935-949; Adams P. L.,​​ Le ossessioni nei bambini,​​ Ibid., 1980; Battistini A. (Ed.),​​ Le n. infantili,​​ Ibid., 1983;​​ Israel L.,​​ L’hystérique,​​ le sexe et le médecin,​​ Paris, Masson, 1976;​​ Sacerdoti G., «Isteria», in A. A. Semi (Ed.),​​ Trattato di psicoanalisi,​​ vol. 2, Milano, Cortina, 1989, 123-150;​​ Encore l’hystérie,​​ in «Revue Française de Psychanalyse»​​ (1986) 3 (n. speciale); Spacal S., «La n. ossessiva», in A. A. Semi (Ed.),​​ Trattato di psicoanalisi,​​ vol. 2, Milano, Cortina, 1989, 217-254; Amati Mehler J., «Fobie», in Id.,​​ Trattato di psicoanalisi,​​ vol. 2, Ibid., 1989, 151-216; Castellazzi V. L.,​​ Psicopatologia dell’infanzia e dell’adolescenza: le n., Roma, LAS, 2000.

V. L. Castellazzi




NICHILISMO E EDUCAZIONE

 

NICHILISMO E EDUCAZIONE

Tra le molte e contrastanti accezioni del termine​​ n., due sono quelle che, in direzione opposta, riguardano direttamente il problema dell’educazione. Da una parte quella, per lo più in voga nelle forme del discorso comune, secondo la quale il​​ n., in quanto indifferenza pratica nei confronti di qualsiasi valore, non è che la negazione, individuale e sociale, di qualunque possibilità educativa. Viceversa, sotto un diverso e ben più complesso punto di vista storiografico, per​​ n.​​ s’intende, a partire da Nietzsche, la critica filosofica più radicale del pensiero moderno e della sua tradizione metafisica. Secondo tale prospettiva esso designa non già una dottrina peculiare, quanto piuttosto il termine interpretativo della situazione storica propria dell’uomo contemporaneo. Un termine che, includendo la​​ negatività radicale​​ nella struttura fondamentale dell’esistenza, sembra dettare anche un compito eminentemente pedagogico: educare l’uomo contro il proprio tempo, in vista di un​​ oltrepassamento​​ dei valori correnti. O verso la direzione​​ estetica​​ del​​ desiderio. O verso quella​​ etica​​ dell’autenticità esistenziale. In quest’ultimo senso l’educazione sembra consistere nella tragicità del contrasto tra il soggetto e il mondo che lo circonda. Tragicità che, contro gli usuali sentimenti di valore, finirebbe per coincidere, tuttavia, con l’elemento profetico di un nuovo comando morale: diventare ciò che si è.​​ 

Bibliografia

Penzo G.,​​ Il n. Da Nietzsche a Sartre, Roma, Città Nuova, 1976 (con antologia); Caracciolo A.,​​ Pensiero contemporaneo e n., Napoli, Guida, 1976; Volpi F.,​​ Il n., Roma / Bari, Laterza, 1996 (con bibliografia); Löwith K.,​​ Il n. europeo​​ (1939), Ibid., 1999; Erbetta A.,​​ Pedagogia e n.​​ Cinque capitoli di filosofia dell’educazione, Torino, Tirrenia Stampatori, 2007 (con bibliografia).​​ 

A. Erbetta




NOMADELFIA

 

NOMADELFIA

Comunità educativa familiare di orientamento cristiano fondata da don Zeno Saltini (1900-1981) nel 1947. Il nome N. (dal gr.​​ nómos,​​ legge, e​​ adelfós,​​ fratello) esprime i tratti fondamentali dell’opera: un luogo «dove è legge la fratellanza».

1. Nato in una famiglia contadina, Zeno Saltini sentì molto presto l’urgenza di un rinnovamento della società nello spirito del Vangelo. Giovane studente, si impegnò nel ricupero di giovani delinquenti, creando per loro l’Opera Realina (1924-1927); conseguito il dottorato in diritto (1929), e ordinato sacerdote (1931) diede vita all’opera dei Piccoli Apostoli per l’accoglienza di ragazzi abbandonati (S. Giacomo Roncole), trasferitasi nel 1947 a Fossoli (Modena). Accanto alle giovani «mamme di vocazione», responsabili di piccoli gruppi di bambini, don Zeno chiamò a collaborare varie coppie di coniugi e alcuni sacerdoti. Il movimento apostolico-educativo si sviluppò con la creazione dell’Unione dei Padri di Famiglia. Il rifiuto della proposta di creare un «nuovo paese nel paese» (1946) mosse don Zeno a fondare N., nella cui​​ Costituzione​​ (1948) si stabiliva «come legge la fraternità cristiana vissuta sotto forma comunitaria».

2. Con il «Movimento della fraternità umana», don Zeno intendeva costruire una società radicalmente democratica e solidale come alternativa a quelle proposte dal comunismo e dal capitalismo. La fondazione destò però i sospetti e l’opposizione dei ceti conservatori. Ai contrasti e alle accuse degli ambienti esterni si aggiunsero pure le difficoltà interne di carattere economico e amministrativo. Nel 1957, le autorità vaticane del Santo Uffizio invitarono il fondatore ad allontanarsi da N., che fu dissolta dall’autorità civile. Pur di poter continuare la sua attività, don Zeno chiese e ottenne la «riduzione allo stato laicale» (1953), e con un gruppo rimastogli fedele, fondò una nuova comunità, con lo stesso nome di N., nella tenuta Rossellana di Grosseto, organizzandola secondo il sistema dei «gruppi famigliari», costituitisi nel 1961 come «libera associazione civile». Nel 1981 i nuclei familiari della comunità erano 81. Questi, dopo la morte del fondatore, chiamarono come guida don Ennio Tardini. Nel 1962 don Zeno, riammesso alle sue funzioni sacerdotali, era stato nominato parroco di N.

3. Il significato pedagogico di N. va visto nel contesto della proposta di rigenerare la società attraverso la solidarietà universale voluta dal Vangelo. Dalle poche pagine scritte da don Zeno, e soprattutto dalla sua esperienza educativa, emergono principi e orientamenti vigorosi: primato dell’amore e della fiducia nei giovani, collocati «sulle vie della libertà»; centralità della famiglia aperta e del clima familiare nell’ambiente educativo. L’impostazione di N. risponde alla convinzione che si impara attraverso la vita, e la vita nella comunità-famiglia è l’unica scuola in cui si impara a essere liberi dai condizionamenti di una società ingiusta per poter assumere l’impegno di farla solidale e giusta.

Bibliografia

Saltini Z.,​​ N. è una proposta,​​ Grosseto, Nomadelfia, 1965; Belotti G.,​​ La comunità familiare di N.,​​ Roma, LAS, 1976; Bogliancini R. G.,​​ N. Una comunità educante,​​ Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1980;​​ Costituzione della popolazione di N., Nomadelfia, [s.e.], 1995.​​ 

A. García-Verdugo




NON DIRETTIVITÀ

 

NON-DIRETTIVITÀ

Criterio educativo mirante a valorizzare la capacità di autodirezione del soggetto ed anche orientamento pedagogico, affermatosi soprattutto negli anni ’60 e ’70, connesso con le concezioni antiautoritarie e con la​​ ​​ pedagogia istituzionale.

1.​​ Collocazioni. In quanto criterio educativo, il principio della n.-d., che consiste, ricollegandosi idealmente al modello​​ dell’Emilio​​ di​​ ​​ Rousseau, nel sostenere che il soggetto possiede capacità di autoconduzione ed autoorientamento che non vengono utilizzate ed anzi represse ed atrofizzate dal tradizionale rapporto autoritario, circola ampiamente nella visione della scuola attiva, dove si esprime anche in concrete e specifiche realizzazioni (come il lavoro per gruppi, le cooperative scolastiche, l’autogoverno). In quanto orientamento pedagogico, esso trova la sua formulazione più compiuta nel pensiero di​​ ​​ C. Rogers, che, dopo aver elaborato una originale concezione della terapia come relazione di aiuto centrata sul cliente, ne ha proposto una versione in chiave educativa, ripresa ed applicata soprattutto nella cultura francese, in cui la funzione dell’educatore e dell’insegnante consiste nel «facilitare», sulla base dei reali sentimenti di «empatia» e di «congruenza» che egli prova nei suoi confronti, i processi autonomi di sviluppo e di apprendimento del soggetto.

2.​​ Discussioni. Il punto di vista non direttivo, nelle sue varie espressioni e modulazioni, è stato sottoposto a numerose critiche, il cui nucleo centrale è costituito dalla chiusura di ogni valore e ogni significato nell’interno esclusivo del sentimento psicologicamente inteso, per cui viene a cadere la possibilità di ancorare il processo educativo a qualsiasi elemento di fondazione oggettiva (morale, storica, culturale, sociale). In sostanza, il modello originario della terapia finisce coll’invadere ogni altra ulteriore determinazione. Nello stesso tempo, non deve venire dimenticata, di contro, la funzione di richiamo nei confronti degli eccessi autoritaristici e conformistici e non devono essere sottostimati la valorizzazione delle potenzialità positive della persona e l’appello al principio relazionale dell’​​ ​​ empatia.

Bibliografia

Zavalloni R.,​​ La terapia non direttiva nell’educazione, Roma, Armando, 1971; Rogers C.,​​ Libertà nell’apprendimento, Firenze, Giunti-Barbera, 1973; Scurati C.,​​ N.-d., Brescia, La Scuola, 1976; Genco A.,​​ Educazione nuova e n.-d., Ibid., 1977; Bellingreri A.,​​ Per una pedagogia dell’empatia, Milano, Vita e Pensiero, 2005.

C. Scurati




NORMALITÀ

 

NORMALITÀ

1. Nel tentare di definire il concetto di n. ci si imbatte nella difficoltà di trovare una descrizione che sia condivisa dalla maggior parte degli studiosi. Esistono, infatti, notevoli divergenze nell’interpretare la n. che riflettono differenti prospettive. D’altra parte, quando si vuole intervenire per favorire il superamento di disturbi psicologici o per promuovere lo sviluppo della personalità, è necessario far riferimento a determinati parametri che permettono di analizzare, secondo il criterio della n., l’agire psichico dell’individuo consentendo di valutare tanto lo stato psichico attuale quanto lo stato psichico ideale al fine di comprendere verso quali obiettivi debba essere orientato l’intervento.

2. Offer e Sabshin (1974) nell’analizzare le diverse definizioni di n. tratte dalla letteratura clinica e dalle scienze umane e sociali, arrivano a sistematizzarle in quattro categorie, che riflettono quattro differenti prospettive nel concepire la n. Nella prima categoria rientrano le definizioni della n.​​ come salute.​​ La n., cioè, viene concettualizzata in negativo come assenza di malattia; lo stato psichico dell’individuo viene considerato normale quando, dall’esame clinico, non emergono sintomi di interesse psicopatologico (approccio medico-psichiatrico). Nella seconda categoria rientrano le definizioni della​​ n. come utopia.​​ La n. viene a coincidere con il funzionamento ideale o ottimale, di fatto non riscontrabile in realtà. I parametri di riferimento sono sviluppati sul modello di persone eccellenti che si distinguono per le loro qualità personali o in base al punto ideale o finale di promozione terapeutica (teoria psicoanalitica e teoria umanistica). Nella terza categoria rientrano le definizioni della​​ n. come media statistica.​​ La n. fa riferimento a ciò che statisticamente si colloca al centro di una distribuzione della curva normale; la persona, cioè, è considerata normale se, oltre all’assenza di sintomi patologici possiede caratteristiche tipiche di un soggetto medio del gruppo di appartenenza. Il concetto di n. è in questo caso intrinsecamente connesso al valore medio della distribuzione delle caratteristiche individuali del gruppo di riferimento (studi sociologici e comportamentisti). Nella quarta ed ultima categoria rientrano le definizioni della​​ n. come processo.​​ La n. è concepita come un processo che si svolge nel tempo. In tale interpretazione dinamica del concetto di n. assumono particolare rilievo i processi che garantiscono alla persona un funzionamento ottimale nel rapportarsi al mondo e nel gestire le diverse situazioni di vita (Erikson, 1959). Nonostante le diverse interpretazioni ed accezioni di n., nella cultura occidentale si possono registrare alcuni parametri comuni che consentono di stimare il funzionamento normale di un individuo. Tra questi: buona immagine di sé ed autostima positiva e realistica; capacità di stabilire e mantenere relazioni profonde e durevoli; presenza di motivi di crescita piuttosto che di motivi di deficienza; adattabilità, flessibilità e tolleranza allo stress; empatia e rispetto nei confronti degli altri; abilità di funzionamento psicologico (percezione, memoria, problem solving); buone strategie di coping; saldo senso della vita e dei valori.

Bibliografia

Erikson E. H.,​​ Identity and the life circle: psychological issues,​​ New York, International Universities Press, 1959; Offer D. - M. Sabshin,​​ Normality: theoretical and clinical concepts of mental health,​​ New York, Basic Books,​​ 21974; Kenneth Wing J.,​​ N. e dissenso: psichiatria,​​ psicoanalisi,​​ medicina,​​ società, Roma, Il Pensiero Scientifico, 1983; Denes G. - L. Pizzamiglio (Edd.),​​ Manuale di neuropsicologia: n. e patologia dei processi cognitivi, Bologna, Zanichelli, 1990; Fromm E.,​​ I cosiddetti sani: la patologia della n., Milano, Mondadori, 1996; Andreoli V.,​​ La fatica della n., in «Quaderni Italiani di Psichiatria» 20 (2001) 1, 25-35; Belardinelli S.,​​ La n. e l’eccezione: il ritorno della natura nella cultura contemporanea, Soveria Mannelli (CZ), Rubbettino, 2002; Liverta Sempio O. - A. Marchetti - F. Leccio (Edd.),​​ Teoria della mente: tra n. e patologia, Milano, Cortina, 2005.

A. R. Colasanti




NOSENGO Gesualdo

 

NOSENGO Gesualdo

n. a San Damiano (Asti) nel 1906 - m. a Roma nel 1968, educatore italiano.

1. Laureatosi in pedagogia a Milano nel 1934 presso l’Università Cattolica, insegnò per vent’anni religione nelle scuole statali e poi pedagogia religiosa al Pontificio Ateneo Urbaniano. Fondò nel 1944 e diresse fino alla morte l’Unione Cattolica Italiana degli Insegnanti Medi (UCIIM) e influì in modo incisivo sul rinnovamento della scuola in Italia.

2. Attuando nell’insegnamento della religione la lezione didattico-attivistica di M.​​ ​​ Casotti, con una serie di scritti, nati in gran parte dalla pratica della scuola tra il 1936 e il 1942, si affermò come il pioniere dell’introduzione dell’attivismo (​​ Scuole Nuove) nell’insegnamento religioso in Italia, integrandolo con l’insistenza sulla concentrazione dell’insegnamento della religione cattolica nella persona di Cristo, avviando l’alunno all’amicizia con Cristo, con metodi adatti alla sua età. Nel periodo romano studiò e scrisse sull’educazione religiosa dell’adolescente, documentando, con molte testimonianze, l’idea che le esperienze che il giovane fa di Dio sono molto importanti per il suo sviluppo religioso; l’educatore deve ridestarle, farvi riflettere sopra e fissarle nella memoria e nella storia personale del giovane. Si aprì con naturalezza ai nuovi indirizzi di​​ ​​ catechesi biblico-liturgica. Nel campo della pedagogia della scuola si impegnò intensamente nel lavoro delle riforme scolastiche e della formazione professionale e personale degli insegnanti, parlando e scrivendo estesamente sulla professionalità dell’insegnante, sulla scuola, sulla persona umana e l’educazione, con libri e numerosissimi articoli, particolarmente sui periodici da lui fondati e diretti: «La Scuola e l’Uomo», «Ricerche Didattiche», «Fede e Scuola». Pur con qualche limite, dovuto a carenze di approfondimento teologico o filosofico, la sua insistenza sulla vocazione dell’educatore, sull’adozione dei metodi attivi e sulla necessità di rivolgersi a tutta l’esperienza e la persona del giovane, fanno di lui un pioniere e un trascinatore nel movimento pedagogico-scolastico e in quello dell’educazione religiosa scolastica in Italia.

Bibliografia

Uciim,​​ G.N. (1906-1968),​​ Firenze, Le Monnier, 1969; Pagella M.,​​ G.N.,​​ una vita per la scuola,​​ Roma, UCIIM, 1969; Santonocito C.,​​ Pensiero educativo e pedagogico di G.N.,​​ Ibid., 1974; Ruta G.,​​ Il contributo di G.N. alla pedagogia religiosa in Italia,​​ in «Orientamenti Pedagogici» 40 (1993) 823-854; Id.,​​ Ricerca bibliografica sulle opere di G.N.,​​ in «Salesianum» 55 (1993) 751-775; Cavallotto G.,​​ Prima la persona: G.N.,​​ una vita al servizio dell’educazione,​​ Roma, Urbaniana University Press, 2000.

U. Gianetto




NOVIZIATO

 

NOVIZIATO

È la fase iniziale della​​ ​​ formazione consacrata intenzionale e sistematica.

1. La sua prassi accompagna l’intera storia della vita consacrata. Riguarda soggetti che hanno già maturato una chiara e forte opzione vocazionale e che ne chiedono sia la verifica, sia la maturazione verso la identità teologale, spirituale, comunitaria, missionaria apostolica e verso la appartenenza e la partecipazione qualificata, generale e particolare in un istituto o gruppo ecclesiale, secondo i carismi di fondazione e di tradizione e secondo l’attuale collocazione nella Chiesa e per il mondo. Dal punto di vista personale, il n. è l’esperienza educativa che corona l’apertura a Dio con la vocazione-missione nella Chiesa e nel mondo, secondo uno stile di vita caratterizzato da un impegno totale di povertà evangelica, di dedizione a Dio, di carità verso la condizione umana: come Abramo, Mosè, Maria, gli Apostoli, i discepoli e discepole di Cristo che ricercano prima di e sopra ogni cosa il Regno di Dio e la sua giustizia.

2. Il metodo educativo è originale: pratica essenziale delle forme della nuova scelta di vita; e, nel tempo stabilito di uno o due anni, sviluppo del piano formativo di istruzione, motivazione, interiorizzazione e integrazione crescente dei valori consacranti della carità perfetta, fino alla maturità per il segno-rito di professione o impegno analogo (temporanei nella regolazione canonica, ma permanenti nella intenzione teologica e spirituale). La maggiore età, oggi richiesta, e la accertata preparazione umana e cristiana, la decisione, la domanda accettata al termine di un cammino di prenoviziato, garantiscono l’attitudine al lavoro di formazione. Ne sono agenti la realtà di Chiesa e istituto, la comunità formatrice di n. con maestro / a, gruppo formatore, la vita comune e l’azione dialogante degli stessi novizi che insieme assimilano i nuovi valori. I ritmi del n. sono l’introduzione consapevole e partecipante, il tempo centrale di identificazione e formazione, la preparazione dell’atto conclusivo, l’avvio della fase di ulteriore formazione, base di una vita intera di fedeltà crescente e creatrice.

Bibliografia

Barea E.,​​ El noviciado. Directorio y plan formativo,​​ Madrid, Publicaciones Claretianas, 1993; Llanos M.,​​ Servire le vocazioni nella Chiesa. Pastorale vocazionale e pedagogia della vocazione, Roma, LAS, 2006.

P. Gianola




NOZIONISMO

 

NOZIONISMO

Il termine n. non va confuso con quello di​​ nozione​​ (dal lat.​​ notio,​​ deriv. da​​ noscere,​​ conoscere) che designa l’elemento di qualunque contenuto del sapere, per cui viene usato come sinonimo di concetto, idea la cui assimilazione è la base indispensabile di ogni conoscenza più ampia ed elaborata.

1. Il n., invece, è da intendere come tendenza didattica che favorisce il formarsi di una cultura basata su nozioni soltanto mnemoniche, sia misurando il valore intellettuale con l’accumulazione e memorizzazione delle nozioni, sia ponendo l’accento esclusivo sull’informazione – pericolo in crescita nella nostra infosocietà –, e di conseguenza utilizzando principalmente, per non dire esclusivamente, la​​ ​​ lezione intesa come tecnica di trasmissione di nozioni fatte apprendere atomisticamente. In questo modo il n. trasforma la nozione da strumento necessario (ma non sufficiente) in fine dell’apprendimento, della cultura e dell’educazione.

2. In tale tendenza si è ben lungi dal concepire l’alunno come agente principale del suo apprendimento e l’apprendimento come conquista personale dello stesso. Per essa è importante adeguare l’alunno al programma anziché il programma all’alunno. In realtà anche lo stesso programma viene concepito in modo astratto, centrato sull’oggetto della conoscenza, ancorato al passato statico senza tener presenti le esigenze formative dell’alunno che viene ritenuto una tabula rasa da riempire di nozioni.

3. Per il n. l’insegnamento non può essere che verbale, collettivo, libresco, spesso e facilmente impositivo, riducendosi tutto a travaso di notizie, senza favorire quindi un’elaborazione personale e critica da parte dell’alunno, rendendo l’apprendimento staccato dalla vita, riducendolo alla memoria di formule già fatte e non prodotte dall’allievo stesso. Per il n. scompare praticamente la libertà, la vera attività dell’alunno. Il n., perciò, facilmente può portare alla passività, alla ricezione meccanica, all’intellettualismo, all’​​ ​​ individualismo, al culto dei bei concetti, all’erudizione, allo studio fine a se stesso, al dogmatismo, da una parte, e all’autoritarismo, all’​​ ​​ adultismo dall’altra, ragion per cui la scuola impropriamente detta «tradizionale» è stata fortemente criticata di pedantismo. Oggi con la sottolineatura dell’unitarietà e organicità del sapere (​​ interdisciplinarità) e del metodo di studio e di ricerca, così pure con gli studi dell’apprendimento scolastico, il n. dovrebbe essere debellato anche dalla prassi.

Bibliografia

Volpicelli L. (Ed.),​​ Lessico delle scienze dell’educazione,​​ vol. 2, Firenze, Vallardi, 1978, 772 (voci: «Nozione»; «N.»); Ausubel D. P.,​​ Educazione e processi cognitivi: guida psicologica per gli insegnanti, Milano, Angeli, 1978; Novak J.,​​ L’apprendimento significativo. Le mappe concettuali per creare e usare la conoscenza, Trento, Erickson, 2001.

H.-C. A. Chang​​