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MORTE

 

MORTE

Il significato comune di tale termine è descritto in senso lato come cessazione delle funzioni vitali negli organismi viventi e, in senso stretto, come cessazione della vita personalizzata dell’individuo. Esso è comunque suscettibile di analogie e metafore, specialmente nell’ambito etico, psicologico, figurativo e poetico.

1.​​ La m. come fatto reale.​​ L’esperienza insegna che l’uomo è un essere mortale. La sua​​ ​​ vita umana ha una fine, per cui la presenza della m. è un «fatto reale» nell’esistenza di ogni uomo. Nonostante questa incontrovertibile verità, il passaggio da un umanesimo dell’essenza​​ ad un umanesimo dell’esistenza,​​ orientato dalla visione ottimistica di un mondo sempre più teso verso mete di progresso e di benessere, ha provocato nell’uomo moderno un preciso atteggiamento: egli ama passare sotto silenzio l’argomento della m. Essa sembra essere in contrasto con l’idea moderna di sviluppo. Da un punto di vista filosofico la m., in verità, ci appare con una certa ambiguità che genera ansia, paura, fuga, angoscia. Vista dal lato che rivolge verso di noi, la m. non toglie il velo, né il significato immanente alla vita contiene in sé abbastanza luce e forza per dirci se la m. è una seconda nascita o un aborto definitivo. Per la sola ragione umana è impossibile sapere se essa rappresenta un​​ compimento​​ o un​​ annientamento.​​ È per questo che la m. conserva il suo volto di sfinge e diviene, per esperienza vissuta, una delle sorgenti privilegiate dell’ansia, della paura, dell’angoscia. La parola «fine» che essa pronuncia è ambivalente: può significare «tutto è finito», cioè il nulla; oppure «la vita è mirabilmente rifinita», cioè ha la sua pienezza e compiutezza.

2.​​ La m. subìta e la m. vissuta.​​ Le risposte dell’uomo di fronte alla m. vanno oggi in due direzioni: o lottare contro il fatto biologico della m., ed è lo sforzo​​ tecnico-scientifico,​​ o cercare di sciogliere la sua ambiguità andando alla ricerca di nuove interpretazioni, ed è lo sforzo​​ umanistico.​​ Questa seconda strada è quella che ha in sé l’umanizzazione della m., perché venire a capo del «morire» non significa ancora venire a capo della m. Il superamento del morire rimane ancora nell’ambito delle possibilità umane, il superamento della m. significa dare una reale risposta alla tensione trascendente dell’uomo. La m., quindi, non va né subita, né rimossa, né negata, ma va vissuta. Infatti, si muore come si è vissuti: se uno vive bene anche la m. è vista come «sorella»; ma se uno vive male, muore anche male e la m. è​​ vista​​ come «nemico». La m. è vista come​​ alterazione​​ in tutte le culture, ma occorre accettare la sua negatività e la sua positività, occorre che l’uomo sia protagonista davanti al suo mistero; e per essere tale l’uomo deve accettare la m. come​​ condizione del limite:​​ solo così la m. si invera nella «totalità» che trascende il limite umano. La stessa suggestione esistenzialistica heideggeriana vede nella assunzione della m. una via di autenticità per l’esistenza e per la libertà umana: essere-per-la-m. In quest’ottica si può e si deve parlare allora della​​ sacralità della m.:​​ se non c’è senso del vivere, non c’è senso della m. Di fronte allo scacco della m. una concreta via d’uscita viene fornita dall’esperienza cristiana, forse paradossale per il mondo, ma insostituibile per il credente: la m. è vista come alleato per il vivere, un alleato difficile ma che aiuta l’uomo a non chiudersi in se stesso, nel tempo e nella corruzione, dove può cercare il senso soltanto in ciò che non ha senso definitivo. La consapevolezza che la m. è reale e che l’essere umano è finito fa sì invece che egli senta il bisogno di affrontare, senza finzioni e ad occhi aperti, ciò che è assolutamente vero e fondamentale. La fede cristiana ha in questo senso una grande​​ potenzialità educativa​​ perché ci insegna che Gesù Cristo ha accettato per sé la m., per riscattare la m. di tutti. L’esempio di Cristo, oltre che darci la garanzia del suo supremo potere sulla m., ci colma di una speranza, capace di restituire alla polvere quel che è polvere e di attendere da Dio quel che Dio ha promesso: «Io sono la resurrezione e la vita, chi crede in me non morirà in eterno» (Gv 11,25-26).

Bibliografia

Rahner K.,​​ Sulla teologia della m.,​​ Brescia, Morcelliana, 1965; Boros L.,​​ Mysterium mortis,​​ Brescia, Queriniana, 1969; Bucciarelli C.,​​ I giovani di fronte alla m.,​​ Roma, PAS-Verlag, 1974; Gevaert J.,​​ Il problema dell’uomo,​​ Leumann (TO), Elle Di Ci, 1992; Bianchi E. et al.,​​ La m. e il morire,​​ Bologna, Dehoniane, 1995; De Hennezel M.,​​ La m. amica,​​ Milano, Rizzoli, 1996; Rizzi A.,​​ L’uomo di fronte alla m., Rimini, Pazzini, 2006.

C. Bucciarelli




MOTIVAZIONE

 

MOTIVAZIONE

Il termine m. designa un ampio arco di fattori che, dall’interno del soggetto, determinano la sua attività. La specificità della m. si comprende bene se si considera la condotta come una relazione dell’organismo psico-fisico con il suo​​ ​​ ambiente: tale organismo ha una propria struttura (fisiologica, psichica, sociale, esistenziale), che tende a conservare e sviluppare nel contatto con l’ambiente. Le esigenze di tale struttura, in quanto sentite e vissute dal soggetto, costituiscono la m., cioè l’insieme delle forze interiori che si esprimono principalmente in quattro modi: a) iniziare un’attività, b) dirigerla verso la soddisfazione delle esigenze sentite, c) mantenerla in atto finché tale fine non sia raggiunto, d) e sensibilizzare selettivamente nella percezione degli oggetti che riguardano il motivo vissuto. In questo modo accettiamo una concezione funzionalista e relazionale della m.: essa «serve» ad un proficuo incontro fra organismo e ambiente e pone in relazione questi due mondi. Occorre anche precisare che l’influsso dell’ambiente può evidenziare, suggerire e far diventare urgenti delle tendenze che, pur essendo radicate nella struttura originale del soggetto, non si svilupperebbero pienamente senza l’intervento esterno; su questa constatazione si fonda l’azione intenzionale o spontanea atta a suscitare o canalizzare i motivi, come avviene nell’educazione, nella consulenza psicologica e nella psicoterapia, nella propaganda, o, più genericamente, nell’apprendimento sociale. Questa osservazione evidenzia l’importanza dello studio della m. oltre al puro interesse teorico.

1.​​ Teorie generali sulla m.​​ La descrizione appena data della m., con il richiamo alla natura relazionale della condotta, lascia intravedere un’ampia discussione sulla natura della m., soprattutto quando si tratta di definire quello che è stato indicato come «organismo»; come si vedrà, le differenti opzioni teoriche condizionano la comprensione del modo di influsso della m. e la classificazione dei vari motivi. Rifacendoci ad una classica distinzione di​​ ​​ Allport (1963), pare che nella comprensione della m. ci si possa riferire a due teorie, che Allport denomina rispettivamente «proattiva» e «reattiva». La teoria reattiva si richiama all’empirismo inglese del XVII sec. e al​​ ​​ positivismo; secondo questa corrente l’uomo è fondamentalmente passivo («tabula rasa»), e perciò costruito dall’ambiente, sia sotto l’aspetto conoscitivo (in cui tutto è spiegato con l’associazionismo, vale a dire con la concezione che afferma che il patrimonio di informazioni è importato completamente dall’esterno e organizzato secondo collegamenti dati dall’esperienza), che sotto l’aspetto tendenziale (in cui è centrale la pressione sociale, per cui facciamo nostri i motivi vigenti nell’ambiente). Con l’avvento della psicoanalisi viene individuato un altro fattore dello sviluppo, quello degli impulsi inconsci innati, che sfuggono in gran parte all’iniziativa del soggetto. La m. centrale della persona resta soprattutto quella di accomodamento e di difesa di fronte a tali forze esterne o istintive. La teoria proattiva dal canto suo ha le radici nel razionalismo mitteleuropeo (Wolf, Leibniz, ecc.). Essa ritiene che l’uomo è attivo per iniziativa interiore. La sua capacità di comprendere se stesso e la realtà che lo circonda gli permette di auto-determinarsi e di progettare il suo futuro. La persona, secondo questa corrente, è capace di una m. centrale che tende alla realizzazione di beni o scopi intuiti con la sua originale capacità conoscitiva. Una teoria della m. più vicina alla realtà dovrà tener conto e dell’originale iniziativa dell’«organismo» e del reale influsso dell’ambiente. È chiaro per ogni teoria che la m. è un’energia interiore: ciò appare evidente dai quattro effetti sopra nominati nella sua descrizione, e in particolare nelle situazioni di conflitto. Le due correnti divergono tuttavia nel descrivere la gestione di tale energia. La corrente reattiva, che ha presenti soprattutto i motivi a base fisiologica e impulsiva, suppone che l’organismo sia governato da un equilibrio ottimale dato fin dall’inizio dalla natura; quando questo viene disturbato da mutamenti interni o esterni, si sperimenta una tensione fisiologica, finché tale equilibrio non sia ricostituito (legge della omeostasi). Si avrebbe così un succedersi ciclico di fasi di una tensione che cresce e viene ridotta da opportune attività (drive reduction); a queste fasi corrisponderebbero sensazioni soggettive di piacere e di dolore. La corrente proattiva invece riconosce, oltre ai motivi derivati dalla necessità di conservare un equilibrio fisiologico e psichico iniziale, anche altri motivi suggeriti dall’apertura di orizzonte offerta dalla conoscenza (riflessa o intuitiva). Questi motivi non tendono a ricostituire uno stato primitivo, anzi, ogni conquista diventa premessa per conquistare beni o​​ ​​ valori che possono essere sempre nuovi; descrivendo questo tipo di motivi il Nuttin usa giustamente il termine di «compito aperto»: e grazie a questi motivi la persona può essere in continuo sviluppo. Come esempi si portano i motivi di esplorazione, di comprensione, di affermazione di sé, di incontro con gli altri, di espressione, di ricerca di un significato esistenziale.

2.​​ Classificazione dei motivi.​​ Poiché i motivi sono espressione vissuta delle esigenze dell’organismo, come si rivelano nell’interazione con l’ambiente, pare opportuno richiamarsi a tali esigenze per delinearne una classificazione. Si deve tuttavia essere coscienti che, come in ogni classificazione, si corre il rischio di trascurare o accentuare determinati aspetti e di usare categorie troppo generali o troppo specifiche. A superare tali rischi non ci aiuta neppure lo strumento classico dell’analisi fattoriale, caro alla tradizione inglese, poiché esso non restituisce che quello che le variabili iniziali hanno considerato, e la sua interpretazione comporta decisioni soggettive del ricercatore. Si deve inoltre osservare che, nell’esperienza concreta, il soggetto è mosso spesso da un tessuto di vari motivi, e non di rado il motivo che sembra essere più evidente, a sua volta è magari strumentale alla soddisfazione di un motivo più profondo e generale. In vista di un modello integrato, che accolga le istanze delle due teorie generali della m., sarà da tener fermo per un verso la molteplicità dei motivi, ognuno ugualmente originale, e per altro verso l’interazione dei vari piani di esigenze dell’organismo: infatti ogni riduzionismo che neghi le altre componenti della m. si rivela contrario alla realtà psichica osservata. Come non è realistico ignorare i condizionamenti fisiologici, impulsivi e ambientali, così è impossibile spiegare l’impegno costante in attività che non presentano alcuna utilità fisiologica o alcuna soddisfazione di motivi impulsivi senza riconoscere motivi proattivi. Si deve pure rilevare che i motivi si sviluppano con la persona, seguendo cioè la sua maturazione e la sua esperienza; questi due fattori modificano l’organismo e perciò le sue esigenze; lo sviluppo conoscitivo amplia l’orizzonte dei beni che il soggetto può desiderare, l’emergere della percezione di sé può portare al centro dell’attenzione la cura dei valori con cui la persona si identifica; la soddisfazione di bisogni più elementari può lasciar liberi di attendere a soddisfazioni a lunga portata. Queste considerazioni ci permettono di dubitare che i conflitti infantili permangano immutati in tutte le persone anche nell’età adulta, come afferma la psicoanalisi freudiana. Tenendo in conto queste osservazioni, si presenta ora una proposta di classificazione: a)​​ Bisogni fisiologici.​​ Espressione della base fisiologica dell’organismo, diventano urgenti quando si fanno sentire mancanze di elementi richiesti. Tipici esempi sono la fame, la sete, il bisogno della respirazione, la conservazione della temperatura, l’eliminazione, componenti fisiologiche dell’attività sessuale, il sonno, e molti altri aspetti dell’equilibrio fisiologico, che si manifestano specialmente in momenti di deficienza. Particolarmente studiati dal comportamentismo, questi bisogni sono anche spesso oggetto della medicina e dell’igiene. Dal punto di vista psicologico si rileva che tali bisogni si distinguono dagli scopi, in quanto non seguono un bene intuito con la conoscenza, ma operano come spinte cieche; essi possono interagire con motivi di altra natura: la fame può essere percepita come pericolo per la sopravvivenza, la denutrizione può portare all’apatia e alla depressione, nell’esperienza fisiologica della sessualità o della droga si può cercare un’esperienza di novità e di infinito; del resto è noto come l’anoressia e la bulimia siano soprattutto problemi di personalità, e segnali di m. frustrate di affetto, di attaccamento, di ricerca di significato. b)​​ Bisogno di informazione.​​ Poiché l’organismo opera in un dato ambiente, sorge presto in esso il bisogno di essere informato sulle buone occasioni e sui possibili pericoli. Le ricerche hanno dimostrato l’esistenza di un bisogno generale di stimolazione e di esplorazione; sembra assodata la funzione della stimolazione sensoriale nell’avviare l’attività della formazione reticolare ascendente, che a sua volta ridesta l’attività della corteccia; d’altra parte la «deprivazione sensoriale» provoca notevoli disturbi nell’ideazione, nel coordinamento, nell’umore. È anche nota l’attività esploratoria di animali ed esseri umani, senza che vi sia alcun’altra ricompensa. Il bisogno di informazione si esprime ad un livello più ampio nella ricerca di una sistemazione generale delle informazioni, che porta a quadri di riferimento: se le varie informazioni sono coordinate e coerenti, al soggetto si manifestano più chiaramente le opportunità ed i pericoli della situazione. Di fatto tendiamo a collocare ogni informazione nel suo contesto (come appare dai fattori conoscitivi della percezione). Le ricerche sulla dissonanza cognitiva (Festinger, 1971) e il meccanismo di difesa della razionalizzazione indicano, in diversi modi, che tendiamo ad una mappa coerente delle nostre informazioni. Una dimostrazione macroscopica di questa tendenza si trova nelle varie forme di filosofia, popolare o sistematica, da sempre presenti nelle diverse culture. La formazione di un quadro comprensivo di riferimento ha notevoli effetti sulla formazione e canalizzazione dei motivi: essa apre infatti un ampio orizzonte di realtà con cui il soggetto può mettersi in relazione, e, comprendendo anche la prospettiva futura, permette sia un’integrazione «trasversale» della condotta, unificando cioè le varie componenti interne ed esterne attualmente presenti, sia un’integrazione «longitudinale», nel dare unità al continuo individuale che va dal passato al futuro. c)​​ Bisogno di sicurezza.​​ Dato che l’organismo è in divenire e si confronta con l’ambiente in cui vive, ha l’esigenza di conservare le proprie caratteristiche e di svilupparle. Questa esigenza si traduce, nell’uomo, nella necessità di percepire che è in grado di affrontare in modo utile le difficoltà ed i compiti proposti dalla sua vita e dall’ambiente e che potrà farlo anche in avvenire. Tale senso di competenza, attuale e prevista, è l’oggetto proprio del bisogno di sicurezza. La componente più generale del bisogno di sicurezza è un buon concetto di sé, un senso di capacità, di dignità e di valore. Ci difendiamo automaticamente da ciò che ci sminuisce ai nostri occhi, come dimostra l’uso del meccanismo di difesa della rimozione. Una componente oggettiva del bisogno di sicurezza è la chiarezza della situazione: l’ambiguità può nascondere pericoli imprevedibili; anche la disponibilità dei mezzi necessari condiziona il sentimento di sicurezza. La non soddisfazione di questo bisogno produce un senso di insicurezza, di paura o ansietà. La paura può essere normale o patologica: è normale quando l’apprensione è proporzionata alla gravità oggettiva di un pericolo reale, è patologica quando non è proporzionata, o non ha un oggetto definito. In questo caso è l’espressione di un sentimento generale di indegnità e incapacità. Le radici di tale ansietà di base sono spesso da ricercarsi nella mancanza di affetto nei primi anni della vita. d)​​ Motivo di sviluppo di sé.​​ L’organismo non ha solo l’esigenza di conservarsi, ma anche quella di svilupparsi. Vari studiosi anno posto questo motivo al centro della struttura della personalità:​​ ​​ Adler lo vedeva nel bisogno di superare i propri limiti; più recentemente​​ ​​ Maslow e​​ ​​ Rogers hanno sottolineato la tendenza all’autorealizzazione; nella psicologia americana sono frequenti le ricerche sul bisogno di successo: il​​ Need Achievement​​ è uno dei motivi rilevati dal TAT. Il motivo di sviluppo può essere vissuto a breve, a medio e a lungo termine, a seconda dell’estensione temporale dell’impegno nell’eseguire il compito proposto: si può voler riuscire in una partita di gioco, in un corso di studi o infine in una professione che coinvolge gran parte della vita. In alcune ricerche sono emerse due dimensioni del livello di aspirazione verso il proprio successo: le mete proposte possono essere più o meno realistiche, e cioè adeguate alle possibilità del soggetto, e più o meno coraggiose, a seconda del temperamento della persona. e)​​ Motivi sociali.​​ Nell’ambiente la persona trova oggetti del tutto particolari: altre persone. Esse dimostrano di avere funzioni del tutto simili alle nostre: anch’esse percepiscono, ragionano, hanno intenzioni e sentimenti. È perciò possibile condividere con loro qualcosa della nostra vita psichica. La risposta all’offerta di questa possibilità è diversificata: in alcuni essa viene rifiutata; l’isolamento si traduce in estraneità, invidia, competizione; altri assumono un atteggiamento opposto di conformismo e di dipendenza, fino ad abdicare alla propria identità; infine altri entrano in dialogo costruttivo, in ascolto attivo e in collaborazione. La collaborazione conoscitiva si traduce in scambio di informazioni: ogni individuo approfitta dell’esperienza elaborata attraverso i millenni in quella che chiamiamo cultura, ed è capace non solo di trasmettere, ma anche di rielaborare e accrescere il patrimonio ricevuto. D’altra parte la percezione e il pensiero degli altri forniscono una verifica dei nostri processi: spesso è ritenuto «oggettivo» quello che è visto allo stesso modo dai più. Le ricerche sulla «pressione di gruppo» pongono il problema di quale sia di volta in volta il giusto equilibrio fra originalità individuale e consenso culturale. Vi è pure una collaborazione nel campo dei motivi e dell’affettività: le mete che si apprendono nel contatto con i genitori, gli educatori e le varie agenzie educative sono in genere più ampie di quelle a cui si giungerebbe da soli, e, nel cammino verso la realizzazione di questi scopi, la persona può essere efficacemente sostenuta dalle persone vicine. Tuttavia anche in questo campo la pressione dei modelli o il richiamo emotivo dovrebbero essere rielaborati secondo parametri aderenti all’identità della persona. In conclusione rimane vero che il processo di umanizzazione passa attraverso il contatto con altre persone. In particolare, tra i bisogni sociali si annovera il bisogno di affetto e di amicizia, data e ricevuta: è il bisogno di essere vicino ad un’altra persona, di condividere pensieri, sentimenti e intenzioni, e insieme di essere accettati in questa condivisione. A vari livelli l’affetto accresce l’intimità o condivisione, elimina le barriere e le difese, e dà un tono affettivo di gioia e di sicurezza. Pare interessante l’osservazione del Maslow, che distingue un amore altruistico ed un amore egocentrico, e riscontra nel primo le condizioni che maggiormente favoriscono l’interazione, la comprensione degli altri, l’aiuto anche terapeutico, e l’esito dell’intervento educativo. Altri motivi sociali sono quello di appartenenza ad un gruppo (affiliazione), o quello di dominio sugli altri (potenza); questi motivi sono considerati più da vicino in psicologia sociale. f)​​ Motivi esistenziali.​​ L’ampliamento e la sistematizzazione globale del quadro di riferimento cui si è accennato sopra, conferiscono una dimensione nuova ai motivi di sicurezza, di sviluppo e di incontro. Collocata in una visione totalizzante, la persona ricerca una sicurezza definitiva, uno sviluppo di tutto il proprio essere senza limiti di tempo, e una comunione interpersonale che giustifichi una dedizione reciproca senza riserve. I motivi esistenziali spingono la persona a ricercare un significato definitivo per la propria esistenza, a dare unità dinamica a tutta la condotta; tale significato di vita è in rapporto con i valori ultimi come sono vissuti dalla persona. I motivi esistenziali si evidenziano in momenti di riflessione generale sulla propria vita, e nei momenti di crisi profonda, quando la frustrazione di tali motivi può portare effetti traumatici, come si riscontrano ad es. nei tentativi di suicidio, o nelle «nevrosi noogene» come le denomina V.​​ ​​ Frankl, cioè nelle situazioni in cui la persona ha davanti a sé solo il vuoto. Nella lunga storia delle culture si trovano tracce evidenti di tali motivi: nelle filosofie, tese alla comprensione globale della realtà e della vita, e nelle varie religioni, in cui si esprime la ricerca di salvezza definitiva e di un bene ultimo. Anche varie teorie generali della personalità considerano l’importanza di una intenzione centrale, di un progetto generale della propria esistenza, di un orientamento verso l’essere, che si rivela la chiave ultima per la comprensione della condotta della singola persona.

3.​​ La rilevazione dei motivi.​​ Data l’incidenza della m. sulla condotta, si comprende come sia importante poterla rilevare in modo attendibile. Tuttavia questo compito va incontro a notevoli difficoltà. In primo luogo, come si è detto fin dall’inizio, ogni condotta può essere guidata da più di un motivo (si ricordi il manzoniano «quel guazzabuglio del cuore umano»); inoltre occorre distinguere fra motivi apparenti o di superficie, e motivi ultimi o di origine: questi ultimi spesso si rivestono dei primi, che pure si impongono immediatamente all’attenzione. Inoltre i motivi non sono sempre attualmente urgenti, ma rivelano la loro presenza e intensità in una situazione che li chiama in causa. Così, ad es., il motivo di sicurezza si fa impellente in occasioni di pericolo, e l’alternativa del suicidio può presentarsi in una situazione disperata, senza che sia necessario supporre un motivo costantemente intenso di suicidarsi. Questa osservazione può essere rilevante quando si valutano i risultati di un test, che richiede di reagire a situazioni immaginarie, prive dell’urgenza della situazione reale. I metodi per la misura della m. coincidono in larga parte con le tecniche di esame della personalità: si utilizzano i questionari di personalità e le tecniche proiettive; ognuno di questi generi di strumenti ha il suo campo d’indagine (motivi coscienti o inconsci) e richiede opportuna formazione per una adeguata interpretazione. Anche i risultati di tali strumenti sono differenti, e vanno da punteggi definiti e confrontabili a sintesi complessive della struttura della personalità. Per un accostamento globale ai motivi della persona si utilizza pure il colloquio e l’analisi di documenti personali (diari, saggi e simili). Vi sono infine metodi strettamente sperimentali, che sono usati particolarmente nella ricerca su animali, e comprendono il controllo del ritmo di soddisfazione, la misura degli ostacoli superati, la misura della rapidità ed efficacia dell’apprendimento dei modi per ottenere la soddisfazione.

4. Il significato educativo dello studio della m. è già stato evidenziato varie volte nel corso di questa voce. La conoscenza più adeguata di queste forze interiori può servire da guida nel processo di autoformazione e nell’accompagnamento educativo. Lo sviluppo e la strutturazione della m. in una persona in formazione dipendono in modo particolare dal sostegno esterno. In tale periodo i motivi possono essere presentati nella loro forza di attrazione, soprattutto mediante il processo di identificazione con un modello, sorretti dall’approvazione, illuminati dall’informazione. Una particolare attenzione si dovrà avere nel favorire m. intrinseche o autentiche, in modo che i motivi di origine siano quelli che possono integrare la​​ ​​ personalità in tutte le sue componenti.

Bibliografia

Allport G. W.,​​ Divenire. Fondamenti di una psicologia della personalità,​​ Firenze, Giunti-Barbera, 1963; Atkinson J. W.,​​ La m.,​​ Bologna, Il Mulino, 1973; Maslow A. H.,​​ M. e personalità,​​ Roma, Armando. 1973; Allport G. W.,​​ Psicologia della personalità,​​ Roma, LAS, 1977; Cattell R. B.,​​ Personalità e m. Una analisi scientifica,​​ Bologna, Il Mulino, 1982; Nuttin J.,​​ Teoria della m. umana, Roma, Armando, 1983; Hamilton V.,​​ Strutture e processi cognitivi della m. e della personalità,​​ Bologna, Il Mulino, 1987;​​ Dienstbier​​ R. (Ed.),​​ Perspectives on motivation,​​ Lincoln, Nebraska University Press,​​ 1990; Ronco A.,​​ Introduzione alla psicologia,​​ vol. 1,​​ Roma, LAS, 1991; Nuttin J.,​​ M. e prospettiva futura,​​ Ibid., 1992;​​ Heckhausen H. - J. Kuh (Edd.),​​ Motivation,​​ Volition und Handlung,​​ Göttingen, Hogrefe, 1996; Gatti R.,​​ Saper sapere: la m.​​ come obiettivo educativo, Roma, Carocci, 2002; Lombardo C.,​​ M.​​ ed emozione, Roma, Borla, 2006.

A. Ronco




MOUNIER Emmanuel

 

MOUNIER Emmanuel

n. a Grenoble nel 1905 - m. a Châtenay Malabry nel 1950, pensatore e pubblicista francese.

1. Massimo esponente del​​ ​​ personalismo cristiano di «Esprit», la rivista da lui fondata nel 1932. Tra gli scritti, conviene ricordare almeno il​​ Manifesto al servizio del personalismo comunitario​​ (1936), il​​ Trattato del carattere​​ (1946),​​ Che cos’è il personalismo?​​ (1947),​​ Il personalismo​​ (1949). Di fronte alla crisi del XX sec., M. rivendica l’assoluta centralità della​​ ​​ persona di cui sono costitutive la vocazione (la chiamata a svolgere un compito), l’incarnazione (l’inserimento in una situazione storica) e la comunione (la realizzazione in un ambito comunitario). La persona, specie quella malata (come la figlia Françoise) o costretta (come lui stesso, incarcerato durante la seconda guerra mondiale) è sacra come un’ostia e come un altare. Discepolo di J. Chevalier e C. Péguy, in contatto con​​ ​​ Maritain e con altri, tra cui G. Marcel e N. Berdjaev, M. intende vincere sul piano teorico le strettoie dell’esistenzialismo e del marxismo; e sul piano socio-politico, contro il «disordine costituito» e il nichilismo europeo, lotta per un «nuovo rinascimento» e una «rivoluzione personalistica e comunitaria», oltre il capitalismo borghese e il collettivismo comunista.

2. Anche sul piano del carattere individuale, M. presenta un uomo «drammatico e completo» che costruisce la sua personalità in lotta con l’ambiente e con il proprio corpo, aprendosi all’azione, alla relazione cosciente con gli altri, all’attività intellettuale, alla vita spirituale e all’espressione religiosa. L’educazione si pone nei processi di personalizzazione individuale e comunitaria. Suo compito non è fare, ma​​ suscitare​​ le persone. Non è una fabbrica di addestramento al conformismo familiare, sociale, statale, ecclesiale, perché la persona appartiene solo a se stessa, pur formandosi in comunità e per mezzo di esse. Riafferma la funzione educativa della​​ ​​ famiglia, ma ne denuncia pure i rischi di autoritarismo. Polemizza contro la falsa neutralità della scuola e lo statalismo educativo. La scuola è uno strumento dell’educazione tra molti altri. L’educazione scolastica è un ambito dell’educazione totale. Denuncia l’​​ ​​ adultismo, l’intellettualismo, l’autoritarismo e l’antidemocraticismo dell’educazione tradizionale, che ignorava la persona del fanciullo, ma è pure contro l’attivismo delle​​ ​​ Scuole Nuove sviato, a suo avviso, dall’ottimismo liberale e da un’immagine angusta e naturalistica di uomo.

Bibliografia

Lacroix J.,​​ M. éducateur,​​ in «Esprit» 18 (1950) 839-851; Montani M.,​​ Persona e società. Il messaggio di E. M.,​​ Leumann (TO), Elle Di Ci, 1978; Lombardi F. V.,​​ Politica ed educazione nel personalismo di M.,​​ Milano, Massimo, 1980; Bombaci N.,​​ Una vita,​​ una testimonianza. E. M., Messina, A. Siciliano, 1999; Toso M. - Z. Formella - A. Danese (Edd.),​​ E.M. Persona e umanesimo relazionale,​​ vol. I:​​ Nel centenario della nascita (1905-1950); vol. II:​​ M. e oltre, Roma, LAS, 2005.​​ 

C. Nanni




MOVIMENTI

 

MOVIMENTI

Nel campo sociale l’individuazione delle caratteristiche dei m. sembra molto elusiva dal punto di vista concettuale, essendovi una larga varietà di definizioni difficilmente comparabili tra loro; in genere vi si comprende insieme il «coinvolgimento di un gran numero di individui, un basso livello di organizzazione, la spontaneità dell’azione, l’esistenza di un’ideologia comune, l’identificazione di un avversario, la finalità di cambiare (o mantenere) il sistema sociale in qualche suo aspetto, l’essere causa o effetto di un processo di mutamento». Ne consegue che grande rilevanza ha lo studio di dinamiche e processi quali la mobilitazione, il reclutamento, l’ideologia, la​​ leadership,​​ l’organizzazione, la prassi e la strategia d’azione ed i loro risultati.

1. L’interesse per i m. viene dalla loro natura di specchio del sistema nel suo insieme. Come è stato notato «nelle società moderne, il processo di crescita della complessità sociale si traduce in una disarticolazione dell’universo simbolico, che pone ad ogni attore problemi di definizione del profilo sociale; con la frantumazione delle identità, e la disgregazione di ogni principio simbolico unitario, individui e gruppi sono proiettati in uno stato angosciante di incertezza; l’emergere di m. che tentano di riorganizzare la propria identità è tra le conseguenze di questi processi». L’incertezza concettuale si traduce nell’ambito classificatorio, mutevole a seconda degli indicatori di base assunti. Si possono riconoscere m. basati sulle norme o sui valori, a seconda del livello dell’azione che si mira a ricostruire, ovvero a seconda della natura della credenza generalizzata. Ma si possono distinguere, e sono stati indicati dalla storiografia, m. sociali​​ generali e specifici,​​ naturalmente secondo l’ampiezza degli obiettivi,​​ attivi​​ (riformistici e rivoluzionari) ed​​ espressivi​​ (anche fenomeni di moda); l’attenzione maggiore è andata ai m. sociali (rivendicativi, politici e di classe) e più in generale a m.​​ trasformativi,​​ riformistici,​​ redentivi,​​ alternativi,​​ a seconda che il mutamento desiderato sia totale o parziale e che coinvolga la struttura sociale o gli individui, in relazione alla mobilitazione di grandi masse, tali da assumere rilevanza storica, o di semplice protesta, limitati a gruppi ristretti con varie motivazioni.

2. Da un punto di vista tipologico occorre tenere conto di m. politici attraverso i quali si tende a fare politica al di fuori dei partiti; di m. religiosi (confessionali, ecclesiastici o neo-religiosi) come riscoperta di opportunità nella tensione al benessere ed alla assicurazione individuale; né sono trascurabili il m. pacifista, quello ecologico, quello femminile, del​​ ​​ volontariato e simili nei quali il tasso ideologico fornisce unità, rafforza i legami, consente di riconoscere alleati ed avversari, e fa «da base alla definizione e alla contrattazione degli spazi del m. in relazione al più ampio sistema sociale». Molti m. (politici, ecclesiali soprattutto, e così via) continuano a chiamarsi tali nonostante una marcata organizzazione e perfetta integrazione istituzionale: la autodefinizione costituisce allora parte del collante ideologico.

Bibliografia

Carboni C.,​​ Classi e m. in Italia,​​ Bari, Laterza, 1986;​​ Angel W.,​​ Youth movements of the world,​​ Haslow, Longman, 1990; Eyerman P. - A. Jamison,​​ Social​​ movements,​​ Cambridge, Polity Press, 1991;​​ Fauvel-Rouif D. (Ed.),​​ La jeunesse et ses mouvements,​​ Paris, C.N.R.S., 1992; Neveu​​ E.,​​ I m. sociali, Bologna, Il Mulino, 2001; Caimi L.,​​ Spiritualità dei m. giovanili, Roma, Studium, 2005.

A. Turchini




MOVIMENTI ECCLESIALI

 

MOVIMENTI ECCLESIALI

La fede cristiana è sempre stata vissuta in forme associate (​​ associazionismo), come mostra la storia delle confraternite e dei diversi sodalizi. In tempi recenti, però, soprattutto dal Concilio Vat. II ad oggi, si è assistito ad una nuova stagione aggregativa dei fedeli, caratterizzata sia dal riproporsi di precedenti associazioni, come la​​ ​​ Azione cattolica, sia dal sorgere e dal diffondersi di m., soprattutto laicali, che hanno dato rinnovato impulso alla vita della​​ ​​ Chiesa (​​ Scautismo cattolico, Opus Dei, «Cursillos» di cristianità, Focolarini, Giovani cooperatori salesiani, Comunione e Liberazione, Gioventù aclista).

1. In un contesto culturale frammentato, che ha comportato anche la crisi e l’evoluzione delle strutture ecclesiali, i m. sono stati forze vive ed hanno avuto il merito di costituire polarità forti, capaci di orientare la fede di molti credenti e di raccoglierla in significative forme di esperienza ecclesiale. Nel far ciò, essi hanno contribuito non poco a dar forma storica a quella «ecclesiologia di comunione», che il Sinodo straordinario dei Vescovi del 1985 ha indicato come idea centrale del Concilio per interpretare il popolo di Dio. Pur interessandosi di ambiti pastorali diversi della vita ecclesiale, sociale, culturale e politica, i m. hanno contribuito a promuovere una rinnovata e preziosa azione educativa, tesa a far riscoprire e a far vivere la​​ ​​ vocazione battesimale del credente, che prima di ogni missione specifica consiste nella chiamata alla comunione col Cristo nella Chiesa.

2. L’educazione alla comunione organica, vissuta nella diversità e complementarità dei carismi, è anche all’origine della riconosciuta ed apprezzata varietà delle «pedagogie cristiane» che caratterizzano i diversi m., qualificate da specifici e rinnovati itinerari di fede, unitamente a moderne metodologie. Si tratta di itinerari elaborati e costantemente verificati alla luce di precisi «criteri di ecclesialità», in più occasioni richiamati nei documenti magisteriali, anche a fronte di qualche difficoltà a volte creata all’armonia della comunione dall’esuberanza di certi m. Seguendo la​​ Christifideles laici​​ li possiamo così indicare: 1) il primato dato alla vocazione di ogni cristiano alla santità, promuovendo un’intima unione tra fede e vita; 2) la responsabilità di confessare la fede cattolica su Cristo, sulla Chiesa e sull’uomo in modo integrale, in obbedienza al Magistero; 3) la testimonianza di una comunione ecclesiale salda e convinta in relazione filiale col Papa e il vescovo e in rapporto con le altre forme aggregative di apostolato nei confronti delle quali vivere relazioni di stima e di collaborazione; 4) la conformità e la partecipazione al fine apostolico della Chiesa, che consiste nell’impegno per una nuova evangelizzazione, la santificazione degli uomini e la formazione cristiana della loro coscienza; 5) l’impegno di una presenza nella società umana, a servizio dell’integrale dignità dell’uomo, alla luce della dottrina sociale della Chiesa.

Bibliografia

Cei,​​ Criteri di ecclesialità dei gruppi,​​ m. e associazioni dei fedeli nella Chiesa. Nota pastorale della Commissione episcopale per l’apostolato dei laici,​​ 1981, ECEI / 3, nn. 587-612; Sinodo dei Vescovi,​​ Vocazione e missione dei laici. Proposizioni,​​ 1987, EV / 10, nn. 2103-2214;​​ Esortazione apostolica post-sinodale «Christifideles laici» di sua santità Giovanni Paolo II su vocazione e missione dei laici nella Chiesa e nel mondo,​​ 1988, EV / 11, nn. 1606-1900; Pontificium Consilium Pro Laicis (Ed.),​​ I m. nella chiesa. Atti del Congresso mondiale dei movimenti ecclesiali Roma,​​ 27-29 maggio 1998, Città del Vaticano, LEV, 1999; Id.,​​ Atti del II congresso mondiale dei m.e. e delle nuove comunità dal titolo «La bellezza di essere cristiani e la gioia di comunicarlo»​​ (Rocca di Papa, 31 maggio - 2 giugno 2006, in stampa).

R. Rezzaghi​​