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MOBILITÀ SOCIALE

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MOBILITÀ SOCIALE

La m.s. è il passaggio di un individuo da uno​​ ​​ status sociale ad un altro, da uno strato ad un altro lungo una struttura gerarchica di classe (m.​​ verticale),​​ o da una posizione sociale ad un’altra entro lo stesso strato,​​ ​​ classe, o gruppo (m.​​ orizzontale).

1. La m. verticale può essere​​ ascendente,​​ quando il movimento tende verso l’alto della scala socio-economica, migliorando lo status, e​​ discendente​​ quando è mobile verso il basso e il soggetto perde di status. Si parla inoltre di m.​​ intragenerazionale​​ (o di carriera),​​ quando ci si riferisce alla m. verticale sperimentata da un singolo individuo nelle promozioni e avanzamenti della propria carriera professionale. La m.​​ intergenerazionale​​ invece è quella che si riferisce all’ascesa o alla discesa di status sociale che avviene dai nonni, ai figli e ai nipoti. La quantità di m. verticale in una società rappresenta l’indice principale del suo grado di «apertura» e di flessibilità lungo la scala socio-economica. È un fenomeno universale, regolato in genere da norme più o meno esplicite operanti all’interno dei sistemi sociali.

2. I fattori influenti sulla m.s. possono essere di tipo​​ strutturale:​​ come la flessibilità / rigidità della stratificazione sociale, il rapporto tra domanda e offerta del mercato del lavoro, lo sviluppo demografico, la struttura della parentela; e di tipo​​ culturale:​​ come l’ideologia della m., le immagini prevalenti di società, le regole del gioco e della carriera, l’uguaglianza delle opportunità. La m.s. produce​​ effetti​​ evidenti sia sulla società che sull’individuo, come per es. il cambiamento della composizione delle classi; il cambio dei valori dagli strati di partenza a quelli di arrivo; l’incremento della partecipazione negli ascendenti e di opposizione radicale nei discendenti; tensioni, ansia / incertezza rispetto ai temi dell’identità, dei valori, del protagonismo sociale; flessibilità dei confini fra strati, classi e ristrutturazione dei rapporti tra le diverse organizzazioni sociali.

Bibliografia

Rifkin J.,​​ La fine del lavoro, Milano, Baldini & Castoldi, 1997; Sennet R.,​​ L’uomo flessibile, Milano, Feltrinelli, 1998; Beck U.,​​ La società del rischio. Verso una seconda modernità, Roma, Carocci, 2000; Pisati M.,​​ La m.s., Bologna, Il Mulino, 2000; Lazzari F.,​​ L’attore sociale fra appartenenze e m. Analisi comparate e proposte socio-educative, Padova, CEDAM, 2000; Ranci C.,​​ Le nuove disuguaglianze sociali in Italia, Bologna, Il Mulino, 2002; Ballarino G. - A. Cobalti,​​ M.s., Roma, Carocci, 2003; Fullin G.,​​ Vivere l’instabilità del lavoro, Bologna, Il Mulino, 2004; Paci M.,​​ Nuovi lavori,​​ nuovo welfare, Ibid., 2005.​​ 

R. Mion




MODE PEDAGOGICHE

 

MODE PEDAGOGICHE

Istanze e modi emergenti ciclicamente nell’ambito dell’educazione e della pedagogia, che esaltano costrutti, modelli, prospettive educative, suscettibili di critica o comunque soggetti al logorio del tempo e della pratica educativa concreta.​​ 

1. Nel linguaggio comune, con il termine m. indichiamo non solo la foggia corrente di vestire e di acconciarsi, ma anche il costume, il modo di vivere e di comportarsi che emerge e si impone in un determinato periodo o epoca e che interpreta, almeno per un certo tempo, il gusto e il sentire sociale prevalente. Spesso si tratta di fenomeni indotti dalla propaganda messa in atto dal sistema della​​ ​​ comunicazione sociale, ma talora si ha a che fare con risposte ad esigenze ed urgenze profonde, emergenti dalle vicende e dal gioco storico-sociale.

2. Questa doppiezza si nota anche nelle m.p.: esse possono indicare esigenze fondamentali dell’educazione oppure affermazioni pedagogiche piuttosto passeggere. Esempi​​ recenti possono essere riferiti allo​​ ​​ spontaneismo, alla creatività, all’educazione ai valori, alle competenze, alla multimedialità, al​​ cooperative learning, al​​ tutor, ecc. In tal senso si impone costantemente un’analisi critico-linguistica delle «parole nuove» dell’educazione e della pedagogia e una critica della «certezza pedagogica». È certamente questo un compito dell’​​ ​​ epistemologia pedagogica o comunque di una riflessione teorico-pedagogica.

Bibliografia

Bertoldi F.,​​ Critica della certezza pedagogica,​​ Roma, Armando, 1981; Reboul O.,​​ Il linguaggio dell’educazione,​​ Ibid., 1986.

C. Nanni​​ 




MODELLO

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MODELLO

In campo educativo: schema concettuale e operativo secondo cui può essere strutturata e ordinata la pratica educativa in rapporto a un principio teleologico, un ideale di​​ ​​ uomo e di​​ ​​ società, che ne assicuri coerenza e organicità.

1.​​ Approfondimento del concetto.​​ La definizione adottata riprende, adattandola, quella di G. M.​​ ​​ Bertin: «schema concettuale secondo cui possono essere connessi e ordinati i vari aspetti della vita educativa in rapporto ad un principio teleologico che ne assicuri coerenza e organicità» (Bertin, 1968, 68). Un m. educativo è caratterizzato dunque dalla tensione verso un ideale di uomo e di società. Ma se ogni m. di pratica educativa è intrinsecamente caratterizzato dagli ideali guida che esso include circa il bene del singolo e di quello della comunità, occorre riconoscere che nell’idea di m. educativo sta la ricerca o la proposta di un’«eccellenza» nella pratica educativa stessa. Eccellenza che include coerenza con gli ideali guida perseguiti e organicità nella strutturazione delle azioni messe in atto, secondo le espressioni di Bertin. Un m. educativo, da un punto di vista descrittivo, può essere definito come una particolare strutturazione delle variabili fondamentali che entrano in gioco in una pratica educativa a partire da un insieme di concetti, principi e metodi di riferimento. Al posto del termine m. è spesso usato con analogo significato quello di sistema e anche quello di metodo. Così nella tradizione pedagogica salesiana si parla di​​ ​​ sistema preventivo, riprendendo l’espressione stessa di s. Giovanni​​ ​​ Bosco.

2.​​ Ulteriori significati.​​ Occorre però ricordare come il termine m. venga usato in una pluralità di accezioni che vanno dalla persona che fa da m. di riferimento per apprendere o sviluppare una competenza (ad es. il mastro artigiano), a una struttura fisica che riproduce in maniera ridotta, ma fedele, una qualche realtà del mondo (m. di edificio, mappamondo). La prima di queste due accezioni va estesa sia al concetto di testimonianza, sia a quello di esperienza indiretta o vicaria, tipiche di un apprendimento osservativo, quale si ha nell’assistere a uno spettacolo televisivo. La psicologia sociale utilizza in quest’ultimo caso le parole inglesi​​ model​​ e​​ modeling​​ (m. e fare da m.). In campo sia psicologico, sia educativo, sia spirituale si giunge a parlare di «m. ideali», riferimenti prospettici che includono il concetto di eccellenza, oppure di «m. reali», personaggi storici o viventi, che concretizzano un proprio ideale di vita.

3.​​ La modellizzazione.​​ Per chiarire ancor meglio il concetto di m. si può cercare di precisare il processo di modellizzazione. Esso consiste nell’individuare gli elementi salienti di una situazione, o di una pratica, e le relazioni fondamentali che la caratterizzano e nel rappresentare gli uni e le altre in forma adeguata. Tale rappresentazione può assumere forme varie: verbali, mediante descrizioni e narrazioni; fisiche, mediante disegni, diagrammi, immagini fisse o in movimento; simboliche, mediante opportuni sistemi di segni. La relazione che collega il m. alla realtà della pratica educativa a cui esso fa riferimento non può essere che di tipo omeomorfico, cioè di similitudine o di analogia, e non di isomorfismo. In effetti non solo si ha una riduzione della complessità della situazione reale, ma anche una sua rappresentazione analogica. In un m. di pratica educativa possono essere individuati concetti, principi e metodi che riguardano piani logici differenti: 1)​​ Piano delle asserzioni o degli assunti impliciti di natura teorica​​ (filosofica, teologica). Essi riguardano la concezione stessa della persona umana e della società, del loro significato, del loro destino, del loro bene. Da qui derivano le finalità fondamentali che caratterizzano la messa in opera di una pratica educativa ispirata al m. Questo piano viene definito «assiologico», perché riguarda i valori a cui il m. si ispira e quelli che intende promuovere attraverso la sua attivazione pratica. 2)​​ Piano delle assunzioni di ordine scientifico​​ in senso largo, in particolare di tipo psicologico e relativo allo sviluppo del soggetto nelle sue varie dimensioni, alle relazioni e interazioni educative, ai processi di apprendimento e di acquisizione delle conoscenze e delle competenze. Occorre chiarire che l’aggettivo scientifico qualifica le conoscenze a cui si rifà il m. in quanto derivanti da una qualche disciplina scientifica applicata all’educazione, come la psicologia dell’educazione o la​​ ​​ sociologia dell’educazione. Questo piano viene definito «scientifico», perché riguarda le conoscenze disciplinari di cui il m. tiene conto in maniera più o meno critica e mediata. 3)​​ Piano dei principi operativi e di metodo.​​ Nella storia della pedagogia, soprattutto di quella che può essere definita «pedagogia pratica», sono molte le proposte di questo tipo, generalmente raccolte sotto il titolo di indicazioni metodologiche o principi di metodo. Basti qui citare a questo proposito Corallo (1967) e Bertin (1968). Questo piano viene anche definito «prasseologico», perché appunto prende in considerazione gli aspetti operativi o pratici del m. Il termine prasseologico deriva dai vocaboli gr.​​ praxis​​ e​​ logos​​ che indicano un’organizzazione razionale della pratica educativa.

4.​​ Componenti.​​ Meirieu (1994) indica cinque componenti fondamentali di un m. educativo scolastico. Per analogia qui esse vengono estese a ogni m. educativo. 1) Il grado di strutturazione delle conoscenze, delle competenze, degli atteggiamenti e dei valori a cui ci si riferisce nel processo educativo. Si possono porre agli estremi di un continuo l’approccio destrutturato e basato su esperienze naturali o anche occasionali e per converso, un approccio assai organizzato, sia quanto a situazioni educative, sia quanto a una loro successione temporale. 2) Tipologia delle situazioni educative attivate. Ad es. si può impostare l’azione educativa in modo collettivo, rivolto cioè all’intero gruppo degli educandi, e basato sulla comunicazione diretta e unidirezionale; oppure preferire una situazione di natura più interattiva e centrata sugli interscambi tra educatore e gruppo e tra i membri del gruppo; oppure ancora dare spazio privilegiato agli interventi individualizzati. 3) Tipologia e qualità degli strumenti e materiali educativi adottati. Ad es., si può accennare ai diversi media coinvolti: dal​​ ​​ teatro, in particolare il teatro cosiddetto educativo, alla musica, sia come fruizione sia come produzione, all’uso del videoregistratore o del cinema, a quello del​​ ​​ computer e della​​ ​​ multimedialità, a quello del libro e del giornale. A questo proposito si può ricordare come la scelta dello strumento non è indifferente. Anche senza esasperare la posizione di chi dice, come Mac-Luhan, che il vero messaggio è dato dai caratteri propri del mezzo adottato, occorre riconoscere che uno stesso contenuto educativo ha una ben diversa valenza formativa a seconda di come e con quale mezzo viene proposto. Ben diverso è il caso di un coinvolgimento attivo personale in un’impresa a forte valenza educativa, da quello di una proposta a descrizione puramente verbale o anche presentata per mezzo di uno spettacolo da vedere. 4) Tipologia e qualità delle relazioni prefigurate. Qui entriamo nel campo del sistema di rapporti interpersonali e di quelli istituzionali. Tuttavia la piattaforma comunicativa che s’intende attivare o che viene privilegiata è certamente carattere peculiare di un m. educativo. L’accettazione di relazioni interpersonali tra educatore ed educando basate sull’​​ ​​ empatia, sull’accettazione incondizionata, sulla vicinanza ai suoi problemi esistenziali, è cosa ben diversa dalla teorizzazione di rapporti basati sul principio dell’autorità, della distanza, del rispetto di regole e regolamenti imposti dall’esterno. 5) Modalità di valutazione adottata. Anche in questo caso si possono distinguere: forme diagnostico-pragmatiche, dirette a conoscere per agire oppure a classificare gli educandi; valutazione formativa, intesa come modalità di regolazione o pilotaggio dell’azione educativa, oppure come giudizio sulla qualità delle prestazioni degli educandi; valutazione finale o sommativa più o meno concordata tra i vari partecipanti alla comunità educativa.

Bibliografia

Corallo G.,​​ Pedagogia,​​ II: L’atto di educare,​​ Torino, SEI, 1967; Bertin G. M.,​​ Educazione alla ragione,​​ Roma, Armando, 1968; Blankertz H.,​​ Teorie e m. della didattica,​​ Ibid., 1977; Dalle Fratte G. (Ed.),​​ Teoria dei m. in pedagogia,​​ Trento, FPSM, 1984; Id. (Ed.),​​ Teoria e m. in pedagogia,​​ Roma, Armando, 1986; Joyce B. - M.​​ Weil,​​ Models of teaching,​​ Englewood Cliffs, Prentice-Hall,​​ 1986; Scurati C.,​​ Realtà e forme dell’insegnamento,​​ Brescia, La Scuola, 1990;​​ Meirieu P., «Méthodes pédagogiques», in P. Champy - C. Étève (Edd.),​​ Dictionnaire encyclopédique de l’éducation et de la formation,​​ Paris, Nathan, 1994, 660-666; Id.,​​ La pédagogie entre le faire et le dire, Paris, ESF,​​ 1995; Pellerey M.,​​ Educare. Manuale di pedagogia come scienza pratico-progettuale, Roma LAS, 1999; Baldacci M. (Ed.),​​ I m. della didattica, Roma, Carocci, 2004.​​ 

M. Pellerey​​ 




MODERNITÀ

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MODERNITÀ

Il termine, dal lat. tardo​​ modernum,​​ derivato dall’avv.​​ modo​​ (= or ora), sta propriamente per «attuale». Ma storicamente è venuto ad indicare l’atteggiamento ed il modo di vedere tipico della coscienza storica occidentale post-medioevale, che tende a distinguersi dall’epoca precedente non solo cronologicamente ma anche in termini di prospettive culturali, di sistemi di significati e di criteri di valutazione per ciò che concerne la qualità della vita individuale e collettiva.

1. Già nel periodo medioevale ci si poneva il problema della differenza tra antichi e moderni. È nota l’affermazione riferita a Bernardo di Chartres, secondo cui noi moderni saremmo come dei nani sulle spalle dei giganti (riportata da G. di Salisbury,​​ Metalogicon,​​ III, 4). Ma la coscienza moderna acquista tutto il suo tipico significato con la concezione umanistico-rinascimentale dell’uomo-microcosmo e dell’uomo costruttore (homo faber)​​ del proprio destino. I secoli successivi hanno rafforzato il forte carattere antropocentrico della concezione moderna del mondo e della vita. L’uomo è visto come prospettiva totalizzante, come centro solare («uomo copernicano») attorno a cui tutto il resto vien fatto ruotare. Posta piuttosto in ombra la dimensione creaturale e quella di particella dell’universo, l’uomo moderno ha esaltato la sua qualità di soggetto e costruttore della storia, grazie alle sue capacità di libertà, di razionalità e di potenza politica. L’Illuminismo ha dato ulteriore consistenza teorica a queste prospettive umanistiche, affidandole alla forza illuminante della ragione, vista essenzialmente non come ragione contemplativa ma come ragione pratica, cioè funzionale e strumentale all’efficacia operativa dell’agire, della capacità produttiva e dell’abilità trasformativa dell’uomo nei confronti della natura e dell’ambiente. Scienza e tecnica ne sono diventate le figure culturali principali. L’affermazione dell’autonomia delle realtà terrestri si è combinata con una crescente tendenza alla secolarizzazione dei modi sociali dell’esistenza, poggiata su una fede laica nelle potenzialità umane di sviluppo illimitato, di progressiva liberazione, eguaglianza, giustizia sociale e felicità per tutti: nell’orizzonte di un «regno della libertà» e di una «pace universale», in cui si avrebbe finalmente il pieno affrancamento da ogni feudalesimo interiore ed esteriore.

2. Queste prospettive ideologiche sono alla base anche del concetto di «modernizzazione»,​​ vale a dire dell’insieme dei criteri orientativi dell’azione politica sia nei confronti dello «svecchiamento» dell’organizzazione sociale interna sia nel confronto politico-internazionale sui modelli di sviluppo, secondo cui regolare i processi di trasformazione economica, sociale, civile, giuridica a livello mondiale. Ne sono considerati «indicatori»: la partecipazione attiva dell’intera popolazione maschile e femminile a tali processi, la possibilità reale di mobilità ed innalzamento sociale, uno stato di diritto garante della sicurezza e delle libertà individuali, l’effettivo accesso di tutti ai beni di consumo del mercato internazionale, un’equa ripartizione e distribuzione delle risorse, la diffusione del benessere attraverso l’azione privata e pubblica.

3. L’​​ ​​ alfabetizzazione, l’​​ ​​ istruzione e la​​ ​​ formazione sono considerate condizione di base per il conseguimento di questi obiettivi (formazione). La fiducia nel potere illuminante dell’istruzione e nella forza rigenerante dell’educazione è stata vista come fondamentale fin dall’inizio dell’età moderna. Tuttavia, negli ultimi decenni – specie in rapporto ai tragici esiti delle due guerre mondiali, dell’eurocentrismo imperialistico e colonialistico, delle ideologie politiche totalitarie di destra e di sinistra, degli effetti ecologicamente devastanti dell’industrializzazione e del neo-capitalismo internazionale – la visione moderna è diventata oggetto di forti critiche. Diversi esponenti della​​ ​​ Scuola di Francoforte ne hanno evidenziato l’eclisse della ragione e la riduzione ad una umanità ad una sola dimensione. Altri ne criticano il carattere lineare, quantitativo e necessario del concetto di sviluppo, poco attento agli aspetti di contingenza, di non continuità, di situazionalità, di involuzione, di differenziazione soggettiva e socio-culturale, di creatività e di responsabilità etica individuale e collettiva. Così pure si problematizza fortemente la fiducia moderna nella razionalità e nella trasparenza dell’azione umana storica, che non sembra vedere la fondamentale ambivalenza delle scelte e delle produzioni umane. Individualismo, eclisse dei fini, perdita della libertà politica ne sarebbero gli «effetti perversi» più cospicui. Da parte religiosa se ne evidenzia il riduzionismo immanentistico, il materialismo economicistico, il laicismo anti-ecclesiastico che enfatizzano l’efficienza e il successo, rendono estremamente difficile il senso della gratuità e forme di pensiero spirituale aperto alla trascendenza o al desiderio del totalmente altro. In tal senso si è parlato di «fine della m.» o più comunemente di un passaggio a forme non univoche e non unidirezionali di​​ ​​ post-m. o, in positivo – in rapporto al forte incremento dell’innovazione tecnologica e delle sue potenzialità trasformazional-umanistiche – di seconda m. o di iper-m.

4. Per parte sua, la riflessione teorico-pedagogica evidenzia il forte tasso di problematicità che attraversa quelli che erano considerati i capisaldi della cultura educativa moderna: la fiducia nelle capacità soggettive di libertà e di trasformazione umana del reale; la fede quasi «sacrale» nella razionalità, nella scienza e nella tecnica; la speranza della possibilità di una comunicazione trasparente e di un dialogo corretto e fruttuoso tra le persone, i gruppi sociali, i popoli, le nazioni e le culture. Per altro verso è stimolata ad andare oltre le forme tradizionali di fare scienza e a ricercare forme di discorso pedagogico più adeguate alle molteplici possibilità conoscitive umane, fortemente provocate dall’accresciuta interazione multiculturale e dalle possibilità offerte dai nuovi media computerizzati. Ad un livello più ampio è chiamata a collaborare con altri approcci scientifici e teorici nella ricerca di una cultura formativa di un qualche significato e futuro rispetto ai modi «attuali» di essere, di agire, di educare.

Bibliografia

Fromm E.,​​ Avere o essere?,​​ Milano, Mondadori, 1977; Guardini R.,​​ La fine dell’epoca moderna,​​ Brescia, Morcelliana, 1979; Vattimo G.,​​ La fine della m.,​​ Milano, Garzanti, 1985; Arendt H.,​​ Vita activa. La condizione umana,​​ Milano, Bompiani, 1989; Habermas J.,​​ Il​​ discorso filosofico della m.,​​ Roma / Bari, Laterza, 1991; Campanini G.,​​ Cristianità e m.,​​ Roma, AVE, 1992;​​ Touraine A.,​​ Critique de la modernité,​​ Paris, Fayard,​​ 1992; Giddens A.,​​ Le conseguenze della m.,​​ Bologna, Il Mulino, 1994; Taylor C,​​ Il​​ disagio della m.,​​ Roma / Bari, Laterza, 2006; Eisenstadt S.,​​ Sulla m., Soveria Mannelli (CZ), Rubbettino, 2006.

C. Nanni




MODULI DIDATTICI

 

MODULI DIDATTICI

Il termine m. (dal lat.​​ modulus,​​ diminutivo di​​ modus,​​ misura, regola, modello) nell’ambito didattico viene utilizzato di recente per indicare un insieme di esperienze di apprendimento (costruite generalmente in forma di​​ ​​ unità didattica), riferite ad una disciplina o ad alcune discipline di studio, con l’indicazione precisa degli obiettivi da raggiungere, dei prerequisiti e della durata complessiva di svolgimento. A volte viene usato come sinonimo di unità didattica.

1. Ogni m.d. è un micro-curricolo (​​ curricolo), quindi include, in rapporto ai soggetti alunni a cui è destinato, gli elementi essenziali costitutivi quali: obiettivi - contenuti - procedimenti / attività - mezzi - momenti e modalità della verifica. La caratteristica di un m. è la possibilità di combinarlo variamente con altri, in relazione con le competenze o qualificazioni previste; la durata dello svolgimento di un m. spesso viene a coincidere con la periodicità interna assunta (settimanale, mensile, trimestrale, o quadrimestrale e più). Si parla così di corsi o insegnamenti modulari, o di organizzazione per m. che non ha una struttura sequenziale bensì quella a rete con un’ottica sistemica.

2. Data la diversa componibilità dei m. la modularità viene utilizzata soprattutto nell’ambito della​​ ​​ formazione professionale dove gli utenti possono essere, in partenza, di livello diverso di preparazione e aver bisogno di uscire al termine di un m. e di rientrare per proseguire la qualificazione più elevata attraverso altri m. La struttura di ogni m. include:​​ titolo​​ (tema disciplinare, pluri o interdisciplinare, o trasversale),​​ sommario​​ (indicazione dei destinatari, delle unità didattiche previste e della durata in termini di giorni, settimane e ore),​​ finalità e obiettivi​​ (espressi in termini di conoscenze, competenze e capacità),​​ prerequisiti,​​ contenuti​​ (temi, argomenti, problemi),​​ mezzi​​ (libro, saggi, fotocopie, software didattico, ecc.),​​ metodi,​​ valutazione​​ (criteri e tipi di prove).

3. Nell’ambito italiano si parla dell’organizzazione modulare anche in riferimento alla scuola primaria in cui di recente si è introdotta la pluralità dei docenti anziché il maestro unico, cosicché due classi vengono affidate a tre insegnanti e tre classi a quattro insegnanti. Ovviamente la programmazione educativo-didattica secondo questa riforma comporta una modalità particolare, chiamata appunto «organizzazione modulare».

Bibliografia

Arends R. et al.,​​ Handbook for the development of instructional modules in competency-based teacher education programs,​​ Buffalo, The Center for the Study of Teaching,​​ 21973; Warwick D.,​​ Teaching and learning through modules, Oxford, Blackwell, 1988;​​ Tiriticco M.,​​ La progettazione modulare nella scuola dell’autonomia, Napoli, Tecnodid, 2000; Zanchin M. R. (Ed.),​​ Le interazioni educative nella scuola dell’autonomia: itinerari di didattica modulare, Roma, Armando, 2002.

H.-C. A. Chang




MONACHESIMO

 

MONACHESIMO

Preistoria e protostoria dell’istituzione monastica non può interessare qui più di tanto. Esistono del resto, fruibilissimi, consuntivi che consentono di accedere a codesti ambiti [1].

1. L’istituzione assume rilevanza nei confronti dell’educazione, allorché incontra a sua volta Benedetto da Norcia (ca. 480-550). Di probabile origine senatoria, disgustato dalle futilità che la scuola gli passava, e più ancora dalla mediocrità della vita di città, se ne fuggì con la nutrice prima ad Affile e poi a Subiaco. Tale Romano, monaco, lo avviò alla pratica della vita solitaria. Solitudine tosto troppa affollata, al punto da indurlo a passare su Monte Cassino, ove visse con la comunità cenobitica che diresse fino alla morte.

2. La​​ Regola,​​ da lui composta, include settantatré capitoli al seguito di un prologo. Il​​ monastero,​​ che essa organizza, prevede una società cenobitica, retta da un​​ abate​​ eletto. Un anno di​​ probandato​​ è offerto a quanti vogliano valutare, in vista di un’ardua perseveranza, fino alla morte, le proprie attitudini. Materialmente ricavata da una precedente​​ Regula Magistri,​​ tuttora anonima e redatta nel meridione d’Italia, a ridosso della metà del secolo, quella di Benedetto resta originalissima nell’indole. Indiscutibile, per cominciare, la sua perentorietà formale [2]. All’epoca in cui i giuristi dell’Impero sono impegnati a coordinare la disparata proliferazione della giurisprudenza classica, anche Benedetto vuole scritta la sua​​ Regola​​ e ogni novizio deve leggerne o sentirne leggere ripetutamente il testo. Correlativamente l’obbedienza è la virtù decisiva. Il c. 68 propone il caso di una disposizione insostenibile dal monaco, presunto non renitente, ma effettivamente esausto o incapace; ebbene, egli deve chiarire al superiore le proprie condizioni, giacché in tutto e per tutto l’abate è di lui responsabile al cospetto di Dio; e qualora questi insista, il monaco deve obbedire, confidando a sua volta nell’aiuto di Dio. Appunto dalla paterna discrezione dell’abate (cfr. c. 64) è commisurata la complessiva autoritarietà del regime. Il monastero costituisce in effetti, a quanto dichiara il prologo della​​ Regola,​​ una​​ scola​​ a servizio di Dio:​​ Constituenda est ergo nobis dominici scola servitii​​ (Prol.,​​ 45); e​​ scola​​ nel gergo di Benedetto denomina l’uno dei distaccamenti militari che difendono, tra San Pietro e il Tevere, la città dilagata al di là delle mura. Più che un ritiro tranquillo e tutto sommato confortevole, il suo monastero è un avamposto, una sorta di unità di combattimento in cui reclute vogliose sono accuratamente addestrate al combattimento per raggiungere, sotto l’illuminata guida dell’abate, il controllo della sensualità e la disciplina della volontà.

3. Per più versi però il chiostro collude con la scuola nel senso ormai condiviso del termine. La​​ Regola​​ prevede la presenza di​​ oblati,​​ minori offerti al monastero dai rispettivi genitori; e per loro dispone alfabetizzazione e cultura; quanto basta, per cominciare, per poter prendere parte degnamente, in coro, alla celebrazione liturgica. E però Donato e Prisciano non lesinano indiscrezioni sulla produzione classica che sottende ed esprime le loro grammatiche; sicché il passo da queste a quella resta persistente lusinga [3].

4. Oltre a fissare i tratti del giorno da dedicare alla lettura e allo studio, naturalmente più a fini di maturazione spirituale che di mera curiosità intellettuale (cfr. c. 8,3; 9,8; 48​​ passim),​​ la​​ Regola​​ dispone inoltre che in Quaresima ciascun monaco prelevi in Biblioteca un codice da leggere integralmente lungo tutto l’anno:​​ Accipiant omnes singulos codices de biblioteca,​​ quos per ordinem ex integro legant​​ (c. 48,15) [4]. Ma come leggere senza libri? L’abbazia di Bec registra l’ammutinamento di una comunità in struggente indigenza e perciò priva di testi e tuttavia chiamata all’ineludibilità della meditazione da un inflessibile giovane priore. E così i chiostri fanno spazio agli​​ scriptoria​​ e alle biblioteche [5].

5. Unità di combattimento per accaparrarsi, nella più radicale disponibilità, la condiscendenza di Dio, il monastero sollecita e piccini e adulti. Questi anzitutto, più che non i primi. La perentorietà del c. 7:​​ De humilitate​​ ha scosso fin la imperturbabilità di un​​ ​​ Tommaso d’Aquino. Al di là del​​ Magister​​ anonimo, al di là di Cassiano, Benedetto attinge ad un​​ Libellus de humilitate​​ di estrazione provenzale, nel quale la accezione tardoantica del termine si è appropriata delle connotazioni neotestamentarie: l’umile controlla a tal punto le movenze della propria vita, da riuscire a lasciarne a Dio la definitiva disponibiltà. Non è facile dire come di fatto vivessero, i monaci, sì tese prospettive. Per un verso l’esercizio della​​ ​​ meditazione su testi autorevoli mette di continuo in questione insufficienze e mancamenti, in un continuo doloroso confronto con i parametri d’un inespugnabile ideale [6]; per l’altro, il chiostro esprime anche esercizi, i cosiddetti​​ Ioca monachorum​​ [7], il cui ingenuo minimalismo suscita più d’una perplessità. Fino a che punto siffatti intrattenimenti esprimono effettiva maturità?​​ 

6. Alle stesse strenue tensioni sono animosamente chiamati anche i piccini; ma naturalmente con la discrezione e il garbo che il c. 70 reclama. Non è facile lenire il trauma dell’oblatura [8]; né, qualora esso fosse stato comunque sopito, crescere disinibiti in un chiostro, affollato da maschi più o meno maturi, ai quali solo perché la​​ Regola​​ lo esige (c. 63,12) si può dare del​​ nonno​​ [9]. E tuttavia, tanto e tale resta il bisogno di tenera accoglienza, che l’esclusione dalla comune convivenza costituisce la prima delle punizioni che la​​ Regola​​ commina; si condisce la segregazione con rimproveri, privazioni e sanzioni corporali, solo se il malcapitato non è nemmeno in grado di stimare​​ quanta poena sit excommunicationis​​ (c. 30, 1-3). Fino ai quindici anni i varii​​ monachuli​​ dovrebbero trovare benevola assistenza presso tutti gli adulti del chiostro. Amorevole, dacché è previsto che le angustie della disciplina siano sempre accomodate alle risorse dell’età:​​ Infantum vero usque quindecim annorum aetates disciplinae diligentia ab omnibus et custodia sit; sed et hoc cum mensura et ratione​​ (c. 70,4). A nessuno è comunque lecito pretendere più di tanto, senza incorrere nei rigori della​​ Regola​​ e nelle rimostranze dell’abate (c. 37,1).

7. A qualche decennio dalla morte di Benedetto i Longobardi invasero la penisola. La resistenza bizantina fu tosto sopraffatta e Montecassino saccheggiata e distrutta (577). Per un secolo e mezzo l’insediamento rimase deserto. Nel 593 Gregorio Magno inserisce nei suoi​​ Dialogi​​ la biografia di Benedetto, divulgandone i meriti. Curiosamente, tuttavia, l’Italia, la Spagna, la Provenza, l’Aquitania, le zone di più assestata romanità, si mostrano poco o punto interessate. Inopinata giunge la fervente adesione delle comunità miste colombano-benedettine. Convinti della eccellenza della​​ Regola​​ di Benedetto, i Colombaniani franchi, anglosassoni o celti, si diedero a diffonderne la adozione, al punto che il sec. VIII la vede ormai generalmente diffusa. Anche l’Italia longobarda viene finalmente coinvolta. Nel 720 l’abbazia di Montecassino risorge e Benedetto torna al lavoro in Europa [10].

Bibliografia

[1]​​ Lexikon MA,​​ VI, München, 1993:​​ Mönch,​​ Mönchtum; MEL​​ - Medioevo Latino,​​ Spoleto, 1979 s.; [2] Jacobs U. K.,​​ Die Regula Benedicti​​ als Rechtbuch. Eine rechthistorische und rechtstheologische Untersuchung,​​ Köln,​​ 1987; [3]​​ Leclercq J.,​​ L’amour des Lettres et le désir de Dieu. Initiation aux auteurs monastiques du Moyen Age,​​ Paris, 1957, 1990; [4] Nebbiai - Dalla Guardia D.,​​ Les listes médiévales de lectures monastiques. Contribution à la connaissance des anciennes bibliothèques bénédictines,​​ in «Revue Bénédictine»​​ XCVI, 1986, 271-326; [5] Lehmann P., «The Benedictine Order and the transmission of the literature of ancient Rome in Middle Ages», in​​ Forschung des Mittelalters,​​ III, 173-183; [6] Carruthers M,​​ The book of memory. A study of memory in medieval culture,​​ Cambridge, 1970; [7]​​ Brunhölzl F.,​​ Geschichte der lateinischen Literatur des Mittelalters,​​ I, München,​​ 1975; [8] Martin McLaughlin M., «Survivors and surrogates. Children and parents from the Ninth to the Thirteenth Centuries», in​​ The history of childhood​​ (Ed. L. De Mause), New York, 1974, 101-181; [9] De Jong M.,​​ Growing up in a carolingian monastery: Magister Hildemar and his oblates,​​ in «Journal of Medieval History»​​ IX,​​ 1983, 99-128; [10]​​ Prinz F.,​​ Askese und Kultur. Vor-und frühbenediktinisches Mönchtum an der Wiege Europas,​​ München,​​ 1980; Penco G.,​​ M. e cultura,​​ Seregno, 1993.

P. T. Stella




MONTAIGNE Michel Eyquem de

 

MONTAIGNE Michel Eyquem de

n. a Montaigne Périgord (Francia) nel 1533 - m. ivi nel 1592, scrittore e pensatore francese.

1. Da bambino fu educato nel suo castello da un istitutore tedesco, che gli parlava sempre in lat., lingua che apprese meglio ancora del fr., sua lingua materna. Uomo di complessa personalità, è stato considerato in maniera contraddittoria: come uno scettico, come un epicureo, come uno stoico e come un razionalista. È un Proteo dai mille volti di difficile classificazione, preoccupato e ripiegato sempre su se stesso come unico punto di riferimento. Conosceva bene i classici latini; i suoi preferiti furono​​ ​​ Seneca e​​ ​​ Plutarco, tradotto. I suoi giudizi sono contraddittori e si muovono sul terreno del relativismo e dello scetticismo. M. cerca la verità, ma non è capace di giungere ad alcuna conclusione. I suoi​​ Saggi​​ sono stati molto apprezzati nel corso dei secoli; essi sono una riflessione personale e originale dell’uomo confuso, che vive in mezzo alla guerre di religione francesi che produrranno grandi cambiamenti politici ed instaureranno un profondo pessimismo alla fine del sec.​​ XVI​​ e del Barocco.

2. Sul terreno pedagogico M. non va oltre un abbozzo dei principi generali che devono orientare l’educazione. Dà importanza al passato e alla natura umana e preferisce la formazione dell’uomo alla sua preparazione professionale o scientifica. Formare l’uomo equivale a formare il giudizio per essere capace di pensare autonomamente, giungendo ad avere opinioni proprie e a scoprire la verità. La capacità di giudizio consente di pensare con chiarezza e precisione, cosa che porta ad agire positivamente. La filosofia dell’educazione di M. si può sintetizzare nel principio secondo il quale vale più una testa ben fatta che una testa ben piena. Per raggiungere questa meta, bisogna stimolare la curiosità e l’iniziativa, l’osservazione e l’esperienza personale, il comportamento sociale, il metodo intuitivo, come anche lo studio delle cause che hanno prodotto gli avvenimenti storici. Il curriculum propugnato da M. è aristocratico. Egli disdegna le scienze pure ed elogia l’educazione fisica tradizionale della nobiltà dei secoli passati: corsa, lotta, equitazione, caccia, uso delle armi, danza, lingue moderne e conoscenza dei diversi Paesi. Il suo metodo è sintetizzabile in una «severa dolcezza», equidistante dalla severità spartana e dalla educazione più permissiva impartita alla nobiltà. Riguardo alla​​ ​​ donna, mantiene gli antichi pregiudizi secolari; non crede che essa sia adatta all’educazione superiore e ritiene che le sue conoscenze non debbano andare oltre quelle necessarie per una buona conduzione della casa; la donna è saggia quando sa distinguere una camicia da un giubbetto. Ritiene inoltre che la natura femminile è debole e malaticcia anche se dice che probabilmente questi limiti sono dovuti all’insufficiente educazione ricevuta. Ciononostante, non si preoccupa affatto di indicare delle direttive minime che potrebbero essere tenute presenti per un’educazione razionale della donna.

Bibliografia

Villey P.,​​ L’influence de M. sur les idées pédagogiques de Locke et Rousseau,​​ Paris, Flammarion, 1911; Id.,​​ Les sources et l’évolution des idées de M.,​​ Paris, Hachette, 1933; Aulotte R.,​​ M.: Essais,​​ Paris, PUF,​​ 1988;​​ Navarro J.,​​ La extrañeza de sí mismo: identidad y alteridad en M.d.M., Sevilla, Fénix, 2005.

B. Delgado




MONTESINO Pablo

 

MONTESINO Pablo

n. a Fuente del Carnero (Zamora) nel 1781 - m. a Madrid nel 1849, medico e educatore spagnolo.

1. Medico di professione, nel suo lungo esilio in Inghilterra (1823-1834), cerca di acquisire una formazione pedagogica innovatrice. Trionfante il liberalismo in Spagna, M. partecipa attivamente all’opera di configurazione del sistema educativo spagnolo. Benché riservi l’insegnamento secondario per le classi agiate, egli inizia una lotta decisa per offrire un’istruzione di qualità al popolo; e con questo scopo riesce a stabilire le scuole normali (fu direttore della prima di esse), le scuole infantili e di adulti. La sua opera pedagogica più importante è il​​ Manual para los maestros de las escuelas​​ de párvulos​​ (1840).​​ Hanno pure interesse​​ i​​ Ligeros apuntes y observaciones sobre la instrucción secundaria o media y la superior o de universidad​​ (1836) y el​​ Curso de educación​​ (inedito fino al 1988).

2. M. diede molta importanza alla pedagogia inglese, specialmente a​​ ​​ Locke, ma anche ad altri autori coevi come​​ ​​ Owen e Wilderspin. Hanno esercitato influsso su di lui autori classici spagnoli (​​ Quintiliano,​​ ​​ Vives) e stranieri (​​ Comenio,​​ ​​ Rousseau, e specialmente​​ ​​ Pestalozzi). Le sue idee pedagogiche poggiano sulla dottrina empirista della conoscenza; e all’educazione dei sensi e della capacità di giudizio dedica molta attenzione. Ma, per questa stessa ragione unita alla sua formazione come medico, a M. interessa molto l’educazione fisica dell’essere umano. Queste esigenze non gli impediscono però di collocare la formazione morale come fine dell’educazione. Sotto l’influsso di​​ ​​ Kant, di Pestalozzi e del rev.do inglese W. Paley, cerca una via di educazione morale basata nelle forti convinzioni di formazione di abiti morali fin dalla prima infanzia. Nemico di memorismi e astrazioni, M. propugna un insegnamento attivo.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ P.M.,​​ Curso de educación.​​ Estudio preliminar de A. Martínez, Madrid, Publicaciones del M.E.C., 1988; P.M.,​​ Liberalismo y educación del pueblo. Edición e introducción de B. Sureda García, Madrid, Biblioteca Nueva, 2006.​​ b)​​ Studi:​​ Sureda B.,​​ P.M.: liberalismo y educación en España,​​ Palma de Mallorca, Prensa Univer., 1984; Ruiz Berrio J., «Introducción crítica», in P.M.,​​ Manual para los maestros de escuelas de párvulos,​​ Madrid, C.E.P.E., 1992; Vega L.,​​ P.M. y la modernización educativa de España, Zamora, Inst. de Estud. Zam., 1998.​​ 

J. Ruiz Berrio




MONTESSORI Maria

 

MONTESSORI Maria

n. a Chiaravalle nel 1870 - m. a Noorwjk am See (Olanda) nel 1952, educatrice e pedagogista italiana.

1. Laureatasi in medicina nel 1896 e divenuta assistente alla clinica psichiatrica dell’Università di Roma, si dedicò allo studio della psicologia infantile, interessandosi dell’educazione dei fanciulli frenastenici e delle loro scuole. Queste esperienze, la lettura degli scritti di Itard e di Séguin e la frequenza dei corsi di S. Sergi (nella Facoltà di Lettere e Filosofia) la sollecitarono alla fondazione della prima Casa dei Bambini (1907), che segnò l’inizio di un impegno di ricerca ed educativo cui rimase fedele nel corso dell’intera esistenza. Dopo aver elaborato il suo metodo, fondò scuole per la formazione delle educatrici delle Case dei Bambini e si impegnò a divulgarlo in tutto il mondo (negli Stati Uniti d’America, in Spagna, in India, in Olanda...) dove si sono formate numerose associazioni «montessoriane» di cui la più nota è quella internazionale con sede ad Amsterdam.

2. La pedagogia scientifica di M. trova la più significativa espressione nelle Case dei Bambini, nella cui istituzione si esprime anche una profonda ansia di redenzione sociale, di giustizia, di amore ed un profondo messaggio di pace rivolto a tutta l’umanità. Alla base di questa pedagogia c’è infatti la volontà di rinnovare l’educazione, di combattere contro i pregiudizi antichi che ribadivano la schiavitù del bambino e quindi dell’uomo, di liberare la sua anima dai «ceppi» e di aiutare l’umanità a costruire un mondo migliore. La M. volle educare i bambini scientificamente per procedere fuori dalle vie che tutti più o meno avevano percorso, per realizzare una «pedagogia innovatrice, fondata su studi obiettivi e precisi», volta a trasformare la scuola e ad agire direttamente sugli scolari portando loro «una nuova vita». Per realizzare questa educazione utilizzò contributi offerti dalla psicologia, dalla biologia e dall’osservazione sperimentale, che le consentirono di conoscere le forze latenti del bambino e la «sua fame interiore», di studiare i mezzi più idonei per alimentarla e di organizzare un ambiente educativo, capace di sollecitare l’«embrione spirituale» ad esprimersi e di coltivare la sua «mente assorbente», con la convinzione che il germe fecondo «donde proviene la vita» si realizza e «si sviluppa secondo il destino biologico fissatogli dall’eredità». La libertà per la M. è liberazione della vita dagli ostacoli che ne impediscono il normale sviluppo; pertanto la Casa dei Bambini si configura come un ambiente arredato con tavoli e seggiole leggerissimi, lavabi, credenze, a misura di bambino, in cui egli può «agire dietro una serie di scopi interessanti da raggiungere, incanalando così nell’ordine e nel perfezionamento la sua attività». L’educatrice funge da​​ trait d’union​​ tra il bambino – che, grazie alla sua mente assorbente, «è creatore di se stesso» ed è «creativo» – e l’ambiente, «scientificamente predisposto», in cui egli è come il «germe vivente racchiuso in quel bozzolo che la sapiente natura ha determinato per proteggerlo e per corrispondere ai suoi bisogni vitali». Nella sua «Casa» il bambino può scegliere liberamente gli oggetti «sui quali liberamente reagisce». Essi infatti sono proporzionati alla sua capacità di utilizzazione, e le sue azioni «vanno collegandosi l’una all’altra, aiutandolo a organizzare la propria mente che deve tutte dirigerle».

3. Il materiale che integra la funzionalità dell’ambiente di relazione prende il nome di materiale di sviluppo. Esso è nato dalle esperienze condotte da M.M. con i subnormali ed è utilizzato ai fini dello sviluppo sensomotorio, del tatto, del senso barico, del senso termico, della vista, dell’udito del bambino. È costituito da tavolette completamente o alternativamente lisce o rugose, da campioni di tessuti, da tavolette di identica dimensione ma di peso diverso, da recipienti da riempire con acqua di differente temperatura, da cilindretti da incastrare in supporti, da serie di cubi decrescenti per costruzioni, da prismi, da asticciole, da tavolette avvolte da filo colorato, scatole sonore, campanelli. Gli oggetti più significativi sono quelli che si prestano agli esercizi sistematici, che impegnano i sensi e l’intelligenza e implicano la collaborazione armoniosa di tutta l’attività psichica e motrice del bambino e lo conducono gradualmente a conquistare gli apprendimenti fondamentali della cultura come il leggere, lo scrivere e il contare. Questo materiale, secondo la M., è «uno strumento sistematico di psicologia che può paragonarsi ad una palestra per la ginnastica dello spirito», ed il bambino, esercitandosi spontaneamente, «progredisce nello sviluppo e perciò anche nell’acquisto della cultura». Esso vuole proporsi come risposta alla domanda interiore di ciascun bambino e quello sensoriale è offerto secondo una tecnica che richiede l’ordine delle presentazioni successive (riconoscimento di identità, di contrasti, di somiglianze), le preparazioni esterne che aiutano la concentrazione (isolamenti del senso) e l’isolamento del materiale stesso. Le lezioni hanno un compito di chiarificazione, pertanto debbono essere brevi, semplici e obiettive e si svolgono secondo precisi ritmi (primo tempo: motivazione e presentazione dell’oggetto;​​ secondo tempo: verifica – il bambino è chiamato a riconoscere l’oggetto o i suoni terzo –;​​ terzo tempo: ulteriore verifica anche attraverso le domande). Questo materiale, se correttamente usato, rende possibile l’autoeducazione e «realizza in maniera concreta la esigenza della libertà nell’educazione». Il suo uso suscita nei bambini varie reazioni psichiche, tra le quali la «polarizzazione dell’attenzione», mentre la ripetizione degli atti assume una particolare importanza. Un altro pregio notevole di questo materiale è dovuto al fatto che in esso «è insito» il controllo dell’errore, «cosicché il bambino riesce da sè a correggere i suoi errori attraverso la ripetizione degli esercizi» e ha la possibilità di osservare, di esercitarsi con gli oggetti, di fare confronti e di formare giudizi, di ragionare, di decidere e di raggiungere lo sviluppo delle facoltà intellettuali e del carattere. Questa crescita sul piano dell’educazione intellettuale (che è preceduta e favorita dall’educazione dei sensi) su quello della formazione del carattere e su quello sociale (morale e religioso) consente la realizzazione dello sviluppo armonico della personalità dell’uomo e l’autoeducazione e, indirettamente, di «ingrandire» il mondo e di «liberarlo dalle catene che gli impediscono di avanzare».

Bibliografia

a)​​ Fonti: opere principali della M.:​​ Il metodo della pedagogia scientifica applicato all’educazione infantile nelle case dei bambini​​ (1909),​​ Manuale di pedagogia scientifica​​ (1921),​​ I bambini viventi nella Chiesa​​ (1922),​​ La mente del bambino​​ (1952). b)​​ Studi: Valitutti S.,​​ Il problema dell’educazione nel pensiero di M.M., Roma, Ed. Vita dell’Infanzia, 1953; De Bartolomeis F.,​​ M.M. e la pedagogia scientifica, Firenze, La Nuova Italia, 1953; Bertin G. M.,​​ Il fanciullo montessoriano e l’educazione infantile, Roma, Avio, 1963; Leonarduzzi A.,​​ M.M.​​ Il pensiero e l’opera, Brescia, Paideia, 1967; Scocchera A.,​​ M.M. Quasi un ritratto inedito, Firenze, La Nuova Italia, 1990; Loschi T.,​​ M.M. Il progetto scuola nella visione ecologica dell’uomo e del bambino,​​ costruttori di un mondo migliore, Bologna, Cappelli, 1991; Schwegman M.,​​ M.M., Bologna, Il Mulino, 1999; Centro di Studi Montessoriani,​​ Linee di ricerca sulla pedagogia di M.M., Milano, Angeli, 2005; Tornar C.,​​ La pedagogia di M.M. tra teoria e azione, Ibid., 2007.

S. S. Macchietti




MORE Thomas

 

MORE Thomas

n. a Londra nel 1480 - m. ivi nel 1535, umanista e politico inglese.

1. L’​​ ​​ Umanesimo rinascimentale e la scoperta di nuovi mondi influirono profondamente nel superamento della mentalità medievale e nella nascita del pensiero moderno, nel quale l’educazione doveva avere un importante compito. Visto che le continue guerre europee ed i dissensi teologici, politici e culturali continuavano come per i tempi passati, alcuni intellettuali europei cercarono di superare il pessimismo prodotto dai nuovi tempi mediante l’​​ ​​ utopia, cioè mediante il sogno di un mondo ideale in cui principi ed intellettuali dovevano fare da guida nel rinnovamento della politica di ogni nazione.

2. Le utopie più note furono quelle di M.,​​ ​​ Campanella (1623) e F. Bacone (1627). M. inventò il neologismo:​​ De optimo reipublicae statu deque nova Insula Utopia libellus vere aureus​​ (1516). Parte dallo schema platonico della​​ Repubblica,​​ ma presenta uno Stato senza classi né caste sociali, senza proprietà privata, tollerante e contrario ad ogni persecuzione a causa delle credenze, eccetto che nei confronti di atei e materialisti, che M. esclude dal suo Stato ideale. Il lavoro agricolo viene insegnato a fanciulli nella scuola. I cittadini devono imparare obbligatoriamente un mestiere e lavorano sei ore al giorno; vestono allo stesso modo e non conoscono il denaro; mangiano insieme come gli spartani in tavoli presieduti dai magistrati e dagli anziani. Lo studio è riservato ai più intelligenti, a giudizio del​​ filarca,​​ autorità responsabile per ogni trenta famiglie. Se, una volta selezionati questi giovani, essi deludono le speranze riposte in loro, torneranno al lavoro manuale. D’altra parte gli operai che dimostrano capacità nello studio, potranno dedicarsi ad esso, lasciando il lavoro.​​ 

3. La concezione antropologica di M. è ottimistica: gli uomini nel suo mondo ideale saranno felici e raggiungeranno il piacere nel senso epicureo. Secondo lui, la natura umana è destinata alla felicità come bene supremo, purché si viva conformemente alla natura, della quale l’uomo fa parte ad immagine e somiglianza di Dio. Vivere secondo natura significa vivere secondo​​ ​​ virtù.

Bibliografia

Vázquez de Prada V.,​​ Sir T.M.,​​ Lord Canciller de Inglaterra,​​ Madrid, 1962;​​ Marc’Hadour G.,​​ L’univers de T.M.: chronologie critique de M.,​​ Erasme et leur époque (1477-1536),​​ Paris,​​ 1963; Santinello G.,​​ Studi sull’umanesimo europeo,​​ Padova, 1969; Fontán A.,​​ Erasmo,​​ M.,​​ Vives: el humanismo cristiano europeo, Madrid, 2002.

B. Delgado