MEDIOEVO
Illitteratus, sed morali experientia doctus è, a dire di Sicario di Cremona (MGH, SS 31, p. 165), Federico Barbarossa [1]: un esergo più che pertinente per le annotazioni che seguono.
La storia dell’educazione lungo il M. non può essere costretta nei termini della storia delle Istituzioni scolastiche, con la quale tuttavia collude [1]. La scuola, pur nelle sue disparate accezioni, non raccoglie che una sparuta minoranza, e questa prevalentemente maschile. La stragrande maggioranza matura alla vita, quando avviene, in contesti diversi: la famiglia anzitutto, il parentado, le consociazioni di varia indole, gli apprendistati, le botteghe, i cantieri, i laboratorii, l’episcopio o la canonica, e la corte principesca o regale. Il controllo di codesti ambiti può certo riuscire arduo, ma è di certo ineludibile. La nostra voce deve così includere e la complessiva evoluzione della vicenda (1.), e il censimento, almeno, delle variegate proposte (2.), delle concorrenze più significative (3.) nella valutazione della storiografia più accreditata; per concludere sugli esiti (4.).
1. Evoluzione storica. Anzitutto un cenno di periodizzazione. È ovvio che il discrimine che fa capo al 476 è del tutto convenzionale. Tra la Tarda Antichità del sec. IV e l’Alto M. del sec. VII le vischiosità sono innumerevoli e della più disparata indole [2]. Sulla metà del sec. VI, tragicamente decisiva, deflagra però la peste giustinianea, che, dimezzando complessivamente la popolazione del mondo romano, stabilisce una prima lugubre cesura. E altrettale divario opera, a valle dell’Evo Medio, l’altra peste, la Grande, che spopola l’Occidente sulla metà del sec. XIV [3]. Tra l’una e l’altra funerea iattura si inscrive la nostra storia.
1.1. Secc. VI-VII: la persistenza della educazione antica. La travagliata convivenza tra Romani e Barbari, se impone ai primi forzosa rassegnazione, non accorda per ciò stesso agli altri sfrontata esuberanza. Indiscutibile era per i sopravvenienti la dignità e il prestigio della cultura degli indigeni; e tanto consente, negli insediamenti barbarici, in Africa, in Spagna, nella Gallia meridionale e in Italia, la relativa sopravvivenza delle idealità e delle metodologie della cultura già accreditata. Allorché in Spagna, ove i Visigoti erano entrati come alleati dell’Impero, il principe svevo Miro chiede all’arcivescovo Martino di Braga, originario a sua volta della Pannonia (†579), prospettive di condotta degna, ne ottiene una Formula vitae honestae. Codesta guida alla rettitudine non si appella alle acerbe prescrizioni evangeliche, ma propone, togliendolo a → Seneca, il programma delle quattro virtù cardinali. Non ci riesce di sapere se Miro ne abbia tratto profitto, ma sta di fatto che il sistema basato sulla quadriga virtutum, manterrà, fino a tutta la Rinascenza carolingia e oltre credito persistente [4]. In Italia, Severino Boezio († 584), illustre rampollo d’una delle più quotate famiglie senatorie, propone manuali scolastici per lo studio delle discipline del Quadrivio e traduce e commenta, sull’esempio delle iniziative alessandrine, parte dell’opera logica di Aristotele, introdotta dalla Isagoge di Porfirio. Il suo De consolatione philosophiae, concepito sotto il segno del Commento di Macrobio al Sogno di Scipione, e redatto ormai da detenuto, è pervaso di umori stoici e platonici. Un altro illustre funzionario di Teodorico, Cassiodoro († 580), avanza il progetto d’una Scuola superiore di scienze religiose, onde completare e coronare le scuole di mera retorica. Il disegno fallisce a Roma, ma si concreta in Calabria, nel Vivarium. Le Institutiones, che ne raccolgono le prospettive, costituiscono un vero e proprio manuale delle sette → arti liberali (grammatica, dialettica, retorica, aritmetica, geometria, astronomia e musica), ormai integrate all’interno d’una più comprensiva cultura sacra, congruamente corredate di bibliografia assortita [5]. Un altro senatore, formatosi anch’egli nella scuola antica e finito sul soglio di Pietro, Gregorio Magno († 604), si è rivelato, nonostante reiterate renitenze un eccellente pedagogo. La sua Regula pastoralis, un manuale per la formazione del buon pastore, vescovo o semplice prete, si guadagna tosto tanta stima da passare per accreditato, accanto alla Scrittura e alle determinazioni canoniche [6]. Straordinariamente importanti sono anche i Dialogi, una collezione in quattro libri di biografie edificanti atte a proporre compiute esemplificazioni di vita riuscita. In Spagna, → Isidoro di Siviglia († 636), di formazione monastica, ma tosto vescovo, raccoglie, nelle Etymologiae, la più consultata enciclopedia che il M. trovi disponibile. Venti libri che condensano tutta la cultura fruibile, dalle arti liberali alla medicina, al diritto, alla letteratura ecclesiastica e profana, alla cosmologia, alla guerra, allo spettacolo, al lavoro umano e agli strumenti che lo servono [7].
1.2. La prima insorgenza della scuola clericale. La Chiesa non aspetta il totale degrado delle istituzioni antiche per organizzarne di proprie. Da tempo c’è chi eccepisce che riesumare proditorie espressioni della cultura pagana possa conferire alla formazione cristiana degli incolti, minori o adulti che siano. Meglio attenersi alla saggezza garantita dei testi scritturistici. È codesto cauto proposito a suscitare e sorreggere le nuove istituzioni, monastiche, episcopali o parrocchiali che siano; ed è del tutto naturale che resti appannaggio dell’iniziativa ecclesiastica il perseguirne la realizzazione. Raccolto sotto la presidenza di Cesario di Arles († 542), già monaco a Lérins, il Concilio di Vaison (529) dispone l’istituzione di scuole aperte all’educazione di ragazzi, sia che auspicabilmente si votino alla clericatura, sia che intendano restare laici. In nessun caso si coglie che i vescovi manifestino a quest’epoca particolare interesse per le arti liberali. La frattura tra la programmazione classica e la nuova è ormai consumata. È invece sicuro merito della iniziativa benedettina l’aver raccolto, con il retaggio della nuova cultura, l’impegno di riassettarne i contenuti, riducendo eccedenze e ricuperando improvvide remissioni [8]. In Britannia, lungo tutto il sec. VI, la cultura celtica si è sviluppata in relativo isolamento; tosto però la evangelizzazione reca sulle isole britanniche il fascino della tradizione romana. La perfusione che progressivamente vi si consuma suscita sì alti fervori da travasarne la fecondità prima sulla Gallia e quindi su tutto il continente. Per l’indigeno il latino resta tuttavia idioma estraneo. Si sarebbe potuto tradurne i prodotti utili; e invece si preferisce impararlo. Anzitutto ricorrendo a Donato [9.10], e poi accedendo gradualmente alle produzioni eccellenti che il latino ha espresso. Ed eccolo il segreto incentivo del reiterato peregrinare di Benedetto Biscop († 690), abate, tra Jarrow e Roma, gravato ad ogni rientro da sarcine di libri. Jarrow è l’una delle grandi abbazie della Northumbria, cui si deve la formazione di Beda il Venerabile († 795). Oblato, settenne a Wearmouth, si era tosto stabilito a Jarrow, ove insegnò incessantemente per quarant’anni. Non si può non richiamare taluno dei suoi titoli: De orthographia, De schematibus et tropis, De metrica ratione, e poi il De rerum natura, e soprattutto la Historia ecclesiastica gentis Anglorum, la più trascritta, nel seguito, delle produzioni di Beda. Quando egli morì, il suo discepolo Egberto ebbe modo di raccogliere l’oblazione di Alcuino, cui passò esaltati i nuovi interessi culturali, preparandolo con ciò stesso a divenire l’istitutore dell’Europa carolingia.
1.3. Concorrenze laicali. Per quanto volenterosa, l’iniziativa benedettina non può manifestamente coprire l’intiero continente, né sovvenire a tutte le necessità del caso. È facile sorprendere presso le corti dei varii dignitarii giovani dignitarii servire quali apprezzati funzionarii. Il caso di Didier († 655), futuro vescovo di Cahors, può riuscire esemplare. Deve alla propria famiglia la prima educazione; la madre, anzi, ne conforta la maturazione, consegnando a patetiche lettere le sue trepide aspettative. Alla corte di re Dagoberto, ove incontra altri giovani intenti a prepararsi sotto la direzione del prefetto di corte a futuri incarichi amministrativi, Didier lavora a sua volta come tesoriere. Alla stregua della madre di Didier, più d’un ecclesiastico, vescovo o abate, è chiamato a disegnare congrue prospettive per ogni buon proponimento, dando così vita ad una cospicua serie di proposte di comportamento, gli Specula, un genere che troverà nel seguito prossimo e remoto pertinace interesse. Paolino d’Aquileia († 802) compone, prima del 799, un Liber exhortationis ad Heiricum, per il duca Eric di Friuli, l’uno dei più abili generali di Carlomagno; Alcuino di York († 804), dedica prima (ca. 800) un De virtutibus et vitiis al margravio Wido di Bretagna, e quindi (801-4) la Disputatio de rhetorica et de virtutibus a Carlomagno; Smaragdo di St.-Mihiel († 825-30), una Via regia (814-16) a Luigi il Pio; Giona d’Orleans († 843), un De institutione regia a Pipino I d’Aquitania; Sedulio Scottus († 860), un Liber de rectoribus christianis, a Lotario II, e per finire, Hincmaro di Reims († 882), un De regis persona et de regis ministerio (873), più un De ordine palatii, a Carlo il Calvo [11].
1.4. Sec. VIII-IX: il riordino carolingio. Di una via regia, re Carlo aveva di certo impellente bisogno. Venuto alla cultura solo da adulto, penò non poco per apprendere da Pietro di Pisa rudimenti elementari, ma si giovò della intelligente assistenza di Alcuino († 804). Con una Admonitio generalis e l’Epistola de litteris colendis inaugura la produzione legislativa scolastica, cui concorreranno i suoi successori: «Si persegua in ogni vescovado e in ogni monastero la lettura dei Salmi, il canto, il computo e lo studio della grammatica; e altrettanto facciano le parrocchie rurali nel loro piccolo» [12.13.14]. Il volenteroso impegno si realizza al meglio nelle grandi abbazie: St.-Denis, St.-Wandrille, St.-Riquier, Corbie, Reichenau, St.-Emmeran, St.-Gallen. Lungo il sec. IX le supreme cure passano, prima a Luigi il Pio (778-840), e quindi a Carlo il Calvo (823-877). Con il primo collaborano validamente il tedesco Rabano Mauro († 856), abate di Fulda e poi arcivescovo di Magonza; e l’aquitano Giona d’Orléans († 843), vescovo della stessa. A Rabano la nostra storia deve una Institutio clericorum, un manuale ormai convenzionale per la formazione del clero, e poi un De rerum naturis et verborum proprietatibus et de mystica earumdem rerum significatione, una singolare enciclopedia, che, se raccoglie per un verso l’eredità di Isidoro di Siviglia, per l’altro la sopravvanza, corredandone sistematicamente le materie con assortite illustrazioni. A Giona viene anzitutto accreditato un De institutione laicali. Il conte Manfredo, destituito nell’828, perché ribelle, da Luigi il Pio, gli aveva chiesto qualche indirizzo di vita onesta per quanti uxorio vincolo ligantur. Giona replica con un manuale di vita morale. Uno speculum per laici, tosto affiancato dal De institutione regia sopra citato. A Carlo il Calvo presta la propria esuberante cooperazione l’arcivescovo di Reims, Hincmaro († 882). Influentissimo in terra franca e scrittore fecondo, dedica al suo sovrano il De regis persona e il De ordine palatii di cui sopra. Anche lo scottus Sedulio dedicava il suo Liber de rectoribus christianis (855-59) a Lotario II; e se la penuria di fonti non consente di ipotizzare collaborazioni ulteriori, la composizione si rileva uno dei prodotti più interessanti che la nostra storia possa riesumare nel periodo. Sull’esempio della Consolatio boeziana esso propone venti capitoli di prose intercalate da tratti in versi di metro sempre variato. La dignità regale è radicalmente ministeriale nel contesto della trascendente dominazione di Dio. Devono per ciò stesso riuscire ineccepibili e il servizio e il servitore. Nello stesso arco di tempo insiste il singolare Liber manualis accreditato a Dhuoda di Settimania. Aveva sposato, nell’821 a Aix-la-Chapelle, il conte Bernardo di Settimania, ed ebbe da questi Guglielmo, cui, sedicenne, è dedicato il Liber. Redatto a Uzès tra la fine dell’841 e l’inizio dell’843, vuole essere per l’adolescente primogenito l’affidabile guida del vero aristocratico [15.16].
1.5. Sec. X-XI: Infausti inceppamenti. Le iniziative carolingie si esauriscono lentamente sull’inizio del sec. X. E tuttavia il pregiudizio di un torpido globale offuscamento, a trista conseguenza delle sciagurate irruzioni di Normanni, Ungari e Saraceni, è decisamente smentito dalla storiografia più aggiornata e attenta [17]. Persistono generose velleità. Re Alfredo il Grande (849-901), nel Wessex, aspira a ricreare i fasti di Carlomagno; e Ottone I (912-973), anch’egli Grande, perseguirà, con qualche successo in Italia, analoghi propositi. Resta confortante, nonostante l’una o l’altra contingente riserva, una residua vitalità delle istituzioni monastiche, mobilitate e rinvigorite dalle riforme clunisiane. Particolarmente feraci sono, ai nostri interessi, Cluny, anzitutto, ove Oddone († 942), di famiglia aristocratica e colto di suo, prima canonico di s. Martino di Tours e poi abate, si occupa appassionatamente di scuole e nella Vita S. Geraldi confessoris, biografia del conte Geraldo d’Aurillac, morto cinquantenne, può proporre un persuasivo ideale di vita compiuta. E poi Fleury, ove opera, autorevole e fecondo, l’abate Abbone († 1004) e si può leggere, redatto da tale Isembardo, uno Speculum puerorum. E quindi Micy; St.-Martial di Limoges; Fécamp; Jumièges; Mont St-Mihiel; Bec-Helloin, in Francia. Nelle terre dell’Impero, Corvey; Gandersheim, ove poetessa, drammaturga e commediografa, Hrosvitha († ca. 1000) può proporre, pur ispirandosi a Terenzio, scenografie volenterosamente edificanti a illetterati e meno [16]; Tegernsee; St. Emmeran; Reichenau; St. Gallen. La produttività monastica dedica precipuo interesse alla agiografia. Però più che mera ricerca di tutorio patrocinio, essa tende ormai ad accreditare al titolare tal corredo di virtù da sollecitare discretamente volenterosa emulazione. Il santo, oltre che provvido protettore, autorevole mediatore nei confronti d’una divinità imperscrutabile, è anche esempio canonizzabile di vita compiuta [18.19].
1.6. Scuole municipali. Il ricupero e lo svi-luppo degli spazi urbani, maggiori e minori, in Italia anzitutto, e poi qua e là in Europa a cominciare dal nord, offre all’educazione nuove opportunità. Ovunque prosperano, più o meno floride scuole municipali. A Reims opera Gerberto d’Aurillac († 1003), docente illustre nell’insegnamento delle arti del quadrivio, finito precettore di Ottone III, e poi papa col nome di Silvestro II [20]. A Chartres, Fulberto († 1028) avvia la scuola che diventerà famosa nel sec. XII [21]. Lo schema delle Sette arti, cui codeste scuole ancora si affidano, sollecitato ormai per più versi, è prossimo ad esuberare da ogni lato [22]. La rilettura cristiana lo aveva piegato a funzioni propedeutiche nei riguardi della scienza sacra; ora il ricupero di eterogenee eppur feconde tradizioni classiche, facenti capo a Plauto, Terenzio, Cicerone, Catullo, Ovidio, Seneca, Giovenale, Orazio, Servio (cfr. il Libellus scholasticus di Egbert di Liège) rendono turgido lo schema in vista di venture efflorescenze [23.24].
1.7. Sec. XII-XIV: Le nuove effervescenze. Venendo al sec. XII, e ai seguenti XIII e XIV, convenzionalmente la storia dell’educazione cede a quella delle istituzioni scolastiche: la scuola episcopale, per il primo, e l’università, per gli altri. Quanto sia fallace codesto affidamento può essere significato al meglio dal Lai d’Aristote di Henri des Andelys, attivo a Parigi tra il 1220 e il 1240 [25]. Aristotele rimprovera ad Alessandro corriva condiscendenza nei riguardi di certa concubina, da cui però viene lui stesso sedotto. Morale: se non può nulla la scienza contro la seduzione femminile, una compiuta educazione non può essere delegata alla scuola.
1.7.1. Sussidii tecnici. Gli espedienti atti a raggiungere la preponderante massa di soggetti, per i quali la scuola non è nemmeno remota evenienza, si fanno ora innumeri. Resta tuttavia ancora intentato il controllo esaustivo di tutte le disponibilità fruibili. Anzitutto nell’ambito delle tecniche letterarie. I progressi a partire dal sec. XI, dell’alfabetizzazione [26.27] inducono la proliferazione di sussidii disparati, sia per l’apprendimento della mera arte dello scrivere [28], sia, a fini di più sostanziale profitto, nella manualistica grammaticale. Straripano le tradizioni di Donato e Prisciano; e mentre la Summa Prisciani di Pietro Helias (ca. 1150) trova l’onore di essere accolta nello Speculum doctrinale di Vincenzo di Beauvais († 1264), nel 1199, per l’acculturazione dei due nipoti del vescovo di Dol-de-Bretagne, Giovanni de la Mouche, Prisciano in persona deve vestire contro voglia le incomode misure dei 2645 esametri del Doctrinale di Alessandro di Ville-Dieu († 1240) [9.29]. Ancora ad esordienti, giovani e meno, sono dedicate le Artes dictaminis, tra la fine del sec. XI e il sec. XIV. Esse rappresentano prima una ricerca di stile, e poi la rassicurante convenzionalità delle varie cancellerie, municipali, ecclesiastiche o principesche. Scuole diverse, facenti capo a Bologna, Orléans e Parigi, formano innumeri precettori e tecnici, tra Alberto di Montecassino († 1087) e Lorenzo di Aquileia († 1300) [30]. Ma oltre all’arte della composizione, c’è, per l’adulto accreditato, quella della comunicazione omiletica: l’Ars praedicandi [31.32], alimentata a sua volta, da sussidii di varia indole, florilegii, bestiarii, fiorarli, lapidarli, e quant’altro [33.34]. Inequivoco urge l’assillo per la varietà degli interlocutori. Monaci e monache, canonici, prelati e chierici semplici, studenti, coniugati, donne, artigiani e professionisti; gli esterni, giudei, musulmani, catari e quant’altro; sono tutti fatti oggetto di peculiare discrezione. Ulteriore attenzione merita la drammatizzazione. Benché circolino discretamente e Plauto e Terenzio, non è ad essi che il Ludus medievale si ispira; è piuttosto l’equivalenza ludus sive exemplum che accredita la drammaturgia lungo il sec. XI e seguenti. Le fatali eccedenze che la secolarizzazione induce sono debitamente censurate. La Eruditio didascalica di Ugo di St.-Victor († 1141) prevede la theatrica [35.36]. Oltre che in sacra rappresentazione, la vivacità dell’animazione si produce in epopee allegoriche di varia indole e misura, rubricate Altercano, Certamen, Conflictus, Causa; che mettono a confronto l’uomo e la morte, la carne e lo spirito, i vizii e le virtù, e financo le complementari adolescenze di Elena e Ganimede, Fillide e Flora, Fiorenza e Biancofiore. E non è tutto, giacché di animazione si alimenta il ricupero della favolistica del Novus Hesopus o del Novus Avianus, ad edificazione dei piccini e meno [37.38]. Ogni comunicazione resta tuttavia precaria se non se ne sollecita la congrua assimilazione. E così l’educazione medievale dedica alla mnemotecnica l’interesse, che, in temperie di prevalente oralità, non può non meritare [39].
1.7.2. Trattatistica pedagogica. Un sì imponente arsenale di tecniche letterarie è naturalmente funzionale nei confronti della cospicua produzione pedagogica disponibile. Si tratta anzitutto di trattatistica strategica, e meramente programmatica e positivamente prospettica. Un esempio eccellente di trattatistica programmatica è proposto dal già citato Didascalicon o Eruditionis didascalicae libri septem di Ugo di St.-Victor († 1141). Altrettanto apprezzabile è l’Heptateuchon di Teodorico di Chartres († a. 1155), un’imponente introduzione all’enciclopedia delle scienze, particolarmente documentata circa le fonti cui di caso in caso attinge. La trattatistica prospettica, in una temperie in cui un diffuso platonismo sollecita brame e nostalgie del Valore assoluto, vede affluenze più che volenterose. Il misterioso Onorio Augustodunensis († 1152) delinea le sue ardimentose prospettive prima nel De animae exilio et patriae e quindi nella Scala coeli; Herrad di Landsberg († 1195), badessa di Hohenburg, in Alsazia, le adotterà per le sue consorelle nel suo Hortus deliciarum. Bernardo Silvestris († ca. 1160) dedica a Teodorico di Chartres, la sua Cosmographia, conclusa nel 1147. Attingendo, più che alla Bibbia, a Virgilio e Ovidio, delinea nella sua prima parte, aperta al megacosmos, come il Noùs metta ordine e bellezza nell’universo, in cui si incastona l’uomo, il microcosmos, del quale la seconda parte dell’elaborato racconta la formazione, con l’aiuto di Urania e Fysis, e dice il difficile equilibrio. Analoghe coordinazioni tenta Alano di Lille († 1203), con il Deplanctu naturae (ca. 1165) e l’Anticlaudianus (ca. 1182). È degna di nota, a questa data, la simpatia per → Aristotele, contro Platone, che Alano apertamente dichiara [40]. Evochiamo per ultimo lo Speculum universale, il capolavoro di Randolfo Ardens († 1200), non ancora apprezzato per quel che merita. Anch’egli, consapevole della strutturale fragilità dell’uomo, ne dispone la progressiva maturazione in un sistema di acquisizioni virtuose, un equilibrio in cui si compongono virtù ponderative (Virtutes discretivae), virtù affettive (Virtutes affectuosae, amativae o odiativae), e virtù spregiative (Virtutes contemptivae). Da richiamare anche qui che neanche Randolfo può avere sottomano i dati che Aristotele consegna alla sua Etica nicomachea [41]. La produzione prospettica, non più complessiva, ma in certo modo monografica, cui può proficuamente attingere una storia della pedagogia, non è ancora inventariata. Qui non possiamo che segnalare gli ambiti più promettenti. La Narrativa anzitutto, sia che si esprima in epopea, in romanzo, in mera storia: dall’anonimo Roman d’Eneas (a. 1170), dall’Alexandreis di Gualtero di Chatillon († 1184), al De duabus civitatibus di Ottone di Freising († 1158), alla Historia ecclesiastica di Pietro Manducator († 1179), allo Speculum historiale di Vincenzo di Beauvais († 1264) [42.43]. Immediatamente al seguito, la Agiografia [44]; sia che si esprima in composizioni seriali, sia che proponga monograficamente singole Vitae, sia che selezioni in exempla comportamenti notevoli. Lo Speculum historiale di Vincenzo di Beauvais, appena citato, apre non meno di novecento dei suoi tremilaottocento capitoli a Vitae e Miracula [45.46.47]. Tipici nel genere restano e la Legenda aurea di Giacomo di Varazze († 1298) [48], e i più contenuti Speculum sanctorale del domenicano Bernardo Gui († 1331) e Sanctiloquium sive speculum legendarum del benedettino Guido di Chartres († 1350). Queste due ultime rubriche consentono di richiamare ancora il genere degli Specula, di cui abbiamo fatto menzione ai primordii. Naturalmente ci sono specula per tutti: per il semplice cristiano (Speculum humanae salvationis); per il laico (Sp. laicorum); per il chierico (Sp. clericorum); per il ragazzo (Sp. puerorum); per i reggitori in carica o in aspettativa (Sp. principis) [11.49]; per le loro consorti (The mirror of the Queen) [50.51]; per le vergini (Sp. virginum) [52]; per le beghine (Mirouers des simples ames anienties di Margherita Porete, † 1310); per il curiale e il cavaliere (Policraticus di Giovanni di Salisbury, † 1180; Libre del Ordre de Cavalleria, di Raimondo Lullo, † 1316) [53.54]; per il magistrato esordiente (Sp. iuris di Guglielmo Duranti Speculator, † 1296); per il libertino giulivo (Sp. amatorum mundi o peccatoris); per lo sciocco idiota (Sp. stultorum di Nigel Wireker, † 1207). Per tutti e ciascuno la prospettiva di un comportamento esemplare [45.55.56]. Le strategie più elaborate esprimerebbero tuttavia mere velleità se non se ne perseguisse la disciplinata prosecuzione. Di ciò si occupa pertinacemente la trattatistica tattica; ed è facile immaginare quanto risulti opulenta e zelante la strabiliante concorrenza. C’è anzitutto la produzione propriamente catechetica dalle misure minime dei settenarii (vizii, virtù, doni dello Spirito S., opere di misericordia) [57.58.59], all’Elucidarium di Onorio Augustodunensis († 1140), nel quale l’avventura umana è inserita tra il primordiale avvio e l’esito definitivo. Altissima qualità dimostrano il De sacramentis christianae fidei di Ugo di St.-Victor († 1141); il Compendium theologicae veritatis di Ugo Ripelin († 1268); il Breviloquium di Bonaventura di Bagnoregio († 1274); la stessa Summa theologiae di Tommaso d’Aquino († 1274), proposta ad eruditionem incipientium; e comunque il Rotulus pugillaris di Agostino di Dacia (t 1285), elaborato pro instructione iuvenum. La produzione omiletica, immensurabile, e tuttavia manifestamente pertinente, in particolare per le insistenti applicazioni ad status, ha già riscosso attenzioni mirate. Qui basterà richiamare i saggi complessivi già citati [32.33.34.60] e una preziosa nota di A. Vauchez [61], dedicata alla diffusione e alla recezione del messaggio religioso. Un terzo genere di trattatistica tattica raccoglie la produzione parenetica, essa pure considerevolissima e per buona parte raccolta nel prezioso repertorio di M.W. Bloomfield [59]; dalla Disciplina clericalis di Pietro Alphonsi († 1140); al De disciplina scholarium (1230-40) dello Ps. Boezio; allo Speculumi maius di Vincenzo di Beauvais; alla Vita scholastica di Bonvisin da la Ripa († 1315); al De institutione vitae di Riccardo Rolle di Hampole († 1349); all’Horologium sapientiae di Enrico Suso († 1366). Non può essere trascurata inoltre la produzione censoria. Anche qui qualche provvido consuntivo ci facilita il compito, giacché il genere risulta affollatissimo. Le rubriche di cui codesta storiografia si interessa possono riuscire repellenti. Ma ciò non toglie che, a partire dal Corrector et medicus (Decretorum l. XIX) di Burchard di Worms († 1025), le varie Summae confessorum, i varii Manualia curatorum, gli innumeri Poenitentialia, raccontano più di quanto non si immagini dell’indefessa condiscendenza che, in una sorta di persistente educazione, sollecita l’uomo del M. a ricuperare per continuare a vivere [62.63.64]. La produzione maggiore di Giovanni di Freiburg († 1298), una Summa confessorum e il Tractatus de instructione confessorum, apprezzatissimi, può riuscire, nel caso, esemplare. Non vogliamo tralasciare, per finire con la pubblicistica pedagogica tattica, il contributo che viene al riguardo dalla satira. Che essa si produca in latino o in volgare, in prosa o in versi, in privato o sul proscenio, di certo fa da estrema acerba sanzione, in un contesto già culturalmente evoluto e perciò suscettibile di sofferenza e capace di nausea. Dall’Ysengrinus di Nivard di Gand († 1148), al Pange lingua Magdalenae di Filippo di Grève († 1236), tutti, con altri innumeri censori, assolvono al meglio il loro serioso compito [65.66].
2. I destinatarii dell’educazione. Stante il costo dei materiali scrittorii e le difficoltà tecniche della riproduzione dei testi, il M. vive in costante oralità [67]; una oralità, per giunta, che, fatte salve marginali eccedenze, è sostanzialmente monodica. A gestirne infatti il sistema non c’è che il clero, il soggetto cui è sopravvenuto l’onere suppletorio d’ogni residua iniziativa. Di contro, per ciò stesso, a sostenere il ruolo di destinatario, non c’è il minore, cui convenzionalmente si accredita naturale duttilità, ma il laico, l’uomo attuale o potenziale cristiano, tra battesimo e unzione. Naturalmente egli attraversa, evolvendo, stagioni diverse. Isidoro di Siviglia ne conta non meno di sei: infantia, pueritia, adolescentia, iuventus, gravitas e senectus (Etym., XI, 2). E però ben di più e di meglio può esprimere il recente saggio di J. A. Burrew, The ages of Man (Oxford, 1986).
2.1. Il minore: modelli culturali. Le valutazioni tanto minimaliste quanto sommarie di P. Ariès (1970, 1973) hanno comunque sortito l’esito di concentrare sul tema dell’infanzia medievale interessi prima lesinati. Segnaliamo qui qualche consuntivo: M. Winter, Kindheit und Jugend im Mittelalter (Freiburg, 1985); R. Carron, Enfant et Parenté dans la France médiévale, Xe-XIIIe siècles (Genève, 1989); S. Shahar, Childhood in the Middle Ages (London, 1990); A. Giallongo, Il bambino medievale. Educazione e infanzia nel M. (Bari, 1990); D. Alexandre-Bidon, Grandeur et renaissance du sentiment de l’enfant au Moyen Age, in «Histoire de l’Éducation» (1991, 39-63). Prima e durante e dopo le età più duttili, legittimo o bastardo, il ragazzo medievale assume auspicati o forzosi ruoli di sicuro rilievo. A otto anni Jean de Brie († ca. 1379), conduce al pascolo le oche, a dieci accudisce ai maiali, a quattordici provvede a duecento ovini, diventa quindi intendente di un consigliere parlamentare, frequenta l’università, è presentato a corte, ove Carlo V di Francia gli sollecita la stesura del Traité de l’art de bergerie, che lo renderà famoso. I ruoli meglio identificabili possono essere ricondotti a tre, l’ultimo dei quali è di fatto plurimo. Il primo è l’oblatura, una sorta di professione religiosa presuntiva. La Regula Benedicti e le Consuetudines monasticae descrivono il rito: durante la liturgia della Messa, il genitore presentando le offerte avvolge anche la mano del figlio nella tovaglia dell’offertorio; poi sottoscrive eventualmente la cessione; spetta quindi all’abate benedire il saio e rivestire il ragazzo dopo averlo tonsurato. Non senza traumi, ma senza soverchie angustie, come annota M. Lahaye-Geusen, Das Opfer der Kinder: Ein Beitrag zur Liturgie und Sozialgeschichte des Mönchtum im Hohen Mittelalter (Altenberge, 1991). Studente è infatti un altro dei ruoli che il ragazzo medievale riveste, come e quando può. Un ruolo multiforme, giacché assume indole e consistenza in contesti disparati. Diversa è infatti la situazione dello studente nel chiuso del chiostro, da quella dello studente in locazione nelle dipendenze della cattedrale, o ospite del docente affidatario, o nel collegio accreditato, o presso l’una e l’altra delle molteplici disponibilità dell’università (L. Moulin, La vie des étudiants au Moyen Age, Paris, 1991). Un terzo ruolo proposto al ragazzo medievale, di fatto molteplice, è quello dell’apprendistato, ovviamente aperto alle innumeri disponibilità fruibili, qualora naturalmente di caso in caso gli riescano. Esso comincia appena a suscitare l’interesse che merita. Si controllino H. Felzer, Jugend in der mittelelterlichen Ständegesellschaft. Ein Beitrag zum Problem der Generationen (Wien, 1971); Les entrées dans la vie, initiations et apprentissages (Nancy, 1982).
2.2. L’adulto: modelli culturali. Come abbiamo lasciato intendere, l’uomo medievale non può mai considerare conclusa la propria preparazione alla vita. Questa, oltre tutto, si apre a stadii intemporali, rispetto ai quali ogni previo avvio non può che essere provvisorio. Come non tentare di soccorrere l’assillo dell’adulto con congrua sollecitudine? Naturalmente, così come si presta al bambino, al ragazzo e all’adolescente assistenza tatticamente assortita rispetto ai ruoli che in concreto essi sviluppano, così anche qui è espediente altrettale determinazione. E di fatto dai Praeloquia (934-36) di Rather di Verona († 974) agli esuberanti sermonarii di un Raoul Ardent († 1200), di un Alano di Lille († 1203), di un Pietro di Poitiers († 1205), di un Giacomo di Vitry († 1240), o di un Guiberto di Tournai († 1284), i chierici non hanno cessato di interessarsi da presso alla vita del laico, e domestica e professionale, consapevoli dei triboli che fatalmente lo affliggono. È anche qui scontato che, al fine di serrare allo stremo l’essenziale, non si può non schematizzare, e nel caso lo si può fare senza pregiudizio sulla scorta di consuntivi già accreditati. Consideriamo affidabili: H. Fichtenau, Lebensordnungen des 10. Jahrhunderts. Studien über Denkart und Existenz im einstigen Karolingerreich (Stuttgart, 1984); H.-W. Goetz, Leben im Mittelalter vom 7. bis zum 13. Jahrhundert (München, 1986); L’uomo medievale (Bari, 1987). Il controllo degli apporti che essi recano alla storia che ci interessa rivela particolarmente promettenti il ruolo del laicato, anzitutto, nelle peculiarità che lo sostanziano, la sessualità, la nuzialità e la famiglia; il ruolo della professionalità (ministerium), che pratica in agricoltura, artigianato, mercatura, milizia e officialità amministrativa; il ruolo della clericatura, che esprime pastorale, predicazione e scolarità; e quello, naturalmente della vita monastica o regolare, che importa, oltre alle espressioni già sostenute dalla caricatura, anche certa tensione a vita di più esaltata perfezione. Circa il laicato e le sue peculiarità suggeriamo il controllo del saggio complessivo di A. Vauchez, Les laïcs au Moyen Age. Pratiques et expériences religieuses (Paris, 1987); e delle monografie che elenchiamo: J. Goody, The development of the family and marriage in Europe (Cambridge, 1983); D. Herlihy, Medieval households (Harvard, 1985); J. A. Brundage, Law, sex, and Christian society in Medieval Europe (Chicago, 1987). Nell’ambito delle professionalità (ministeria) si può considerare fruibile la miscellanea già citata, L’uomo medievale (Bari, 1987). Il ruolo denominato milizia e cavalleria, per una storia della pedagogia medievale che voglia restare proba, deve essere ristudiato. Il cavaliere resta soprattutto un uomo di guerra, e di tanta peculiarità prende piena coscienza già sugli inizii del sec. XI. L’orgoglio di appartenere ad un lignaggio di prodi lo esalta, contrapponendolo al resto del laicato. Il reclutamento inoltre finisce poco a poco per essere riservato alla discendenza, maschile ovviamente, che il corpo coopta nella cerimonia dell’investitura: una cerimonia laica all’origine, lungo la quale si rimettevano al quindicenne postulante l’arma e l’armatura. E così la classe si chiude su se stessa, e dacché vive di guerra, effettiva o mimata, non può sempre riscuotere i consensi altrui. L’ideale di un umanesimo cavalleresco deve essere probabilmente ridimensionato. Riescono in ogni caso espedienti il saggio di J. Fiori, L’idéologie du glaive. Préhistoire de la Chevalerie (Genève, 1983), e i contributi di F. Cardini, condensati nel capitolo «Il guerriero e il cavaliere» del già citato L’uomo medievale (pp. 83-123). All’officialità amministrativa, alle difficili virtù che essa esige, è aperta la miscellanea curata da J. Fleckenstein, Curialitas. Studien zu Gründfragen der höfischritterlichen Kultur (Göttingen, 1990). Per la clericatura resta ancora fruibilissimo il saggio di F.W. Oediger, Über die Bildung der Geislichen im späten Mittelalter (Leiden, 1953). Per il tratto antecedente concorre validamente il più recente contributo di J. Laudage, Priesterbild und Reformpapsttum im 11. Jahrhundert (Köln, 1984). Sulla vita monastica e regolare, la bibliografia è enorme. Il più recente consuntivo fruibile è il Medieval monasticism. Forms of religious life in Western Europe in the Middle Ages, di C. H. Lawrence (London, 1989); avvia, oltretutto, compiacentemente a bibliografia più impegnativa.
3. Le istituzioni attive. Evochiamo anzitutto la → famiglia. Tipologia e struttura della famiglia medievale sono quanto mai vaghe. Ne fanno certo parte i soggetti che dividono lo stesso sangue, i consanguinei; ma non solo. Accedono cognati, proximi, familiares, vicini, una folla di consociati che può raggiungere gli estremi della tribù. Il modello canonico di cellula elementare, monogamica, indipendente e autosufficiente, è tardivo e a tutto il sec. XIII risulta complessivamente poco o punto attestato. Nell’insieme il casato, la domus, assolve comunque la sua funzione incubatrice, pur in congiunture singolarmente aspre [68], Per cominciare, i coniugi non convengono anagraficamente alla pari. Non sono mai coetanei. La ragazza è accasata al più presto; fin troppo presto per la Chiesa, che fisserà sui dodici anni l’età minima (cfr. Decret. Greg. IX. IV, II, 6 di Alessandro III). Il matrimonio precoce costituiva espediente abituale per evitare che, nell’eventualità della morte del genitore, le risorse familiari rientrassero nelle disponibilità del superiore conferente; anche nelle corporazioni, onde supplire alla scomparsa del titolare dell’esercizio, la vedova risposava. Però, accoppiata in età minima, magari a coniuge disamato, la donna non può non trovarsi esposta alle dolci circonvenzioni di più congeniali iuvenes in aspettativa. Il maschio raggiunge al contrario maggiore età, il trentennio, prima di sposare, e ciò non può non porre ai suoi comprensibili spasimi più di un problema. A mettere tutto in conto, l’incidenza d’una mortalità infantile incombente fino a tutto il sesto anno, la precocità dell’avvio alla vita, nubilità e apprendistato, e per finire la più che plausibile assenza di nonni, non si può non concludere quanto scarso sia l’ambito d’una ingenua infanzia. Troppo poco, perché una parvenza di personalità vi possa anche solo germinare. Comunque la famiglia costituisce di fatto il grembo primordiale dell’educazione medievale. Ai sussidii citati a proposito del minore, aggiungiamo qui, le recenti miscellanee Haus und Familie in der spätmittelalterlichen Stadt (Hrsg. A. Haverkamp, Köln, 1984); Haushalt und Familie in Mittelalter und früher Neuzeit (Hrsg. T. Ehlert, Sigmaringen, 1991), e infine Femmes, mariages, lignages: XIIe - XIVe sièc. (Mélanges offerts à G. Duby, Bruxelles, 1992). Finitime e talora invasive nei confronti della famiglia, si impongono esigenti le Consociazioni. Ne abbiamo segnalato la pertinenza dicendo dell’oblatura e dell’apprendistato negli ambiti, naturalmente delle varie professionalità. Non aggiungiamo nulla. La scuola invece si è tagliata purtroppo la parte prevalente nella storia dell’educazione medievale. Una sua promozione l’ha comunque esercitata; ed è probo, fatta salva l’eccezione più volte avanzata, riconoscerne qui il legittimo merito. All’avvio essa è monastica, municipale e cattedrale; evolve poi in università. I titoli, se non maggiori, più aggiornati sono stati annotati in → Scolastica e Pedagogia. Collaterali all’istituzione universitaria, quasi altrettali trasposizioni informali, sono gli Studia generalia, centri di studio provinciali, accreditati dall’uno o dall’altro Capitolo generale o dalla diretta autorità del superiore generale dell’uno o dell’altro Ordine regolare. Molti ne dispongono, traendone effettivamente profitto ai fini di una sempre più accurata selezione del personale (cfr. W. A. Hinnebusch, The history of the Dominican order, II: Intellectual and cultural life to 1500, New York, 1973; M. M. Mulchahey, «First the Bowis Bent in Study»: Dominican Education before 1350, Toronto, Canada, Pontifical Institute of Mediaeval Studies. Studies and Texts, 132, 1998). Per ultima, ma proprio per l’immensurabile imponenza della sua funzione, evochiamo la → Chiesa. Dicendo della famiglia medievale abbiamo annotato come essa si sia data cura di fissare i termini minimi della nubilità femminile. La misura fa di fatto parte dell’immane sforzo di decantare le smanie del magma demografico europeo nella disciplina della monogamia. Orbene, tale proposito fa parte, a sua volta, del più solenne impegno che la Chiesa medievale fortunosamente mantiene nei confronti dell’uomo e della sua avventura. Il caso della scuola ne è solo un aspetto. È quanto dimostrano le innumeri Storie della Chiesa. Ma a nostra volta riteniamo più opportuno evocare due delle più recenti e accreditate Storie dell’Europa: Le Moyen Age (Ed. R. Fossier, Paris, 1982-, in 3 voll.), e lo Handbuch der europäischen Geschichte (Hrsg. Th. Schieder. Bd. 2., Hrsg. F. Seibt, Stuttgart, 1987). Al seguito tuttavia dobbiamo evocare i volumi IV-V-VI, aperti al M., nella monumentale Histoire du Christianisme des origines à nos jours (Cur. J.-M. M. Ayeur, C. Petri, L. Pietri, A. Vauchez, M. Venard, Paris, 1990-93). Soddisfatte così le attese più impegnative, ecco un contenuto, ma prezioso consuntivo: H. Martin, L’Eglise éducatrice. Messages apparents, contenus sous-jacentes (in «Histoire de l’Éducation», n. 50: Éducations médiévales: L’enfance, l’école, l’Église en Occident, VIe-XVe siècles, pp. 91-117).
4. Esiti: educazione e società. Gli esiti, più o meno lusinghieri, devono essere colti sul fatto. La storiografia comincia ad aprirsi a tal sorta di controllo (cfr.. C. Gauvard, De grâce espéciale: Crime, État et Société en France à la fin du Moyen Age, Paris, 1991, 2 voll.). Le grandi storie della Chiesa appena citate seguono passo passo la nostra epocale vicenda e ne forniscono al minuto il sommario. Al loro riconosciuto conforto aggiungiamo per chiudere un più spedito consuntivo: K. Bosl, Gesellschaft im Aufbruch. Die Welt des Mittelalters und ihre Menschen (Regensburg, 1991).
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P. T. Stella