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MEAD Margaret

 

MEAD Margaret

n. a Philadelphia nel 1901 - m. a New York nel 1978, antropologa statunitense.

1. M., allieva di Franz Boas e Ruth Benedict, si trova ad operare dopo l’apertura della scuola statunitense alle teorie europee e, in particolare, al pensiero di S.​​ ​​ Freud con l’indirizzo di «cultura e personalità» di R. Linton e A. Kardiner. In questo contesto, in un primo periodo M. si pone due obiettivi: da una parte persegue la ricerca sul campo di piccola area, tipico della scuola boasiana; da un’altra, integra questo primo obiettivo, sia teorico che metodologico, prendendo come specifico campo d’indagine il processo di costruzione della personalità individuale nell’ambito del relativo apprendimento culturale. In questa prospettiva M. dedica particolare attenzione agli esiti culturali dei tratti biologici e comportamentali della differenza sessuale. Scopo di questo taglio d’analisi è l’identificazione delle caratteristiche culturali salienti e specifiche, in opposizione al determinismo biologico, ed assunto di base è che ogni cultura seleziona, tra le varietà dei possibili comportamenti «naturali», un segmento limitato e conforme ad una «configurazione» psico-culturale. Dal punto di vista metodologico, inoltre, M. è tra i primi antropologi ad avvalersi degli strumenti e delle tecniche di registrazione audio e fotografica.

2. In un secondo periodo, su scala maggiore e con risultati teorici discussi, M. prende in considerazione la formazione e l’esito psicologico degli individui adulti con l’obiettivo di delineare e definire il loro «carattere nazionale». È questo un ulteriore sviluppo degli interessi iniziali di M. ma anche dell’indirizzo di «studi di comunità», volti a rintracciare il modello fondamentale e specifico dell’agire di una comunità, con l’obiettivo dichiarato, in questo caso, di contribuire attraverso la conoscenza alla comunicazione dei diversi Paesi del mondo ed eliminare l’incomprensione ed il sospetto reciproci. A partire poi da questa prospettiva ed in collaborazione con altri antropologi statunitensi (come R. Benedict), sotto il patrocinio dell’Unesco, nel periodo dell’immediato secondo dopoguerra, M. prende parte ai programmi di «antropologia applicata» allo sviluppo dei paesi non industrializzati. L’analisi antropologica è centrata sulla trasformazione culturale indotta dal processo di modernizzazione e di innovazione tecnologica delle comunità, nel tentativo di rispettare i valori culturali locali.

3. Infine, durante tutto il suo percorso di studio M. dedica particolare attenzione agli aspetti educativi (valori, strategie ed esiti) messi in atto dalle diverse culture, semplici e complesse, oggetto delle sue ricerche.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ tra le opere di M. trad. in it.:​​ L’adolescente in una società primitiva: adolescenza in Samoa,​​ Firenze, Editrice Universitaria, 1954;​​ Maschio e femmina,​​ Milano, Il Saggiatore, 1962;​​ Antropologia una scienza umana,​​ Roma, Astrolabio-Ubaldini, 1970. b)​​ Studi:​​ Harris M.,​​ L’evoluzione del pensiero antropologico. Una storia della teoria della cultura,​​ Bologna, Il Mulino, 1971; Callari Galli M.,​​ Antropologia e educazione. L’antropologia culturale e i processi educativi,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1975; Colleredo S.,​​ Un amore oltre l’orizzonte. Vita e viaggi di M.M., Torino, Einaudi, 2003.

M. Squillacciotti




MECCANISMI DI DIFESA

 

MECCANISMI DI DIFESA

Processi psichici attraverso cui l’Io si protegge o dalle pulsioni o dal Super-Io o da​​ ​​ stress provenienti dal mondo esterno, avvertiti come dolorosi ed insopportabili.

1. I m.d.d. sono il sedimento di modalità strutturatesi nella prima infanzia per far fronte a situazioni conflittuali, fonte di angoscia. Essi agiscono in modo prevalentemente inconscio, e quindi automatico, e si manifestano attraverso pensieri, percezioni, sentimenti, atteggiamenti, comportamenti. Possono essere adattivi o patologici. Sono adattivi quando sono in grado di garantire all’Io un sano equilibrio, che permette di non compromettere l’esame della realtà. Sono disadattivi, o patologici, allorché sono usati in modo troppo intenso, coatto e ripetitivo e quindi non tengono più conto della realtà. In questo caso, l’Io rischia di impoverirsi e di disintegrarsi, dal momento che le sue risorse vengono interamente consumate in operazioni di difesa. Esistono m. difensivi più​​ primitivi,​​ quali la proiezione, l’introiezione, la scissione, l’idealizzazione, la negazione e l’identificazione proiettiva, e m. difensivi più​​ evoluti,​​ quali la razionalizzazione, la compensazione e la sublimazione.

2. I principali m.d.d. sono: a)​​ Annullamento:​​ correzione, riparazione o espiazione di pensieri o azioni investite da pulsioni rimosse. Ciò viene simbolicamente raggiunto attraverso pensieri o azioni che hanno un significato opposto. b)​​ Diniego:​​ rifiuto di riconoscere un aspetto disturbante della realtà. A differenza della​​ negazione,​​ non c’è l’esplicitazione di un’espressione verbale negativa. c)​​ Formazione reattiva:​​ rovesciamento nel loro contrario di idee, desideri, azioni rimosse. L’individuo cioè cerca di soddisfare in qualche modo quanto è rimosso accentuando ed esaltando a livello cosciente l’esatto opposto. d)​​ Identificazione:​​ processo con cui l’individuo assimila un aspetto di un’altra persona e si trasforma in parte o in tutto nel modello di quest’ultima. Attraverso tale m. l’Io tenta di sfuggire da una situazione psichica angosciante, cercando l’altro come contenitore. Ci sono diversi tipi d’identificazione: progressiva, regressiva, con l’aggressore, con l’altro sesso e proiettiva. e)​​ Intellettualizzazione:​​ ricorso esasperato al pensiero astratto, al fine di evitare il contatto con le proprie emozioni. Un modo tipico è quello di rifugiarsi nelle generalizzazioni e in narrazioni in terza persona. f)​​ Isolamento:​​ separare, a livello di coscienza, i pensieri o le azioni dai contenuti emotivi. L’individuo è incapace di sperimentare con- temporaneamente gli aspetti cognitivi ed affettivi di una situazione. Con il ricorso a tale m. l’individuo può diventare cosciente di contenuti mentali rimossi, non invece degli aspetti emotivi ad essi connessi e viceversa. g)​​ Negazione:​​ m. per cui l’individuo, pur manifestando un desiderio, un pensiero, un sentimento, un comportamento, fino allora rimossi, si difende, negando che gli appartengono. Nella negazione viene implicitamente affermato quanto si sta negando. h)​​ Proiezione:​​ esistono due tipi fondamentali di proiezione. I.​​ Proiezione attributiva:​​ quando l’individuo sposta inconsciamente su un altro caratteristiche sue proprie, di cui però ha coscienza. II.​​ Proiezione difensiva:​​ quando l’individuo sposta inconsciamente su un altro caratteristiche sue proprie rimosse, perché fonte di angoscia. In questo secondo caso, ciò comporta una fuga dalla responsabilità dei propri pensieri o comportamenti ed un’attribuzione al mondo esterno di desideri o proibizioni provenienti dal proprio mondo interno. i)​​ Razionalizzazione:​​ processo di giustificazione, per cui l’individuo cerca di dare delle spiegazioni coerenti dal punto di vista logico a sentimenti, idee e azioni, di cui a livello conscio non sono percepite le vere motivazioni. In altri termini, l’individuo deforma inconsciamente la realtà esterna allo scopo di trovare una spiegazione razionale ad emozioni o comportamenti determinati dal proprio mondo interno. l)​​ Regressione:​​ ritorno a degli stadi anteriori di sviluppo, di pensiero, di relazioni oggettuali, di strutture comportamentali. L’Io ricorre alla regressione, allorché è esposto a situazioni di frustrazione. La fase di sviluppo verso cui ritorna è connessa al punto​​ di fissazione​​ (orale, anale o fallica) più o meno rigida della libido. La regressione può essere​​ adattiva,​​ quando è facilmente reversibile ed è al servizio dell’Io, per cui da essa ricava sollievo, o​​ disadattiva,​​ allorché l’Io regredisce ad un punto tale, da perdere il contatto con la realtà in modo irreversibile, come nel caso della psicosi. m)​​ Rimozione:​​ difesa primaria dell’Io. Essa sta all’origine della formazione dell’inconscio. Il suo obiettivo è quello di allontanare dalla coscienza pulsioni e loro derivati (pensieri, sentimenti, emozioni, ricordi, desideri) fantasticati come minacciosi. n)​​ Scissione:​​ secondo​​ ​​ Freud, comporta il sorgere di due atteggiamenti psichici dell’Io nei confronti della realtà esterna: l’uno tiene conto della realtà e l’altro la nega e la sostituisce con un prodotto del desiderio. Secondo​​ ​​ Klein è il considerare se stessi o gli altri come totalmente buoni o totalmente cattivi, per cui viene meno la capacità di cogliere, entro un quadro d’integrazione, gli aspetti positivi e negativi di sé o degli altri. o)​​ Spostamento:​​ un’idea, un desiderio o un’azione sono indirizzati verso un oggetto (persone, animali, cose, situazioni) più accettabile e meno angoscioso rispetto a quello originario. p)​​ Sublimazione:​​ incanalamento, attraverso una modulata inibizione, di idee, sentimenti, comportamenti potenzialmente disadattivi, connessi con le pulsioni libidiche o aggressive, in idee, sentimenti, comportamenti socialmente accettabili. Esempi classici di tale m. sono l’attività artistica, la competizione sportiva, la ricerca intellettuale.​​ 

Bibliografia

White R. B. - R. M. Gilliland,​​ I m.d.d.,​​ Roma, Astrolabio, 1977; Freud A., «L’Io e i m.d.d.», in​​ Opere,​​ vol. 1, Torino, Bollati Boringhieri, 1978, 151-265; Nicasi S.,​​ I m.d.d.: Studio su Freud,​​ Milano, Il Saggiatore, 1981; Poláček K.,​​ I m.d.d. nel contesto educativo,​​ in «Orientamenti Pedagogici» 43 (1996) 1009-1033; Lingiardi V. - F. Madeddu,​​ I​​ m.d.d.: Teoria,​​ valutazione,​​ clinica,​​ Milano, Cortina, 2002.

V. L. Castellazzi




MEDIATORE INTERCULTURALE

 

MEDIATORE INTERCULTURALE

Non è possibile definire in modo rigido la figura professionale del m.i. La stessa denominazione, infatti, è messa in discussione da quanti preferiscono parlare di «m. culturale» o definirlo in altro modo, sottolineando aspetti diversi del suo ruolo e profilo professionale. Per comprendere la sua identità cercheremo di precisare i vari elementi che ne specificano la figura professionale. Possiamo anzitutto dire che si è cominciato ad avvertirne la necessità con il cambiare delle condizioni e dei progetti degli immigrati: stabilizzandosi nel territorio nazionale hanno bisogno di essere riconosciuti come interlocutori delle istituzioni e come soggetti di cui vanno rispettati i diritti e riconosciuta la diversità etnica, culturale e religiosa.

1. Il m.i. può essere visto, pertanto, come una risposta istituzionale, in una società che di fatto si riconosce come multietnica, e che incontra difficoltà di accoglienza, di inclusione sociale e di capacità di risposta ai bisogni delle persone immigrate per difficoltà di relazione, di comprensione e di comunicazione. Vi è quindi bisogno di un operatore sociale che sia capace di fare da m. in situazioni di specifiche prestazioni da parte dei servizi per agevolarne l’accesso e l’uso da parte degli immigrati; di facilitare la comunicazione e comprensione tra gli operatori istituzionali e gli stessi immigrati per favorire il riconoscimento e l’accoglienza dei bisogni, aiutando a gestire eventuali conflitti; di facilitare i contatti, incoraggiare l’interazione e lo scambio, aiutando a riconoscere le differenze e le specificità culturali, linguistiche e religiose.

2. Il m.i., pertanto, presta la sua opera a livello concreto orientando gli immigrati ai servizi pubblici e privati di cui hanno necessità e facilitandone l’accesso; facilita le relazioni e rimuove barriere di incomprensione attraverso la sua competenza linguistica e culturale; cerca di superare distanze e precomprensioni attraverso un’opera di negoziazione e interscambio tra identità culturali diverse. Per poter fare tutto questo deve avere un’ottima competenza linguistica sia in riferimento all’italiano che ad un’altra lingua; deve essere anche un buon comunicatore ed avere capacità di gestione di eventuali conflitti e tensioni che possono nascere a motivo dell’incomprensione e / o della difficoltà di accettazioni di regole che possono contrastare con abitudini e patrimonio culturali del luogo di origine; conoscere ed essere aggiornato circa l’ordinamento istituzionale della nazione che accoglie.

3. Secondo Massimiliano Tarozzi (1998) gli ambiti fondamentali nei quali il m.i. può intervenire efficacemente sono i seguenti: 1)​​ Situazioni di emergenza, nelle quali è necessario facilitare l’accesso a un servizio, aiutare a interpretare una situazione, a facilitare un inserimento scolastico più adeguato. Tutti questi sono interventi legati all’emergenza e quindi a termine; 2)​​ Funzione di back office, come consulenza e supporto ai responsabili di servizio pubblico e privato per tutto quello che può essere utile per l’espletamento del loro servizio rispettoso della condizione degli immigrati; 3)​​ Animazione interculturale; superata l’emergenza, sarà importante l’attenzione alla diversità delle culture per essere in grado di valorizzare le differenze come risorse per il bene comune.

4. Per un compito così importante e delicato il m.i. ha bisogno di un’adeguata formazione. Oltre ai corsi che si svolgono a livello locale (per es. le province di Roma e di Reggio Emilia) alcune università (Trieste, Padova, Venezia) hanno istituito dei corsi di laurea per consentire una preparazione adeguata a questa professione.

Bibliografia

Tarozzi M.,​​ La mediazione educativa. «M. culturali» tra uguaglianza e differenza, Padova, CLUEB, 1998; Belpiede A. (Ed.),​​ Mediazione culturale. Esperienze e percorsi formativi, Torino, UTET, 2002;​​ Beccatelli Gurrieri G.,​​ Mediare culture. Nuove riflessioni tra comunicazione e intervento, Roma, Carocci, 2003; Petilli S. et al.,​​ M.i. Un’esperienza formativa, Roma, Sinnos, 2004.​​ 

V. Orlando




MEDIOEVO

 

MEDIOEVO

Illitteratus,​​ sed morali experientia doctus​​ è, a dire di Sicario di Cremona (MGH, SS 31, p. 165), Federico Barbarossa [1]: un esergo più che pertinente per le annotazioni che seguono.

La storia dell’educazione lungo il M. non può essere costretta nei termini della storia delle Istituzioni scolastiche, con la quale tuttavia collude [1]. La scuola, pur nelle sue disparate accezioni, non raccoglie che una sparuta minoranza, e questa prevalentemente maschile. La stragrande maggioranza matura alla vita, quando avviene, in contesti diversi: la famiglia anzitutto, il parentado, le consociazioni di varia indole, gli apprendistati, le botteghe, i cantieri, i laboratorii, l’episcopio o la canonica, e la corte principesca o regale. Il controllo di codesti ambiti può certo riuscire arduo, ma è di certo ineludibile. La nostra voce deve così includere e la complessiva evoluzione della vicenda (1.), e il censimento, almeno, delle variegate proposte (2.), delle concorrenze più significative (3.) nella valutazione della storiografia più accreditata; per concludere sugli esiti (4.).

1.​​ Evoluzione storica.​​ Anzitutto un cenno di periodizzazione. È ovvio che il discrimine che fa capo al 476 è del tutto convenzionale. Tra la Tarda Antichità del sec. IV e l’Alto M. del sec. VII le vischiosità sono innumerevoli e della più disparata indole [2]. Sulla metà del sec. VI, tragicamente decisiva, deflagra però la peste giustinianea, che, dimezzando complessivamente la popolazione del mondo romano, stabilisce una prima lugubre cesura. E altrettale divario opera, a valle dell’Evo Medio, l’altra peste, la Grande, che spopola l’Occidente sulla metà del sec. XIV [3]. Tra l’una e l’altra funerea iattura si inscrive la nostra storia.

1.1.​​ Secc. VI-VII: la persistenza della educazione antica.​​ La travagliata convivenza tra Romani e Barbari, se impone ai primi forzosa rassegnazione, non accorda per ciò stesso agli altri sfrontata esuberanza. Indiscutibile era per i sopravvenienti la dignità e il prestigio della cultura degli indigeni; e tanto consente, negli insediamenti barbarici, in Africa, in Spagna, nella Gallia meridionale e in Italia, la relativa sopravvivenza delle idealità e delle metodologie della cultura già accreditata. Allorché in Spagna, ove i Visigoti erano entrati come alleati dell’Impero, il principe svevo Miro chiede all’arcivescovo Martino di Braga, originario a sua volta della Pannonia (†579), prospettive di condotta degna, ne ottiene una​​ Formula vitae honestae.​​ Codesta guida alla rettitudine non si appella alle acerbe prescrizioni evangeliche, ma propone, togliendolo a​​ ​​ Seneca, il programma delle quattro virtù cardinali. Non ci riesce di sapere se Miro ne abbia tratto profitto, ma sta di fatto che il sistema basato sulla​​ quadriga virtutum,​​ manterrà, fino a tutta la​​ Rinascenza carolingia​​ e oltre credito persistente [4]. In Italia, Severino Boezio († 584), illustre rampollo d’una delle più quotate famiglie senatorie, propone manuali scolastici per lo studio delle discipline del​​ Quadrivio​​ e traduce e commenta, sull’esempio delle iniziative alessandrine, parte dell’opera logica di Aristotele, introdotta dalla​​ Isagoge​​ di Porfirio. Il suo​​ De consolatione philosophiae,​​ concepito sotto il segno del​​ Commento​​ di Macrobio al​​ Sogno di Scipione,​​ e redatto ormai da detenuto, è pervaso di umori stoici e platonici. Un altro illustre funzionario di Teodorico, Cassiodoro († 580), avanza il progetto d’una Scuola superiore di scienze religiose, onde completare e coronare le scuole di mera retorica. Il disegno fallisce a Roma, ma si concreta in Calabria, nel​​ Vivarium.​​ Le​​ Institutiones,​​ che ne raccolgono le prospettive, costituiscono un vero e proprio manuale delle sette​​ ​​ arti liberali​​ (grammatica, dialettica, retorica, aritmetica, geometria, astronomia e musica), ormai integrate all’interno d’una più comprensiva cultura sacra, congruamente corredate di bibliografia assortita [5]. Un altro senatore, formatosi anch’egli nella scuola antica e finito sul soglio di Pietro, Gregorio Magno († 604), si è rivelato, nonostante reiterate renitenze un eccellente pedagogo. La sua​​ Regula pastoralis,​​ un manuale per la formazione del buon pastore, vescovo o semplice prete, si guadagna tosto tanta stima da passare per accreditato, accanto alla Scrittura e alle determinazioni canoniche [6]. Straordinariamente importanti sono anche i​​ Dialogi,​​ una collezione in quattro libri di biografie edificanti atte a proporre compiute esemplificazioni di vita riuscita. In Spagna,​​ ​​ Isidoro di Siviglia († 636), di formazione monastica, ma tosto vescovo, raccoglie, nelle​​ Etymologiae,​​ la più consultata enciclopedia che il M. trovi disponibile. Venti libri che condensano tutta la cultura fruibile, dalle arti liberali alla medicina, al diritto, alla letteratura ecclesiastica e profana, alla cosmologia, alla guerra, allo spettacolo, al lavoro umano e agli strumenti che lo servono [7].

1.2.​​ La prima insorgenza della scuola clericale.​​ La Chiesa non aspetta il totale degrado delle istituzioni antiche per organizzarne di proprie. Da tempo c’è chi eccepisce che riesumare proditorie espressioni della cultura pagana possa conferire alla formazione cristiana degli incolti, minori o adulti che siano. Meglio attenersi alla saggezza garantita dei testi scritturistici. È codesto cauto proposito a suscitare e sorreggere le nuove istituzioni, monastiche, episcopali o parrocchiali che siano; ed è del tutto naturale che resti appannaggio dell’iniziativa ecclesiastica il perseguirne la realizzazione. Raccolto sotto la presidenza di Cesario di Arles († 542), già monaco a Lérins, il Concilio di Vaison (529) dispone l’istituzione di scuole aperte all’educazione di ragazzi, sia che auspicabilmente si votino alla clericatura, sia che intendano restare laici. In nessun caso si coglie che i vescovi manifestino a quest’epoca particolare interesse per le​​ arti liberali.​​ La frattura tra la programmazione classica e la nuova è ormai consumata. È invece sicuro merito della iniziativa benedettina l’aver raccolto, con il retaggio della nuova cultura, l’impegno di riassettarne i contenuti, riducendo eccedenze e ricuperando improvvide remissioni [8]. In Britannia, lungo tutto il sec. VI, la cultura celtica si è sviluppata in relativo isolamento; tosto però la evangelizzazione reca sulle isole britanniche il fascino della tradizione romana. La perfusione che progressivamente vi si consuma suscita sì alti fervori da travasarne la fecondità prima sulla Gallia e quindi su tutto il continente. Per l’indigeno il latino resta tuttavia idioma estraneo. Si sarebbe potuto tradurne i prodotti utili; e invece si preferisce impararlo. Anzitutto ricorrendo a Donato [9.10], e poi accedendo gradualmente alle produzioni eccellenti che il latino ha espresso. Ed eccolo il segreto incentivo del reiterato peregrinare di Benedetto Biscop († 690), abate, tra Jarrow e Roma, gravato ad ogni rientro da sarcine di libri. Jarrow è l’una delle grandi abbazie della Northumbria, cui si deve la formazione di Beda il Venerabile († 795). Oblato, settenne a Wearmouth, si era tosto stabilito a Jarrow, ove insegnò incessantemente per quarant’anni. Non si può non richiamare taluno dei suoi titoli:​​ De orthographia,​​ De schematibus et tropis,​​ De metrica ratione,​​ e poi il​​ De rerum natura,​​ e soprattutto la​​ Historia ecclesiastica gentis Anglorum,​​ la più trascritta, nel seguito, delle produzioni di Beda. Quando egli morì, il suo discepolo Egberto ebbe modo di raccogliere l’oblazione di Alcuino, cui passò esaltati i nuovi interessi culturali, preparandolo con ciò stesso a divenire l’istitutore dell’Europa carolingia.​​ 

1.3.​​ Concorrenze laicali.​​ Per quanto volenterosa, l’iniziativa benedettina non può manifestamente coprire l’intiero continente, né sovvenire a tutte le necessità del caso. È facile sorprendere presso le corti dei varii dignitarii giovani dignitarii servire quali apprezzati funzionarii. Il caso di Didier († 655), futuro vescovo di Cahors, può riuscire esemplare. Deve alla propria famiglia la prima educazione; la madre, anzi, ne conforta la maturazione, consegnando a patetiche lettere le sue trepide aspettative. Alla corte di re Dagoberto, ove incontra altri giovani intenti a prepararsi sotto la direzione del prefetto di corte a futuri incarichi amministrativi, Didier lavora a sua volta come tesoriere. Alla stregua della madre di Didier, più d’un ecclesiastico, vescovo o abate, è chiamato a disegnare congrue prospettive per ogni buon proponimento, dando così vita ad una cospicua serie di proposte di comportamento, gli​​ Specula,​​ un genere che troverà nel seguito prossimo e remoto pertinace interesse. Paolino d’Aquileia († 802) compone, prima del 799, un​​ Liber exhortationis ad Heiricum,​​ per il duca Eric di Friuli, l’uno dei più abili generali di Carlomagno; Alcuino di York († 804), dedica prima (ca. 800) un​​ De virtutibus et vitiis​​ al margravio Wido di Bretagna, e quindi (801-4) la​​ Disputatio de rhetorica et de virtutibus​​ a Carlomagno; Smaragdo di St.-Mihiel († 825-30), una​​ Via regia​​ (814-16) a Luigi il Pio; Giona d’Orleans († 843), un​​ De institutione regia​​ a Pipino I d’Aquitania; Sedulio Scottus († 860), un​​ Liber de rectoribus christianis,​​ a Lotario II, e per finire, Hincmaro di Reims († 882), un​​ De regis persona et de regis ministerio​​ (873), più un​​ De ordine palatii,​​ a Carlo il Calvo [11].

1.4.​​ Sec. VIII-IX: il riordino carolingio.​​ Di una via regia, re Carlo aveva di certo impellente bisogno. Venuto alla cultura solo da adulto, penò non poco per apprendere da Pietro di Pisa rudimenti elementari, ma si giovò della intelligente assistenza di Alcuino († 804). Con una​​ Admonitio generalis​​ e l’Epistola de litteris colendis​​ inaugura la produzione legislativa scolastica, cui concorreranno i suoi successori: «Si persegua in ogni vescovado e in ogni monastero la lettura dei Salmi, il canto, il computo e lo studio della grammatica; e altrettanto facciano le parrocchie rurali nel loro piccolo» [12.13.14]. Il volenteroso impegno si realizza al meglio nelle grandi abbazie: St.-Denis, St.-Wandrille, St.-Riquier, Corbie, Reichenau, St.-Emmeran, St.-Gallen. Lungo il sec. IX le supreme cure passano, prima a Luigi il Pio (778-840), e quindi a Carlo il Calvo (823-877). Con il primo collaborano validamente il tedesco Rabano Mauro († 856), abate di Fulda e poi arcivescovo di Magonza; e l’aquitano Giona d’Orléans († 843), vescovo della stessa. A Rabano la nostra storia deve una​​ Institutio clericorum,​​ un manuale ormai convenzionale per la formazione del clero, e poi un​​ De rerum naturis et verborum proprietatibus et de mystica earumdem rerum significatione,​​ una singolare enciclopedia, che, se raccoglie per un verso l’eredità di Isidoro di Siviglia, per l’altro la sopravvanza, corredandone sistematicamente le materie con assortite illustrazioni. A Giona viene anzitutto accreditato un​​ De institutione laicali.​​ Il conte Manfredo, destituito nell’828, perché ribelle, da Luigi il Pio, gli aveva chiesto qualche indirizzo di vita onesta per quanti​​ uxorio vincolo ligantur.​​ Giona replica con un manuale di vita morale. Uno​​ speculum​​ per laici, tosto affiancato dal​​ De institutione regia​​ sopra citato. A Carlo il Calvo presta la propria esuberante cooperazione l’arcivescovo di Reims, Hincmaro († 882). Influentissimo in terra franca e scrittore fecondo, dedica al suo sovrano il​​ De regis persona​​ e il​​ De ordine palatii​​ di cui sopra. Anche lo​​ scottus​​ Sedulio dedicava il suo​​ Liber de rectoribus christianis​​ (855-59) a Lotario II; e se la penuria di fonti non consente di ipotizzare collaborazioni ulteriori, la composizione si rileva uno dei prodotti più interessanti che la nostra storia possa riesumare nel periodo. Sull’esempio della​​ Consolatio​​ boeziana esso propone venti capitoli di prose intercalate da tratti in versi di metro sempre variato. La dignità regale è radicalmente ministeriale nel contesto della trascendente dominazione di Dio. Devono per ciò stesso riuscire ineccepibili e il servizio e il servitore. Nello stesso arco di tempo insiste il singolare​​ Liber manualis​​ accreditato a Dhuoda di Settimania. Aveva sposato, nell’821 a Aix-la-Chapelle, il conte Bernardo di Settimania, ed ebbe da questi Guglielmo, cui, sedicenne, è dedicato il​​ Liber.​​ Redatto a Uzès tra la fine dell’841 e l’inizio dell’843, vuole essere per l’adolescente primogenito l’affidabile guida del vero aristocratico [15.16].

1.5.​​ Sec. X-XI: Infausti inceppamenti.​​ Le iniziative carolingie si esauriscono lentamente sull’inizio del sec. X. E tuttavia il pregiudizio di un torpido globale offuscamento, a trista conseguenza delle sciagurate irruzioni di Normanni, Ungari e Saraceni, è decisamente smentito dalla storiografia più aggiornata e attenta [17]. Persistono generose velleità. Re Alfredo il Grande (849-901), nel Wessex, aspira a ricreare i fasti di Carlomagno; e Ottone I (912-973), anch’egli Grande, perseguirà, con qualche successo in Italia, analoghi propositi. Resta confortante, nonostante l’una o l’altra contingente riserva, una residua vitalità delle istituzioni monastiche, mobilitate e rinvigorite dalle riforme clunisiane. Particolarmente feraci sono, ai nostri interessi, Cluny, anzitutto, ove Oddone († 942), di famiglia aristocratica e colto di suo, prima canonico di s. Martino di Tours e poi abate, si occupa appassionatamente di scuole e nella​​ Vita S. Geraldi confessoris,​​ biografia del conte Geraldo d’Aurillac, morto cinquantenne, può proporre un persuasivo ideale di vita compiuta. E poi Fleury, ove opera, autorevole e fecondo, l’abate Abbone († 1004) e si può leggere, redatto da tale Isembardo, uno​​ Speculum puerorum.​​ E quindi Micy; St.-Martial di Limoges; Fécamp; Jumièges; Mont St-Mihiel; Bec-Helloin, in Francia.​​ Nelle terre dell’Impero, Corvey; Gandersheim, ove poetessa, drammaturga e commediografa, Hrosvitha († ca. 1000) può proporre, pur ispirandosi a Terenzio, scenografie volenterosamente edificanti a illetterati e meno [16]; Tegernsee; St. Emmeran; Reichenau; St. Gallen. La produttività monastica dedica precipuo interesse alla​​ agiografia.​​ Però più che mera ricerca di tutorio patrocinio, essa tende ormai ad accreditare al titolare tal corredo di virtù da sollecitare discretamente volenterosa emulazione. Il santo, oltre che provvido protettore, autorevole mediatore nei confronti d’una divinità imperscrutabile, è anche esempio canonizzabile di vita compiuta [18.19].

1.6.​​ Scuole municipali.​​ Il ricupero e lo svi-luppo degli spazi urbani, maggiori e minori, in Italia anzitutto, e poi qua e là in Europa a cominciare dal nord, offre all’educazione nuove opportunità. Ovunque prosperano, più o meno floride scuole municipali. A Reims opera Gerberto d’Aurillac († 1003), docente illustre nell’insegnamento delle​​ arti​​ del​​ quadrivio,​​ finito precettore di Ottone III, e poi papa col nome di Silvestro II [20]. A Chartres, Fulberto († 1028) avvia la scuola che diventerà famosa nel sec. XII [21]. Lo schema delle​​ Sette arti,​​ cui codeste scuole ancora si affidano, sollecitato ormai per più versi, è prossimo ad esuberare da ogni lato [22]. La rilettura cristiana lo aveva piegato a funzioni propedeutiche nei riguardi della scienza sacra; ora il ricupero di eterogenee eppur feconde tradizioni classiche, facenti capo a Plauto, Terenzio, Cicerone, Catullo, Ovidio, Seneca, Giovenale, Orazio, Servio (cfr. il​​ Libellus scholasticus​​ di Egbert di Liège) rendono turgido lo schema in vista di venture efflorescenze [23.24].

1.7.​​ Sec. XII-XIV: Le nuove effervescenze.​​ Venendo al sec. XII, e ai seguenti XIII e XIV, convenzionalmente la storia dell’educazione cede a quella delle istituzioni scolastiche: la scuola episcopale, per il primo, e l’università, per gli altri. Quanto sia fallace codesto affidamento può essere significato al meglio dal​​ Lai d’Aristote​​ di Henri des Andelys, attivo a Parigi tra il 1220 e il 1240 [25]. Aristotele rimprovera ad Alessandro corriva condiscendenza nei riguardi di certa concubina, da cui però viene lui stesso sedotto. Morale: se non può nulla la scienza contro la seduzione femminile, una compiuta educazione non può essere delegata alla scuola.

1.7.1.​​ Sussidii tecnici.​​ Gli espedienti atti a raggiungere la preponderante massa di soggetti, per i quali la scuola non è nemmeno remota evenienza, si fanno ora innumeri. Resta tuttavia ancora intentato il controllo esaustivo di tutte le disponibilità fruibili. Anzitutto nell’ambito delle​​ tecniche letterarie.​​ I progressi a partire dal sec. XI, dell’alfabetizzazione [26.27] inducono la proliferazione di sussidii disparati, sia per l’apprendimento della mera arte dello scrivere [28], sia, a fini di più sostanziale profitto, nella​​ manualistica grammaticale.​​ Straripano le tradizioni di Donato e Prisciano; e mentre la​​ Summa Prisciani​​ di Pietro Helias (ca. 1150) trova l’onore di essere accolta nello​​ Speculum doctrinale​​ di Vincenzo di Beauvais († 1264), nel 1199, per l’acculturazione dei due nipoti del vescovo di Dol-de-Bretagne, Giovanni de la Mouche, Prisciano in persona deve vestire contro voglia le incomode misure dei 2645 esametri del​​ Doctrinale​​ di Alessandro di Ville-Dieu († 1240) [9.29]. Ancora ad esordienti, giovani e meno, sono dedicate le​​ Artes dictaminis,​​ tra la fine del sec. XI e il sec. XIV. Esse rappresentano prima una ricerca di stile, e poi la rassicurante convenzionalità delle varie cancellerie, municipali, ecclesiastiche o principesche. Scuole diverse, facenti capo a Bologna, Orléans e Parigi, formano innumeri precettori e tecnici, tra Alberto di Montecassino († 1087) e Lorenzo di Aquileia († 1300) [30]. Ma oltre all’arte della composizione, c’è, per l’adulto accreditato, quella della​​ comunicazione omiletica:​​ l’Ars praedicandi​​ [31.32], alimentata a sua volta, da sussidii di varia indole, florilegii, bestiarii, fiorarli, lapidarli, e quant’altro [33.34]. Inequivoco urge l’assillo per la varietà degli interlocutori. Monaci e monache, canonici, prelati e chierici semplici, studenti, coniugati, donne, artigiani e professionisti; gli esterni, giudei, musulmani, catari e quant’altro; sono tutti fatti oggetto di peculiare discrezione. Ulteriore attenzione merita la​​ drammatizzazione.​​ Benché circolino discretamente e Plauto e Terenzio, non è ad essi che il​​ Ludus​​ medievale si ispira; è piuttosto l’equivalenza​​ ludus sive exemplum​​ che accredita la drammaturgia lungo il sec. XI e seguenti. Le fatali eccedenze che la secolarizzazione induce sono debitamente censurate. La​​ Eruditio didascalica​​ di Ugo di St.-Victor († 1141) prevede la​​ theatrica​​ [35.36]. Oltre che in sacra rappresentazione, la vivacità dell’animazione si produce in epopee allegoriche di varia indole e misura, rubricate​​ Altercano,​​ Certamen,​​ Conflictus,​​ Causa;​​ che mettono a confronto l’uomo e la morte, la carne e lo spirito, i vizii e le virtù, e financo le complementari adolescenze di Elena e Ganimede, Fillide e Flora, Fiorenza e Biancofiore. E non è tutto, giacché di animazione si alimenta il ricupero della​​ favolistica​​ del​​ Novus Hesopus​​ o del​​ Novus Avianus,​​ ad edificazione dei piccini e meno [37.38]. Ogni comunicazione resta tuttavia precaria se non se ne sollecita la congrua assimilazione. E così l’educazione medievale dedica alla​​ mnemotecnica​​ l’interesse, che, in temperie di prevalente oralità, non può non meritare [39].

1.7.2.​​ Trattatistica pedagogica.​​ Un sì imponente arsenale di tecniche letterarie è naturalmente funzionale nei confronti della cospicua produzione pedagogica disponibile. Si tratta anzitutto di​​ trattatistica strategica,​​ e meramente​​ programmatica​​ e positivamente​​ prospettica.​​ Un esempio eccellente di​​ trattatistica programmatica​​ è proposto dal già citato​​ Didascalicon​​ o​​ Eruditionis didascalicae libri septem​​ di Ugo di St.-Victor († 1141). Altrettanto apprezzabile è l’Heptateuchon​​ di Teodorico di Chartres († a. 1155), un’imponente introduzione all’enciclopedia delle scienze, particolarmente documentata circa le fonti cui di caso in caso attinge. La trattatistica prospettica, in una temperie in cui un diffuso platonismo sollecita brame e nostalgie del Valore assoluto, vede affluenze più che volenterose. Il misterioso Onorio Augustodunensis († 1152) delinea le sue ardimentose prospettive prima nel​​ De animae exilio et patriae​​ e quindi nella​​ Scala coeli;​​ Herrad di Landsberg († 1195), badessa di Hohenburg, in Alsazia, le adotterà per le sue consorelle nel suo​​ Hortus deliciarum.​​ Bernardo Silvestris († ca. 1160) dedica a Teodorico di Chartres, la sua​​ Cosmographia,​​ conclusa nel 1147. Attingendo, più che alla Bibbia, a Virgilio e Ovidio, delinea nella sua prima parte, aperta al​​ megacosmos,​​ come il​​ Noùs​​ metta ordine e bellezza nell’universo, in cui si incastona l’uomo, il​​ microcosmos,​​ del quale la seconda parte dell’elaborato racconta la formazione, con l’aiuto di​​ Urania​​ e​​ Fysis,​​ e dice il difficile equilibrio. Analoghe coordinazioni tenta Alano di Lille († 1203), con il​​ Deplanctu naturae​​ (ca. 1165) e l’Anticlaudianus​​ (ca. 1182). È degna di nota, a questa data, la simpatia per​​ ​​ Aristotele, contro Platone, che Alano apertamente dichiara [40]. Evochiamo per ultimo lo​​ Speculum universale,​​ il capolavoro di Randolfo Ardens († 1200), non ancora apprezzato per quel che merita. Anch’egli, consapevole della strutturale fragilità dell’uomo, ne dispone la progressiva maturazione in un sistema di acquisizioni virtuose, un equilibrio in cui si compongono virtù ponderative (Virtutes discretivae),​​ virtù affettive (Virtutes affectuosae,​​ amativae​​ o​​ odiativae),​​ e virtù spregiative (Virtutes contemptivae).​​ Da richiamare anche qui che neanche Randolfo può avere sottomano i dati che Aristotele consegna alla sua​​ Etica nicomachea​​ [41].​​ La produzione prospettica,​​ non più complessiva, ma in certo modo​​ monografica,​​ cui può proficuamente attingere una storia della pedagogia, non è ancora inventariata. Qui non possiamo che segnalare gli ambiti più promettenti. La​​ Narrativa​​ anzitutto, sia che si esprima in epopea, in romanzo, in mera storia: dall’anonimo​​ Roman d’Eneas​​ (a. 1170), dall’Alexandreis​​ di Gualtero di Chatillon († 1184), al​​ De duabus civitatibus​​ di Ottone di Freising († 1158), alla​​ Historia ecclesiastica​​ di Pietro Manducator († 1179), allo​​ Speculum historiale​​ di Vincenzo di Beauvais († 1264) [42.43]. Immediatamente al seguito, la​​ Agiografia​​ [44]; sia che si esprima in​​ composizioni seriali,​​ sia che proponga monograficamente singole​​ Vitae,​​ sia che selezioni in​​ exempla​​ comportamenti notevoli. Lo​​ Speculum historiale​​ di Vincenzo di Beauvais, appena citato, apre non meno di novecento dei suoi tremilaottocento capitoli a​​ Vitae​​ e​​ Miracula​​ [45.46.47]. Tipici nel genere restano e la​​ Legenda aurea​​ di Giacomo di Varazze († 1298) [48], e i più contenuti​​ Speculum sanctorale​​ del domenicano Bernardo Gui († 1331) e​​ Sanctiloquium sive speculum legendarum​​ del benedettino Guido di Chartres († 1350). Queste due ultime rubriche consentono di richiamare ancora il genere degli​​ Specula,​​ di cui abbiamo fatto menzione ai primordii. Naturalmente ci sono​​ specula​​ per tutti: per il semplice cristiano (Speculum humanae salvationis);​​ per il laico (Sp. laicorum); per il chierico (Sp. clericorum); per il ragazzo (Sp. puerorum);​​ per i reggitori in carica o in aspettativa (Sp. principis)​​ [11.49]; per le loro consorti (The mirror of the Queen)​​ [50.51]; per le vergini (Sp. virginum)​​ [52]; per le beghine (Mirouers des simples ames anienties​​ di Margherita Porete, † 1310); per il curiale e il cavaliere (Policraticus​​ di Giovanni di Salisbury, † 1180;​​ Libre del Ordre de Cavalleria,​​ di Raimondo Lullo, † 1316) [53.54]; per il magistrato esordiente (Sp. iuris​​ di Guglielmo Duranti Speculator, † 1296); per il libertino giulivo (Sp. amatorum mundi o peccatoris);​​ per lo sciocco idiota (Sp. stultorum​​ di Nigel Wireker, † 1207). Per tutti e ciascuno la prospettiva di un comportamento esemplare [45.55.56]. Le strategie più elaborate esprimerebbero tuttavia mere velleità se non se ne perseguisse la disciplinata prosecuzione. Di ciò si occupa pertinacemente la​​ trattatistica tattica;​​ ed è facile immaginare quanto risulti opulenta e zelante la strabiliante concorrenza. C’è anzitutto la​​ produzione​​ propriamente​​ catechetica​​ dalle misure minime dei​​ settenarii​​ (vizii, virtù, doni dello Spirito S., opere di misericordia) [57.58.59], all’Elucidarium​​ di Onorio Augustodunensis († 1140), nel quale l’avventura umana è inserita tra il primordiale avvio e l’esito definitivo. Altissima qualità dimostrano il​​ De sacramentis christianae fidei​​ di Ugo di St.-Victor († 1141); il​​ Compendium theologicae veritatis​​ di Ugo Ripelin († 1268); il​​ Breviloquium​​ di Bonaventura di Bagnoregio († 1274); la stessa​​ Summa theologiae​​ di Tommaso d’Aquino († 1274),​​ proposta​​ ad eruditionem incipientium;​​ e comunque il​​ Rotulus pugillaris​​ di Agostino di Dacia (t 1285), elaborato​​ pro instructione iuvenum.​​ La​​ produzione omiletica,​​ immensurabile, e tuttavia manifestamente pertinente, in particolare per le insistenti applicazioni​​ ad status,​​ ha già riscosso attenzioni mirate. Qui basterà richiamare i saggi complessivi già citati [32.33.34.60] e una preziosa nota di A. Vauchez [61], dedicata alla diffusione e alla recezione del messaggio religioso. Un terzo genere di trattatistica tattica raccoglie la​​ produzione parenetica,​​ essa pure considerevolissima e per buona parte raccolta nel prezioso repertorio di M.W. Bloomfield [59]; dalla​​ Disciplina clericalis​​ di Pietro Alphonsi († 1140); al​​ De disciplina scholarium​​ (1230-40) dello Ps. Boezio; allo​​ Speculumi maius​​ di Vincenzo di Beauvais; alla​​ Vita scholastica​​ di Bonvisin da la Ripa († 1315); al​​ De institutione vitae​​ di Riccardo Rolle di Hampole († 1349); all’Horologium sapientiae​​ di Enrico Suso († 1366). Non può essere trascurata inoltre la​​ produzione censoria.​​ Anche qui qualche provvido consuntivo ci facilita il compito, giacché il genere risulta affollatissimo. Le rubriche di cui codesta storiografia si interessa possono riuscire repellenti. Ma ciò non toglie che, a partire dal​​ Corrector et medicus (Decretorum l. XIX)​​ di Burchard di Worms († 1025), le varie​​ Summae confessorum,​​ i varii​​ Manualia curatorum,​​ gli innumeri​​ Poenitentialia,​​ raccontano più di quanto non si immagini dell’indefessa condiscendenza che, in una sorta di persistente educazione, sollecita l’uomo del M. a ricuperare per continuare a vivere [62.63.64]. La produzione maggiore di Giovanni di Freiburg († 1298), una​​ Summa confessorum​​ e il​​ Tractatus de instructione confessorum,​​ apprezzatissimi, può riuscire, nel caso, esemplare. Non vogliamo tralasciare, per finire con la pubblicistica pedagogica tattica, il contributo che viene al riguardo dalla​​ satira.​​ Che essa si produca in latino o in volgare, in prosa o in versi, in privato o sul proscenio, di certo fa da estrema acerba sanzione, in un contesto già culturalmente evoluto e perciò suscettibile di sofferenza e capace di nausea. Dall’Ysengrinus​​ di Nivard di Gand († 1148), al​​ Pange lingua Magdalenae​​ di Filippo di Grève († 1236), tutti, con altri innumeri censori, assolvono al meglio il loro serioso compito [65.66].

2.​​ I​​ destinatarii dell’educazione.​​ Stante il costo dei materiali scrittorii e le difficoltà tecniche della riproduzione dei testi, il M. vive in costante oralità [67]; una oralità, per giunta, che, fatte salve marginali eccedenze, è sostanzialmente monodica. A gestirne infatti il sistema non c’è che il clero, il soggetto cui è sopravvenuto l’onere suppletorio d’ogni residua iniziativa. Di contro, per ciò stesso, a sostenere il ruolo di destinatario, non c’è il minore, cui convenzionalmente si accredita naturale duttilità, ma il laico, l’uomo attuale o potenziale cristiano, tra battesimo e unzione. Naturalmente egli attraversa, evolvendo, stagioni diverse. Isidoro di Siviglia ne conta non meno di sei:​​ infantia,​​ pueritia,​​ adolescentia,​​ iuventus,​​ gravitas​​ e​​ senectus​​ (Etym.,​​ XI, 2). E però ben di più e di meglio può esprimere il recente saggio di J. A. Burrew,​​ The ages of Man​​ (Oxford, 1986).

2.1.​​ Il​​ minore: modelli culturali.​​ Le valutazioni tanto minimaliste quanto sommarie di P. Ariès (1970, 1973) hanno comunque sortito l’esito di concentrare sul tema dell’infanzia medievale interessi prima lesinati. Segnaliamo qui qualche consuntivo:​​ M. Winter,​​ Kindheit und Jugend im Mittelalter​​ (Freiburg, 1985);​​ R. Carron,​​ Enfant et Parenté dans la France médiévale,​​ Xe-XIIIe​​ siècles​​ (Genève, 1989);​​ S. Shahar,​​ Childhood in the Middle Ages​​ (London, 1990); A. Giallongo,​​ Il​​ bambino medievale. Educazione e infanzia nel M.​​ (Bari, 1990); D. Alexandre-Bidon,​​ Grandeur et renaissance du sentiment de l’enfant au Moyen Age,​​ in «Histoire de l’Éducation» (1991, 39-63). Prima e durante e dopo le età più duttili, legittimo o bastardo, il ragazzo medievale assume auspicati o forzosi ruoli di sicuro rilievo. A otto anni Jean de Brie († ca. 1379), conduce al pascolo le oche, a dieci accudisce ai maiali, a quattordici provvede a duecento ovini, diventa quindi intendente di un consigliere parlamentare, frequenta l’università, è presentato a corte, ove Carlo V di Francia gli sollecita la stesura del​​ Traité de l’art de bergerie,​​ che lo renderà famoso. I​​ ruoli​​ meglio identificabili possono essere ricondotti a tre, l’ultimo dei quali è di fatto plurimo. Il primo è l’oblatura, una sorta di professione religiosa presuntiva. La​​ Regula Benedicti​​ e le​​ Consuetudines monasticae​​ descrivono il rito: durante la liturgia della Messa, il genitore presentando le offerte avvolge anche la mano del figlio nella tovaglia dell’offertorio; poi sottoscrive eventualmente la cessione; spetta quindi all’abate benedire il saio e rivestire il ragazzo dopo averlo tonsurato. Non senza traumi, ma senza soverchie angustie, come annota M. Lahaye-Geusen,​​ Das Opfer der Kinder: Ein Beitrag zur Liturgie und Sozialgeschichte des Mönchtum​​ im Hohen Mittelalter​​ (Altenberge, 1991).​​ Studente​​ è infatti un altro dei ruoli che il ragazzo medievale riveste, come e quando può. Un ruolo multiforme, giacché assume indole e consistenza in contesti disparati. Diversa è infatti la situazione dello studente nel chiuso del chiostro, da quella dello studente in locazione nelle dipendenze della cattedrale, o ospite del docente affidatario, o nel collegio accreditato, o presso l’una e l’altra delle molteplici disponibilità dell’università (L. Moulin,​​ La vie des étudiants au Moyen Age,​​ Paris, 1991). Un terzo ruolo proposto al ragazzo medievale, di fatto molteplice, è quello dell’apprendistato,​​ ovviamente aperto alle innumeri disponibilità fruibili, qualora naturalmente di caso in caso gli riescano. Esso comincia appena a suscitare l’interesse che merita. Si controllino​​ H. Felzer,​​ Jugend in der mittelelterlichen Ständegesellschaft. Ein Beitrag zum Problem der Generationen​​ (Wien, 1971);​​ Les entrées dans la vie,​​ initiations et apprentissages​​ (Nancy, 1982).

2.2.​​ L’adulto: modelli culturali.​​ Come abbiamo lasciato intendere, l’uomo medievale non può mai considerare conclusa la propria preparazione alla vita. Questa, oltre tutto, si apre a stadii intemporali, rispetto ai quali ogni previo avvio non può che essere provvisorio. Come non tentare di soccorrere l’assillo dell’adulto con congrua sollecitudine? Naturalmente, così come si presta al bambino, al ragazzo e all’adolescente assistenza tatticamente assortita rispetto ai ruoli che in concreto essi sviluppano, così anche qui è espediente altrettale determinazione. E di fatto dai​​ Praeloquia​​ (934-36) di Rather di Verona († 974) agli esuberanti sermonarii di un Raoul Ardent († 1200), di un Alano di Lille († 1203), di un Pietro di Poitiers († 1205), di un Giacomo di Vitry († 1240), o di un Guiberto di Tournai († 1284), i chierici non hanno cessato di interessarsi da presso alla vita del laico, e domestica e professionale, consapevoli dei triboli che fatalmente lo affliggono. È anche qui scontato che, al fine di serrare allo stremo l’essenziale, non si può non schematizzare, e nel caso lo si può fare senza pregiudizio sulla scorta di consuntivi già accreditati. Consideriamo affidabili:​​ H. Fichtenau,​​ Lebensordnungen des 10. Jahrhunderts. Studien über Denkart und Existenz im einstigen Karolingerreich​​ (Stuttgart, 1984); H.-W. Goetz,​​ Leben im Mittelalter vom 7. bis zum 13. Jahrhundert​​ (München,​​ 1986);​​ L’uomo medievale​​ (Bari, 1987). Il controllo degli apporti che essi recano alla storia che ci interessa rivela particolarmente promettenti il ruolo del​​ laicato,​​ anzitutto, nelle peculiarità che lo sostanziano, la sessualità, la nuzialità e la famiglia; il ruolo della professionalità​​ (ministerium),​​ che pratica in agricoltura, artigianato, mercatura, milizia e officialità amministrativa; il ruolo della​​ clericatura,​​ che esprime pastorale, predicazione e scolarità; e quello, naturalmente della​​ vita monastica​​ o​​ regolare,​​ che importa, oltre alle espressioni già sostenute dalla caricatura, anche certa tensione a vita di più esaltata perfezione. Circa il​​ laicato​​ e le sue peculiarità suggeriamo il controllo del saggio complessivo di A.​​ Vauchez,​​ Les laïcs au Moyen Age. Pratiques et expériences religieuses​​ (Paris,​​ 1987); e delle monografie che elenchiamo: J. Goody,​​ The development of the family and marriage in Europe​​ (Cambridge, 1983); D. Herlihy,​​ Medieval households​​ (Harvard, 1985); J. A. Brundage,​​ Law,​​ sex,​​ and Christian society in Medieval Europe​​ (Chicago, 1987).​​ Nell’ambito delle professionalità (ministeria)​​ si può considerare fruibile la miscellanea già citata,​​ L’uomo medievale​​ (Bari, 1987). Il ruolo denominato​​ milizia e cavalleria,​​ per una storia della pedagogia medievale che voglia restare proba, deve essere ristudiato. Il cavaliere resta soprattutto un uomo di guerra, e di tanta peculiarità prende piena coscienza già sugli inizii del sec. XI. L’orgoglio di appartenere ad un lignaggio di prodi lo esalta, contrapponendolo al resto del laicato. Il reclutamento inoltre finisce poco a poco per essere riservato alla discendenza, maschile ovviamente, che il corpo coopta nella cerimonia dell’investitura: una cerimonia laica all’origine, lungo la quale si rimettevano al quindicenne postulante l’arma e l’armatura. E così la classe si chiude su se stessa, e dacché vive di guerra, effettiva o mimata, non può sempre riscuotere i consensi altrui. L’ideale di un umanesimo cavalleresco deve essere probabilmente ridimensionato. Riescono in ogni caso espedienti il saggio di J. Fiori,​​ L’idéologie du glaive. Préhistoire de la Chevalerie​​ (Genève,​​ 1983), e i contributi di F. Cardini, condensati nel capitolo «Il guerriero e il cavaliere» del già citato​​ L’uomo medievale​​ (pp. 83-123). All’officialità amministrativa, alle difficili virtù che essa esige, è aperta la miscellanea curata da J.​​ Fleckenstein,​​ Curialitas. Studien zu Gründfragen der höfischritterlichen Kultur​​ (Göttingen, 1990). Per la​​ clericatura​​ resta ancora fruibilissimo il saggio di​​ F.W. Oediger,​​ Über die Bildung der Geislichen im späten Mittelalter​​ (Leiden, 1953). Per il tratto antecedente concorre validamente il più recente contributo di J.​​ Laudage,​​ Priesterbild​​ und Reformpapsttum im 11. Jahrhundert​​ (Köln,​​ 1984). Sulla vita​​ monastica e regolare,​​ la bibliografia è enorme. Il più recente consuntivo fruibile è il​​ Medieval monasticism. Forms of religious life in Western Europe in the Middle Ages,​​ di C. H. Lawrence (London, 1989); avvia, oltretutto, compiacentemente a bibliografia più impegnativa.

3.​​ Le istituzioni attive.​​ Evochiamo anzitutto la​​ ​​ famiglia.​​ Tipologia e struttura della famiglia medievale sono quanto mai vaghe. Ne fanno certo parte i soggetti che dividono lo stesso sangue, i consanguinei; ma non solo. Accedono​​ cognati,​​ proximi,​​ familiares,​​ vicini,​​ una folla di consociati che può raggiungere gli estremi della tribù. Il modello canonico di cellula elementare, monogamica, indipendente e autosufficiente, è tardivo e a tutto il sec. XIII risulta complessivamente poco o punto attestato. Nell’insieme il casato, la​​ domus,​​ assolve comunque la sua funzione incubatrice, pur in congiunture singolarmente aspre [68], Per cominciare, i coniugi non convengono anagraficamente alla pari. Non sono mai coetanei. La ragazza è accasata al più presto; fin troppo presto per la Chiesa, che fisserà sui dodici anni l’età minima (cfr.​​ Decret. Greg. IX.​​ IV, II, 6 di Alessandro III). Il matrimonio precoce costituiva espediente abituale per evitare che, nell’eventualità della morte del genitore, le risorse familiari rientrassero nelle disponibilità del superiore conferente; anche nelle corporazioni, onde supplire alla scomparsa del titolare dell’esercizio, la vedova risposava. Però, accoppiata in età minima, magari a coniuge disamato, la donna non può non trovarsi esposta alle dolci circonvenzioni di più congeniali​​ iuvenes​​ in aspettativa. Il maschio raggiunge al contrario maggiore età, il trentennio, prima di sposare, e ciò non può non porre ai suoi comprensibili spasimi più di un problema. A mettere tutto in conto, l’incidenza d’una mortalità infantile incombente fino a tutto il sesto anno, la precocità dell’avvio alla vita, nubilità e apprendistato, e per finire la più che plausibile assenza di nonni, non si può non concludere quanto scarso sia l’ambito d’una ingenua infanzia. Troppo poco, perché una parvenza di personalità vi possa anche solo germinare. Comunque la​​ famiglia​​ costituisce di fatto il grembo primordiale dell’educazione medievale. Ai sussidii citati a proposito del​​ minore,​​ aggiungiamo qui, le recenti miscellanee​​ Haus und Familie in der spätmittelalterlichen Stadt​​ (Hrsg. A. Haverkamp, Köln, 1984);​​ Haushalt und Familie in Mittelalter und früher Neuzeit​​ (Hrsg. T. Ehlert, Sigmaringen,​​ 1991), e infine​​ Femmes,​​ mariages,​​ lignages: XIIe​​ - XIVe​​ sièc.​​ (Mélanges offerts à G. Duby, Bruxelles, 1992).​​ Finitime e talora invasive nei confronti della famiglia, si impongono esigenti le​​ Consociazioni.​​ Ne abbiamo segnalato la pertinenza dicendo dell’oblatura​​ e dell’apprendistato​​ negli ambiti, naturalmente delle varie​​ professionalità.​​ Non aggiungiamo nulla. La​​ scuola​​ invece si è tagliata purtroppo la parte prevalente nella storia dell’educazione medievale. Una sua promozione l’ha comunque esercitata; ed è probo, fatta salva l’eccezione più volte avanzata, riconoscerne qui il legittimo merito. All’avvio essa è​​ monastica,​​ municipale​​ e​​ cattedrale;​​ evolve poi in​​ università.​​ I titoli, se non maggiori, più aggiornati sono stati annotati in​​ ​​ Scolastica​​ e​​ Pedagogia.​​ Collaterali all’istituzione universitaria, quasi altrettali trasposizioni informali, sono gli​​ Studia generalia,​​ centri di studio provinciali, accreditati dall’uno o dall’altro Capitolo generale o dalla diretta autorità del superiore generale dell’uno o dell’altro Ordine regolare. Molti ne dispongono, traendone effettivamente profitto ai fini di una sempre più accurata selezione del personale (cfr. W. A.​​ Hinnebusch,​​ The history of the Dominican order,​​ II:​​ Intellectual and cultural life to 1500,​​ New York, 1973; M. M. Mulchahey,​​ «First the Bowis Bent in Study»: Dominican​​ Education before 1350, Toronto, Canada, Pontifical Institute of Mediaeval Studies. Studies and Texts, 132, 1998). Per ultima, ma proprio per l’immensurabile imponenza della sua funzione, evochiamo la​​ ​​ Chiesa.​​ Dicendo della famiglia medievale abbiamo annotato come essa si sia data cura di fissare i termini minimi della nubilità femminile. La misura fa di fatto parte dell’immane sforzo di decantare le smanie del magma demografico europeo nella disciplina della monogamia. Orbene, tale proposito fa parte, a sua volta, del più solenne impegno che la Chiesa medievale fortunosamente mantiene nei confronti dell’uomo e della sua avventura. Il caso della scuola ne è solo un aspetto. È quanto dimostrano le innumeri​​ Storie della Chiesa.​​ Ma a nostra volta riteniamo più opportuno evocare due delle più recenti e accreditate Storie dell’Europa:​​ Le Moyen Age​​ (Ed. R. Fossier, Paris, 1982-, in 3 voll.), e lo​​ Handbuch der europäischen Geschichte​​ (Hrsg. Th. Schieder. Bd. 2., Hrsg. F. Seibt, Stuttgart,​​ 1987). Al seguito tuttavia dobbiamo evocare i volumi IV-V-VI, aperti al M., nella monumentale​​ Histoire du Christianisme des origines à nos jours​​ (Cur. J.-M. M. Ayeur, C. Petri, L. Pietri, A. Vauchez, M. Venard, Paris,​​ 1990-93). Soddisfatte così le attese più impegnative, ecco un contenuto, ma prezioso consuntivo: H. Martin,​​ L’Eglise éducatrice. Messages apparents,​​ contenus sous-jacentes​​ (in «Histoire de l’Éducation», n. 50:​​ Éducations médiévales: L’enfance,​​ l’école,​​ l’Église en Occident,​​ VIe-XVe​​ siècles,​​ pp. 91-117).

4.​​ Esiti: educazione e società.​​ Gli esiti, più o meno lusinghieri, devono essere colti sul fatto. La storiografia comincia ad aprirsi a tal sorta di controllo (cfr..​​ C.​​ Gauvard,​​ De grâce espéciale: Crime,​​ État et Société en France à la fin du Moyen Age,​​ Paris, 1991, 2 voll.). Le grandi storie della Chiesa appena citate seguono passo passo la nostra epocale vicenda e ne forniscono al minuto il sommario. Al loro riconosciuto conforto aggiungiamo per chiudere un più spedito consuntivo:​​ K. Bosl,​​ Gesellschaft im Aufbruch. Die Welt des Mittelalters und ihre Menschen​​ (Regensburg, 1991).

Bibliografia

[1]​​ Grundmann H.,​​ Litteratus-illitteratus. Das Wandel einer Bildungsnorm vom Altertum zum Mittelalter​​ (Aufgewählte Aufsätze. Schriften der MGH, 25,3:​​ Bildung und Sprache,​​ 1-66); [2] Demandt A.,​​ Die Spätantike. Romische Geschichte von Diocletian bis Iustinian,​​ München,​​ 1989; [3] Russel J. B.,​​ Population in Europe,​​ 500-1500,​​ in​​ The Fontana economic history of Europe​​ (Ed. C. Cipolla), London, 1972, 25-70; [4] Mähl S.,​​ Quadriga virtutum.​​ Die vier Kardinaltugenden in der karolingischen Geistesgeschichte,​​ Köln,​​ 1969; [5]​​ Hadot I.,​​ Arts libéraux et philosophie dans la pensée antique,​​ Paris,​​ 1984; [6] Murphy J. J.,​​ Rhetoric in the Middle Ages. A History of rhetorical theory from saint Augustine to the Renaissance,​​ Berkeley, 1974; [7]​​ Fontaine J.,​​ Isidore de Seville et la culture classique dans l’Espagne visigotique,​​ Paris, 1959, 1983; [8] Riché P.,​​ Éducation et culture dans l’Occident barbare,​​ VIe-VIIIe​​ siècles,​​ Paris, 1962; [9] Holtz L.,​​ Donat et la tradition de l’enseignement grammatical,​​ Paris,​​ 1981; [10] Law​​ V.,​​ The insular latin grammarians,​​ Woodbridge, Suffolk, 1982; [11] Anton H. H.,​​ Fürstenspiegel und Herrscherethos in der Karolingerzeit,​​ Bonn, 1968; [12] Edelstein W.,​​ Eruditio und sapientia. Weltbild und Erziehung in der Karolingerzeit. Untersuchungen zu Alcuins Briefen,​​ Freiburg im Br.,​​ 1965; [13] Contreni J. J.,​​ Carolingian learning,​​ masters and manuscripts,​​ Hampshire-Brookfield, 1992; [14]​​ Carolingian culture: Emulation and Innovation​​ (Ed. R. McKitterick), Cambridge, 1994; [15] Dhuoda,​​ Manuel pour mon fils.​​ Ediz. crit. par P. Riché, Paris, 1975; [16] Dronke P.,​​ Women writers of the Middle Ages. A critical study of texts from Perpetua​​ (​​ 203)​​ to Marguerite Porete​​ (​​ 1310),​​ Cambridge, 1984; [17]​​ Fossier R.,​​ Enfance de l’Europe. Aspects économiques et sociaux,​​ Xe-XIIe​​ siècles,​​ Paris, 1987; [18] Vauchez​​ A., «Il santo» (in​​ L’uomo medievale,​​ a cura di J. Le Goff), Bari, 1987, 351-390; [19] Heffernant Th. J.,​​ Sacred biography.​​ Saints and their biographers in the Middle Ages,​​ Oxford, 1988; [20] Riché P.,​​ Gerbert d’Aurillac,​​ le Pape de l’an Mil,​​ Paris, 1987; [21] Mac Kinney L. C.,​​ Bishop Fulbert and education at the School of Chartres,​​ Notre Dame, 1957; [22]​​ The Seven liberal arts in the Middle Ages​​ (Ed. D.L. Wagner), Bloomington, 1983; [23] Beaujouan G., «The transformation of the Quadrivium», in​​ Renaissance and renewal in Twelfth Century​​ (Ed. R. L. Benson - G. Constable), Oxford, 1982, 463-487; [24]​​ Les arts mécaniques au Moyen Age​​ (Ed. G. H. Allard & S. Lusignan = Cahiers d’Études Médiévales, VII), Montreal-Paris,​​ 1982; [25] Grlma =​​ Grundris der Romanischen Literatur des Mittelalters​​ (Hrsg. H.R. Jauss - E. Höhler), Heidelberg,​​ 1968; [26] Stock B.,​​ The implications of literacy. Written language and models of interpretation in the eleventh and twelfth centuries,​​ Princeton, 1983; [27] Clanchy M. T.,​​ From memory to written. England,​​ 1066-1307,​​ Oxford, 1993; [28] Gasparri F.,​​ Introduction à l’histoire de l’écriture,​​ Turnhout,​​ 1994; [29] Bursill-Hall G. L.,​​ A census of medieval latin grammatical manuscripts,​​ Stuttgart, 1981; [30] Wortbrok F. J. - M. Klaes -​​ J. Lutten,​​ Repertorium des artes dictandi des Mittelalters,​​ München, 1992; [31] Charland T. M.,​​ Artes praedicandi.​​ Contribution à l’histoire de la rhétorique au Moyen Age,​​ Paris-Ottawa, 1936; [32] Longère J.,​​ La prédication médiévale,​​ Paris,​​ 1983; [33] Owst G. R.,​​ Literature and pulpit in Medieval England. A neglected chapter in the history of English letters and of the English people,​​ Oxford, 1961; [34] Zink M.,​​ La prédication en langue romane avant 1300,​​ Paris,​​ 1976; [35] Tydeman W.,​​ The theatre in the Middle Ages,​​ Cambridge, 1978; [36]​​ Kindermann H.,​​ Das Theaterpublikum des Mittelalters,​​ Salzburg,​​ 1980; [37] NRCF =​​ Nouveau recueil complet des fabliaux​​ (Ed. W. Noomen & N. Van Den​​ Boogaard), Assen, 1983; [38]​​ Grubmuller K.,​​ Meister Esopus. Untersuchungen zu Geschichte und Function der Fabel im Mittelalter,​​ München, 1977; [39] Berns J. J. - Neuber W.,​​ Ars memorativa. Eine Forschungsbibliographie den Quellenschriften der Gedächtniskunst von den antiken Anfängen bis um 1700,​​ Wien,​​ 1992,65-89; [40] Evans G. R.,​​ Alan of Lille. The frontiers of theology in the Later Twelfth Century,​​ Cambridge, 1983; [41] Gründel J.,​​ Die Lehre des Randulfus Ardens von den Verstandenstugenden auf dem Hintergrund​​ seiner Seelenlehre,​​ Paderborn, 1976; [42]​​ Guenée B.,​​ Histoire et culture historique dans l’Occident médiéval,​​ Paris,​​ 1980; [43]​​ The Writing of history in the Middle Ages​​ (Ed. R. H. C. Davis & J. M. Wallace-Hadrill), Oxford, 1981; [44]​​ Dubois J. - Le-maître J.-L.,​​ Sources et méthodes de l’hagiographie médiévale,​​ Paris,​​ 1993; Heffernan Th. J.,​​ Sacred biography. Saints and theirs biographers in the Middle Ages,​​ New York-Oxford, Oxford University Press, 1988; [45]​​ Welter J. Th.,​​ L’Exemplum dans la littérature religieuse et didactique du Moyen Age,​​ Paris, 1927; [46] Goodich M.,​​ Vita perfecta. The ideal of sainthood in the Thirteenth Century,​​ Stuttgart, 1982; [47]​​ Williams-Krapp W., «Laienbildung und volkssprachliche Hagiographie im späten Mittelalter», in​​ Literatur und Laienbildung in Spätmittelalter und in der Reformationszeit​​ (Hrsg. L. Grenzmann u. K. Stackmann), Wolfenbüttel, 1981; [48]​​ Legenda aurea.​​ Sept siècles de diffusion. Texte latin et branches vernaculaires​​ (Ed. B. Dunn-Lardeu), Montreal, 1986; Iacobus A. Varagine,​​ Legenda aurea.​​ Ed. G. R. Maggioni Sismel, Firenze, Ed. del Galluzzo, 1999, 2 voll. (seconda edizione rivista e corretta); [49]​​ Berges W.,​​ Die Fürstenspiegel des hohen und späten Mittelalters,​​ Leipzig, 1938; [50] Mastny C. L.,​​ Durand of Champagne and the «Minor of the Queen». A study in medieval didactic literature​​ (Diss. Abstracts, 30 A [1969 / 70], 1947); [51]​​ Hentsch A. A.,​​ De la littérature didactique du Moyen Age s’adressant spécialement aux femmes,​​ Genève,​​ 1975; [52] Bernards M.,​​ Speculum Virginum.​​ Geistigkeit und Seelenleben der Frau im Hochmittelalter,​​ Köln, 1982; [53]​​ Ritterliches Tugendsystem​​ (Hrsg. G. Eifler), Darmstadt, 1970; [54] Köhler J.,​​ Ideal und Wirklichkeit in der höfischen Epik,​​ Tübingen, 1970; [55]​​ Exempel und Exempelsammlungen​​ (Hrsg. W. Haug u. B. Wachinger), Tübingen,​​ 1991; [56]​​ Rhétorique et histoire. L’exemplum et le modèle de comportement dans le discours antique et médiévale​​ (Mélanges de l’École française de Rome, 1980); [57] Häring M. M.,​​ Commentaries on the Pseudo-Athanasian Creed​​ (in «Mediaeval Studies»​​ XXXIV,​​ 1972,208-252); [58]​​ Adam B.,​​ Katechetische Vaterunserauslegungen. Texte und Untersuchungen zu deutschsprachigen Auslegungen des 14. und 15. Jahrhunderts,​​ Zürich,​​ 1976; [59] Bloomfield M. W. et al.,​​ Incipits of latin works on the virtues and vices,​​ 1100-1500 A.D.,​​ Cambridge, Mass., 1979; [60] Newhauser R.,​​ The treatises on vices and virtues in latin and the vernacular,​​ Turnhout, 1993; [61] Vauchez A., «Faire croire. Diffusion et réception du message religieux au Moyen Age» (in​​ Les quatre fleuves,​​ 11:​​ Transmettre la foi. La catéchèse dans l’Église),​​ Paris, 1980, 31-40; [62] Michaud-Quantin P.,​​ Sommes de casuistique et manuels de confession au Moyen Age,​​ XIIe-XVIe​​ siècles,​​ Louvain, 1962; [63] Vandenbroucke F.,​​ Pour l’histoire de la théologie morale. La morale monastique du XIe​​ au XVIe​​ siècle,​​ Louvain,​​ 1966; [64]​​ Vogel C,​​ Il peccatore e la penitenza nel M.,​​ Leumann​​ (TO), 1988; [65]​​ Lehmann P.,​​ Die Parodie im Mittelalter,​​ München, 1922;​​ Parodistische Texte,​​ München,​​ 1923; [66]​​ Payen I. Ch., «La satire anticlérical dans les oeuvres françaises de 1250 à 1300» (in​​ 1274,​​ Année charnière. Mutations et continuité),​​ Paris,​​ 1977; [67]​​ Vox intexta. Orality and textuality in the Middle Ages​​ (Ed. A.N. Doane-C. Braun Pasternak), Madison, 1991; [68]​​ Bosl K.,​​ Die «Familia» als​​ Grundstruktur der mittelalterlichen Gesellschaft​​ (in «Zeitschrift für Bayerische Landesgeschichte», XXXVIII, 403-444).

P. T. Stella




MEDITAZIONE

 

MEDITAZIONE

Un senso moderno ed ampio di m. è quello che si ispira al​​ New Age:​​ assimilazione di verità, realtà, bellezza per mezzo del corpo e dello spirito, in cui i sentimenti e l’intuizione svolgono un ruolo essenziale. Nel senso classico m. indica un esercizio spirituale: per mezzo di una costante recita / sussurrazione di parole della Scrittura (in particolare Torà e Salmi) la m. rinuncia al pensiero oggettivo e alla volontà propria, si mette nel servizio esclusivo di Dio, e in tal modo viene purificata, eventualmente illuminata (ad es. il rosario).

1. Tale esercizio è già documentato nell’AT, poi nel IV sec. in Egitto (immigrati, monaci della regola di san Pacomio). In forma variata viene pure praticata dai monaci occidentali,​​ ​​ monachesimo, e infine sostituita dalla m. ignaziana. Forme orientali di m. furono pure studiate e praticate nell’Occidente: TM = ripetere interiormente oppure sussurrare per un certo tempo, il che produce un senso di distensione. Il buddismo Theravada, per es. quello della Thailandia, pratica il sentire o vedere «soltanto una cosa»: questo suono, questa costellazione, l’entrata e l’uscita del respiro attraverso il naso. Il​​ ​​ buddismo Zen pratica lo za-zen (seduta-m.): seduto per terra, abbandonare ogni eventuale pensiero e fantasia, restando però sveglio, limitandosi a respirare soltanto. Il medico J. H. Schultz inventò il​​ ​​ training autogeno: fare in modo che le diverse parti del corpo disteso siano alternativamente pesanti e calde, ottenendo in questo modo la distensione somatica e psichica.

2. Per la prassi pedagogica è raccomandabile il limitarsi al solo guardare (la natura, l’arte...) o al solo ascoltare (suono delle campane, musica, una poesia, una parola di Gesù). Con i canti di Taizé la gioventù mondana impara il silenzio ripetendo minuti di seguito le stesse parole: «En todo amar y servir» (s. Ignazio di​​ ​​ Loyola). Nella scuola sarebbe da praticarsi il momento quotidiano di silenzio suggerito dalla​​ ​​ Montessori: seduto dritto, lo sguardo abbassato, attento soltanto al respiro. Un procedimento estetico efficace anche nel culto religioso consiste nell’osservare in modo raccolto la realtà con la quale voglio unirmi, anzitutto l’aspetto bello e impressionante, poi anche il dolore. Simone Weil raccomanda una «attention absolue» nello studio. È una fra le cose più importanti che un giovane possa imparare.

Bibliografia

Stachel G.,​​ Gebet - Meditation - Schweigen,​​ Freiburg, Herder,​​ 21993; Viotto P., «M.», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica,​​ vol. IV, Brescia, La Scuola, 1989, 7558-7561.

G. Stachel




MEMORIA

 

MEMORIA

Il termine m. è abitualmente utilizzato per indicare la capacità di ricordare avvenimenti per lungo tempo oppure il processo mediante il quale una traccia mnestica di recente formazione si consolida in maniera stabile. Dal punto di vista scientifico, e in particolare all’interno dell’orientamento cognitivista, il termine è impiegato come sinonimo di mente e di tutto ciò che fa riferimento all’attività cognitiva e talvolta anche di intelligenza. In questa prospettiva generale si parla più di «sistemi di m.» che di m. come un’entità unica e indivisibile.

1. I maggiori progressi della ricerca sulla m. si ebbero dopo la seconda guerra mondiale con lo sviluppo delle scienze neurologiche e il declino del behaviorismo in campo psicologico. Un dato ormai condiviso è che la m. è da considerare non come una struttura unitaria, ma come un sistema multicomponenziale. Pertanto la m. è a tutt’oggi descrivibile in vari sistemi: a) La​​ m. sensoriale-percettiva​​ funziona ad un livello pre-semantico, è un’attività diretta al mondo esterno e mantiene le rappresentazioni percettive che permettono di riconoscere lo stimolo sensoriale esterno e di trasformarlo in esperienze di oggetti, immagini, suoni, gusti. Essa è finalizzata alla scoperta e discriminazione delle combinazioni di energia distribuita spazialmente e temporalmente nel mondo fisico che ci circonda e stimola i nostri sensi, agisce per lo più a livello non-conscio (m. implicita)​​ e le informazioni che essa elabora sono considerate di tipo non-dichiarativo. In essa si distinguono tre subsistemi riferentisi alla forma delle parole, alla forma acustica delle parole e alla struttura di oggetti. b) La​​ m. a breve termine​​ o, meglio,​​ m. lavoro​​ è un sistema che permette il mantenimento temporaneo di una informazione oggetto di elaborazione per un compito complesso come la comprensione, la soluzione di un problema o un ragionamento. A promuovere l’interesse in questo settore di ricerca è stata l’analogia mente-computer assunta dall’approccio cognitivista e la scoperta di alcuni fenomeni che rilevavano come senza una ripetizione (rehearsal​​ o ripetizione subvocalica) continua un’informazione fosse facilmente dimenticata e come le parti iniziali e finali di una sequenza di informazioni fossero meglio ricordate delle parti centrali (recency effect​​ o effetto di recenza). L’idea di una m. a breve termine è oggi sostituita con quella di​​ m. lavoro​​ costituita da tre sottosistemi:​​ esecutivo centrale​​ (uno spazio limitato che agisce come un sistema attenzionale o come interruzione di una attività su un piccolo numero di informazioni o di processi),​​ fonologico​​ (in grado di mantenere e manipolare informazioni verbali) e​​ visivo-spaziale​​ (in grado di mantenere ed elaborare informazioni visive o spaziali). Poiché svolge la sua attività in modo conscio, si dice che il sistema della m. lavoro appartiene alla m. esplicita. c) La​​ m. semantica​​ ed​​ episodica​​ (​​ conoscenza) sono due archivi di m. che fanno riferimento a due sistemi diversi di informazione. La prima si può dire che contenga tutte le informazioni e credenze che una persona possiede del mondo che lo circonda (tutto ciò che si conosce del mondo). Fanno parte di essa i concetti e i concetti relazionati ad altri concetti. Molta della ricerca recente è stata dedicata alla individuazione di come le informazioni presenti nella m.​​ dichiarativa e semantica​​ siano organizzate. Schacter e Tulving (1994) hanno particolarmente insistito sulla presenza di un secondo sistema di m. neurologicamente distinto indicato come​​ m. episodica.​​ Esso conterrebbe tutte le informazioni che permettono ad un individuo di ricordare fatti o eventi del suo passato e di cui è stato testimone. Sebbene abbia delle relazioni con la m. semantica, da essa si distingue per il modo in cui l’informazione è codificata e mantenuta (rappresentazioni che fanno riferimento a caratteristiche di spazio, tempo e contesto e relazione ad altre esperienze). d) La​​ m. procedurale​​ (conoscenza) è il sistema meno conosciuto. Essa contiene informazioni e conoscenze connesse a prestazioni e attività sia cognitive che motorie o di tipo algoritmico. Non contiene rappresentazioni del mondo esterno, i suoi prodotti non sono di natura cognitiva, si attiva quando sono presenti certe condizioni, opera in modo automatico e senza controllo conscio.

2. A seconda del suo operare in modo conscio o non conscio, si può categorizzare la m. in: m. esplicita e implicita. La prima comprende il sistema della m. lavoro (con i sottosistemi verbali e visivi) e di quella episodica; la seconda comprende i sistemi della m. di rappresentazione percettiva (si tratta di m. non-dichiarativa, con i sottosistemi visivi, uditivi e strutturali), di procedure (cioè una m. non-dichiarativa in riferimento ad abilità motorie, cognitive e ad associazioni) e di rappresentazioni semantiche (con sottosistemi visivi e relazionali tra concetti o caratteristiche).

Bibliografia

Spence K. W. - J. T. Spence (Edd.),​​ The psychology of learning and motivation,​​ vol. 2, New York, Academic Press, 1968; Bower G. H. (Ed.),​​ The psychology of learning and motivation,​​ vol. 8, Ibid., 1974; Tulving E.,​​ How many memory systems are there?,​​ in «American Psychologist» 40 (1985) 385-398; Morris P. E. - M. Grunberg (Edd.),​​ Theoretical aspects of memory,​​ London, Routledge,​​ 21994; Baddeley A. D. - G. Hitch,​​ The recency effect: implicit learning with explicit retrieval,​​ in «Memory & Cognition» 21 (1993) 146-155; Schacter D. L. - E. Tulving (Edd.),​​ Memory systems 1994,​​ Cambridge, MIT Press, 1994.

M. Comoglio




MERAVIGLIA

 

MERAVIGLIA

Il termine m. (dal lat.​​ mirabilia,​​ neutro pl. di​​ mirabilis,​​ mirabile) è il sentimento di sorpresa per il nuovo, lo straordinario, l’inatteso. «La m. è un moto sentimentale che sulle prime impedisce il corso naturale dei pensieri, ed è quindi spiacevole, ma poi tanto più favorisce il fluire dei pensieri verso la rappresentazione inattesa ed è quindi piacevolmente eccitante [...]. Un novellino nel mondo si m. di tutto; ma chi è diventato per la molteplice esperienza familiare col corso delle cose, si fa un principio di non meravigliarsi di nulla» (Kant, 1993, 151-152).

1. Usata anche come sinonimo di​​ ​​ stupore, la m. viene via via differenziandosene, rinvenendo una propria identità come affezione cognitiva che si colloca all’interno della fenomenologia del conoscere. La differenza che è possibile stabilire tra stupore e m. è la stessa che si trova, ad esempio, in​​ ​​ Kant, tra intelletto e ragione, tra bello e sublime e, prima ancora,​​ ​​ Aristotele e​​ ​​ Platone rispetto ad uno stupore come​​ aporéin​​ (sorpresa, m., sconcerto dell’ignoto) (Aristotele, 1984, 77) e uno stupore come​​ thaumázein​​ (ammirazione, commozione per qualcosa di familiare e normalmente invisibile). La m., che nasce da una sovreccitazione sensoriale è un sentire primigenio, istintivo, precipitoso; essa è della natura dell’emozione piuttosto che della passione. Quest’ultima infatti è riflessiva, l’emozione invece «agisce come un fiotto che rompe la diga» (Kant, 1993, 192). Coltivata, la m. può tramutarsi essa stessa in passione, curiosità, interesse che predispongono favorevolmente il soggetto ad apprendere. Legata alla conoscenza, la m. si dissolve con la conoscenza medesima. Essa funziona perciò da campanello d’allarme, segnale, soglia tra il noto e l’ignoto; indica una disposizione attiva del soggetto che si accinge a conoscere. Per​​ ​​ Vico è «figliola dell’ignoranza che partorisce la scienza» (Vico, 1982, 192); Cartesio, per valorizzarne la funzione di apertura e di scambio con la realtà, considera la m. «prima di tutte le passioni» (Cartesio, 1994, 83).

2. Al di là delle diverse interpretazioni giova sottolineare l’importanza attribuita alla m. nella conoscenza e l’ineluttabile coinvolgimento emotivo del soggetto nel processo del conoscere: si intende, a partire tuttavia da un determinato modo di conoscenza. La cultura delle passioni che si sviluppa correlata a quella della ragione subisce inevitabilmente le stesse variazioni cui è soggetta la ragione medesima. In particolare, i cambiamenti che si sono verificati sul piano epistemologico (passaggio dal metodo induttivo a quello deduttivo, slittamento della conoscenza dal teoretico al pratico, al pragmatico) sono alla base di una costante attenuazione del senso del meraviglioso nella nostra vita, fino quasi alla sua progressiva scomparsa.

3. Sotto l’aspetto pedagogico-educativo il recupero della m. si impone per due ordini di motivi: a) affermazione di un umanesimo dialettico tra sensibilità e ragione, in senso schilleriano, a partire dall’inversione della tendenza ad uno sradicamento della sensibilità, favorito dalla progressiva estensione dei processi di razionalizzazione nella nostra vita; b) rivalutazione pedagogico-educativa della conoscenza teoretica rispetto a quella pratico-pragmatica. Un correttivo all’azione manipolatrice-trasformatrice della scienza-tecnica attraverso la promozione di un sentimento della realtà, la m., fatta di rispetto, senso del limite, riconoscimento del reale e promozione di un sapere osservativo-descrittivo accanto a quello tecnico-poietico.

Bibliografia

Vico G. B.,​​ La scienza nuova,​​ a cura di P. Rossi, Milano, Rizzoli,​​ 21982; Aristotele,​​ La metafisica,​​ a cura di G. Reale, Milano, Rusconi,​​ 21984; Bodei R.,​​ Geometria delle passioni,​​ Milano, Feltrinelli, 1991; Kant I.,​​ Antropologia pragmatica,​​ Bari, Laterza, 1993; Cartesio R.,​​ Le passioni dell’anima,​​ a cura di E. Lojacono, Milano, TEA, 1994; Xodo C.,​​ Stupore ed educazione: ragione e passione,​​ in «Scuola e Didattica» 15 (1994) 10-13.

C. Xodo




MERICI Angela

 

MERICI Angela

n. a Desenzano nel 1474 - m. a Brescia nel 1540, santa italiana, fondatrice di ordine religioso.​​ 

1. All’età di 23 anni entrò nel Terz’ordine Francescano ed iniziò a dedicarsi all’assistenza dei poveri, facendosi interprete della difficile situazione in cui vivevano le donne «nubili» e «vedove». A questo scopo fondò la Compagnia di Sant’Orsola, che si rivelò virtualmente capace di uno sviluppo quantitativo e qualitativo che si è tradotto in varie forme di vita consacrata: comunità di vergini associate, viventi nel proprio ambiente familiare e di lavoro; collegi di vergini legate a Dio con uno o più voti privati; monasteri religiosi tradizionali e gruppi di vita comune, alla cui base c’è la fedeltà alla dottrina spirituale vissuta dalla M. e presentata in tre documenti (Arricordi che vanno alli colonelli; Il Testamento...,​​ la Regola). I principi essenziali della Regola si riconducono a tre dimensioni essenziali: la totale consacrazione a Dio; la dedizione completa alle opere di carità cristiana (tra le quali si colloca l’insegnamento della dottrina cristiana), l’attuazione di un vincolo di sacra carità nei rapporti interpersonali, ispirati allo stile familiare, che è risultato molto fecondo dal punto di vista educativo, chiedendo capacità di animazione, di amore reciproco per tutte le figliole e di «dolcezza».

2. La M. ha elaborato una dottrina essenziale di pedagogia spirituale che costituisce il fondamento di un’educazione cristiana, attenta alla famiglia, che si è espressa in diverse traduzioni istituzionali nel settore educativo, catechistico ed apostolico e che è alla base dell’azione di associazioni e di istituti religiosi diffusi in tutto il mondo, impegnati anche nell’attività scolastica.

Bibliografia

Mariani L. - E. Tarolli - M. Seynaeve M.,​​ A.M. Contributo per una bibliografia, Milano, Ancora, 1986; Belotti G.,​​ A.M.: la società,​​ la vita,​​ le opere,​​ il carisma, Brescia, Centro Mericiano, 2004; Mazzonis Q.,​​ Spiritualità genere e identità nel Rinascimento. A.M. e la Compagnia di sant’Orsola, Milano, Angeli, 2007.

S. S. Macchietti




METACOGNIZIONE

 

METACOGNIZIONE

Per eseguire delle semplici attività cognitive (verificare una informazione, risolvere un piccolo problema di matematica, comprendere un racconto, ecc.) è necessario non solo disporre di una grande quantità di processi, ma anche saper coordinare e controllare in modo efficace l’intera attività mentale.

1.​​ Il​​ concetto di m.​​ Il termine m. (metamemory)​​ è stato introdotto nel 1971 nella letteratura e nella ricerca cognitivista da Flavell, promotore con Friedrichs e Hoyt, nel 1970, del primo studio sui processi metacognitivi nei ragazzi. Il termine si diffuse soprattutto attorno al 1975, suscitando interesse e discussioni, sia per la scarsa chiarezza del concetto sia per il tipo di tecniche utilizzate per indagarlo (Cavanaugh-Perlmutter, 1982). Nella ricerca sulla m. confluiscono quella sull’attività conscia nel processo di apprendimento, quella sul controllo dell’attività cognitiva, quella sul progressivo sviluppo di auto-controllo (self-regulation)​​ che trova le sue radici in​​ ​​ Piaget; e infine, quella​​ vygotskiana​​ che pone l’accento sulla progressiva interiorizzazione della capacità di auto-controllo dell’attività cognitiva appresa. In termini generali si potrebbe considerare la m. come quell’insieme di informazioni che il soggetto possiede a livello conscio (secondo alcuni anche inconscio) sulle sue capacità e attività cognitive e sul modo opportuno di utilizzarle nell’esecuzione di compiti come leggere, studiare, scrivere, imparare a memoria, disegnare, risolvere un problema, ecc. La m. ha suscitato molto interesse sia a livello di ricerca teorica (alcuni studiosi vedono in essa il luogo e la causa delle differenze individuali di intelligenza) che di applicazione pratica (la nozione sembra offrire la possibilità di elaborare interventi educativi più efficaci con soggetti che manifestano dei problemi di apprendimento).

2.​​ Modelli di m.​​ In pochi anni si sono sviluppati diversi modelli di m. Flavell, ritenuto il pioniere degli studi sull’argomento, considera la m. come la sensibilità particolare che il soggetto manifesta nell’utilizzazione di una determinata strategia per affrontare un problema cognitivo. Wellman, pur allineandosi con le posizioni di Flavell, vede nella m. il sovrapporsi successivo di diverse aree di conoscenze: l’esistenza di un mondo cognitivo interno rispetto ad uno esterno; la capacità di distinguere un processo cognitivo da un altro; la coscienza della possibile integrazione di processi diversi e delle situazioni che richiedono la modifica di un processo cognitivo o che permettono un efficace controllo delle proprie attività mentali. Kluwe ritiene che la m. non sia altro che il sistema di controllo dell’attività cognitiva. Baker e Brown (1984) attribuiscono alla m. le abilità di pianificazione prima dell’esecuzione del compito (previsione dei risultati, elenco di strategie, varie forme di prove vicarie ed errori, ecc.); monitoraggio delle strategie durante l’apprendimento; controllo, revisione, valutazione dell’efficacia delle strategie utilizzate; valutazione dei risultati dell’azione strategica secondo i criteri di efficienza ed efficacia. Borkowski, Pressley e altri la pongono in relazione con variabili di natura individuale e / o ambientali, cioè in termini evolutivi e / o sociali. E, in particolare, evidenziano la relazione tra componenti della personalità (motivazione o attribuzione, stima di sé, stima delle proprie capacità), contesto culturale e sviluppo della m.

3.​​ I contenuti della m.​​ Al di là delle differenze o affinità che caratterizzano i vari modelli descritti, nella m. si riconoscono tre distinti contenuti: la conoscenza metacognitiva, l’attività di regolazione metacognitiva e la loro integrazione. La​​ conoscenza metacognitiva,​​ che può essere genericamente definita come ciò che il soggetto sa delle sue capacità cognitive, comprende le conoscenze circa se stesso come persona che apprende e i fattori che possono influenzare le sue prestazioni («conoscenza dichiarativa» della m.), le conoscenze che riguardano il modo in cui si esegue una strategia cognitiva («conoscenze procedurali» della m.), le conoscenze riguardanti il «quando» e il «perché» è utile applicare una strategia invece di un’altra. Quest’ultimo tipo di conoscenza è molto importante perché rende duttile e flessibile l’attività della mente a seconda delle situazioni e degli scopi di apprendimento che devono essere conseguiti. Un secondo gruppo di attività metacognitive riguardano il​​ controllo​​ e la​​ regolazione​​ dell’attività cognitiva. Queste vengono in genere raggruppate in tre tipi: attività di pianificazione (planning),​​ di controllo durante la stessa attività (monitoring)​​ e di valutazione (evaluation).​​ L’integrazione​​ dei due gruppi di componenti dà origine a «teorie metacognitive» o «teorie della mente», spesso inconsce (teorie tacite)​​ o riguardanti solo alcuni aspetti o argomenti (teorie informali).​​ Nella piena maturità dovrebbero raggiungere il livello della piena coscienza (teorie formali),​​ tanto da costituire un sistema a cui la persona può ricorrere con sicurezza per comprendere, correggere e regolare la propria attività mentale.

4.​​ Lo studente metacognitivamente sviluppato e maturo.​​ In un contributo del 1992 Borkowski e Muthukrishna hanno delineato il profilo di uno studente metacognitivamente maturo in quanto e nella misura in cui​​ possiede un vasto repertorio di strategie,​​ sa quando e dove ogni strategia può essere utile e qual è lo sforzo che essa richiede e la impiega in modo efficiente per svolgere compiti nuovi e complessi. Uno studente capace e intelligente​​ sa pianificare​​ il proprio pensiero e il proprio comportamento, ha sviluppato una tendenza coerente a pensare un corso di azioni prima di agire. Elabora piani che sono spesso rappresentati internalmente, ma anche facilmente trasferibili in rappresentazioni esterne.​​ Esamina e controlla​​ le proprie prestazioni, riconosce che una attività cognitiva non sempre procede come è stata pianificata e che il fallimento può essere il segnale per cambiare le strategie o persino l’intero piano. Ha un​​ sistema motivazionale personale e ha dietro di sé una storia di sostegno​​ da parte dei genitori, della scuola e della società in senso ampio che hanno favorito in lui lo sviluppo di tale capacità cognitiva.

Bibliografia

Kreutzer M. A. - S. C. Leonard - J. H. Flavell,​​ An interview study of children’s knowledge about memory,​​ in «Monographs of the Society for Research in Child Development» 40 (1975) 1-57; Cavanaugh J. C. - M. Perlmutter,​​ Metamemory: a critical examination,​​ in «Child Psychology» 53 (1982) 11-28; Baker L. - A. L. Brown, «Metacognition skills of reading», in P. D. Pearson (Ed.),​​ Handbook of reading research,​​ New York, Longman, 1984, 353-394; Borkowski J. G. - N. Muthukrishna, «Moving metacognition into classroom: “Working models” and effective strategy teaching», in M. Pressley - K. R. Harris - J. T. Guthrie (Edd.),​​ Promoting academic competence and literacy in schools,​​ San Diego, Academic Press, 1992, 477-501; Cornoldi C.,​​ M. e apprendimento,​​ Bologna, Il Mulino, 1995.

M. Comoglio




METODI DIDATTICI

 

METODI DIDATTICI

Modalità operative che facilitano un’acquisizione significativa, stabile e fruibile dei contenuti proposti dall’azione d’insegnamento. Il ruolo di un m.d. è quello di creare le condizioni, che consentano la messa in moto delle operazioni intellettuali, affettive e comportamentali necessarie all’incorporazione del contenuto dell’apprendimento nella struttura conoscitiva dell’alunno. Il termine deriva dal gr.​​ méthodos​​ (ordine), e​​ didáskein​​ (insegnare), e indica ordine nell’insegnare oppure ordine nell’insegnamento. La disciplina che studia sistematicamente i m.d. è la metodica, detta anche metodologia didattica (o più semplicemente​​ ​​ didattica).

1.​​ Cenni storici.​​ La ricerca di una modalità pratica ottimale di insegnare è stato un obiettivo a lungo perseguito. Nel corso dei secoli la sua definizione ha oscillato tra una fondazione teorica e una empirica. Si può subito ricordare il cosiddetto m. socratico, che si basa su un dialogo stretto tra insegnante e discente al fine di far nascere in lui la nuova conoscenza intesa. Tale m. è anche definito, in analogia a quanto fa una levatrice, m. maieutico. Insegnare significa anche convincere della verità o bontà di quanto si vuole far acquisire. Di qui due strade metodologiche fondamentali: una basata sull’arte della persuasione (la retorica), l’altra fondata su procedimenti di indagine razionale (la dialettica). La prima strada è stata privilegiata dai grandi retori romani​​ ​​ Cicerone e​​ ​​ Quintiliano, la seconda da​​ ​​ Tommaso d’Aquino, che formalizza il m. dialettico secondo canoni precisi. La nuova atmosfera culturale che si diffonde a partire dal diciassettesimo secolo porta alla ricerca di un m.d. universale, che consenta di «insegnare tutto a tutti [...] con tale sicurezza che sia pressoché inevitabile conseguire buoni risultati». È quanto prospetta​​ ​​ Comenio nella sua​​ Grande didattica.​​ Spetta a​​ ​​ Herbart elaborare procedimenti didattici basati su fasi, o livelli successivi, di apprendimento attentamente strutturati e basati su processi psicologici di natura associativa, che integrano momenti empirici (di apprendimento), razionali (di comprensione) e tecnici (di applicazione), secondo l’interpretazione di​​ ​​ Willmann (1962). D’altra parte in tutti gli studiosi del m. è in genere presente una concezione attiva dello studente, concezione che si ritrova particolarmente sottolineata nei m. proposti dalle cosiddette​​ ​​ Scuole Nuove. Con la nascita della psicologia sperimentale la ricerca di m.d. validi ed efficaci diventa più sistematica e più che appoggiarsi su teorie pedagogiche generali, si collega con assunti e m. di natura psicologica (​​ psicologia dell’educazione), seguendo spesso l’avvicendarsi dei paradigmi di indagine via via presenti nell’ambito psicologico. Accanto e spesso in dialogo con la psicologia nasce anche una didattica sperimentale, che mette a confronto in modo empirico m. di insegnamento diversi per farne emergere valenze e limiti.

2.​​ Impostazione del problema del m.​​ La determinazione del m.d. da seguire ha due ruoli fondamentali: a) favorire l’acquisizione da parte degli allievi dei contenuti formativi prescelti; b) raggiungere gli​​ ​​ obiettivi educativi, intesi come schemi concettuali, atteggiamenti e competenze che incidono più profondamente e permangono più stabilmente nella personalità dell’educando. Nel tempo si sono avute spesso accentuazioni unilaterali di uno dei tre poli fondamentali dell’insegnamento: docente, discente e contenuto. Così di volta in volta si è avuta una sopravvalutazione delle esigenze della materia o dei contenuti da apprendere, un’esclusiva considerazione degli interessi e dei bisogni dell’allievo, una mitizzazione della sua attività esplorativa autonoma, un centramento eccessivo su ciò che fa l’insegnante. Si è trattato spesso di una utilizzazione ideologica di particolari teorie pedagogiche, psicologiche o sociologiche. Una specie di deduttivismo che in realtà tendeva a imprigionare in uno schema intellettualistico rigido una dinamica assai complessa e difficile da comprendere e controllare. Ciò è risultato tanto più deleterio e improduttivo, quanto più queste teorie si presentavano come approcci parziali ed erano solo debolmente fondate su evidenze pratiche e sperimentali. In realtà ogni problema metodologico richiede un forte impegno mediatore tra le finalità educative assunte, la domanda formativa emergente nell’azione educativa e le indicazioni di possibili direzioni di marcia che provengono dalle varie​​ ​​ scienze dell’educazione. Certamente il problema del m.d. è uno dei più immediati nell’impostare l’azione formativa, ma non è possibile considerarlo in maniera isolata e autonoma. Esso è da collegare in maniera assai stretta almeno con due altri aspetti dell’elaborazione di un itinerario formativo: la scelta e definizione degli obiettivi e la determinazione dei contenuti. In fin dei conti non è possibile giungere alla elaborazione di un m. se non si sa dove si vuole arrivare. D’altra parte al fine di impostare un m. valido ed efficace occorre considerare attentamente sia la struttura conoscitiva dell’allievo, sia quella propria del contenuto da apprendere. Di conseguenza non è possibile affermare in astratto l’esistenza di un m. migliore di altri o più giusto; neanche è possibile una predeterminazione del m. rispetto ai tre poli fondamentali della programmazione educativa: la popolazione scolastica e la domanda educativa che essa pone; i traguardi formativi e gli obiettivi didattici che di conseguenza emergono come rilevanti o prioritari; i contenuti formativi intesi come mezzi pedagogici che ci consentono di avvicinare tra di loro l’uno agli altri.

3.​​ Proposte metodologiche.​​ Da quanto sopra ricordato deriva una conseguenza evidente: al docente interessato si possono o suggerire alcuni più significativi principi di m. da seguire nel suo lavoro, oppure proporre alcuni m. che nella pratica hanno dato buoni risultati, invitandolo a esplorarli e adattarli alla propria situazione. Alcuni fondamentali principi di m. sono stati suggeriti da Pellerey (1994). Tra questi si possono ricordare i principi di: a) significatività, garantire il collegamento delle nuove conoscenze con quelle già possedute; b) motivazione, promuovere la messa in moto dei processi implicati nell’apprendimento; c) direzione, orientare l’azione di apprendimento verso obiettivi chiaramente indicati; d) continuità e ricorsività: l’acquisizione di conoscenze e competenze è un processo a lungo termine che va promosso con continuità e ritornando più volte su di esse; e) integrazione e organizzazione, favorire il collegamento e una buona organizzazione interna delle diverse conoscenze affrontate; f) stabilizzazione, guidare e sostenere il ricordo di quanto studiato; g) trasferibilità, sollecitare l’uso delle conoscenze applicandole a situazioni nuove e la traduzione da un sistema di segni a un altro. Quanto a m. che hanno dato risultati positivi nella loro utilizzazione su vasto raggio e che tengono conto di questi principi, si possono citare il m. di individualizzazione dell’insegnamento elaborato da​​ ​​ Dottrens, il m. a spirale suggerito da​​ ​​ Bruner, il m. di sviluppo di una lezione suggerito da Gagnè-Briggs (1990), il m. dell’apprendimento per la padronanza (​​ mastery learning)​​ elaborato inizialmente da B. Bloom (Block, 1972), il m. della ricerca proposto da Pellerey (1994). Più complesso è l’insieme dei m. suggeriti dal​​ ​​ costruttivismo nelle sue differenti versioni. Così oggi è vivo il dibattito relativo ai m. ispirati a impostazioni collaborative, competitive e individualistiche.​​ 

Bibliografia

Willmann O.,​​ Didattica come teoria della cultura,​​ Brescia, La Scuola, 1962;​​ Gage N.,​​ Teaching methods,​​ New York, Macmillan, 1969; Block J. H. (Ed.),​​ Mastery Learning.​​ Procedimenti scientifici di educazione individualizzata,​​ Torino, Loescher, 1972;​​ Luzuriaga L.,​​ Métodos de la nueva educación,​​ Buenos Aires, Losada,​​ 1973; Titone R.,​​ Metodologia didattica,​​ Roma, LAS,​​ 31975; Bloom B. S.,​​ Caratteristiche umane e apprendimento scolastico,​​ Roma, Armando, 1979; Aebli H.,​​ Zwoelf Grundformen des Lehrnes,​​ Stuttgart, Klett,​​ 1985; Gagnè R. M. - L. J. Briggs,​​ Fondamenti di progettazione didattica,​​ Torino, SEI, 1990; Pellerey M.,​​ Progettazione didattica,​​ Ibid.,​​ 21994;​​ Meirieu P.,​​ Faire l’école,​​ faire la classe, Paris,​​ ESF, 2004; Lang H. R. - B.​​ N. Evans,​​ Models,​​ strategies,​​ and methods for effective teaching, Boston, Allyn and Bacon, 2005; Borich D.,​​ Effective teaching methods,​​ New York, Prentice Hall,​​ 62006.

M. Pellerey