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MARIANISTI

 

MARIANISTI

Religiosi della Compagnia di Maria, fondati a Burdeos nel 1817 dal sacerdote francese Guillaume de Chaminade (1761-1850). Questi, nel suo isolamento di Saragozza (1797-1800), si dedicò alla creazione della Congregazione come risposta alla decristianizzazione rivoluzionaria: il suo obiettivo era difendere la fede e propagare i principi cristiani. La sua finalità consiste nell’educazione della gioventù, nella formazione dei più piccoli (tramite congregazioni mariane) e nell’attività missionaria. I sacerdoti esercitano anche il ministero sacerdotale, esercizi spirituali, ecc. Non escludono nessun genere di opere (risonanze del «quodcumque dixerit facite» delle nozze di Cana): scuole normali e di agricoltura, parrocchie, missioni, collegi, orfanotrofi e ospedali. Chaminade voleva formare uomini di fede, ma non lo fece attraverso la prevenzione o la preservazione, bensì «per contagio». Lo spirito di famiglia è presente in tutta la pedagogia marianista. La sua attività principale è l’educazione a tutti i livelli, anche se la maggior parte dei suoi membri si dedica all’insegnamento superiore nelle università. Fin dall’inizio i M. si sono distinti per un insegnamento selettivo ed una metodologia ugualmente innovativa, come si dimostrò già a Saint-Remy (scuola normale e di agricoltura e collegio d’istruzione media) in cui il contatto diretto con i fenomeni studiati in fisica, storia naturale ed altre materie, e le riproduzioni geografiche realistiche costituirono una novità. Il cosiddetto «esercizio generale» fu un procedimento didattico caratteristico in cui, servendosi di una parola significativa (es. fiume), si intavolava un lungo discorso tra insegnanti e alunni della scuola primaria, cosa che diminuiva la tendenza libresca della scuola tradizionale. Alcuni dati statistici danno l’idea dell’evoluzione dei m.: nel 1841 avevano 27 case e 215 membri; nel 1982, 230 case e 2.000 membri; nel 1987, rispettivamente 227 e 1922; nel 1992, 223 e 1.815; nel 1995 hanno all’incirca 175.000 alunni e 6 università. Oggi, i membri della Famiglia Marianista sono 9.000 ca. in ca. 30 Paesi.

Bibliografia

Reseña histórica de la Compañía de María,​​ Madrid, SM, 1950; Darbon M.,​​ G. J. Chaminade,​​ Paris, 1980; Tuñón Á.,​​ Educadores en los colegios marianistas, Madrid, Servicio de Publicaciones Maristas, 2002.

V. Faubell




MARISTI

 

MARISTI

Detti anche Piccoli Fratelli di Maria o Fratelli M. Fondati nel 1817 da​​ ​​ Champagnat, una delle personalità francesi che, durante la prima metà del sec. XIX, cercano, per mezzo dell’educazione, di contrastare la laicità sorta nel secolo precedente. La finalità dei M. è l’educazione della gioventù, senza alcuna limitazione nei gradi e nei tipi d’insegnamento. Impartiscono l’insegnamento dall’asilo sino alle università o alle scuole tecniche superiori e abbracciano tutte le classi sociali, con speciale considerazione per i Paesi in via di sviluppo o per le missioni, con varie editrici dedicate alla pubblicazione di libri scolastici ed alla propagazione della dottrina cristiana e della devozione alla Vergine Maria. La loro assoluta dedizione all’educazione li porta a rinunciare al sacerdozio. Per l’aspetto docente subirono l’influsso lasalliano delle «piccole scuole» e in campo catechetico quello del metodo di s. Sulpizio. Certamente giungono a creare uno «stile proprio» caratterizzato dall’impegno, la presenza, il desiderio della salvezza delle anime; caratteristico è il loro emblema delle tre violette (umiltà, semplicità e modestia), la formazione del cuore, la coscienza, la volontà e l’impegno per il rinnovamento didattico e metodologico. La loro evoluzione statistica: nel 1840, 50 case, 310 membri, 7.000 alunni; nel 1995, 822 case e 5.297 membri.

Bibliografia

Coste J. -​​ G. Lessard,​​ Origines maristes,​​ 4 voll., Roma, 1960-67; Furet J. B.,​​ Vie de Joseph-Benoît-Marcellin Champagnat,​​ Lyon,​​ 1856 (trad. sp. 1931; trad. it. 1955; ed. crit., Zaragoza, 1979);​​ Santamaría J. L.,​​ Maristas de Zaragoza (1903-2003), Zaragoza, Colegio «El Pilar-Maristas», 2004.

V. Faubell




MARITAIN Jacques

 

MARITAIN Jacques

n. a Parigi nel 1882 - m. a Tolosa nel 1973, intellettuale francese.

1. Di famiglia protestante e di formazione positivistica, sensibile all’insegnamento di H. Bergson, dopo un periodo di adesione al socialismo rivoluzionario, grazie all’influenza di Leon Bloy, nel 1906, si convertì al cattolicesimo insieme alla moglie Raïssa, di origine russa, con cui ebbe una profonda intimità spirituale. Trovò nella filosofia aristotelico-tomista lo strumento intellettuale con cui leggere ed affrontare i problemi dell’uomo contemporaneo. Docente all’Institut Catholique​​ di Parigi, insegnò pure all’Istituto di studi medioevali di Toronto, a Princeton e alla Columbia University. Ambasciatore presso il Vaticano tra il 1945-1947, dopo la morte della moglie (1960), si ritirò presso i Piccoli Fratelli di Ch. Foucault, difendendo con​​ Il​​ contadino della Garonna​​ il Concilio Vat. II da interpretazioni modernistiche. La sua influenza in campo cattolico è ancora oggi molto forte, pur non senza distanziazioni critiche.

2. Sono noti il suo realismo critico gnoseologico e la sua proposta di «umanesimo integrale». Essi fanno da quadro di riferimento anche alla sua​​ ​​ filosofia dell’educazione. I mali e le speranze del nostro tempo pongono «l’educazione al bivio». In polemica con le concezioni pragmatistiche, comportamentistiche e tecnicistiche, M. riafferma la necessità di un’immagine integrale dell’uomo per l’educazione, così come è data dal pensiero greco-giudaico-cristiano. L’uomo è indissolubilmente persona, cioè interiorità, spiritualità, totalità e trascendenza, e individualità, cioè materialità, membro della specie e della società.

3. Questa immagine dell’uomo regola la metodologia educativa, che, come l’arte medica, è «cooperativa della natura». Gli agenti principali dell’educazione sono la natura e lo spirito dell’educando. L’educazione è chiamata a incoraggiare e favorire le disposizioni fondamentali della persona (l’amore alla verità e alla giustizia, l’apertura positiva all’esistenza e al lavoro, la disposizione alla cooperazione e alla vita sociale e politica); ad aiutare a liberare il potere intuitivo interiore; a stimolare l’unità spirituale e la sapienza personale; a liberare l’intelligenza invece di sovraccaricarla, mediante il dominio della ragione sulle cose imparate. Una cultura integralmente umanistica, non solo letteraria o artistica, ma anche scientifica e tecnica, è indicata come contenuto dell’«educazione liberale per tutti» (non solo per alcuni privilegiati). La scuola, organizzata democraticamente, con forme di autogoverno studentesco, è vista come il luogo privilegiato per l’educazione alla «carta democratica» (diritti personali, civili, politici, libertà, democrazia, eguaglianza, giustizia sociale, libertà religiosa, tolleranza, pluralismo, partecipazione alla promozione del bene comune, doveri civili, coscienza comunitaria e umanitaria, ecc.), pur nel pluralismo delle giustificazioni teoriche e degli approcci metodologici.

Bibliografia

Dal punto di vista pedagogico è fondamentale:​​ Pour une philosophie de l’éducation,​​ Paris, Fayard,​​ 1969 (nuova trad. it. con ampio commento a cura di G. Galeazzi,​​ Brescia, La Scuola, 2002). Tra gli studi: Viotto P.,​​ J.M.,​​ Brescia, La Scuola,​​ 51976; Balletta C.,​​ Valenze filosofico-pedagogiche e implicanze didattiche in J.M., Noli (SV), Natrusso Communication, 2006.​​ 

C. Nanni




MARXISMO PEDAGOGICO

 

MARXISMO PEDAGOGICO

Più che di una tipica corrente pedagogica, che fa capo a un maestro, con una propria «scuola», si tratta di un complesso di idee e, ancor più, di tentativi pedagogico-educativi, che hanno avuto in K. Marx l’ispiratore e che si sono venuti sviluppando, per oltre un secolo e con modalità differenti, in varie parti del mondo.

1.​​ L’educazione in K. Marx​​ (1818-1883). Vissuto nel cosiddetto secolo pedagogico, non ha avuto, se non di riflesso, interessi educativi, espressi frammentariamente in scritti e prese di posizione orali. Ma quanto da lui scritto a riguardo ha avuto un notevole riferimento a motivo del credito accordato politicamente alla sua socio-filosofia dalle varie forme di comunismo. Nella linea del suo​​ materialismo storico, l’uomo è visto, protagonista e prodotto, al tempo stesso, della storia (e non entità metafisica predefinita), vittima, in una condizione di capitalismo dominante, di un processo di​​ alienazione,​​ vale a dire di estraniazione da sé, e di​​ mercificazione​​ del proprio lavoro, di cui è il «padrone» a disporre. Peraltro l’uomo, essere sostanzialmente sociale e storico – a differenza dell’antropologia materialistica di L. Feuerbach (1804-1872), l’individuo è per lui un’astrazione – con la divisione capitalistica del lavoro, viene inserito in una determinata «classe». In una sorta di «darwinismo sociale», la storia è lotta per la supremazia tra classi. La classe proletaria – come si dirà nel​​ Manifesto del partito comunista​​ (1848) scritto insieme con l’amico e mecenate F. Engels (1820-1895) – troverà nell’unione e nella​​ lotta di classe​​ la negazione della sua condizione di soggezione; e con l’abbattimento del sistema capitalistico di produzione, in un lavoro non più alienato, la sua e la comune liberazione. Lotta di classe e lavoro diventano pertanto assi portanti di una diversa formazione dell’uomo che realizzi una​​ società nuova, senza classi, senza proprietà privata e senza stato (tutte espressioni storiche della supremazia borghese-capitalistica ) per un​​ «regno della libertà»,​​ e per un uomo sviluppato «onnilateralmente», non più valutato per ciò che produce, ma per ciò di cui è capace e per ciò di cui ha bisogno (cfr.​​ Critica ai programmi di Gotha​​ del 1875). Al contempo ciò permetterà una nuova cultura, in cui teoria e prassi non sono più disgiunte e contrapposte; e in cui​​ struttura economica​​ e​​ sovrastruttura ideale​​ assumono un ruolo di dipendenza reciproca e non unidirezionale, come in regime borghese. Nella critica alla società borghese-capitalistica è coinvolta anche l’educazione e le sue istituzioni: quella familiare, perché nella società borghese «viene spezzato ogni legame di famiglia»; quella ecclesiastica perché è un prodotto storico di​​ ​​ ideologia; quella scolastico-statale, perché lo Stato è il supporto politico del potere della classe borghese dominante, e perciò va rivista in chiave di esplicita socialità e di rispondenza ai bisogni del fanciullo. Sono anche rigettate le scuole professionali del tempo, destinate – a suo parere – solo a una più proficua resa capitalistica del lavoro. La proposta è dunque di una «educazione pubblica e gratuita di tutti i fanciulli, abolizione del lavoro dei fanciulli in fabbrica nella sua forma attuale. Combinazione dell’educazione con la produzione materiale, ecc.» (Manifesto).​​ Egli non esclude il lavoro in fabbrica (che poteva andare dalle due alle sei ore, a partire dai nove anni), poiché vede nel lavoro «uno dei più potenti mezzi di trasformazione dell’odierna società». Nelle​​ Istruzioni ai delegati​​ del 1866 dichiara: «Per formazione noi intendiamo tre cose; primo: formazione intellettuale; secondo: preparazione fisica; terzo: educazione politecnica, che trasmetta i fondamenti scientifici generali di tutti i processi di produzione e che, contemporaneamente, introduca il fanciullo e l’adolescente all’uso pratico e alla capacità di maneggiare gli strumenti elementari di tutti i mestieri». La formazione morale, non presente in questo testo, è invece sottolineata più volte altrove. Essa non è demandata alla scuola, a cui si affida l’istruzione scientifico-pratica, ma, secondo lui, va gestita soprattutto da altre agenzie (famiglia, associazioni, partito). È appena da notare come tutto il discorso resti fortemente occasionale e asistematico, né è salvo da elementi utopistici, pur non senza spunti di realismo storico e di innovazione sociale, a cui variamente ci si riferirà da parte dei seguaci di Marx.

2.​​ La pedagogia sovietica.​​ Le condizioni storiche della Russia, prive di un capitalismo avanzato, come richiedeva Marx per una rivoluzione comunista, hanno imposto, non senza un’attenta riflessione, una revisione del m. nella sua applicazione sovietica. In sede pedagogica, non sono stati senza influsso gli apporti della​​ cultura russa​​ del secolo precedente: da Pirogov a Cerniševskij, da Caadajev a Ušinskij, da Pisarev a​​ ​​ Tolstoj. Inoltre, al di là delle direttive ufficiali, per un paio di decenni (fino al 1936) sono fiorite, almeno nel campo pedagogico, posizioni variegate e individuali contrastanti. Lenin (1870 – 1924), che aveva delegato alla​​ ​​ Krupskaja, sua moglie, e a Lunačarskij, Commissario per l’educazione, l’attenzione ai problemi educativi, ha tuttavia ribadito alcuni orientamenti fondamentali. Da Marx ha ripreso l’idea dell’uomo nuovo,​​ onnilaterale,​​ da costruire; della​​ cultura,​​ come strumento della rivoluzione e presupposto per la realizzazione del comunismo e, nella situazione di potere in cui è venuto a trovarsi, per il superamento del burocratismo (cfr. esigenza di​​ rivoluzione culturale,​​ in:​​ Sulla cooperazione,​​ del 1923). Convinto della funzione strategica dell’istruzione scolastica ne richiede il prolungamento dell’obbligo fino ai 16 anni e la pensa, come per Marx – senza però approfondirne il concetto – come «scuola politecnica», in cui vi sia un indispensabile collegamento con il lavoro. Tipica l’insistenza di Lenin sull’«educazione politica»,​​ con alla radice una​​ «disciplina cosciente»;​​ sull’«emulazione»​​ e sul principio del​​ «meglio meno,​​ ma meglio». Rilanciò il concetto «russo» di​​ collettivo​​ e dimostrò attenzione ai problemi delle donne e della gioventù. La campagna di alfabetizzazione per la​​ «rieducazione delle masse», la lotta contro i ragazzi di strada, con la fondazione di istituzioni apposite, non impedirono discordanze sul ruolo della scuola, di cui Šul’gin voleva la «morte»; sul senso della «politecnicità» (per la Krupskaja e altri, per es., avvio alla conoscenza tecnico-pratica della produzione e al lavoro stesso, mentre per​​ ​​ Makarenko, restavano semplice somma di insegnamento e di lavoro, senza alcun collegamento diretto); e infine sul senso dell’educazione stessa e, quindi, della pedagogia (per la Krupskaja e altri legata alla​​ ​​ pedologia, per Makarenko anzitutto al «politico»). La forte rilevanza data dal m.-leninismo al ruolo prevalente del partito e a un concetto pervasivo di dialetticità (il materialismo storico diventa anche dialettico), non sarà senza una qualche ricaduta sul terreno dell’educazione in senso di quasi esclusiva preoccupazione per la formazione del consenso. Con Stalin, poi, e con il suo centralismo che non ammetteva più dissensi e, di conseguenza, con l’introduzione del «culto della personalità», si arriva a un irrigidimento generalizzato e autoritario anche nella politica educativa. Seppure legato alla supremazia socialistico-sovietica e soggetto ad una progressiva e radicalizzata ideologizzazione, che ha represso ogni possibilità di espressione personale di libertà, è innegabile un grande impegno per l’istruzione che ha portato l’URSS a livelli molto alti, anche in un confronto internazionale, e ne ha favorito lo sviluppo scientifico-tecnologico.​​ 

3.​​ Educazione e pedagogia nei regimi ad ispirazione marxista - comunista.​​ Il modello pedagogico-scolastico dell’URSS – pur nel clima di «guerra fredda» e di competizione con il blocco occidentale – dopo la seconda guerra mondiale, e fino al crollo del cosiddetto «comunismo reale» del 1989, è stato, di fatto, gradualmente esteso a tutti i Paesi dell’Est europeo, da essa politicamente dipendenti, pur con varianti nazionali. Ed è stato seguito anche da molti Paesi del cosiddetto «terzo mondo» o che uscivano dal regime di colonialismo occidentale. Una certa originalità e distanza dal modello sovietico è riscontrabile nel​​ comunismo cinese, che anche in sede pedagogica è stato improntato piuttosto al pensiero e alla politica di​​ Mao Ze-dong​​ (1893-1976). Ma anche in lui – nonostante il suo primo scritto sia stato uno​​ Studio sull’educazione fisica​​ (1917) – la tematica pedagogica resta frammentaria e risente della​​ cultura cinese,​​ che, pur non unitaria, era ispirata principalmente dal taoismo e dal confucianesimo, sui quali Mao innesta il m.-leninismo. Per superare le​​ contraddizioni​​ nel popolo​​ e vincere l’antagonismo dei​​ nemici del popolo,​​ l’educazione​​ è vista anche sempre come​​ rieducazione​​ «dagli errori passati per evitare errori futuri», dando in ogni caso priorità alla pratica («Chi si seppellisce fra montagne di libri, più studia e meno sa» [1954]).​​ Indispensabile in questo processo rivoluzionario la​​ mobilitazione delle masse. Lo sguardo rivolto al «popolo», in una dialetticità di momenti storici nella stessa gestione del potere, fu tra i motivi del distacco dall’URSS staliniana (1960). In questa linea, dalla condanna del culto della personalità (1956), passò all’appoggio della libertà di critica e di dissenso, con il movimento dei «Cento fiori» e delle «Cento scuole» (1957): preludio al lancio della rivoluzione permanente, avviato con la campagna per l’«educazione socialista» e sfociato nella «Grande rivoluzione proletaria culturale», gestita dalle «guardie rosse», nel 1966. Ma l’opposizione interna al partito e la violenza politica, costrinsero lo stesso Mao a moderare quella «rivoluzione» e anzi a far eliminare, tra il 1972-74, la «banda dei quattro» (tra cui la moglie di Mao). Con la 2a​​ Costituzione, viene ad evidenziarsi il declino del maoismo. La rivalutazione degli studi superiori, la creazione di «comuni», gruppi di studio, scuole modello, spinge, da una parte, all’emulazione​​ ma, dall’altra, non allenta la sorveglianza e la repressione (cfr. quella della piazza di Tienanmen del 5 aprile e 4 giugno 1989), nel non facile equilibrio tra difesa dei principi rivoluzionari e le esigenze di una progressiva e prepotente industrializzazione. A esiti simili sembrano irrimediabilmente portare anche i tentativi di instaurazione del modello maxista-sovietico di istruzione negli altri Paesi, come ad es. nel regime comunista cubano instaurato da Fidel Castro e Che Guevara, dopo la vittoria definitiva contro il dittatore Batista (1959), grazie agli aiuti offerti dall’URSS e negati dagli USA. Anche qui acquistano tutta la loro rilevanza pedagogica la lotta contro l’analfabetismo ridotto con una impegnativa​​ campagna di alfabetizzazione​​ (1961), dal 30% al 4%; la​​ costruzione di scuole,​​ specie in campagna, la​​ moltiplicazione​​ dei​​ docenti​​ e delle​​ biblioteche popolari,​​ la​​ riforma​​ progressiva di tutti i livelli di​​ scolarità,​​ università compresa. La costruzione del consenso politico ha portato a dare importanza al1’​​ ​​ educazione degli adulti e ad iniziative di istruzione popolare, che come in occasione della​​ zafra,​​ raccolta della canna da zucchero, cercano di coinvolgere tutto il popolo fin quasi a fare di tutta Cuba «una grande scuola». Ciò non toglie peraltro non solo l’analfabetismo di ritorno, ma anche la difficoltà di prevedere un futuro di democrazia e di libertà. Queste ambiguità sembrano attraversare anche la​​ rivoluzione sandinista​​ (cosiddetta in quanto ispirata a A. C. Sandino, 1888-1934)​​ che si cercò di attuare in Nicaragua, tra il 1979-1990, anno in cui il partito fu battuto politicamente da libere elezioni. L’esplicita partecipazione dei cristiani​​ ha influito sugli orientamenti generali non solo politici e pedagogici, ma anche relativi alla idea marxista della religione come «oppio dei popoli». Rilevante pure l’educazione dei bambini in età prescolare e degli adulti​​ ,​​ delle classi più umili​​ con la creazione di appositi​​ «talleres»​​ (laboratori), in cui si cercava di coniugare istruzione, lavoro e coscientizzazione politica.​​ 

4.​​ L’oggi del marxismo pedagogico. Specie nell’America Latina, il m. è stato visto, e da alcuni ancora viene considerato come una fonte ispirativa dei movimenti di​​ liberazione popolare​​ (dei poveri e dei deboli e recentemente degli indigeni) e quindi combinato sovente con il cristianesimo (cfr. la teologia della​​ ​​ liberazione; e la pedagogia di​​ ​​ Freire). Il rischio, dal punto di vista pedagogico, è stato e resta quello dell’indottrinamento, frutto di ideologia negativa, da tutti​​ teoricamente​​ rifiutato, ma​​ praticamente​​ perseguito. È anche da dire che gli indirizzi educativi del m. non hanno avuto come unico punto di riferimento gli Stati in cui si è realizzata una rivoluzione, ma hanno avuto sviluppi, almeno teorici, in pensatori della portata di Lukàcs, di​​ ​​ Gramsci, di Bloch, di Marcuse, di Sartre e di altri. Oggi nei confronti del m., si danno due orientamenti: quello più «realistico», che lo colloca tra le realtà storiche datate e sorpassate, e quello più «utopistico-prudenziale», che gli riconosce possibilità di sopravvivenza, se non di resurrezione, con una più diretta gestione da parte degli «esclusi dal potere» e, comunque, non senza una precisa e rigorosa assunzione critica.

Bibliografia

a)​​ In generale:​​ Manacorda M. A. (Ed.),​​ Il​​ m. e l’educazione,​​ 2​​ voll., Roma, Armando, 1964-1965; Trebisacce G. (Ed.),​​ Materialismo storico e educazione,​​ Cosenza, Laboratorio, 1984. b)​​ Su Marx:​​ Manacorda M. A.,​​ M. e la pedagogia moderna,​​ Roma, Editori Riuniti, 1966; Formizzi G.,​​ La pedagogia di K.M.,​​ Brescia, La Scuola, 1973;​​ Van Si N.,​​ Conception de l’éducation chez K.M.​​ et A. Gramsci,​​ Roma, Antonianum, 1980. c)​​ Sulla rivoluzione sovietica:​​ Froese L.,​​ Ideengeschichtliche Triebkräfte der russischen und sowjetischen Pädagogik,​​ Heidelberg, Quelle & Meyer,​​ 21963. d)​​ Sulla Cina:​​ Price R. F.,​​ Education in communist China,​​ London, Routledge & Kegan,​​ 21975; Id.,​​ Education in modern China,​​ Ibid., 1979. e)​​ Sulla rivoluzione cubana:​​ Bernal del Riesgo A.,​​ Errores en la crianza de los niños,​​ L’Avana, Instituto del libro, 1970; f)​​ Sulla rivoluzione nicaraguense:​​ Girardi G.,​​ Sandinismo,​​ m.,​​ cristianesimo: la confluenza,​​ Roma, Borla, 1986. g)​​ Riflessioni attuali:​​ Cambi F.,​​ Libertà da... L’eredità del m.p.,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1994; Salvadori M. L.,​​ La parabola del comunismo,​​ Bari, Laterza, 1995; Bidet J. - E.​​ Kouvélakis (Edd.),​​ Dictionnaire Marx contemporain, Paris, PUF, 2001.

B. A. Bellerate