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MURIALDO Leonardo

 

MURIALDO Leonardo

n. a Torino nel 1828 - m. ivi nel 1900, educatore italiano, fondatore della Pia Società di s. Giuseppe (Giuseppini), santo.

1. Ricevuta una solida formazione umanistica e teologica, dopo l’ordinazione sacerdotale, collabora con don​​ ​​ Bosco nell’opera degli​​ ​​ Oratori, dirigendo quello di San Luigi di Torino (1857-1865), con annesse scuole festive e diurne. Nell’anno trascorso nel seminario di S. Sulpizio (1865), ha occasione di conoscere le istituzioni educative francesi, soprattutto le opere a favore della gioventù operaia del T. David (1823-1891). Rientrato in Italia, assume la direzione del Collegio degli Artigianelli di Torino (fondato nel 1849 da G. Cocchi), e lo trasforma in una «scuola interna di qualificazione al lavoro», intenta a formare «onesti e virtuosi cittadini di tanti poveri ragazzi che abbandonati a se stessi diverrebbero troppo facilmente l’obbrobrio e il flagello della società» (Epist.​​ 1, 91).

2. Uomo sensibile ai problemi giovanili e del lavoro, M. esplica la sua attività su più fronti: fonda scuole di arti e mestieri e colonie agricole, oratori e patronati, case-famiglia per operai; partecipa attivamente nel campo dell’impegno sociale organizzato, collaborando alla fondazione della prima Associazione degli Operai Cattolici (1871). Fin dai primi anni dell’impegno tra i giovani, M. formula il suo scopo, in sintonia con le urgenze del tempo: «Noi dobbiamo tendere con tutti i nostri sforzi a fare dei nostri giovani buoni operai cristiani, ma dobbiamo applicarci pure a fare di essi operai abili, bravi cittadini, d’esempio nella società e lievito nel mondo che viene sorgendo tra scosse e agitazioni» (Disc.,​​ 1865).

Bibliografia

M.L.,​​ Epistolario,​​ vol. I, a cura di A. Marengo, Roma, Editrice Murialdina, 1970; Marengo A.,​​ Contributi per uno studio su L.M. educatore,​​ Roma, Tip. S. Pio X, 1964; Dotta G. - G. Fossati - D. Magni,​​ L.M.,​​ gli artigianelli e l’Oratorio San Martino, Roma, Editrice Murialdo, 2004.​​ 

J. M. Prellezo​​ 




MURRAY Henry Alexander

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MURRAY Henry Alexander

n. a New York nel 1893 - m. a Cambridge nel 1988, medico e psicologo statunitense.

1. Dopo aver conseguito ad Harvard la laurea in storia, si laurea in medicina alla Columbia University (1919). Si specializza in biologia e chirurgia e prosegue i suoi studi a Cambridge, laureandosi in biochimica. Inizia quindi ad interessarsi di psicologia e di psicoanalisi, legge i testi di S.​​ ​​ Freud e di​​ ​​ Jung. Nel 1928 viene promosso assistente e direttore della Clinica Psicologica della​​ Harvard University. Completata la formazione psicoanalitica, è tra i fondatori della Società Psicoanalitica di Boston e a partire dal 1937, anno in cui diventa professore associato di psicologia, promuove ad Harvard lo studio della teoria psicoanalitica, proponendosi di individuare gli strumenti per sottoporre a verifica empirica le intuizioni cliniche di Freud e mettere così a punto una serie di strumenti per la misurazione della personalità. I risultati di questo lavoro di ricerca verranno esposti nel volume​​ Explorations in personality​​ (1938). Nel 1943, anno in cui mette a punto e pubblica il​​ Thematic Apperception Test​​ (TAT - Test di appercezione tematica), che è ancor oggi uno dei​​ ​​ test proiettivi maggiormente usati nell’indagine clinica della personalità, lascia Harvard per entrare nel Corpo Medico dell’esercito, dove fonda e dirige l’Office of Strategie Services, con il compito di selezionare e reclutare i candidati per missioni segrete o pericolose.

2. Nel 1947 riprende ad Harvard, dove verrà nominato professore, gli studi sulla personalità, continuando a mettere a punto la sua teoria psicologica e pubblica​​ The assessment of men​​ (1948). Continua inoltre a coltivare interessi storici e letterari e, nel periodo della «guerra fredda», in una serie di articoli polemici, sottolinea il rischio di una guerra atomica e sostiene la necessità che gli intellettuali si impegnino in una «azione pedagogica che consenta una radicale conversione, o rieducazione ai valori della vita e della libertà» La teoria di M. – la «personologia» – che vuol essere una teoria comprensiva della personalità, ha il proprio nucleo nello studio dell’individuo considerato in tutta la sua complessità. Dopo aver messo in rilievo il carattere organico del comportamento e l’importanza del contesto ambientale e socio-culturale, M., pur sottolineando le basi biologiche della personalità e del comportamento, sostiene che i dati fondamentali dello psicologo non sono rappresentati dai processi fisiologici e neurologici che sottendono il comportamento ma piuttosto dai procedimenti, e cioè dalle interazioni tra il soggetto psicologico e il suo oggetto.

3. Secondo M., un’adeguata comprensione della​​ ​​ motivazione umana deve basarsi su un sistema che faccia uso di un numero sufficientemente vasto di variabili per riflettere, almeno in parte l’immensa complessità dei motivi umani allo stato più elementare. Centrale, nella sua «personologia», è il concetto di bisogno, definito come «un costrutto (o immagine conveniente o concetto ipotetico) che simboleggia una forza [...] nella zona cerebrale che organizza la percezione [...] la volizione [...] e che si manifesta inducendo l’organismo a ricercare o a evitare lo scontro o, qualora esso sia in atto, a badare e a rispondere a pressioni di natura particolare». Per M. i bisogni sono caratteristicamente accompagnati da un sentimento o emozione di intensità variabile, sono persistenti nel tempo e danno inoltre origine a un particolare corso di comportamento o fantasia che cambia lo stato iniziale in modo da creare una situazione finale che fermi, calmi o soddisfi l’organismo. Dopo aver sottolineato le determinanti socioculturali e l’unicità essenziale di ogni persona o comportamento, e sostenuto la necessità di uno studio completo, particolareggiato e intensivo del soggetto singolo nonché l’importanza della cooperazione fra le varie discipline nello studio della personalità, M. ribadisce l’importanza dell’osservatore o psicologo; e mettendo a punto la tecnica del concilio diagnostico, che include diversi osservatori, tutti impegnati, seppure da differenti punti di vista, nello studio dello stesso soggetto.

Bibliografia

M.H.A. (Ed.),​​ Personality in nature,​​ society and culture,​​ New York, Knopf, 1971;​​ Maddi S. R. - P. Costa,​​ Humanism in personology: Allport,​​ Maslow and M.,​​ Chicago, Aldine-Atherton,​​ 1972; Rabin A.​​ I.​​ et al.,​​ Further explorations in personality,​​ New York, Wiley, 1981.

F. Ortu - N. Dazzi




MUSEI

 

MUSEI

Il nome deriva da quello dell’edificio ellenistico dedicato alle Muse annesso alla grande Biblioteca di Alessandria d’Egitto. Dall’antichità all’epoca moderna non sono esistiti m. nel senso moderno, bensì raccolte talora anche cospicue di opere d’arte nei templi, negli edifici pubblici, nelle dimore regali e principesche. Accanto alle raccolte d’arte spesso vi sono oggetti rari, strani o curiosi, come pepite, cristalli, conchiglie, fossili, ossa di animali preistorici, meteoriti caduti dal cielo, denti di narvalo ritenuti di unicorno, che costituiscono le​​ Wunderkammer​​ (camere delle meraviglie).

1. Il m. moderno nasce dopo l’apertura (gratuita o pagante) al pubblico delle predette raccolte, e con l’incremento di esse a fini di studio e di promozione della cultura. Un forte impulso alla trasformazione viene dato dalla Rivoluzione francese, che dopo le prime distruzioni di regge e monasteri dovute alla furia estremista, si interessa invece alla conservazione ed esposizione dei beni culturali e artistici; essa estende la sua attenzione anche alle raccolte scientifiche (di minerali, piante, animali), agli strumenti e alle tecnologie, creando il primo grande m. del genere a Parigi nel Conservatoire des Arts et Métiers a Saint Martin des Champs. Gli scavi archeologici e lo studio sistematico della storia dell’arte incentivano la creazione di m. di belle arti; ad essi si aggiungono m. storici e archivi nazionali di documenti. Da parte sua il positivismo con l’interesse alla divulgazione scientifica favorisce i m. naturalistici. Con la democratizzazione degli Stati europei e americani, l’apertura delle raccolte trasformate in m. pubblici viene generalizzata, e l’affluenza dei visitatori ascende ai parecchi milioni annuali odierni.

2. Un m. è «un’organizzazione di segni iconici» (U. Eco) e come tale un sistema di messaggi essenzialmente visivi. Sono quindi fondamentali la scelta dei pezzi che vanno esposti, la loro comparazione e sequenza, la disposizione in vetrine illuminate, l’organizzazione delle visite, l’abbinamento degli oggetti a cartellini esplicativi, a schede descrittive, a guide e libri, l’offerta di riproduzioni e facsimili, di sussidi audiovisivi, di strumenti informatici e di CD interattivi. I vecchi m. artistici assembravano in disordine centinaia di opere in poco spazio, più che altro in funzione di tesoro o di decoro; quelli scientifici allineavano migliaia di minerali, di piante, di insetti, di animali imbalsamati o conservati sotto alcole o formalina. L’effetto era opprimente e la visita faticosa. Oggi vengono scelti per la esposizione al pubblico pochi pezzi veramente significativi, e messi in evidenza con tecniche «vetrinistiche» di sicuro richiamo. Le vaste raccolte di base e quelle specialistiche sono invece custodite in depositi per gli studiosi e gli scambi.

3. Le discipline museali costituiscono oggi accanto a quelle bibliografiche e biblioteconomiche un importante settore dei beni culturali; vi attendono la museografia e la museologia. Ma notevole interesse è quello della didattica della​​ ​​ educazione artistica e della​​ ​​ educazione scientifica.

Bibliografia

Angela A.,​​ M. e mostre a misura d’uomo,​​ Roma, Armando, 1988;​​ Pedagogie del m.,​​ Genova, SAGEP,1991; Gallo Barbisio C. - C. Quaranta (Edd.),​​ Il significato del m. laboratorio di territorio, Torino, Tirrenia Stampatori, 1997; Nardi E.,​​ Leggere il m.: proposte didattiche, Formello, SEAM, 2001;​​ M. didattico: polo MUSIS permanente: 8. aggiornamento: 12. settimana della cultura scientifica, marzo 2002, Roma, Euroma, 2002.​​ 

M. Laeng




MUSICA E EDUCAZIONE

 

MUSICA E EDUCAZIONE

Il fenomeno musicale ha interessato numerosi studiosi non solo di teoria musicale, di storia della m., di semiologia, di estetica musicale, ma anche esperti di filosofia, psicologia, sociologia, pedagogia, linguistica, e più recentemente di scienze della​​ ​​ comunicazione.

1.​​ Significato della m.​​ È facile notare come la m. investa in mille modi l’esistenza dei giovani e non, e quanto incida nella vita quotidiana, fino al punto che spesso quest’ultima venga definita a «tempo di m.». Dietro tale accentuato e rinnovato interesse delle nuove generazioni per la m., c’è una rete di aspirazioni, desideri, conflitti e relazioni, che merita attenzione. Come altre forme di espressione, la m. riesce a comunicare il mondo interiore, in forza di una ricca valenza simbolica e un grande potere evocativo. Essa, perciò, ha potuto assumere ed esprimere pienamente l’orizzonte di senso che avvolge la vita delle giovani generazioni, divenendo occasione di comunicazione, di trasmissione di senso, di socializzazione e di espressione di vita in forma tanto simbolica quanto concreta. Sul significato della m. e sulla sua capacità intrinseca di parlare all’uomo e di far parlare l’uomo col suo linguaggio, c’è la testimonianza di uno sviluppo costante nella storia del pensiero umano. La persona umana, dotata di intelligenza, sentimento, desiderio, emozioni, tesa alla realizzazione della propria autonomia e libertà, ha in ogni tempo e situazione colto ed espresso, attraverso la m., le dimensioni fondamentali della sua esistenza: la relazionalità, la storicità e la trascendenza.

2.​​ Il​​ linguaggio musicale.​​ Il linguaggio musicale, oltre a penetrare e ad esprimere la parte più intima e recondita della persona, quella che costituisce il mistero stesso dell’uomo, permette una comunicazione ricca e sensata tra le persone, perché collima mirabilmente con la struttura dialogica e interpersonale dell’essere umano. Alcune esigenze peculiari della m., come ad es. l’ascolto, il silenzio, la condivisione, portano la persona da uno stile di chiusura e di solitudine alla partecipazione e alla manifestazione delle proprie convinzioni e del proprio sentimento. Strumento di comunicazione e di comunicazione interpersonale, essa crea spazi di verità, libertà, gioia, entusiasmo, poiché conduce gradualmente l’uomo nel profondo di se stesso e contemporaneamente lo spinge ad aprirsi alla realtà che lo circonda, manifestando il tutto di sé. La comprensione dello stimolo musicale e della sua percezione occupa gli studiosi di psicologia, già impegnati a considerare gli effetti dei contesti e delle varie forme musicali. Anche l’esperienza dell’appropriazione musicale è vista in riferimento allo schema culturale personale, senza tralasciare la discussa problematica circa la m. come dote naturale oppure acquisita. Dal punto di vista dell’estetica della m. viene riaffermata in maniera indiscussa l’idea di una stretta analogia tra m. e sistema linguistico. Il codice musicale è una ricchezza che possediamo naturalmente, come esseri umani; occorre ovviamente abilitarsi a decodificare, per ottenere il massimo della comunicazione. Pur differenziandosi la valenza culturale ed evocativa dei diversi messaggi musicali, dati dalla varietà delle forme e dei generi, ogni comunicazione sonora tende a raggiungere la persona nel profondo, per stimolarla all’assimilazione del messaggio e all’elaborazione di una risposta pertinente ed originale nel contempo. Ecco le funzioni attribuite al linguaggio musicale: a)​​ una funzione ludica,​​ che permette di interpretare e sentire la vita come gioco; b)​​ una funzione catartica,​​ che purifica e rasserena la persona nelle diverse situazioni difficili della sua esistenza (​​ musicoterapia); c)​​ una funzione didascalica,​​ attraverso la quale la m. si trasforma da semplice codice linguistico a forza educativa; d)​​ una funzione creativa,​​ che consiste nel riuscire ad esprimere attraverso la m., in forma artistica, un contenuto originale; e)​​ una funzione religiosa,​​ per cui la m. conduce l’uomo alla gratuità, alla bellezza e alla profondità del proprio essere; di qui facilmente può scaturire l’apertura alla trascendenza.

3.​​ Simbolismo e pedagogia.​​ La m., come forza di concentrazione della persona su se stessa, fa maturare l’attitudine all’ascolto e orienta l’uomo ad allargare l’orizzonte interpretativo dell’intera sua esistenza. Emerge chiara una funzione simbolico-formativa, in un certo senso pedagogica, della m. da non trascurare. Essa, infatti, come del resto le altre arti, viene a contribuire direttamente alla formazione integrale della personalità, attraverso lo sviluppo dell’intelligenza e del carattere. Tali condizioni sono richieste per la maturazione umana, e sono essenzialmente prerogativa per apprendere ed esercitare un’arte. Il grande valore educativo dell’arte consiste proprio nell’esercizio dell’immediatezza impulsiva ed estrosa e nell’affermazione della libertà. Man mano che le capacità umane si sviluppano, si comprende il linguaggio e il senso della m., ma d’altra parte le abilità musicali e il gusto estetico contribuiscono alla definizione di alcuni tratti della personalità. Il linguaggio musicale troppe volte è stato considerato misterioso e incomprensibile, oppure privo di spessore semantico e dotato soltanto di un significato strutturale. Esso certamente non indica con precisione oggetti, eventi, personaggi, manca cioè di potenza denotativa, ma esprime la realtà in modo simbolico, rappresentando degli oggetti, degli eventi e dei personaggi solo le caratteristiche astratte che rimandano alla realtà significata in quanto tale. Si dice perciò che la m. ha una forte valenza simbolica e riesce così a descrivere una molteplicità di azioni, di stati d’animo, e di vicende umane, in modo che l’uomo ne percepisca pienamente il relativo messaggio. La funzione simbolica della m. può essere colta nell’espressione sonora più semplice come nell’opera d’arte maggiormente complessa. In concreto essa si esplicita in quattro ambiti di significato: il​​ primo​​ (onomatopeico), il più semplice, è quello che riguarda la capacità del suono di imitare alcune voci dalla natura, come ad esempio il vento, gli animali, ecc.; il​​ secondo​​ (sinestesico) si fonda sull’analogia tra realtà percepibili da sensi diversi (si accostano qualità visive, spaziali, tattili ecc. a quelle sonore); il​​ terzo​​ (fisiognomico) ambito di significato simbolico della m. copre l’ordine psicologico-emotivo. La m. può esprimere stati psichici ed emozioni, perché queste situazioni sono sempre accompagnate da modificazioni fisiologiche; il​​ quarto​​ (temporale) considera la capacità della m. di esprimere realtà disposte nel tempo. Il campo della significazione musicale si completa con lo studio della valenza evocativo-connotativa. Questa, più che fondarsi sulla struttura del codice musicale, fa leva sulla cultura e sulle convenzioni maturate tra gli uomini nel corso dei secoli; si direbbe quindi che è un fatto determinato dalla mediazione culturale.

4.​​ L’educazione musicale a scuola.​​ Le linee portanti di questa breve riflessione sulla m., sul suo significato, sulla sua funzione di linguaggio e sulla sua valenza simbolica e pedagogica, costituiscono parte di un ampio quadro di riferimento a cui gli attuali programmi per la scuola media italiana si sono ispirati. Ai fini infatti della maturazione espressiva e comunicativa del preadolescente, ultima categoria di studenti che s’imbatte nella m. a scuola, risulta più significativo ed efficace un modello di educazione musicale che passi da una preoccupazione di didattica musicale ad una pedagogia della e con la m.

Bibliografia

Della Casa M.,​​ La comunicazione musicale e l’educazione,​​ Brescia, La Scuola, 1974;​​ I​​ nuovi programmi per la scuola media. Interpretazioni,​​ commenti,​​ testi,​​ Ibid., 1979; Peretti M.,​​ Pedagogia ed esperienza musicale,​​ Ibid., 1980; Cano C.,​​ Simboli sonori,​​ Milano, Angeli, 1985; Stefani G.,​​ M. con coscienza,​​ Cinisello Balsamo (MI), Paoline, 1989; Ferrari F.,​​ Giochi d’ascolto. L’ascolto musicale come tecnica di animazione, Milano, Angeli, 2002.​​ 

A. Lobefalo




MUSICOTERAPIA

 

MUSICOTERAPIA

La m. è una disciplina organizzata ed una professione; entrambe includono aspetti scientifici, artistici ed interpersonali, raggruppati intorno a due poli principali: la musica (suono) e la terapia intesa come intervento con valenza pedagogica e clinico-riabilitativa.

1. Gli aspetti scientifici riguardano l’approccio secondo criteri di oggettività, verificabilità, affidabilità, ecc., alla ricerca, allo studio ed alla comprensione del rapporto musica (elemento sonoro sensoriale) essere umano, per una sua formalizzazione teorica. Gli aspetti artistici concernono la conoscenza della musica, delle sue componenti multisensoriali, dei mezzi vocali-strumentali, ai fini di una loro applicazione strutturata e creativa, effettuata da persona specializzata, secondo le necessità dell’utente nel contesto terapeutico. Gli aspetti interpersonali sono relativi alle esperienze sonoro-musicali ed alle relazioni che si sviluppano attraverso di esse (relazione musica-utente; relazione utente-terapeuta; relazione musica-terapeuta) utilizzate come forze dinamiche di cambiamento dal musicoterapeuta nel processo sistematico di intervento.

2. Come disciplina la m. ha una caratteristica unica in quanto combinazione di musica e terapia. Essa si basa sulle teorie dello sviluppo (biologico, cognitivo, emotivo, relazionale) e si occupa specificamente della conoscenza tacita (emozioni e relazioni) elaborata a livello pre-verbale e a-verbale (sensoriale). Come professione la m. richiede una formazione in campo psico-terapeutico o pedagogico e musicale. Nella pratica professionale, la m. può essere considerata secondo aree e livelli di applicazione. Le aree sono quella riabilitativo-terapeutica e quella educativo-pedagogico-ricreativa. I livelli di intervento sono determinati dalla rilevanza della m. rispetto alla salute della persona, alla indipendenza clinica della m. rispetto ad altre terapie utilizzate in quel caso, al tipo di relazione terapeuta-musica-utente, alla profondità dell’intervento ed al grado di cambiamento terapeutico (o di sviluppo) raggiunto dalla persona in difficoltà.

3. Come terapia la m. è caratterizzata dalla modalità di trattamento, distinguendosi dalle altre per il ruolo centrale del suono, della musica e delle esperienze musicali nel processo terapeutico. I soggetti coi quali è preferibile intervenire con la m. sono persone che per vari motivi (clinici, psicologici, di sviluppo) presentano carenze nella comunicazione verbale (per es. autistici, non udenti), resistenze verso una terapia verbale, persone che hanno difficoltà ad essere in contatto o ad esprimere le proprie emozioni congruentemente, persone con difficoltà nell’interazione sociale (bambini iperattivi, pazienti psicotici) ed, infine, persone con problemi cognitivi (disturbi dell’attenzione) e neuropsicologici (difficoltà di coordinazione cognitivo-motoria, demenza). Un nuovo campo di applicazione della m. è in medicina (cure palliative, oncologia) e in ostetricia.

4. Gli obiettivi dell’intervento possono essere: migliorare l’attenzione, la percezione e la memoria attraverso l’ascolto guidato; sviluppare strategie cognitive, capacità di soluzione di problemi e decisionali con metodi di improvvisazione / composizione; sperimentare sensazioni ed emozioni e controllarne la loro espressione attraverso le componenti dinamiche, ritmiche e melodiche della musica; incrementare la capacità simbolico-verbale, l’organizzazione del discorso e del comportamento motorio associandoli a stimoli musicali; ampliare l’autoconoscenza mediante l’immaginario guidato con la musica; facilitare il coinvolgimento e l’interazione sociale con esperienze musicali di gruppo; innalzare il livello di attivazione e motivazione per il piacere connesso alla musica; migliorare il contatto con la realtà oggettuale attraverso l’uso degli strumenti.

5. Controindicazioni all’applicazione della m. sono da ricercarsi in quei rarissimi casi di intolleranza o reazione negativa ai suoni, come nell’epilessia musicogena. La m. può essere utilizzata in sedute individuali o di gruppo, con frequenza variabile (una o più volte la settimana) e con durata dai 30 minuti a due ore circa (per le sessioni di​​ Guided Imagery and Music).​​ Al cliente non è richiesta alcuna conoscenza musicale, in quanto ogni essere umano è predisposto biologicamente al mondo dei suoni e ad attività connesse (ascolto, riproduzione vocale). Anche persone con preparazione musicale possono usufruire della m.: in questo caso l’elemento sonoro-musicale è un mezzo di conoscenza (introspezione) del proprio mondo interiore e non una pura espressione artistica.

6. La m. ha elaborato metodologie (tecniche,​​ setting​​ terapeutico, mezzi, modalità relazionali, ecc.) e strumenti specifici per la diagnosi, l’analisi, il trattamento e la valutazione periodica per determinare lo stato di salute psicofisico o lo stadio di sviluppo della persona, nonché l’efficacia delle procedure impiegate. La m. può essere utilizzata sia «in terapia» (tecnica inserita in altri approcci terapeutici verbali), sia «come terapia» (modalità principale di trattamento). I metodi principali, attivi e ricettivi, riguardano: ascoltare, improvvisare, ricreare, comporre; tali metodi possono includere altre forme artistiche (disegno, pittura, movimento, storie, poesie, ecc.) e tecniche verbali. Tra i metodi di m. attiva, quello di Nordoff e Robbins è utilizzato per disturbi evolutivi. Tra quelli ricettivi, la​​ Guided imagery and music​​ di H. Bonny, utilizza esperienze immaginativo-metaforiche per modificare stati di sofferenza e / o promuovere una crescita psico-spirituale. Tali esperienze, evocate dall’ascolto, in uno stato di rilassamento, di specifici programmi di musica classica, sono facilitate dall’interazione verbale continua con il terapeuta. Ricerche e studi trasversali e interdisciplinari, in campo internazionale confermano l’efficacia specifica della m., sia come pratica terapeutico-riabilitativa che educativo-pedagogica, a livello neuropsicologico e psicologico. Sono, comunque, necessari maggiori approfondimenti per comprendere gli effetti (es. sulle emozioni, parametri immunitari ed endocrini) delle complesse variabili che entrano in gioco nella prassi musicoterapica al fine di programmare interventi mirati a particolari bisogni e scopi dei diversi utenti.

Bibliografia

Bruscia K. E. (Ed.),​​ Casi clinici di M., 2 voll.,​​ Roma, ISMEZ, 1995-1999; Bruscia K. E. -​​ D. E. Grocke (Edd.),​​ Guided imagery and music: the bonny method and beyond,​​ Gilsum, NH, Barcelona Publishers, 2002; Wigram T. et. al.,​​ A comprehensive guide to musicotheory,​​ clinical practice,​​ research and training, London, Jessica Kingsley, 2002.​​ 

G. Giordanella Perilli




MUTUO INSEGNAMENTO

 

MUTUO INSEGNAMENTO

Metodo che si serve della collaborazione degli alunni più capaci per l’istruzione di quelli meno bravi.

1.​​ Origine e significato.​​ Il ricorso alla collaborazione degli alunni nell’istruzione dei propri compagni ha radici lontane nella storia della scuola. Sono stati individuati indizi di una sorta di m.i. nell’antico Egitto, in Grecia, in India. Il metodo acquista lineamenti più precisi nel sec. XVI nelle scuole festive della Dottrina cristiana. Il numero di ragazzi che le frequentano e la mancanza di collaboratori obbligano il fondatore, Castellino da Castello, a ricorrere all’aiuto dei più grandi. Pratiche analoghe si trovano nel sec. XVII nelle scuole di Ch. Demia e negli istituti dei​​ ​​ Fratelli delle Scuole cristiane; ma il «metodo m. sistematicamente organizzato» è opera degli inglesi Andrew Bell (1753-1832) e​​ Joseph​​ Lancaster (1778-1838); ad essi si richiamano le esperienze realizzate nella prima metà del sec. XIX. Perciò il m.i. viene denominato spesso metodo inglese o sistema monitoriale e sono chiamate​​ Monitorial schools​​ le scuole organizzate secondo tale metodo.

2.​​ Tratti caratteristici e diffusione.​​ Nel 1797 Lancaster, maestro quacchero, apre in un sobborgo operaio di Londra una scuola elementare. Per renderne più economica la spesa e più rapida l’istruzione a un maggior numero di ragazzi (in un contesto di progressiva industrializzazione) si avvale dell’opera degli scolari più svegli quali monitori o ripetitori degli altri, giungendo a escogitare una strategia didattica che consente a «un solo maestro di tenere una scuola di mille allievi». Nel saggio​​ Improvements in education as it respects the industrious classes of the community​​ (1803), Lancaster dice di aver perfezionato il suo metodo dopo la lettura del libro​​ An experiment in education made at the male asylum in Madras​​ (1797) di Bell, pastore anglicano, organizzatore di un asilo a Madras, ispirato alla pratica dei maestri indù. Nel 1811 sorge a Londra la British and Foreign School Society, per la diffusione delle scuole monitoriali; ma il laicismo antidogmatico di Lancaster trova l’opposizione della chiesa anglicana, che promuove la fondazione della​​ National Society for Promoting the Education of the Poor​​ e chiama Bell alla direzione del movimento delle scuole mutue per i ragazzi anglicani. Lo scritto lancasteriano è stato tradotto in diverse lingue; ma fuori della Gran Bretagna hanno avuto fortuna i saggi che presentano il «metodo combinato» di Bell e Lancaster, che ne integra gli elementi più caratteristici: struttura semplice delle scuole (una vasta aula rettangolare); divisione dei ragazzi in più classi per ognuna delle materie (lettura, scrittura, aritmetica) presiedute da un monitore; utilizzazione, al posto dei libri, di tavole o cartelloni appesi al muro; le differenti occupazioni scandite da segnali (tocchi di campanello) e comandi («silenzio», «entrate»...). Le scuole organizzate secondo il m.i. si moltiplicano rapidamente in Europa e America. Tra il 1815 e il 1820 ne sorgono in Francia più di 1000. Anche nei diversi Stati italiani il m.i. è accolto con entusiasmo dagli ambienti liberali. Le voci contrarie, però, si fanno sentire presto. La reazione che segue ai moti rivoluzionari degli anni ’20 accusa le scuole mutue di «scuotere l’ordine sociale» in quanto «contrarie ai principi di autorità e subordinazione». Verso la metà dell’800 tali scuole sono scomparse proprio a causa delle divergenze politiche, della sfiducia del pubblico e della progressiva apatia dei sostenitori.

3.​​ Sviluppi attuali.​​ Anche oggi, nelle varie parti del mondo, la tecnica del m.i. viene spesso applicata con modalità e per obiettivi diversi senza che l’insegnante ne sia consapevole e lo chiami m.i. Essa ha avuto diversi sviluppi soprattutto nell’ambito statunitense. Lo testimoniano diversi studi pubblicati al riguardo (cfr. Gartner-Kohler-Reissman 1971, Alien 1976). In realtà la varietà della sua applicazione è dovuta alla sempre più diffusa valorizzazione della funzione di​​ tutor,​​ che può essere svolta da qualsiasi persona – anche con​​ handicap​​ – che sia in grado di provvedere ai bisogni dello studente in termini di rimedio / correzione, integrazione, esercizio, sviluppo, così pure da parte degli elaboratori elettronici. Tutto ciò, dentro o fuori dell’ambito scolastico. Da questo punto di vista va distinto il «peer tutoring» (tra gli stessi compagni) – m.i. propriamente detto, altamente collaborativo e cooperativo, nonché disinteressato – dal «cross-age tutoring» (da parte dei grandi, anche adulti, ai più piccoli di età) che è più diffuso soprattutto fuori della scuola, spesso a pagamento. Anche nell’ambito scolastico i​​ tutors​​ studenti, che si aiutano reciprocamente nell’apprendimento di un contenuto o nell’acquisizione di determinate abilità, possono essere non solo della stessa classe, ma anche di classi diverse, della stessa o diversa età. In tali casi si esige un’organizzazione sia scolastica che didattica molto flessibile, ed assume un’importanza fondamentale la valutazione cosiddetta «formativa». Gli obiettivi / benefici possono essere vari: non solo l’​​ ​​ individualizzazione didattica, ma anche la​​ ​​ socializzazione e la solidarietà tra i compagni, la motivazione allo studio, l’occupazione costante degli allievi, così pure l’applicazione del cosiddetto modello «Learning by teaching» e quello di essere, da parte dei​​ tutors,​​ alla portata dei compagni. L’esito positivo dipende, ovviamente, dalla qualità umana e didattica dei​​ tutors.​​ Non vanno, pertanto, ignorati i possibili inconvenienti tra cui in particolare: il lavoro piuttosto mnemonico, la mancanza di un contatto continuato con gli alunni da parte degli insegnanti, i​​ tutors​​ non muniti di una preparazione professionale, il rischio di una possibile influenza «dispotica» da parte dei​​ tutors.​​ In ogni caso, anziché un uso abituale e sistematico del m.i, sarebbe meglio un suo uso parziale e cauto, curando soprattutto la qualità delle relazioni interpersonali e valorizzando, nel contempo, sia la teoria delle cosiddette​​ intelligenze multiple, sia il ricco significato di m. (reciproco) i. / apprendimento nella nostra società che si caratterizza sempre più come multiculturale.

Bibliografia

Insegnamento mutuo o storia dell’introduzione e della propagazione di questo metodo per le cure del dott. Bell e di G. Lancaster...,​​ Ancona, Arcangelo e Figlio Sartori, 1820; Gambaro A., «La pedagogia nell’età del Risorgimento», in​​ Nuove questioni di storia della pedagogia,​​ vol.​​ II,​​ Brescia, La Scuola, 1977, 535-796; Gartner A. - M. C. Kohler - F. Reissman,​​ Children teach children: learning by teaching,​​ New York, Harper & Row, 1971; Allen​​ V.​​ L. (Ed.),​​ Children as teachers: theory and research on tutoring,​​ New York, Academic Press, 1976; Falchikov N. et al.,​​ Learning together: peer tutoring in higher education, London / New York, Routledge & Falmer, 2001.

J. M. Prellezo - H.-C. A. Chang​​