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METODI EDUCATIVI

 

METODI EDUCATIVI

I.​​ m.e.​​ sono i modi d’essere e di agire che gli operatori dell’educazione ritengono più rispondenti, validi ed efficaci per conseguire gli obiettivi e realizzare i fini educativi, disponendo i mezzi in relazione alla promozione degli scopi che si intendono raggiungere. Un progetto educativo, pensato e costruito con motivazione razionale e anche esperienziale e geniale, contiene sempre un certo numero di modi che danno forma caratteristica alla sua organizzazione e attuazione.

1.​​ Metodo: concetto e funzione.​​ La​​ ​​ storia della pedagogia, quando non è solo storia delle idee pedagogiche o addirittura pre-pedagogiche, è principalmente storia dei progetti e dei m.e. E tuttavia il problema del m. è specificamente connesso all’età moderna, al sorgere e all’imporsi delle scienze della natura legate al controllo empirico e alla logica matematica. Ma proprio la stretta connessione tra le idee e i m. fa pensare che, a loro volta, i m. abbiano la capacità di condizionare il senso e di dimostrare la verità delle idee asserite e dei fini proposti. Il momento del m. è il momento della razionalità operazionale dell’azione e dell’intero progetto educativo. Non si tratta semplicemente di una razionalità astratta, teorica, ma di una razionalità reale, relazionale, tecnologica, strumentale. Solo così il m. può mettere nelle migliori condizioni e nei migliori rapporti tutti i complessi fattori agenti e interferenti: soggetti operatori, contenuti, fini, obiettivi e scopi, mezzi e procedimenti, processi e verifiche. Il m.e. non è solo o semplicemente tecnica esecutiva d’educazione; include ogni volta scelte e riferimenti interpretativi, assiologici, scientifici, culturali. Investe finalità e obiettivi, strutture e dinamiche, leggi di vita, di sviluppo, di divenire. Impegna idee, sentimenti, apprezzamenti, atteggiamenti e condotte. È presenza di amore e dedizione, capacità di virtù e di precedenza esemplare, pieno coinvolgimento interpersonale. Implica scelta di contenuti reali e ideali, mezzi adeguati, comunicazioni e relazioni, scambi aperti e disponibili. Elabora codici normativi ben fondati, condivisi, tendenti all’oggettività superiore.

2.​​ M.e. come tipi pedagogici reali.​​ In un lavoro sistematico E. Weber (1972) indaga e classifica le modalità metodologiche che l’educazione assume in relazione a diversi fattori antropologici, ideologici, sociali, politici, psicologici. Ma i m.e. non sono sempre frutto di rigore scientifico; sono spesso opera geniale di educatori creativi e di istituzioni accreditate, gli uni e le altre non sprovveduti di buoni fondamenti culturali, morali, esperienziali. La riflessione pedagogica li ha fatti oggetto di studio. Sistemi e m.e. tipici si riferiscono in genere all’educazione nella sua totalità, come modi di organizzarla e realizzarla accentuando l’uso di qualche procedimento, atteggiamento, contenuto, finalità, processo e forma di rapporto, luogo d’intervento, organizzazione dei ruoli, mezzi, fattori educativi, elaborazione del quadro di obiettivi finali e prossimi. Spesso hanno quadri di​​ ​​ valori da proporre come fini, risorse e problemi. Don​​ ​​ Bosco è pienamente concepibile solo in orizzonti cristiani.​​ ​​ Makarenko s’innesta nell’ordine comunista, pur rivedendolo con qualche critica originale. Dewey è statunitense e del suo tempo. Un elenco è difficile e non ancora elaborato. Alcuni m.e. storici sono più conosciuti e ancora ispiratori. È possibile riprendere e integrare il quadro di «modi di educazione» e più precisamente di «tipi pedagogici reali» proposto e analizzato per i tempi recenti da H. Henz (1975). a) Il​​ m. preventivo​​ fa suo il motto: «prevenire e non reprimere». In don Bosco spiccano la chiara visione cristiana di riferimento, la piena dedizione e la costante convivenza in clima di​​ ​​ amore e familiarità, lo spazio alla libertà e integrità giovanile, la valorizzazione contemporanea di studio, gioco, lavoro, pietà, la preparazione sociale, secondo il trinomio di «ragione, religione, amorevolezza». b) I​​ m.e. terapeutici​​ si applicano ai ragazzi difficili dentro gli ambiti normali dell’educazione, mirano con mezzi psicopedagogici alla trasformazione mentale, al cambio personale, con procedimenti per lo più non-direttivi ed assegnano ampio ruolo ai processi di chiarificazione delle percezioni e dei motivi. c) Il​​ m. integrativo​​ di autogoverno, libertario, antiautoritario si oppone al dominativo e autoritario, come vi si oppongono tutti i m. integrativi​​ democratici​​ che prendono forme di città, villaggi, comunità, repubbliche dei ragazzi. Vi dominano la parità, l’autogestione, la partecipazione e la corresponsabilità, il ruolo attivo del giovane. d) Il​​ m. della pedagogia dei valori​​ insiste sulla proposta o sull’esperienza dei valori, con progressione di assimilazione educativa. e) Il​​ m. ascetico​​ guida la lotta vincente dell’autodisciplina verso la libertà interiore dello spirito e verso Dio. f) Il​​ m. pedagogico esistenziale​​ privilegia i mezzi di richiamo, risveglio, suscitamento, esortazione, incontro, impegno, elaborazione di avvenimenti critici e apprezza l’auto-orientamento. Al quadro di Henz si possono fare alcune aggiunte. Il​​ m. psicoanalitico​​ guida l’espressione, rielaborazione e sublimazione del desiderio. Il​​ m. funzionalistico​​ lavora su bisogni e interessi. I​​ m. di​​ ​​ animazione,​​ personale, di gruppo e movimento, sul campo, nel territorio, in ambiente, privilegiano l’impianto sociopedagogico. Alcuni​​ m. organici​​ mettono al centro l’esperienza giovanile organizzata e guidata: lo​​ ​​ Scautismo, che privilegia la esperienza di vita, l’impegno, la responsabilità attiva, la forte programmazione, la natura, il gioco educativo e, oggi, la continuità con la realtà. Sono almeno da segnalare altri m.e., quale quello dell’Azione Cattolica, quelli che coinvolgono i giovani in esperienze adulte significative di movimenti e di​​ ​​ volontariato, i m. di comunità di recupero e rieducativa, i m. per l’accostamento e accompagnamento sulla strada.

3.​​ Principi di m.e.​​ Un quadro di principi di m. dovrebbe trovare posto in ogni progetto e istituzione educativa, oltre che nella formazione di chi opera nell’educazione e nella rieducazione. Concetto e quadri di proposte sono ormai diffusi nella migliore letteratura pedagogica. Uno studio in proposito dovrebbe analizzare per ogni principio il quadro di riferimento ideale e esperienziale, la definizione operazionale, una ricostruzione storica, l’uso corretto, una valutazione critica. Qui si propongono i seguenti: a)​​ Personalizzare.​​ Traduce in metodologia il miglior​​ ​​ personalismo. Fa dell’io personale il soggetto primario della propria vicenda educativa, pur in costante dialogo con gli operatori. L’​​ ​​ educando è visto come protagonista che, nell’educazione, investe in modo attivo la propria vitalità, energia, consapevolezza, comprensione, adesione, consenso, creatività personale. Con l’​​ ​​ educatore è impegnato nei processi bipolari di insegnamento e apprendimento, motivazione e adesione, proposta e consenso. Viene superata la retorica del personalismo teorico che dichiara natura, valore e dignità, senza dare spazi di libertà effettiva, sempre limitata ma sempre bisognosa di rischiare e sperimentare per fare veri cammini educativi di personalizzazione. La individualizzazione aderisce alle condizioni e situazioni particolari che ogni soggetto presenta. b)​​ Socializzare.​​ Parte assumendo e trattando il soggetto nella pienezza dei suoi contesti relazionali di vita, cultura, sviluppo. Privilegia per l’educazione condizioni di incontro,​​ ​​ gruppo, comunità, movimento. Vi funzionano sia le dinamiche relazionali che i m. e le tecniche del lavoro comune per l’efficace produzione dei fini, lontano da estremi devianti di individualismo e massificazione. L’educatore non ne è sopra, fuori o accanto, ma dentro, pari per la massima accettazione e prossimità, asimmetrico per contare quanto è giusto per il progresso educativo. Ogni cammino inizia comunicando e assumendo gli obiettivi, prosegue condividendo la scelta, volontà, attuazione dei mezzi, termina con la collegialità delle valutazioni. c)​​ Valorizzare.​​ Educare non è trasmettere valori, ma guidare a costruirseli scoprendoli nella vita posseduta e promessa in ogni realtà, comportamento, condotta: valori oggettivi e valor soggettivi, qui, nel poco, nel già e nel non ancora. La via della vita e dell’educazione è l’amore. Ma l’amore è risposta mostrata e dimostrata dalla ricchezza di valore oggettivo, soggettivo, personale, letto nelle cose, nelle persone, nelle azioni. Pertanto si chiede all’educatore di operare sia su ogni proposta educativa per evidenziarne il valore-motivo, sia sul giovane perché lo percepisca nel giudizio pratico, vi aderisca e lo assuma come prospettiva motivante. d)​​ Fare esperienza.​​ Considera la centralità dell’esperienza in ogni comprensione concreta e valida di vita personale. La libertà si educa solo esercitandola. Ne segue un’educazione nella vita, più che alla vita e per la vita, aiutando e sostenendo, accompagnando e riproponendo e andando avanti, come la scienza, anche «per prove ed errori». e)​​ Prevenire.​​ È sempre più facile che la correzione e la​​ ​​ rieducazione. Il​​ ​​ sistema preventivo ne fa il principio di m. chiave: si anticipa, preparando condizioni vincenti al sopraggiungere di confronti, tentazioni, difficoltà gravi; al contempo si promuovono potenzialità soggettive e contestuali. Gli educatori prevengono i giovani con preparazione idonea, cura tempestiva, offerta di rapporti carichi di amore, stima, fiducia, esemplarità, comunicando e venendo incontro a domande di valore. Ma si lasciano anche prevenire dai giovani che li precedono con la loro vitalità, con le loro domande e suggerimenti. L’eventuale rieducazione consiste non nel riportare entro ordini sociali, magari origine delle devianze o nella mera correzione dei comportamenti, ma nella guida a ritrovare la verità di profondità vitali autentiche e di condizioni idonee per riviverle. f)​​ Realismo,​​ pluralismo,​​ flessibilità,​​ progressività.​​ Il​​ realismo educativo​​ evita di idealizzare, generalizzare, semplificare. Riporta ogni atto educativo a stretto contatto con la realtà ambientale, collettiva, personale. Il campo è letto nelle sue molteplici e​​ pluralistiche​​ possibilità reali.​​ La flessibilità e perciò la provvisorietà ipotetica​​ di ogni premessa, opzione progettuale, metodica, istituzionale è contro ogni rigidità, uniformità, fissità. Si è attenti all’esperienza, all’infinità delle variabili, ma si ricerca anche la verificabilità di ogni asserto e la adattabilità di ogni scelta. g)​​ Tensione critica e conflitto ottimale.​​ Lo stato abituale di «crisi ottimale» di tensione e conflitto interni, è generatore di sviluppo, di crescita, di ulteriore maturazione qualitativa e quantitativa. Il troppo debole non serve; il troppo forte fa violenza e suscita resistenze e fughe. È ottimale quando è offerto e sentito come esperienza valida e significativa e alla portata di ciascuno. h)​​ Equilibrare e comporre.​​ I m. non sono tecniche dall’effetto sicuro. L’applicazione sprovveduta provoca problemi. Sono più modi di essere che di pensare e fare, legati a tipi di cultura e personalità. Ognuno di essi può rinnovare l’intero sistema, ma può anche non essere più adeguato al mutare della vita delle persone e dei contesti esistenziali.

Bibliografia

Weber E.,​​ Erziehungsstile,​​ Donauwort, Auer,​​ 31972; Henz H.,​​ Lehrbuch der systematischen Pädagogik,​​ Freiburg, Herder,​​ 19754;​​ Diel P.,​​ Les principes de l’éducation et de la rééducation,​​ fondée sur l’étude des motivations intimes,​​ Paris, Payot,​​ 1976; Gianola P., «M.», in J. E. Vecchi - J. M. Prellezo (Edd.),​​ Progetto educativo pastorale. Elementi modulari,​​ Roma, LAS, 1984, 175-187;​​ Lenzen D. (Ed.),​​ Enzyklopädie der Erziehungswissenschaft, vol. IV:​​ Methoden und Medien der Erziehung und des Unterrichts, Stuttgart, Klett-Cotta, 1985;​​ Gianola P.,​​ Il campo e la domanda,​​ il progetto e l’azione. Per una pedagogia metodologica, Edizione a cura di C. Nanni, Roma, LAS, 2003; García Hoz V.,​​ L’educazione personalizzata, Brescia, La Scuola, 2005; Baldacci M.,​​ Personalizzazione o individualizzazione?, Trento, Erickson, 2006.

P. Gianola




METODO

 

METODO

Percorso o itinerario da seguire per ottenere risultati validi e affidabili in un qualsiasi settore dello studio o dell’azione. Deriva etimologicamente dalle parole gr.​​ odòs​​ (strada) e​​ metà​​ (oltre) e significa «la strada che si percorre». Quando è riferita all’attività di indagine indica «la strada che si percorre nell’indagare» o «la via della ragione seguita».

1.​​ L’uso in ambito educativo.​​ La parola m. è stata usata fin dall’antichità in campo educativo in quanto accostabile a quella di «pedagogo», colui che conduce un fanciullo. La pedagogia diveniva così in senso metaforico «la strada che si percorre nel condurre un fanciullo». Di qui l’uso diffuso delle espressioni​​ ​​ m. educativi,​​ ​​ m. didattici, m. di insegnamento. Per analogia è stato poi utilizzato lo stesso termine anche nel caso di un soggetto che conduce se stesso: m. di apprendimento, m. di​​ ​​ studio, ecc.

2.​​ M. e metodologia.​​ L’espressione metodologia associa all’idea di percorso quella di discorso, dal gr.​​ logos​​ e​​ logìa.​​ La metodologia può quindi essere definita, come giustamente è stato fatto da R. Descartes,​​ Discorso sul m.​​ In quest’ultimo caso l’espressione però era direttamente riferita al m. razionale da seguire nell’indagine filosofica. In generale il termine m. nella sua accezione di​​ via della ragione​​ può essere definito​​ forma di razionalità umana.​​ L’attuale discussione o discorso sul m. verte proprio sulle varie​​ vie della ragione​​ o forme di razionalità che sono disponibili all’uomo nel pensare, nel comunicare, nell’agire; anche perché dal XVII sec. fino alla metà del XX sempre più è stata assolutizzata una sola via della ragione, quella analitico-scientifica. Ma oggi si riconosce che la ricerca può seguire una molteplicità di m. di indagine, che la qualità delle sue conclusioni non può essere solo riferita al rigore seguito nel rispetto di una sola maniera di procedere. Così a m. di indagine analitico-scientifici si accostano m. dialettici e interpretativisti, m. quantitativi e m. qualitativi, giungendo spesso a vere e proprie forme di triangolazione tra m. di natura differente.

3.​​ M.,​​ metodologia e scienze dell’educazione.​​ In questo ambito si nota una certa dissonanza tra chi accetta il termine metodologia nel senso di discorso sui m. educativi (metodologia educativa) oppure didattici (metodologia didattica) e chi vuole riservare l’espressione «metodologia» al solo discorso relativo ai m. di indagine in ambito educativo o sui m. di riflessione critica sull’educazione (​​ metodologia pedagogica). Di qui l’espressione spesso usata di «didattica e metodologia», in cui si accosta il discorso sul m. di insegnamento a quello sul m. di ricerca in questo settore. Si può aggiungere che in ambito tedesco e italiano è stata utilizzata nel passato prevalentemente la parola «metodica» per l’esame dei m. dal punto di vista pratico e il termine «metodologia» per la discussione dei m. dal punto di vista teorico. Anche nelle​​ ​​ scienze dell’educazione ci si avvia a un più marcato pluralismo di m. di indagine, accostando ai tradizionali m. teorici e storici, m. empirici di tipo quantitativo e qualitativo e m. cosiddetti interpretativisti.

Bibliografia

Antiseri D. - B. M. Bellerate - F. Selvaggi,​​ Epistemologia e ricerca pedagogica,​​ Roma, LAS, 1976; Morin E.,​​ Il​​ m. Ordine,​​ disordine organizzazione,​​ Milano, Feltrinelli, 1977; Pellerey M.,​​ Grida di guerra e ipotesi di conciliazione in pedagogia,​​ in «Orientamenti Pedagogici» 37 (1990) 217-227;​​ Coulon A.,​​ Ethnométhodologie et éducation,​​ Paris, PUF,​​ 1993;​​ Desantes-Guanter J. M. - J. López Yepes,​​ Teoría y técnica de la investigación científica,​​ Madrid, Síntesis,​​ 1996;​​ Jaeger R. M. - T. Barone (Edd.),​​ Complementary methods for research in education,​​ Washington, American Educational Research Association,​​ 21997; Antiseri D.,​​ Teoria unificata del m., Torino, UTET, 2001;​​ Green J. I. - G. Camilli - P. B. Elmore,​​ Handbook of complementary methods in education research, Mahwah, LEA,​​ 32006; Morin E.,​​ Il m., vol. 3.,​​ La conoscenza della conoscenza, Milano, Cortina, 2007.​​ 

M. Pellerey




metodo di STUDIO

 

STUDIO: metodo di

Si usa spesso il termine metodo di s. in riferimento ad un’attività sistematica, controllata ed efficace di​​ ​​ apprendimento. Coerentemente alla concezione diffusa nella cultura occidentale che il testo scritto costituisce lo strumento più idoneo alla descrizione e definizione di conoscenze molto complesse, sarebbe più corretto parlare di metodo di s. in riferimento all’apprendimento che avviene essenzialmente attraverso un testo scritto. In relazione a questa attività, è importante definire il concetto di apprendimento incluso nel termine comune e ambiguo, di «studiare». A questo proposito vi è un concetto riduttivo che significa semplicemente estrarre o memorizzare in forma significativa una conoscenza codificata nel testo scritto (in modo da averne un facile recupero) e un concetto più esteso che include anche la capacità di utilizzare e valutare in maniera critica tale conoscenza. A seconda dell’estensione con cui viene qualificato il concetto, l’apprendimento da testo scritto richiede l’applicazione di​​ ​​ strategie cognitive o tattiche mentali diverse.

1.​​ Le condizioni di un apprendimento da testo scritto.​​ Per evitare di ridurre il concetto di metodo di s. a poco più che a una semplice tecnica è importante non dimenticare le precondizioni che rendono possibile questo processo. L’apprendimento da testo scritto è condizionato dal livello delle conoscenze previe sull’argomento di s., dalla conoscenza e abilità di applicazione di strategie di lettura e comprensione, dalla motivazione verso l’apprendimento e dalla capacità di selezionare e di controllare le opportune strategie cognitive efficaci per un apprendimento da testo scritto. Date le diverse cause possibili di un risultato insufficiente nello s., studenti definiti svogliati possono richiedere diversificate terapie di ricupero. Una strategia possibile e comune è quella che ricorre all’insegnamento delle strategie di apprendimento da testo scritto. L’efficacia dell’intervento dipende però dall’analisi della situazione contestuale.

2.​​ Le strategie di apprendimento da testo scritto.​​ Si distinguono in: a)​​ strategie di memorizzazione:​​ servono per un’elaborazione superficiale del testo e per una reiterazione meccanica. Aiutano nell’attività di trasformazione dell’informazione del testo in contenuto semantico. Appartengono a questa categoria: il sottolineare, la rilettura e il prendere nota letterale; b)​​ strategie di elaborazione:​​ aiutano ad integrare la nuova informazione con quella che è stata precedentemente appresa (conoscenza previa). Migliorano particolarmente la comprensione e il ricordo, aiutando a costruire delle connessioni significative tra i concetti relazionati. Fanno parte di questa categoria le strategie del: riassumere, rispondere a domande, fare annotazioni, fare applicazioni, trovare esemplificazioni, connettere le nuove conoscenze ad altre già possedute; c)​​ strategie di organizzazione o di rappresentazione spaziale:​​ sono usate per ristrutturare l’informazione o per rappresentare diagrammaticamente l’informazione; d)​​ strategie di monitoraggio:​​ sono usate per controllare l’applicazione delle strategie, per verificare se i risultati che si stanno ottenendo sono nella direzione che si vuole perseguire oppure se qualcosa del piano previsto deve essere modificato. Le strategie descritte, strettamente legate a processi cognitivi, si distinguono dalle cosiddette strategie affettive che aiutano a prestare attenzione, a mantenere la concentrazione, a superare l’ansietà, a suscitare e a mantenere la motivazione. Data la complessità e varietà delle situazioni da affrontare è indispensabile che lo studente possieda un ricchissimo e specifico repertorio di strategie, conosca l’efficacia di ciascuna nei diversi contesti, sappia sequenzializzare le diverse strategie in modo da poter raggiungere gli scopi prefissati.

Bibliografia

Robinson F. P.,​​ Effective study,​​ New York, Harper & Row, 1970; Segal J. W. - S. F. Chipman - R. Glaser (Edd.),​​ Thinking and learning skills: relating instruction to research,​​ Hillsdale, Erlbaum, 1985; Simpson M. L.,​​ PORPE: a writing strategy for studying and learning in the content areas,​​ in «Journal of Reading» 29 (1986) 407-414; Carr E. - D. M. Ogle,​​ K-W-L plus: a strategy for comprehension and summarization,​​ in «Journal of Reading» 30 (1987) 626-631; Nist S. L. - M. L. Simpson,​​ PLAE,​​ a validated study strategy,​​ in «Journal of Reading» 33 (1989) 182-186; Call P. E.,​​ SQ3R + What​​ I​​ know sheet = one strong strategy,​​ in «Journal of Reading» 35 (1991) 50-53;​​ Vidal-Abarca E. G. - R. P. Gilabert,​​ Comprender para aprender: un programa para mejorar la comprensión y el aprendizaje de textos informativos,​​ Madrid, Ciencias de la Educación Preescolar y Especial, 1990.

M. Comoglio




METODO scuole di

 

METODO: scuole di

Nome con cui sono denominate le prime istituzioni italiane per la formazione dei maestri elementari nell’Ottocento.

1. La prima «scuola normale di m.» viene aperta, presso l’università di Torino, nell’agosto del 1844. Ne è professore​​ ​​ Aporti. Si hanno notizie di altre esperienze precedenti: a Milano, F. Soave (1743-1806), seguendo le indicazioni del governo austriaco, apre nel 1787 il primo Istituto di metodica, con un corso per la preparazione all’insegnamento. A Napoli è creata nel 1789 una scuola per la formazione dei maestri elementari, che ha vita breve. Anche in Piemonte si era già sentita l’esigenza di formare i maestri. Nel 1838 V. Troya ottiene dal Magistrato della Riforma di applicare i m. di​​ ​​ Pestalozzi e di​​ ​​ Girard.

2. I risultati positivi e le richieste pervenute, in un contesto di interesse per l’istruzione popolare, portano al corso del 1844. Esso, benché di breve durata (un mese), riscuote un grande successo. Con​​ Regie Lettere Patenti​​ (1845), le scuole di m. hanno una prima regolamentazione. Viene precisato il loro obiettivo: «diffondere universalmente le cognizioni e la pratica delle migliori dottrine d’educazione». Accanto alla «scuola superiore di m. eretta nell’università di Torino» (1845), e «destinata a formare professori di m.», sono istituite le scuole provinciali, «destinate a formare maestri delle scuole elementari» (art. 1). Tra il 1846 e il 1848 una ventina di città hanno una propria scuola di m. La durata delle lezioni, nel corso di «m. superiore», è di un anno scolastico; viene ammesso chi attesta di aver compiuto un corso in una facoltà. Nelle scuole provinciali, invece, la durata è di tre mesi; le frequentano i maestri in esercizio e gli «aspiranti maestri», superato l’esame di ammissione. Essi, dopo aver ottenuto la patente di maestro, non possono esercitare la professione senza aver fatto «un anno di tirocinio» compiuto «presso un Maestro normale» (art. 31). La L. Boncompagni del 1848 distingue due tipi di scuole provinciali: a) scuole di m., per la preparazione all’insegnamento nelle scuole elementari superiori; b) scuole inferiori di m., per l’insegnamento nelle scuole elementari inferiori.

3. Con il Regolamento del 1853, le scuole di m. (aperte ormai alle allieve maestre) diventano scuole magistrali. Con la L. Casati del 1859, le «scuole magistrali maschili e femminili» sono destinate a «formare maestri elementari di grado inferiore» (art. 370). Della formazione dei maestri di grado superiore si occupano invece le​​ ​​ scuole normali. I corsi cominciati a Torino, pur con il loro modesto programma, hanno avuto il merito di aver contribuito a centrare l’attenzione degli studiosi sul problema del m., portandolo «dallo stato della empirica frammentarietà verso quello della sistemazione e deduzione scientifica» (Vidari, 1922, XXI).

Bibliografia

Rayneri G.,​​ Della instituzione di scuole di m. provinciali superiori,​​ in «Giornale della Società d’Istruzione e d’Educazione» 3 (1852) 494-499; Vidari G., «Le prime scuole di m. e i primi principi di metodica», in A. G. Rayneri,​​ Primi principi di metodica,​​ Torino, Paravia, 1922, III-XXVII; Gambaro A., «La pedagogia italiana nell’età del Risorgimento», in​​ Nuove questioni di storia della pedagogia,​​ vol. II, Brescia, La Scuola, 1977, 535-796; Bellatalla L.,​​ Storia della pedagogia: questioni di m.​​ e momenti paradigmatici, Firenze, Le Monnier, 2006.

J. M. Prellezo




METODOLOGIA PEDAGOGICA

 

METODOLOGIA PEDAGOGICA

La m. fa riferimento all’intenzione di usare regole precise per condurre bene la ricerca conoscitiva o operativa in un determinato settore (ad es. la pedagogia per l’educazione). Il​​ ​​ metodo è diventato preoccupazione costante da quando l’uomo ha costatato che si potevano garantire esiti migliori seguendo norme, vie e procedimenti rispondenti a un piano prestabilito in luogo di operare a caso e a rischio o anche con intuito geniale o con saggezza. Sono in tal modo sorti il metodo del pensare bene (la​​ ​​ logica) e il metodo del fare bene (la​​ ​​ tecnologia). Poi si è affacciato un impegno più completo: pensare e fare bene cose valide, intrecciando criteri di forma e sostanza, impegnando armoniosamente una larga gamma interdisciplinare di natura formale, contenutistica ed assiologica.

1.​​ Natura e compiti.​​ La m. è di per sé riflessione sul metodo. Non insegna metodi, ma insegna a ricercare e discutere in maniera corretta, critica o euristica attorno ad essi in ogni campo di applicazione, per poi tradurli in modelli operativi che pervengono a prodotti finali costruendo, analizzando, migliorando. La m.p. è il luogo dove la​​ ​​ pedagogia si fa scienza autonoma dell’educazione, con statuto che la definisce e la distingue, individuandone le caratterizzazioni. È la ricerca scientifica che discute e definisce i metodi (o più largamente i procedimenti razionali) delle operazioni dirette a intervenire, progettare, agire e verificare nei fatti e negli atti dell’educazione. Ha come oggetto remoto e prossimo l’educazione, intesa non come insegnamento-apprendimento (​​ didattica) o come cura medica di disfunzioni psichiche (terapia), ma come formazione della personalità e soluzione dei problemi umani, mediante la promozione o il ricupero delle qualità della vita dell’uomo in quanto uomo, dalla nascita alla morte e oltre, nelle dimensioni individuali, sociali, storiche, eterne. Abitualmente la​​ ​​ ricerca pedagogica cade subito sull’​​ ​​ azione educativa. Sarebbe meglio allora chiamarla​​ m. educativa,​​ ed è quel che di solito si trova sul mercato come prodotto commerciale di insegnamento, letteratura, prassi. Ma si può prospettare un impegno di più vaste proporzioni: quello​​ della ricerca metodologica del fatto educativo nell’arco del suo accadere totale,​​ dal suo nascere, definirsi, progettare, agire, verificare e migliorare. Questo è il vero momento della m.p. Essa acquista il suo senso all’interno di una concezione della pedagogia, in cui, oltre allo spazio della​​ pedagogia filosofica​​ (intesa come ricerca teorica concettuale e razionale su che cosa è l’educazione) ed oltre alla​​ pedagogia scientifica positiva​​ (volta a chiarire quali sono la condizione strutturale e dinamica e la situazione effettiva del campo educativo e dei fattori bio-psicologici, sociologici, culturali, politici, ideologici che entrano nel fatto educativo) viene ad evidenziarsi la​​ pedagogia metodologica,​​ tesa a precisare che cosa fare e come fare per assumere, riorganizzare, rilanciare in modo adeguato e valido l’intero fatto educativo, compiendo con metodo le​​ operazioni​​ necessarie per preparare i fattori agenti e la loro collocazione nel campo, organizzare modelli di progetti e metodi, condurre l’atto educativo con validità di risultati e efficacia di mezzi. Quest’ultima è propriamente la​​ m.p.

2. I passi della m.p.​​ A sua volta, al suo interno, si possono distinguere in successione diversi momenti ed aspetti: a)​​ m. dell’​​ ​​ intervento.​​ Ricerca le condizioni di partenza e le possibilità d’azione. Vede​​ il​​ campo e i campi del fatto educativo​​ costituiti dalle​​ necessità​​ umane di bisogno e possibilità di divenire, coglie le​​ risorse​​ e le​​ condizioni​​ che natura e arte impongono e favoriscono. Coinvolge​​ responsabili,​​ protagonisti​​ e​​ operatori​​ che devono «intervenirvi» con modi competenti e giusti, in vista di progetti validi e efficaci. L’intervento si concretizza in operazioni eseguite per​​ scegliere i campi​​ d’azione, per​​ condurre con sufficienza conoscitiva e normativa le analisi​​ di raccolta dei dati personali, sociali e culturali, politici, educativi, per​​ orientare alle soluzioni;​​ b)​​ m. del​​ ​​ progetto.​​ Indaga le operazioni di rappresentazione anticipata, coglie la normativa valida ed efficace dei fattori educativi, in se stessi e nel loro gioco interfattoriale nell’azione e nelle istituzioni educative. Gli stessi​​ operatori​​ progettano se stessi. Prendono atto dei loro compiti, ruoli, funzioni, modalità di intervento. Decidono la loro definizione: società e città educante, sistema di educatori e coeducatori, comunità educativa e scolastica, gruppi, associazioni, movimenti, ecc. Scelgono e compongono gli stili educativi, organizzano la formazione remota e prossima, prospettano e programmano gli elementi della loro azione:​​ ​​ obiettivi e finalità a lungo, medio e breve termine, contenuti, processi, relazioni, mezzi, principi di m., forme di controllo e di verifica.​​ Conclude il progetto delle​​ ​​ istituzioni:​​ con estensione di macro, medio, microsistema, istituzioni naturali e quasi naturali, sociali pubbliche, libere e volontarie, di integrazione, di supplenza, di libera gestione; c)​​ m. della azione educativa.​​ È il momento della m. educativa intesa in senso specifico, vale a dire volta a chiarire come condurre l’azione con validità ed efficacia attraverso passaggi metodici di esecuzione: aggancio, crisi, proposta, dialogo, sintesi; come condurre la partecipazione attiva autoeducante e coeducante dei soggetti: interiorizzare, integrare, organizzare e riorganizzare la personalità mentale, affettiva, morale, sociale, la condotta e la vita; d)​​ m. di verifica.​​ Momento della valutazione dei risultati, ed in esso dell’intero sistema che li ha ben prodotti o non prodotti, chiedendosi: chi valuta? Chi è valutato? Come? Con quali conseguenze di proseguimento, correzione, cambio, miglioramento?

3.​​ Ambiti e livelli.​​ Sembra opportuno oggi prevederne almeno tre: a) la​​ m.p. generale:​​ ha la presunzione e il compito di condurre la ricerca e di offrire elementi di metodo per interventi, progetti, azioni e verifiche che siano validi al livello di universale e di totale applicabilità in ogni campo geografico, problematico, assiologico, situazionale; b) la​​ m.p. particolare:​​ ricerca e risolve nella particolarità di aree geografiche, personali, problematiche, istituzionali; c) la​​ m.p. speciale:​​ assume per sé alcuni campi dotati di peculiare difficoltà di analisi e soprattutto di risposta e proposta educatrice o più spesso rieducatrice: minorazioni gravi organiche e funzionali, devianze accentuate, gravi deprivazioni e difficoltà culturali, morali, differenze personali e socio-culturali, ecc.

4.​​ Livelli di determinazione modale.​​ Si possono inoltre distinguere quattro grandi livelli di determinazione modale: a) Al primo livello la m.p. considera le​​ strutture formali.​​ A livello di​​ massima formalità​​ ricerca la struttura di ogni fatto pedagogico educativo come un caso di prassi di azione sociale: situazione (realtà, valori-problemi, fini-obiettivi, risorse, condizioni), operatori (persone, responsabili e loro ruoli, informazioni, intenzioni, competenze), azione (intervento, progetto, istituzione, metodi, atti). A un livello ancora formale la m.p. illustra il​​ quadro operativo-sequenziale​​ del percorso pedagogico-educativo: intervenire (il campo e la domanda, responsabili e protagonisti, scelta del campo e della domanda, raccolta analitica dei dati, risorse, condizioni per il progetto, le variabili di natura personale, pedagogica, meta-pedagogica, assiologica e scientifica), progettare (soggetti, obiettivi, contenuti, processi, relazioni, mezzi, principi di metodo, procedimenti, istituzioni, disponibilità per l’azione), realizzare (eseguire l’azione e guidare la risposta educante, le strategie e tattiche radicali e d’emergenza), verificare (valutare, retro-agire, innovare). Dentro questo modello sono presentate e discusse le determinazioni sostanziali che la teoria e la situazione offrono, non per un giudizio e per una scelta, ma solo per indicare i luoghi e le forme dell’inserimento necessario e corretto da attuare a suo tempo e luogo. b) A un secondo livello la m.p. aggiunge alcune​​ determinazioni sostanziali generali.​​ Riprende il modello precedente operativo-sequenziale, determinandolo alla luce di scelte sostanziali (assiologiche, scientifiche, esperienziali, storiche, personali o convenzionali) mostrandone le applicazioni a un sistema ancora generale di attuazione del fatto educativo. È il momento della costruzione di sistemi e piani pedagogici generali di azione all’interno di scelte decise e motivate altrove: assiomi, teorie, progetti sociali e storici (es.: pedagogia cristiana, laica, islamica, materialista, sincretistica, pluralistica e liberale). c) A un terzo livello la m.p. ricerca e offre modelli di intervento, totali, particolari e speciali, prossimi alla​​ piena concretezza​​ delle condizioni del campo (geografico, personale, problematico, ma anche culturale, assiologico, pluralistico). Insegna a elaborare modelli progettuali corretti in condizioni totalmente determinate: oggi, qui, io, noi... Siamo a livello di​​ azione-intervento.​​ La m.p. dovrà ricercare e dare indicazioni per guidare un lavoro di conduzione razionale generale, ma anche di ri-emergenza o inserimento di tutte le variabili al di là di ogni semplificazione formale, scientifica e tecnica, per passare alla massima determinazione. d) Esiste un ulteriore livello della m.p.: è quello dell’intuizione, dell’invenzione creatrice, dell’esperienza, della saggezza e, perfino, della prova e del rischio.

5.​​ Tre aree concentriche di attuazione.​​ Un’ultima articolazione porta a precisare tre aree concentriche dell’applicazione metodologica. La prima area è della​​ m.p. personale,​​ dove ogni individuo è soggetto di intervento e di azione educativa. La snatura l’​​ ​​ individualismo, specialmente quando non riesce a emergere a livello di​​ ​​ personalismo. Ma la banalizza anche la massificazione dei luoghi e dei metodi. Si focalizza sull’educazione della persona. C’è poi l’area della​​ m.p. sociale​​ (​​ pedagogia sociale) che ha come campo ambienti e territori, gruppi, condizioni collettive di bisogno e domanda, ma soprattutto si qualifica per l’apertura delle soluzioni che puntano all’inserimento ed alla partecipazione. È, infine, urgente, oggi più che ieri, portarsi sull’area della​​ m.p. politica,​​ diretta a un lavoro severo di presenza, intervento, legislazione, progetto, sostegno, azione politica attorno all’educazione, sviluppando interventi di massima comprensione di area e di progetto, necessaria per potenziare e garantire anche le aree precedenti.

Bibliografia

Braido P.,​​ La teoria dell’educazione e i suoi problemi,​​ Zürich, PAS-Verlag, 1968; Massa R.,​​ La scienza pedagogica,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1975; De Giacinto S.,​​ L’educazione come sistema, Brescia, La Scuola, 1977; Gianola P.,​​ Significato di un corso universitario di m.p. generale,​​ in «Orientamenti Pedagogici» 27 (1980) 251-267; Dalle Fratte G. (Ed.),​​ Teoria e modello in pedagogia,​​ Roma, Armando, 1986; Galvan S.,​​ La logica del modello,​​ in «Il Quadrante Scolastico» 10 (1987) 35, 32-52; Gianola P.,​​ Responsabilità della pedagogia,​​ pedagogia responsabile,​​ in «Orientamenti Pedagogici» 37 (1990) 9-22; Pellerey M.,​​ Educare. Manuale di pedagogia come scienza pratico-progettuale, Roma, LAS, 1999; Gianola P.,​​ Il campo e la domanda,​​ il progetto e l’azione. Per una pedagogia metodologica. Edizione a cura di C. Nanni, Ibid., 2003; García Hoz V.,​​ L’educazione personalizzata, Brescia, La Scuola, 2005.

P. Gianola​​ 




MEUMANN Ernst

​​ 

MEUMANN Ernst

n. a Urdingen, Basso Reno, nel 1862 - m. ad Hamburg nel 1915, pedagogista tedesco.

Allievo e assistente di​​ ​​ Wundt, professore di filosofia e pedagogia alle Università di Zurigo (1897), di Königsberg, di Münster, di Halle e di Hamburg (1911), M. applica alla pedagogia i metodi della psicologia sperimentale e fonda con A. Lay nel 1905 la rivista​​ «Die Experimentelle Pädagogik».​​ M., che intendeva fondare la pedagogia sulla psicologia sperimentale facendo dell’esperimento un metodo per lo studio del fatto educativo e definendo criticamente i fini educativi esclusivamente in base ai criteri di tipo esperienziale, svolge un’intensa opera divulgativa con le sue conferenze e con la pubblicazione di diversi scritti, contribuendo così al risveglio nella pedagogia dell’interesse per i fattori psicologici e stimolando – nonostante gli evidenti limiti della sua impostazione – la fondazione scientifica della pedagogia.

Bibliografia

principali opere di M.:​​ Über Ökonomie and Technik des Lernens​​ (1903);​​ Vorlesungen zur Einführung in die experimentelle Pädagogik und ihre psychologische Grundlagen​​ (1911-1914);​​ Abriss der experimentellen Pädagogik​​ (1920).

F. Ortu




MEZZI DIDATTICI

 

MEZZI DIDATTICI

Con la denominazione m.d. potremmo intendere tutti quei materiali o strumenti che possono essere utilizzati negli interventi formativi.​​ Qualsiasi apparecchiatura o materiale cioè,​​ che faciliti,​​ aiuti in qualche modo,​​ i processi di insegnamento-apprendimento.​​ A volte il loro nome varia a seconda dell’ambiente in cui si utilizzano e delle peculiarità che si intendono sottolineare. Si sente parlare, in modo più o meno appropriato di​​ sussidi didattici,​​ di​​ materiale​​ ​​ audiovisivo,​​ di​​ m. per l’istruzione,​​ di​​ risorse per l’aula,​​ di​​ attrezzature didattiche.​​ Tutte le denominazioni comunque sottolineano l’aspetto principale del m.d. che è quello di rendere il processo di insegnamento-apprendimento più facile e più efficiente in relazione agli obiettivi da raggiungere.​​ 

1.​​ Utilizzazione.​​ In campo pedagogico si sente sempre di più la necessità di facilitare i processi formativi attraverso metodologie, m. e strumenti che rendano gli interventi più interessanti, attenti alle nuove sensibilità delle persone ed al nuovo modo di comunicare. Il m.d. certamente non risolve problemi di carenza organizzativa o contenutistica e, se viene considerato in modo isolato, può anche dimostrarsi un elemento poco significativo e diventare controproducente. Può far nascere, in particolare inizialmente, delle forti speranze di miglioramento pedagogico-didattico che difficilmente vengono poi concretizzate creando così successivamente amarezza e frustrazione per la poca o nulla efficacia degli investimenti fatti. Oggi nell’ambiente formativo sono presenti diversi m.d. Inevitabilmente però una loro utilizzazione sistematica nei processi di insegnamento-apprendimento obbliga a ripensare l’intera progettazione con tutto ciò che viene coinvolto nella fase operativa: ambienti, persone, obiettivi da raggiungere e contenuti da comunicare, modalità da utilizzare. I m.d. perciò, per contribuire efficacemente a miglioramenti significativi e duraturi dovrebbero essere considerati nell’insieme di un progetto globale e non come elementi autonomi, quasi staccati dalla realtà formativa. Utilizzati senza continuità o in modo sporadico e casuale, difficilmente contribuiscono positivamente allo sviluppo degli interventi progettati. Molto si è fatto nel perfezionare i m.d. tradizionali come il libro di testo e per progettarne di nuovi. Il perfezionamento dei m.d. tradizionali e la costruzione di nuovi è quanto mai utile, crea però non pochi problemi di tipo gestionale e pedagogico-didattico obbligando a ripensare le modalità con cui si interviene nel mondo formativo a tutti i livelli. È praticamente difficile avere un buon apprendimento in un gruppo strutturato, senza un uso sistematico e non saltuario di strumenti che aiutino ad estendere i messaggi tradizionali, perfezionarli, renderli più intuitivi e facilmente ripetibili, soprattutto per chi ha scarse capacità di astrazione. Inoltre è praticamente difficile gestire tali m. efficacemente se operatori ed allievi non acquisiscono capacità di gestire e leggere i nuovi linguaggi. L’avvento del testo stampato nel passato ha creato una situazione analoga obbligando a rivedere radicalmente le modalità di intervento nei processi formativi di allora. Il m.d. può diventare realmente un elemento di motivazione e di innovazione nel processo formativo e un concreto aiuto nell’agire quotidiano, però è necessario in chi lo usa una conoscenza delle sue peculiarità e una capacità di ottimizzarne le possibilità pedagogico-didattiche inserendolo nello sviluppo dell’intervento nel modo e al momento opportuno.

2. Tipologia.​​ Nel classificare i m.d. potremmo essere più attenti alle caratteristiche pedagogico-didattiche oppure a quelle tecniche, storiche, commerciali, di utilità pratica. In base a ciò che si intende evidenziare si possono avere diversi prospetti. Una classificazione utile in campo formativo è quella che distingue tra​​ m.d. tradizionali​​ e​​ altri m.d.​​ tipo audiovisivi, computer o sistemi integrati come potrebbe essere ad es. una stazione multimediale o un laboratorio linguistico. È una classificazione che ci permette di evidenziare maggiormente alcune caratteristiche fondamentali tipiche dei nuovi strumenti: come il maggior numero di possibilità didattiche, la possibilità di conservazione del​​ ​​ software​​ didattico, la maggiore o minore difficoltà di utilizzazione, i costi iniziali e di esercizio, la trasportabilità, le esigenze di opportune strutture come aule attrezzate per un loro uso ottimale e la necessità di fonti energetiche per il funzionamento. Tra i m.d. tradizionali possiamo collocare la grande famiglia delle​​ lavagne,​​ i cartelloni,​​ le fotografie,​​ i poster,​​ i plastici,​​ i modelli,​​ i block notes giganti​​ e in particolare, in ambienti scolastici,​​ i libri,​​ le dispense,​​ le schede,​​ i fogli di lavoro.​​ Sono questi m. che non necessitano di energia elettrica per funzionare e che possono essere utilizzati in condizioni più disparate senza richiedere ambienti particolarmente attrezzati. In un certo senso li potremmo chiamare​​ m. visivi​​ il cui​​ software​​ non è proiettabile o​​ m. «poveri»​​ come alcuni autori li chiamano, sottolineando così il basso costo di gestione, la possibilità di utilizzo in ambienti assai diversi e poco attrezzati e senza richiedere fonti energetiche particolari. Sono m. ancor oggi molto utilizzati, per la loro semplicità e praticità. Tra gli altri m.d. potremmo invece collocare:​​ m. audiovisivi; laboratori linguistici; m. informatici; sistemi integrati​​ più o meno interattivi (Personal Computer [PC] + videoregistratore + lettore di dischi);​​ stazioni multimediali.​​ Sono m.d. più o meno sofisticati. Alcuni di essi utilizzano esclusivamente o in modo integrato il PC e richiedono in ogni caso un’organizzazione didattica efficiente e costi sia per l’acquisto come per la gestione normalmente maggiori dei m.d. più tradizionali, oltre che un personale preparato per un loro uso anche solo minimale, fonti di energia e sovente aule attrezzate.

3.​​ Uso nell’ambito formativo.​​ Oggi vi si fa largo uso di m., sussidi, strumenti didattici, molti dei quali sono conosciuti. Qui ne vengono presentati tre: uno «tradizionale», la lavagna comune; uno più recente, ma legato alla didattica tradizionale, la lavagna luminosa; ed infine uno completamente innovativo, plurifunzionale, non legato esclusivamente al mondo formativo, il computer. La scelta è stata fatta tenendo presente il forte uso per i primi due e la novità per il terzo.

3.1.​​ Lavagna.​​ Uno dei più comuni strumenti utilizzati in un’aula scolastica è certamente la lavagna: una lastra di ardesia o di materiale sintetico di dimensioni diverse, sulla cui superficie piana si può scrivere, disegnare e cancellare facilmente. a) Anche se non è uno strumento didattico antichissimo (l’apparizione della lavagna di ardesia nelle aule scolastiche risale a circa 150 anni or sono) e non si può prevedere che continuerà ad avere la popolarità avuta sino ad oggi, è difficile pensare di svolgere dei corsi senza che in qualche modo venga chiamata in causa. Si utilizzano normalmente gessetti bianchi o colorati per le lavagne di ardesia o di materiale sintetico sovente di colore verde e, per quelle con superficie laminata bianca, pennarelli colorati di diverso spessore. Particolarmente le lavagne bianche vengono rese magnetiche interponendo una lamina metallica sotto la superficie su cui si scrive. Ci sono anche lavagne fosforescenti retroilluminate che evidenziano le scritte fatte con pennarelli opportuni, lavagne di ceramica o di altro materiale e per usi particolari. b) Estendendo il senso del termine, potremmo anche parlare di lavagne di panno, lavagne adesive su cui si possono riportare scritte o figure. Nelle grandi aule scolastiche si trovano grosse lavagne mobili, a fogli scorrevoli verticalmente in modo da rendere disponibile, per un intervento, vaste superfici. La lavagna è ancora oggi uno strumento molto semplice ed economico per spiegare, presentare concetti, fare dimostrazioni. Non esige una preparazione particolare da parte di chi la utilizza; è solo necessario acquisire un minimo di manualità nello scrivere in modo che si possa leggere bene da ogni punto dell’aula per coinvolgere tutti i presenti con efficacia, e saper scegliere gli strumenti per scrivere e cancellare in modo da facilitare le operazioni essendo necessario farlo e cancellare praticamente con continuità.

3.2.​​ Lavagna luminosa.​​ Apparecchiatura che proietta su uno schermo adeguato, scritte, disegni o immagini riportate su un supporto trasparente prima o durante l’intervento (​​ lezione, conferenza). a) È un m.d. molto diffuso per la sua praticità e possibilità d’uso in ambienti normali. Inoltre permette la proiezione dei trasparenti rimanendo sempre rivolti verso il pubblico, controllando meglio così il processo comunicativo e l’efficacia immediata di quanto si sta presentando. Ci sono in commercio diversi tipi di lavagne luminose. Normalmente si usano lavagne a cassonetto, a volte un po’ ingombranti, ma adatte ad aule più o meno grandi. Ci sono anche lavagne luminose portatili molto leggere e compatte. Le lavagne luminose sono costituite da una sorgente luminosa montata su un sistema a specchi concavi per convogliare meglio il fascio di raggi luminosi verso il piano di lavoro; da una grossa lente (lente di Fresnel) su cui vengono posti i supporti trasparenti; da un sistema ottico di lenti e specchi per concentrare e dirigere il fascio luminoso su uno schermo generalmente alle spalle del relatore e da un sistema di raffreddamento per mantenere la temperatura della lampada nei limiti voluti. Esistono anche lavagne luminose per usi particolari con possibilità di aggiungere accessori per proiettare contemporaneamente diapositive oppure per ottenere una simulazione del movimento. È uno strumento audiovisivo che risale al dopoguerra. b) Rispetto alle lavagne tradizionali ha una migliore resa e possibilità di preparare e conservare il prodotto (software),​​ ma ha un costo di gestione maggiore della lavagna tradizionale dovuto al ricambio periodico della sorgente luminosa, al costo dei pennarelli e supporti trasparenti. Inoltre richiede ambienti con sorgenti di energia elettrica opportune. È comunque un m.d. molto utile nella presentazione di un argomento specialmente se i trasparenti sono stati costruiti con attenzione alle esigenze di una comunicazione efficace e se viene presentato con tecniche che aiutano a seguire il discorso: la rivelazione graduale, la sovrapposizione di più trasparenti, l’animazione di alcuni particolari o il completamento di un trasparente base con ulteriori indicazioni.

3.3.​​ Computer.​​ È un termine preso dalla lingua ingl. che indica una macchina capace di elaborare dati in base a programmi prestabiliti. Potrebbe essere definito come un insieme di circuiti elettronici e di altri dispositivi, uno strumento di carattere universale, capace di elaborare informazioni per scopi prestabiliti. a)​​ Una macchina diversa da quelle tradizionali.​​ Il computer è una macchina che può essere finalizzata di volta in volta a vari compiti specifici secondo le esigenze, modificando solo le indicazioni dei programmi che sono preposti al suo funzionamento e non la struttura fisica. Si presenta quindi come una macchina con caratteristiche di «universalità», aperta e flessibile. È costituito da una componente fissa detta​​ hardware​​ e da una componente logica flessibile, i programmi, denominati normalmente​​ software​​ (​​ informatica), senza i quali è praticamente un insieme di pezzi tanto costosi quanto inutili. Il termine computer (in it. si potrebbe chiamare «elaboratore») può indicare realtà fisiche diverse. Attualmente sono presenti sul mercato computer con costi e potenzialità operative assai vari. Ci sono i​​ microcomputer​​ portatili (alcuni tipi, per le piccole dimensioni e peso, vengono chiamati​​ lap top)​​ o da tavolo, da ufficio, chiamati anche​​ personal computer​​ per indicare un uso prevalentemente personale e autonomo, non in un gruppo o in rete; i​​ minicomputer; i main-frames​​ e i​​ supercomputer​​ utilizzati nei grandi centri di ricerca, nei laboratori, nelle imprese e nella burocrazia dove è necessario avere il controllo di situazioni particolari, ad es. gestione di banche dati, contabilità, controllo della situazione di pratiche, rotte dei satelliti. Ci sono poi altri computer particolari dedicati a usi specifici, come ad es. giochi, controlli di fenomeni o di processi che integrano servizi o servomeccanismi. b)​​ Una macchina recente.​​ Anche se i primi tentativi di facilitare i calcoli aritmetici mediante macchine risalgono ad epoche remote, bisogna attendere il 1600 con G. Schikard, Pascal e Leibniz, e più in particolare il 1800 con T. di Colmar e C. Babbage per vedere costruito un qualche dispositivo che assomigli, almeno per alcune funzioni, al computer attuale. La prima generazione di computer, come oggi noi li concepiamo, risale agli anni ’40 con la costruzione di una macchina automatica, prima per opera di H. Aiken dell’università di Harvard con l’aiuto della IBM, chiamata Mark I e poi da parte di W. Mauchly-Presper Eckert dell’università della Pennsylvania, chiamata ENIAC. La prima macchina fu costruita utilizzando circa 3000 relais telefonici; la seconda con 18.000 valvole termoioniche. Quindi, a ritmi sempre più crescenti, sia negli USA che in Europa, si sono fatte molte ricerche per perfezionare tali macchine e da allora si sono susseguite ben 4 generazioni segnate da cambi tecnologici molto vistosi. Il computer è passato dal componente base della​​ valvola termoionica​​ degli anni ’50, al​​ transistor​​ degli anni ’60, al​​ circuito integrato (chip)​​ degli anni ’65-70, al​​ circuito altamente integrato LSI (Larg Scale Integration)​​ degli anni ’70-80, sino agli attuali. L’evoluzione tecnologica ha portato a prestazioni sempre più elevate ed a consumi energetici, costi ed ingombri sempre più bassi. c)​​ Utilizzazione.​​ Non c’è ormai settore produttivo e di servizi nella società attuale che in qualche modo non utilizzi un computer direttamente o indirettamente. Si sono creati certamente non pochi problemi di tipo sociale legati all’occupazione, alle nuove fonti di potere e di «aristocrazia informatica», però si sono aperti nuovi campi di ricerca che solo qualche decina d’anni fa non erano immaginabili. In campo formativo il computer si sta dimostrando assai valido per migliorare i processi di insegnamento-apprendimento, sia come «personal», a sé stante, sia condividendo risorse ad es. in rete come elemento di un gruppo, sia come elemento integrativo nella gestione di altri strumenti. I primi tentativi di utilizzare i computer ai fini dell’apprendimento risalgono agli anni ’50, sotto l’influsso dell’​​ ​​ istruzione programmata. Gli ostacoli più gravi che si sono subito presentati sono stati innanzitutto di tipo economico, dovuti agli alti costi dell’hardware,​​ quindi di tipo culturale, gestionale e pedagogico-didattico. Già dall’inizio, pur sottolineando un futuro brillante per tale nuovo strumento, fu necessario confrontarsi con delle nuove problematiche legate principalmente alla creazione di attese ingiustificate e di false sicurezze; all’impoverimento dell’informazione per le semplificazioni che si dovevano fare; al rischio di abbandonare, nei processi formativi, le tradizionali forme di insegnamento già collaudate; all’impoverimento di rapporti interpersonali; alla necessità di rivedere la logica del gruppo «classe» per lasciare spazio ad un insegnamento più individuale, tipico del personal computer, che si presta meglio per un uso in piccoli gruppi o singolarmente. Il perfezionamento tecnologico e ulteriori studi sui processi di insegnamento-apprendimento hanno comunque evidenziato anche le sue grandi possibilità nei processi formativi per lo sviluppo delle singole discipline e nell’insegnamento assistito (in inglese C.A.I.,​​ Computer Aided Instruction).​​ L’uso del computer nei processi formativi può essere quindi molto articolato. Può aiutare nel reperire informazioni in tempo reale; creare un ambiente per fare delle esercitazioni (drill & practice);​​ per esercitarsi in calcoli, formule o acquisire abilità specifiche; per guidare nell’apprendimento (tutorial)​​ con livelli di interattività diversi; per simulare fenomeni fisici e matematici; per aiutare nella risoluzione di problemi (​​ problem solving);​​ per simulare un «compagno di giochi»; per aiutare nell’acquisizione di una cultura informatica; per elaborare testi e dispense (word processor),​​ fogli elettronici (spreadsheets)​​ e archivi (data base),​​ tabulati contabili; per disegnare (computer design)​​ o operare in ambiente grafico in generale o infine per produrre animazioni,​​ ipertesti​​ più o meno complessi, banche dati. Le applicazioni didattiche del computer non sono poche e sono aperte; molto dipende dal​​ software​​ disponibile e dalle possibilità degli operatori. Nella formazione il computer non ha un ambito ben definito come lo hanno altri strumenti, ad es. una lavagna luminosa. Si presenta ancora come uno strumento relativamente giovane, non completamente conosciuto nelle sue potenzialità, anche se abbastanza potente e capace di venire incontro a svariate esigenze. È però una macchina che ha bisogno di contenuti e programmi fatti dall’uomo per diventare utile, programmi che, oltre ad essere tecnicamente validi, necessitano anche di una impostazione pedagogico-didattica, in quanto saranno utilizzati in ambienti formativi. In questo senso un suo sviluppo nel campo della formazione è condizionato dallo sviluppo del​​ software didattico,​​ non sempre abbondante e didatticamente interessante. Tuttavia, nonostante limiti reali che si evidenziano in un suo uso sistematico, è certamente uno strumento che può contribuire notevolmente a rendere l’insegnamento più personalizzato e rispettoso di ritmi di apprendimento diversi; diventare un «amico simpatico» nello studio che non si adira mai e che fa risparmiare tempo in operazioni ripetitive di calcolo e di scrittura. Può quindi migliorare i processi di insegnamento-apprendimento, anche se non in modo automatico e senza uno sforzo di aggiornamento da parte del personale operante nell’ambiente formativo.

Bibliografia

Filippazzi F. - G. Occhini,​​ Il computer: capire e applicare l’informatica,​​ Milano,​​ Il Sole 24 Ore, 1990;​​ Ellington H. - P. Race,​​ Producing teaching materials. A handbook for teachers and trainers,​​ London, Kogan Page,​​ 1994; Homson J. B.,​​ M. di comunicazione e modernità: una teoria sociale dei media,​​ Bologna, Il Mulino, 1998;​​ Varisco B. M. (Ed.),​​ Nuove tecnologie per l’apprendimento: guida all’uso del computer per insegnanti e formatori,​​ Roma, Garamond, 1998;​​ Cerretti F.,​​ La comunicazione: dalla cultura orale alla cultura elettronica,​​ Leumann (TO), Elle Di Ci, 2000;​​ Ferri P.,​​ Teoria e tecniche dei nuovi media: pensare formare lavorare nell’epoca della rivoluzione digitale,​​ Milano, Guerini, 2002; Galliani L.​​ et al.,​​ Tecnologie informatiche e telematiche, Lecce, Pensa Multimedia, 2002; Davis M.,​​ Il calcolatore universale: da Leibniz a Tauring,​​ Milano, Adelphi, 2003.​​ 

N. Zanni




MEZZI EDUCATIVI

 

MEZZI EDUCATIVI

In senso largo m.e. è tutto ciò che rende possibile il passaggio ai fini: gli agenti e le agenzie, i contenuti, i progetti e i metodi, i sussidi materiali, edilizi, finanziari, le condizioni che facilitano relazioni e processi. In senso stretto lo sono solo le operazioni-azioni che, componendosi in vasta sintesi, producono direttamente l’educazione.​​ 

1. I m.e. si collocano nelle istituzioni educative, impegnano tutti gli agenti e i fattori. Il m. sta tra la partenza e l’arrivo e permette il passaggio. Il m.e. permette al giovane di passare dalla partenza potenziale all’esito formativo, all’educatore dalla intenzione all’attuazione; ad educandi ed educatori permette l’attuazione della relazione educativa. La pedagogia tedesca ha sviscerato lungamente il tema, offrendo quadri e elaborazioni. Già​​ ​​ Herbart (1776-1841) distingueva il governo, l’insegnamento e la «coltura morale». Göttler (1950) distingue i m. attivati dall’educatore e quelli vissuti dall’educando sotto la sua guida: m. di stimolazione e repressione, di fissazione e liberazione. Il quadro migliore sembra quello di J. Spieler (1944): m. di esercizio e abitudine, m. della persuasione, della formazione culturale e della guida all’azione, cui aggiunge la guida d’autoeducazione e il contatto attivo con il giovane al di fuori dell’azione educativa. Su queste basi si cerca qui di seguito di indicare un quadro sistematico dei m.e.

2.​​ I m. dell’informazione.​​ Vale il principio di​​ ​​ Rosmini: quello che io non so, per me non esiste. L’informazione è la condizione iniziale di ogni essere e agire umano. I suoi m. avviano l’educazione. Alla base stanno l’incontro con la realtà, l’osservazione diretta, l’esperienza vissuta interiore, spontanea, riflessa. Più efficace può essere l’indicazione di esperti. La​​ ​​ lezione è m. antico e moderno, sistematico, ma purtroppo unidirezionale, pur con i molti correttivi che oggi si collegano ad essa. La integrano la ricerca individuale o di gruppo, il dialogo, la conversazione, la discussione. La lettura aiuta a spaziare. Efficace può essere la narrazione. Globalmente valgono la parola, il linguaggio, i concetti, le scienze, gli audiovisivi. Oggi si pone in tutta la sua ambivalenza la navigazione in internet e l’uso delle banche-dati informatiche. È efficace l’esemplarità.

3. I m. di motivazione.​​ Collegano fini e proposte con le dinamiche di assimilazione e adesione pratica: la vitalità intima, il sentimento, l’amore, la coscienza del dovere. Al primo posto è sempre stata posta la​​ ​​ autorità degli educatori, oggi dei contenuti. Accanto, in funzione strumentale, si può porre il binomio classico e discutibile dei​​ ​​ premi e castighi. Oggi si considera piuttosto la​​ ​​ motivazione legata alla valorizzazione, oggettiva, soggettiva, personale. L’amabilità attrae e lega. L’amore congiunto a ogni comunicazione la carica di dinamica persuasiva, obbligante o distogliente. Le norme educano non tanto perché comandano o proibiscono, ma se e in quanto escono dai valori della realtà e della condotta e le regolano. La stessa cosa vale per regole, regolamenti, statuti, discipline, ordini, comandi, proibizioni. Potere, governo, autorità, diritto e dovere, controllo, direzione, comando sono m. educativi solo se caricati ed espressivi delle forze di ragione e vita che li sostengono e ispirano e di cui si fanno mediatori. In tale luce di indicazione e richiamo profondo valgono l’esortazione, la lode e il biasimo o rimprovero, l’incoraggiamento, la censura, la fiducia e la stima, la testimonianza, l’avvertimento. La verità chiara e penetrante è fonte di ottima motivazione, specialmente se si fa messaggio e proposta, congiunti a testimonianza che lascia trasparire i valori che li motivano e a esemplarità ammirevole e ideale. Motivano impegni assunti, promesse, appartenenze e adesioni a gruppi e comunità, con il sostegno dell’amicizia, della stima, dell’aiuto, dell’accettazione e del potenziamento, perfino dell’emulazione lontana dall’invidia e aperta alla collaborazione e all’affidamento di responsabilità. Completano la​​ ​​ meraviglia, lo​​ ​​ stupore, l’ammirazione, la curiosità, l’esperienza precedente o procedente gratificante. In altra direzione si affacciano la fede, la preghiera, la grazia, connettendo lo spirito umano con lo Spirito Santo di Dio.

4.​​ I m. di guida educante.​​ Vengono primi l’incontro, il​​ ​​ colloquio personale, il​​ ​​ dialogo, soprattutto se danno spazio alla domanda, all’interrogazione o le suscitano, le maturano, ne valorizzano l’apporto. Ideali sono la coscienza e l’autodirezione, personale, di gruppo, di comunità, di istituzione, magari con guida esterna maturante. Autorità, regolamenti, tradizioni, comandi, codici e leggi, direzioni, controlli sono indicatori educativi se espressivi di mediatori oggettivi di realtà e doverosità di contesto e sistema e se sono promotori di vita. Così l’assistenza è esemplare e evocatrice, più guida che sicurezza di ordine. La direzione educatrice e spirituale offre aiuto sistematico progettuale. Valgono l’orientamento e il discernimento.

5.​​ I​​ m. di esperienza guidata educante.​​ La esperienza educante della vita è buon m. se attua tre condizioni: se è carica dei contenuti idonei per far crescere; se è partecipata attivamente con larghezza e profondità tale da impegnare, maturare, arricchire ogni dimensione della persona; se è mediata dalla guida esperta oggettivamente e efficace soggettivamente degli educatori. La vita educa in e con momenti quotidiani o forti. Accadimenti e andamenti personali, comunitari, ambientali, sociali, culturali, politici, religiosi, professionali offrono occasioni. Sono m.e. importanti la​​ ​​ tradizione culturale, la convivenza sociale, la vita di famiglia, la scuola, la comunità religiosa, la comunicazione sociale. Più prossimi sono gli incontri giovanili, informali e organizzati, specialmente tra coetanei, gli incontri e la relazione maschile e femminile, il​​ ​​ tempo libero, di libero impegno, il​​ ​​ volontariato, esperienze di arte varia e attività culturali; il​​ ​​ gioco, libero, dilettantistico, agonistico; le celebrazioni e le​​ ​​ feste, le marce e le dimostrazioni motivate, le visite, le esperienze di libertà responsabile.

Bibliografia

Spieler J.,​​ Die Erziehungsmittel,​​ Olten, V. O. Walter, 1944; Göttler J.,​​ System der Pädagogik,​​ München, Kösel, 1950; Geissler E. E.,​​ Erziehungsmittel,​​ Bad Heilbrunn, Klinkhardt,​​ 19826;​​ Lenzen D. (Ed.),​​ Enzyklopädie der Erziehungswissenschaft, vol. IV:​​ Methoden und Medien der Erziehung und des Unterrichts, Stuttgart, Klett-Cotta, 1985; Buckingham D.,​​ Media education:​​ alfabetizzazione,​​ apprendimento e cultura contemporanea, Trento, Erickson, 2006.

P. Gianola




MIANI (EMILIANI) Girolamo

 

MIANI (EMILIANI) Girolamo

n. a Venezia nel 1486 - m. a Somasca (BG) nel 1537, santo, fondatore dei Chierici Regolari Somaschi, educatore italiano.

1. Abbandonata la carriera militare, si affida alla guida spirituale di G. P. Carafa (poi papa Paolo IV). Sacerdote nel 1518, si dedica alla cura degli orfani (1524) e delle derelitte (1527). Dà vita alla Fondazione​​ De’ servi dei poveri,​​ approvata da Paolo III (1540) e divenuta Congregazione dei Chierici Regolari di Somasca (Breve di Pio V, 1567).

2. L’orfanotrofio ha per suo volere una chiara funzione educativa, non solo dall’angolatura religiosa ma anche sul piano intellettuale e professionale (apprendimento di un mestiere). Nell’istituzione i compiti erano ben precisati: vanno ricordati il direttore (responsabile di tutto l’indirizzo educativo), il lettore (o maestro), il​​ solizitador​​ (l’organizzatore del lavoro) (​​ Congregazioni insegnanti maschili). L’esigenza di mirare alla formazione del soggetto tenendo conto delle caratteristiche di ciascuno, già presente in qualche frammento degli scritti del Fondatore, è ripresa dagli​​ Ordini per educare li poveri orfanelli conforme si governano dalli RR. PP. della Compagnia di Somasca:​​ il testo è del 1620 ma non si discosta dalle linee tracciate da M. La cura degli orfani (maschi e femmine) è ribadita come compito specifico dalle​​ Costituzioni​​ del 1677. Illuminante quanto scrive un biografo di M., P. Tortora: «Né mai si creda che mentre la mano è intenta all’opera, divaghi lo spirito in vani pensieri o la lingua si sciolga in chiacchiere inutili [...]. Due volte al giorno, la sera terminato il lavoro, ed il mattino non sorto ancora, erano ammaestrati sopra i precetti della legge cristiana e sopra gli articoli della cattolica fede; poscia venia lor insegnato l’alfabeto, l’ortografia, il compitare e il leggere esattamente; e colla viva sua voce Girolamo gl’informava spesso e coltivava nella virtù».

3. Accanto all’attività nel campo degli orfanotrofi va ricordata – anche se successiva a questa – la fondazione e la conduzione dei collegi per i giovani delle classi nobili: importanti, per es., il Collegio Gallio in Como (Bolla di papa Gregorio XIII del 1583), e l’incarico affidato ai Somaschi nel Collegio Clementino in Roma da papa Clemente VIII.​​ Finalità e metodo educativi si trovano nelle​​ Regole circa del studio​​ (1600). Altri testi da consultare in proposito sono l’Ordine da tenersi nelle nostre scuole​​ di P. S. Santinelli (ca. 1707), e la​​ Methodus studiorum​​ (1741).

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ Frammenti di scritti di M. in G. Landini,​​ Piccolo contributo di scritti vari critico-storico-letterari e un discorso sulla vita di s. G. Emiliani,​​ Como, 1920 (anche in «Rivista di Somasca», 94, 1942). b)​​ Studi: Ordine dei Chierici Regolari Somaschi nel IV centenario della fondazione,​​ Roma, 1928; De Vivo F., «I Somaschi», in​​ Nuove questioni di storia della pedagogia, vol. I,​​ Brescia, La Scuola, 1977, 663-690; Pellegrini C., «San G. M. e i Somaschi», in P. Braido (Ed.),​​ Esperienze di pedagogia cristiana nella storia, vol. I, Roma, LAS, 1981, 45-74; Armogathe J.-R., «Cultura e educazione nella riforma cattolica», in C. Vasoli,​​ Le filosofie del Rinascimento, a cura di P. C. Pissavarino, Milano, Mondadori, 2002, 488-505.

F. De Vivo




MICROPEDAGOGIA

 

MICROPEDAGOGIA

Per m., nozione recentemente introdotta nel lessico pedagogico, si intende un punto di vista attinente sia i comportamenti di ricerca che l’assunzione di particolari stili educativi.

1. Tale prospettiva, a livello teoretico, si riconduce a scuole di pensiero quali la fenomenologia, la psicoanalisi, l’approccio sistemico nonché il metodo biografico. Della prima corrente utilizza i concetti salienti di rappresentazione, intenzionalità, relazione; della seconda, la categoria di vissuto e latenza mentre della teoria dei sistemi quelli di comunicazione, contesto, complessità. L’attenzione biografica si palesa invece laddove viene messa sempre al primo posto l’idea di «storia di vita» sia dell’individuo-persona coinvolto in situazioni educative le più diverse (quale che sia l’età dei formandi), sia la stessa esperienza educativa. Questa infatti, nella prospettiva micropedagogica, viene considerata un’autobiografia «scritta» dai diversi protagonisti della vicenda formale o informale di apprendimento. La m. è riconoscibile pertanto laddove si faccia attenzione al particolare, alle soggettività, agli specifici ambienti di vita senza perseguire l’elaborazione di conclusioni generalizzanti, ma, piuttosto, l’analisi delle circostanze che contestualmente, e rispetto a quelle specifiche persone, suscitano eventi di carattere pedagogico. Per il suo carattere idiografico (lo studio dell’irriducibile singolarità della situazione educativa) e non nomotetico (tendente a individuare regole e leggi generali di comportamento), la m. è riconducibile alle correnti qualitative della ricerca scientifica, riconoscibili in sociologia (tale scienza, per prima, si è servita del prefisso «micro» per designare i fenomeni non quantificabili), in antropologia, in psicologia dinamica, il cui interesse precipuo mira a fornire non soltanto descrizioni delle realtà empiriche considerate, bensì delle interpretazioni e degli orizzonti di significato.

2. La prassi del ricercatore ad orientamento «micropedagogico» è riconoscibile in rapporto al principio in base a cui «l’osservatore si include nell’osservazione» che è in netto contrasto con le posizioni positivistiche, viceversa intenzionate a rivendicare la neutralità di un corretto comportamento euristico. L’implicazione del ricercatore comporta da parte di costui la riflessione attenta dei costrutti mentali (l’individuo ha sempre una​​ episteme)​​ e quindi delle teorie, sofisticate o ingenue, che lo guidano; l’autocontrollo delle interazioni che la sua presenza suscita tra i soggetti; la preoccupazione per i significati simbolici che la sua presenza ingenera: disturbo, attaccamento, ripulsa, affezione, ecc.

3. Lo stile educativo micropedagogico è quindi al contempo anche un comportamento di ricerca (la m. opera affinché gli educatori riconoscano sempre il loro ruolo di ricercatori e si formino in tal senso) che valorizza non pochi assunti della tradizione attivistica americana ed europea. Tecnicamente tale indirizzo si avvale di strumenti ricognitivi quali il colloquio, lo studio del caso, l’osservazione partecipante, la raccolta di storie di vita, ecc. Anche la ricerca-azione – la metodologia che studia i problemi attraverso il coinvolgimento diretto di coloro che in prima persona li vivono e non sempre sanno esprimerli – fa parte del filone «trasformativo» dell’intento micropedagogico. Nondimeno le pratiche valutative nell’insegnamento e nella formazione, assumendo tale paradigma, operano includendo in percorsi di autovalutazione critica i destinatari delle più diverse azioni educative.

Bibliografia

Becchi E. - B. Vertecchi (Edd.),​​ Manuale critico della ricerca e della sperimentazione educativa,​​ Milano, Angeli, 1984; Cipriani R. (Ed.),​​ La metodologia della storia di vita,​​ Roma, Europa, 1987;​​ Poisson Y.,​​ La recherche qualitative en éducation,​​ Quebec, Université du Quebec,​​ 1990; Massa R. (Ed.),​​ La clinica della formazione,​​ Milano, Angeli, 1991;​​ Mucchielli A.,​​ Les méthodes qualitatives,​​ Paris, PUF,​​ 1991; Demetrio D.,​​ M.: La ricerca qualitativa in educazione,​​ Scandicci (FI), La Nuova Italia, 1992; Kanizsa S.,​​ Che ne pensi?, Roma, Carocci, 1993; Mantovani S.,​​ La ricerca sul campo in educazione. I metodi qualitativi, Milano, Mondadori, 1998; Castiglioni M.,​​ La​​ ricerca in educazione degli adulti: l’approccio autobiografico, Milano, Unicopli, 2002.

D. Demetrio