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MARISTI

 

MARISTI

Detti anche Piccoli Fratelli di Maria o Fratelli M. Fondati nel 1817 da​​ ​​ Champagnat, una delle personalità francesi che, durante la prima metà del sec. XIX, cercano, per mezzo dell’educazione, di contrastare la laicità sorta nel secolo precedente. La finalità dei M. è l’educazione della gioventù, senza alcuna limitazione nei gradi e nei tipi d’insegnamento. Impartiscono l’insegnamento dall’asilo sino alle università o alle scuole tecniche superiori e abbracciano tutte le classi sociali, con speciale considerazione per i Paesi in via di sviluppo o per le missioni, con varie editrici dedicate alla pubblicazione di libri scolastici ed alla propagazione della dottrina cristiana e della devozione alla Vergine Maria. La loro assoluta dedizione all’educazione li porta a rinunciare al sacerdozio. Per l’aspetto docente subirono l’influsso lasalliano delle «piccole scuole» e in campo catechetico quello del metodo di s. Sulpizio. Certamente giungono a creare uno «stile proprio» caratterizzato dall’impegno, la presenza, il desiderio della salvezza delle anime; caratteristico è il loro emblema delle tre violette (umiltà, semplicità e modestia), la formazione del cuore, la coscienza, la volontà e l’impegno per il rinnovamento didattico e metodologico. La loro evoluzione statistica: nel 1840, 50 case, 310 membri, 7.000 alunni; nel 1995, 822 case e 5.297 membri.

Bibliografia

Coste J. -​​ G. Lessard,​​ Origines maristes,​​ 4 voll., Roma, 1960-67; Furet J. B.,​​ Vie de Joseph-Benoît-Marcellin Champagnat,​​ Lyon,​​ 1856 (trad. sp. 1931; trad. it. 1955; ed. crit., Zaragoza, 1979);​​ Santamaría J. L.,​​ Maristas de Zaragoza (1903-2003), Zaragoza, Colegio «El Pilar-Maristas», 2004.

V. Faubell




MARITAIN Jacques

 

MARITAIN Jacques

n. a Parigi nel 1882 - m. a Tolosa nel 1973, intellettuale francese.

1. Di famiglia protestante e di formazione positivistica, sensibile all’insegnamento di H. Bergson, dopo un periodo di adesione al socialismo rivoluzionario, grazie all’influenza di Leon Bloy, nel 1906, si convertì al cattolicesimo insieme alla moglie Raïssa, di origine russa, con cui ebbe una profonda intimità spirituale. Trovò nella filosofia aristotelico-tomista lo strumento intellettuale con cui leggere ed affrontare i problemi dell’uomo contemporaneo. Docente all’Institut Catholique​​ di Parigi, insegnò pure all’Istituto di studi medioevali di Toronto, a Princeton e alla Columbia University. Ambasciatore presso il Vaticano tra il 1945-1947, dopo la morte della moglie (1960), si ritirò presso i Piccoli Fratelli di Ch. Foucault, difendendo con​​ Il​​ contadino della Garonna​​ il Concilio Vat. II da interpretazioni modernistiche. La sua influenza in campo cattolico è ancora oggi molto forte, pur non senza distanziazioni critiche.

2. Sono noti il suo realismo critico gnoseologico e la sua proposta di «umanesimo integrale». Essi fanno da quadro di riferimento anche alla sua​​ ​​ filosofia dell’educazione. I mali e le speranze del nostro tempo pongono «l’educazione al bivio». In polemica con le concezioni pragmatistiche, comportamentistiche e tecnicistiche, M. riafferma la necessità di un’immagine integrale dell’uomo per l’educazione, così come è data dal pensiero greco-giudaico-cristiano. L’uomo è indissolubilmente persona, cioè interiorità, spiritualità, totalità e trascendenza, e individualità, cioè materialità, membro della specie e della società.

3. Questa immagine dell’uomo regola la metodologia educativa, che, come l’arte medica, è «cooperativa della natura». Gli agenti principali dell’educazione sono la natura e lo spirito dell’educando. L’educazione è chiamata a incoraggiare e favorire le disposizioni fondamentali della persona (l’amore alla verità e alla giustizia, l’apertura positiva all’esistenza e al lavoro, la disposizione alla cooperazione e alla vita sociale e politica); ad aiutare a liberare il potere intuitivo interiore; a stimolare l’unità spirituale e la sapienza personale; a liberare l’intelligenza invece di sovraccaricarla, mediante il dominio della ragione sulle cose imparate. Una cultura integralmente umanistica, non solo letteraria o artistica, ma anche scientifica e tecnica, è indicata come contenuto dell’«educazione liberale per tutti» (non solo per alcuni privilegiati). La scuola, organizzata democraticamente, con forme di autogoverno studentesco, è vista come il luogo privilegiato per l’educazione alla «carta democratica» (diritti personali, civili, politici, libertà, democrazia, eguaglianza, giustizia sociale, libertà religiosa, tolleranza, pluralismo, partecipazione alla promozione del bene comune, doveri civili, coscienza comunitaria e umanitaria, ecc.), pur nel pluralismo delle giustificazioni teoriche e degli approcci metodologici.

Bibliografia

Dal punto di vista pedagogico è fondamentale:​​ Pour une philosophie de l’éducation,​​ Paris, Fayard,​​ 1969 (nuova trad. it. con ampio commento a cura di G. Galeazzi,​​ Brescia, La Scuola, 2002). Tra gli studi: Viotto P.,​​ J.M.,​​ Brescia, La Scuola,​​ 51976; Balletta C.,​​ Valenze filosofico-pedagogiche e implicanze didattiche in J.M., Noli (SV), Natrusso Communication, 2006.​​ 

C. Nanni




MARXISMO PEDAGOGICO

 

MARXISMO PEDAGOGICO

Più che di una tipica corrente pedagogica, che fa capo a un maestro, con una propria «scuola», si tratta di un complesso di idee e, ancor più, di tentativi pedagogico-educativi, che hanno avuto in K. Marx l’ispiratore e che si sono venuti sviluppando, per oltre un secolo e con modalità differenti, in varie parti del mondo.

1.​​ L’educazione in K. Marx​​ (1818-1883). Vissuto nel cosiddetto secolo pedagogico, non ha avuto, se non di riflesso, interessi educativi, espressi frammentariamente in scritti e prese di posizione orali. Ma quanto da lui scritto a riguardo ha avuto un notevole riferimento a motivo del credito accordato politicamente alla sua socio-filosofia dalle varie forme di comunismo. Nella linea del suo​​ materialismo storico, l’uomo è visto, protagonista e prodotto, al tempo stesso, della storia (e non entità metafisica predefinita), vittima, in una condizione di capitalismo dominante, di un processo di​​ alienazione,​​ vale a dire di estraniazione da sé, e di​​ mercificazione​​ del proprio lavoro, di cui è il «padrone» a disporre. Peraltro l’uomo, essere sostanzialmente sociale e storico – a differenza dell’antropologia materialistica di L. Feuerbach (1804-1872), l’individuo è per lui un’astrazione – con la divisione capitalistica del lavoro, viene inserito in una determinata «classe». In una sorta di «darwinismo sociale», la storia è lotta per la supremazia tra classi. La classe proletaria – come si dirà nel​​ Manifesto del partito comunista​​ (1848) scritto insieme con l’amico e mecenate F. Engels (1820-1895) – troverà nell’unione e nella​​ lotta di classe​​ la negazione della sua condizione di soggezione; e con l’abbattimento del sistema capitalistico di produzione, in un lavoro non più alienato, la sua e la comune liberazione. Lotta di classe e lavoro diventano pertanto assi portanti di una diversa formazione dell’uomo che realizzi una​​ società nuova, senza classi, senza proprietà privata e senza stato (tutte espressioni storiche della supremazia borghese-capitalistica ) per un​​ «regno della libertà»,​​ e per un uomo sviluppato «onnilateralmente», non più valutato per ciò che produce, ma per ciò di cui è capace e per ciò di cui ha bisogno (cfr.​​ Critica ai programmi di Gotha​​ del 1875). Al contempo ciò permetterà una nuova cultura, in cui teoria e prassi non sono più disgiunte e contrapposte; e in cui​​ struttura economica​​ e​​ sovrastruttura ideale​​ assumono un ruolo di dipendenza reciproca e non unidirezionale, come in regime borghese. Nella critica alla società borghese-capitalistica è coinvolta anche l’educazione e le sue istituzioni: quella familiare, perché nella società borghese «viene spezzato ogni legame di famiglia»; quella ecclesiastica perché è un prodotto storico di​​ ​​ ideologia; quella scolastico-statale, perché lo Stato è il supporto politico del potere della classe borghese dominante, e perciò va rivista in chiave di esplicita socialità e di rispondenza ai bisogni del fanciullo. Sono anche rigettate le scuole professionali del tempo, destinate – a suo parere – solo a una più proficua resa capitalistica del lavoro. La proposta è dunque di una «educazione pubblica e gratuita di tutti i fanciulli, abolizione del lavoro dei fanciulli in fabbrica nella sua forma attuale. Combinazione dell’educazione con la produzione materiale, ecc.» (Manifesto).​​ Egli non esclude il lavoro in fabbrica (che poteva andare dalle due alle sei ore, a partire dai nove anni), poiché vede nel lavoro «uno dei più potenti mezzi di trasformazione dell’odierna società». Nelle​​ Istruzioni ai delegati​​ del 1866 dichiara: «Per formazione noi intendiamo tre cose; primo: formazione intellettuale; secondo: preparazione fisica; terzo: educazione politecnica, che trasmetta i fondamenti scientifici generali di tutti i processi di produzione e che, contemporaneamente, introduca il fanciullo e l’adolescente all’uso pratico e alla capacità di maneggiare gli strumenti elementari di tutti i mestieri». La formazione morale, non presente in questo testo, è invece sottolineata più volte altrove. Essa non è demandata alla scuola, a cui si affida l’istruzione scientifico-pratica, ma, secondo lui, va gestita soprattutto da altre agenzie (famiglia, associazioni, partito). È appena da notare come tutto il discorso resti fortemente occasionale e asistematico, né è salvo da elementi utopistici, pur non senza spunti di realismo storico e di innovazione sociale, a cui variamente ci si riferirà da parte dei seguaci di Marx.

2.​​ La pedagogia sovietica.​​ Le condizioni storiche della Russia, prive di un capitalismo avanzato, come richiedeva Marx per una rivoluzione comunista, hanno imposto, non senza un’attenta riflessione, una revisione del m. nella sua applicazione sovietica. In sede pedagogica, non sono stati senza influsso gli apporti della​​ cultura russa​​ del secolo precedente: da Pirogov a Cerniševskij, da Caadajev a Ušinskij, da Pisarev a​​ ​​ Tolstoj. Inoltre, al di là delle direttive ufficiali, per un paio di decenni (fino al 1936) sono fiorite, almeno nel campo pedagogico, posizioni variegate e individuali contrastanti. Lenin (1870 – 1924), che aveva delegato alla​​ ​​ Krupskaja, sua moglie, e a Lunačarskij, Commissario per l’educazione, l’attenzione ai problemi educativi, ha tuttavia ribadito alcuni orientamenti fondamentali. Da Marx ha ripreso l’idea dell’uomo nuovo,​​ onnilaterale,​​ da costruire; della​​ cultura,​​ come strumento della rivoluzione e presupposto per la realizzazione del comunismo e, nella situazione di potere in cui è venuto a trovarsi, per il superamento del burocratismo (cfr. esigenza di​​ rivoluzione culturale,​​ in:​​ Sulla cooperazione,​​ del 1923). Convinto della funzione strategica dell’istruzione scolastica ne richiede il prolungamento dell’obbligo fino ai 16 anni e la pensa, come per Marx – senza però approfondirne il concetto – come «scuola politecnica», in cui vi sia un indispensabile collegamento con il lavoro. Tipica l’insistenza di Lenin sull’«educazione politica»,​​ con alla radice una​​ «disciplina cosciente»;​​ sull’«emulazione»​​ e sul principio del​​ «meglio meno,​​ ma meglio». Rilanciò il concetto «russo» di​​ collettivo​​ e dimostrò attenzione ai problemi delle donne e della gioventù. La campagna di alfabetizzazione per la​​ «rieducazione delle masse», la lotta contro i ragazzi di strada, con la fondazione di istituzioni apposite, non impedirono discordanze sul ruolo della scuola, di cui Šul’gin voleva la «morte»; sul senso della «politecnicità» (per la Krupskaja e altri, per es., avvio alla conoscenza tecnico-pratica della produzione e al lavoro stesso, mentre per​​ ​​ Makarenko, restavano semplice somma di insegnamento e di lavoro, senza alcun collegamento diretto); e infine sul senso dell’educazione stessa e, quindi, della pedagogia (per la Krupskaja e altri legata alla​​ ​​ pedologia, per Makarenko anzitutto al «politico»). La forte rilevanza data dal m.-leninismo al ruolo prevalente del partito e a un concetto pervasivo di dialetticità (il materialismo storico diventa anche dialettico), non sarà senza una qualche ricaduta sul terreno dell’educazione in senso di quasi esclusiva preoccupazione per la formazione del consenso. Con Stalin, poi, e con il suo centralismo che non ammetteva più dissensi e, di conseguenza, con l’introduzione del «culto della personalità», si arriva a un irrigidimento generalizzato e autoritario anche nella politica educativa. Seppure legato alla supremazia socialistico-sovietica e soggetto ad una progressiva e radicalizzata ideologizzazione, che ha represso ogni possibilità di espressione personale di libertà, è innegabile un grande impegno per l’istruzione che ha portato l’URSS a livelli molto alti, anche in un confronto internazionale, e ne ha favorito lo sviluppo scientifico-tecnologico.​​ 

3.​​ Educazione e pedagogia nei regimi ad ispirazione marxista - comunista.​​ Il modello pedagogico-scolastico dell’URSS – pur nel clima di «guerra fredda» e di competizione con il blocco occidentale – dopo la seconda guerra mondiale, e fino al crollo del cosiddetto «comunismo reale» del 1989, è stato, di fatto, gradualmente esteso a tutti i Paesi dell’Est europeo, da essa politicamente dipendenti, pur con varianti nazionali. Ed è stato seguito anche da molti Paesi del cosiddetto «terzo mondo» o che uscivano dal regime di colonialismo occidentale. Una certa originalità e distanza dal modello sovietico è riscontrabile nel​​ comunismo cinese, che anche in sede pedagogica è stato improntato piuttosto al pensiero e alla politica di​​ Mao Ze-dong​​ (1893-1976). Ma anche in lui – nonostante il suo primo scritto sia stato uno​​ Studio sull’educazione fisica​​ (1917) – la tematica pedagogica resta frammentaria e risente della​​ cultura cinese,​​ che, pur non unitaria, era ispirata principalmente dal taoismo e dal confucianesimo, sui quali Mao innesta il m.-leninismo. Per superare le​​ contraddizioni​​ nel popolo​​ e vincere l’antagonismo dei​​ nemici del popolo,​​ l’educazione​​ è vista anche sempre come​​ rieducazione​​ «dagli errori passati per evitare errori futuri», dando in ogni caso priorità alla pratica («Chi si seppellisce fra montagne di libri, più studia e meno sa» [1954]).​​ Indispensabile in questo processo rivoluzionario la​​ mobilitazione delle masse. Lo sguardo rivolto al «popolo», in una dialetticità di momenti storici nella stessa gestione del potere, fu tra i motivi del distacco dall’URSS staliniana (1960). In questa linea, dalla condanna del culto della personalità (1956), passò all’appoggio della libertà di critica e di dissenso, con il movimento dei «Cento fiori» e delle «Cento scuole» (1957): preludio al lancio della rivoluzione permanente, avviato con la campagna per l’«educazione socialista» e sfociato nella «Grande rivoluzione proletaria culturale», gestita dalle «guardie rosse», nel 1966. Ma l’opposizione interna al partito e la violenza politica, costrinsero lo stesso Mao a moderare quella «rivoluzione» e anzi a far eliminare, tra il 1972-74, la «banda dei quattro» (tra cui la moglie di Mao). Con la 2a​​ Costituzione, viene ad evidenziarsi il declino del maoismo. La rivalutazione degli studi superiori, la creazione di «comuni», gruppi di studio, scuole modello, spinge, da una parte, all’emulazione​​ ma, dall’altra, non allenta la sorveglianza e la repressione (cfr. quella della piazza di Tienanmen del 5 aprile e 4 giugno 1989), nel non facile equilibrio tra difesa dei principi rivoluzionari e le esigenze di una progressiva e prepotente industrializzazione. A esiti simili sembrano irrimediabilmente portare anche i tentativi di instaurazione del modello maxista-sovietico di istruzione negli altri Paesi, come ad es. nel regime comunista cubano instaurato da Fidel Castro e Che Guevara, dopo la vittoria definitiva contro il dittatore Batista (1959), grazie agli aiuti offerti dall’URSS e negati dagli USA. Anche qui acquistano tutta la loro rilevanza pedagogica la lotta contro l’analfabetismo ridotto con una impegnativa​​ campagna di alfabetizzazione​​ (1961), dal 30% al 4%; la​​ costruzione di scuole,​​ specie in campagna, la​​ moltiplicazione​​ dei​​ docenti​​ e delle​​ biblioteche popolari,​​ la​​ riforma​​ progressiva di tutti i livelli di​​ scolarità,​​ università compresa. La costruzione del consenso politico ha portato a dare importanza al1’​​ ​​ educazione degli adulti e ad iniziative di istruzione popolare, che come in occasione della​​ zafra,​​ raccolta della canna da zucchero, cercano di coinvolgere tutto il popolo fin quasi a fare di tutta Cuba «una grande scuola». Ciò non toglie peraltro non solo l’analfabetismo di ritorno, ma anche la difficoltà di prevedere un futuro di democrazia e di libertà. Queste ambiguità sembrano attraversare anche la​​ rivoluzione sandinista​​ (cosiddetta in quanto ispirata a A. C. Sandino, 1888-1934)​​ che si cercò di attuare in Nicaragua, tra il 1979-1990, anno in cui il partito fu battuto politicamente da libere elezioni. L’esplicita partecipazione dei cristiani​​ ha influito sugli orientamenti generali non solo politici e pedagogici, ma anche relativi alla idea marxista della religione come «oppio dei popoli». Rilevante pure l’educazione dei bambini in età prescolare e degli adulti​​ ,​​ delle classi più umili​​ con la creazione di appositi​​ «talleres»​​ (laboratori), in cui si cercava di coniugare istruzione, lavoro e coscientizzazione politica.​​ 

4.​​ L’oggi del marxismo pedagogico. Specie nell’America Latina, il m. è stato visto, e da alcuni ancora viene considerato come una fonte ispirativa dei movimenti di​​ liberazione popolare​​ (dei poveri e dei deboli e recentemente degli indigeni) e quindi combinato sovente con il cristianesimo (cfr. la teologia della​​ ​​ liberazione; e la pedagogia di​​ ​​ Freire). Il rischio, dal punto di vista pedagogico, è stato e resta quello dell’indottrinamento, frutto di ideologia negativa, da tutti​​ teoricamente​​ rifiutato, ma​​ praticamente​​ perseguito. È anche da dire che gli indirizzi educativi del m. non hanno avuto come unico punto di riferimento gli Stati in cui si è realizzata una rivoluzione, ma hanno avuto sviluppi, almeno teorici, in pensatori della portata di Lukàcs, di​​ ​​ Gramsci, di Bloch, di Marcuse, di Sartre e di altri. Oggi nei confronti del m., si danno due orientamenti: quello più «realistico», che lo colloca tra le realtà storiche datate e sorpassate, e quello più «utopistico-prudenziale», che gli riconosce possibilità di sopravvivenza, se non di resurrezione, con una più diretta gestione da parte degli «esclusi dal potere» e, comunque, non senza una precisa e rigorosa assunzione critica.

Bibliografia

a)​​ In generale:​​ Manacorda M. A. (Ed.),​​ Il​​ m. e l’educazione,​​ 2​​ voll., Roma, Armando, 1964-1965; Trebisacce G. (Ed.),​​ Materialismo storico e educazione,​​ Cosenza, Laboratorio, 1984. b)​​ Su Marx:​​ Manacorda M. A.,​​ M. e la pedagogia moderna,​​ Roma, Editori Riuniti, 1966; Formizzi G.,​​ La pedagogia di K.M.,​​ Brescia, La Scuola, 1973;​​ Van Si N.,​​ Conception de l’éducation chez K.M.​​ et A. Gramsci,​​ Roma, Antonianum, 1980. c)​​ Sulla rivoluzione sovietica:​​ Froese L.,​​ Ideengeschichtliche Triebkräfte der russischen und sowjetischen Pädagogik,​​ Heidelberg, Quelle & Meyer,​​ 21963. d)​​ Sulla Cina:​​ Price R. F.,​​ Education in communist China,​​ London, Routledge & Kegan,​​ 21975; Id.,​​ Education in modern China,​​ Ibid., 1979. e)​​ Sulla rivoluzione cubana:​​ Bernal del Riesgo A.,​​ Errores en la crianza de los niños,​​ L’Avana, Instituto del libro, 1970; f)​​ Sulla rivoluzione nicaraguense:​​ Girardi G.,​​ Sandinismo,​​ m.,​​ cristianesimo: la confluenza,​​ Roma, Borla, 1986. g)​​ Riflessioni attuali:​​ Cambi F.,​​ Libertà da... L’eredità del m.p.,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1994; Salvadori M. L.,​​ La parabola del comunismo,​​ Bari, Laterza, 1995; Bidet J. - E.​​ Kouvélakis (Edd.),​​ Dictionnaire Marx contemporain, Paris, PUF, 2001.

B. A. Bellerate




MASLOW Abraham Harold

 

MASLOW Abraham Harold

n. a Brooklyn nel 1908 - m. in California nel 1970, psicologo statunitense.

1. M. nasce da genitori ebrei, di origine russa, poveri sia economicamente che culturalmente; le sue origini pesano sulla sua infanzia e lo portano a vivere in modo isolato e infelice gli anni della scuola. L’episodio bellico di Pearl Harbor lo impressiona profondamente e lo spinge ad assumere l’impegno di dimostrare che l’uomo è capace di essere molto di più di un distruttore. Nel 1962, al Brooklyn College, dando vita ad una associazione che intendeva studiare la​​ ​​ personalità totale e sana, segna la nascita della psicologia umanista. Nel 1968 è presidente dell’American Psychological Association ed è soprattutto noto per gli studi sulla​​ ​​ motivazione e l’elaborazione di una gerarchia dei​​ ​​ bisogni.

2. Insoddisfatto della teoria della «riduzione della tensione», elabora una teoria della motivazione che, accanto ai motivi di carenza, considera i motivi di crescita. Mentre i bisogni di carenza emergono a causa di un qualche​​ deficit​​ che spinge l’organismo a ristabilire l’equilibrio turbato, i bisogni di crescita esprimono la tendenza a verificare e realizzare le proprie potenzialità. M. ritiene che i diversi bisogni siano organizzati gerarchicamente in cinque categorie fondamentali: fisiologici; di sicurezza (bisogni volti a salvaguardare l’integrità fisica e psichica; per es., bisogni di protezione e dipendenza); di appartenenza e di amore (bisogno di sentirsi inseriti in una rete di relazioni significative); di stima (bisogno di sentirsi competente e di essere considerato tale dagli altri); di​​ ​​ autorealizzazione. I bisogni sono innati, ma il modo di gratificarli è, in massima parte, appreso. Se non si riesce a soddisfare un bisogno, si va incontro a disfunzioni psichiche o fisiologiche e il bisogno resta dominante finché non viene gratificato. Se, al contrario, un bisogno è costantemente soddisfatto, cessa di avere rilevanza e si verifica la crescita della persona: il bisogno gratificato lascia il posto all’emergenza del bisogno più alto nella scala gerarchica. Solo quando la persona ha gratificato tutti i bisogni di carenza può impegnarsi nella lotta per migliorare se stessa, per sviluppare appieno le proprie potenzialità, per autorealizzarsi.

3. Il valore del lavoro di M. si può enucleare attorno ai seguenti aspetti: a) il suo punto di partenza è la personalità sana; b) gerarchizza i bisogni individuando una sequenza nel loro emergere; c) dà nuove informazioni nell’ambito della psicologia del lavoro evidenziando che chi lavora non è stimolato essenzialmente o esclusivamente dai bisogni di sicurezza, ma anche dai bisogni di sviluppare capacità e competenze. Rispetto ai limiti della teoria, anche le critiche si raccolgono attorno a tre punti: a) metodologia: M. non ha definito chiaramente i concetti implicati nella sua teoria rendendo impossibile una sua verifica empirica; ha usato un campione limitato; non ha documentato a sufficienza i diversi passaggi dell’elaborazione della teoria; b) concetto di​​ ​​ personalità: se la creatività è caratteristica della personalità autorealizzata, ci si deve aspettare che le persone che si trovano ai livelli più bassi della scala gerarchica non siano creative; nella realtà, però, spesso, sono proprio le persone molto sofferenti ad aver dato vita, per es., ai capolavori dell’arte; c) la gerarchia non sembra includere alcuni bisogni umani che pure sono considerati importanti dalla teoria (per es., i bisogni di crescita e creatività).

Bibliografia

a)​​ Principali opere di M.: Verso una psicologia dell’essere,​​ Roma, Ubaldini, 1971;​​ Religions,​​ values and peak-experience,​​ Harmondsworth, Penguin Books, 1986;​​ Motivazione e personalità,​​ Roma, Armando, 1990. b)​​ Studi:​​ Maddi S. - P. Costa,​​ Humanism in personology: Allport,​​ M. and Murrey,​​ Chicago / New York, Aldine Altherton, 1972.

D. Antonietti




MASS MEDIA

 

MASS MEDIA

Tecnologie organizzate che rendono possibile la comunicazione di massa. In un senso molto ampio qualsiasi discorso, scritto, gesto, espressione facciale, abito o rappresentazione può essere considerato un​​ mezzo​​ di comunicazione. Ma sempre più il termine media è associato ai media tecnici ed in particolar modo ai m.m. In termini pratici, con m.m. si intendono solitamente i giornali, le riviste, il cinema, la televisione, la radio e la pubblicità, la pubblicazione di libri, l’industria musicale, ecc. Si dovrebbe fare una distinzione tra m.m. e comunicazione di massa. I m.m. possono anche essere utilizzati per scopi individuali, privati o organizzativi. Gli stessi media, che trasmettono messaggi ad una vasta​​ audience​​ per scopi pubblici, possono anche essere utilizzati per annunci personali, messaggi in favore di qualcuno o qualcosa, appelli filantropici, offerte di lavoro e molti altri tipi di informazioni ed espressioni culturali. Nel mondo contemporaneo i confini tra pubblico e privato, tra reti di comunicazione individuale e su larga scala sono sempre più labili.

1.​​ Le istituzioni dei m.m.​​ Si sono suddivise in base al tipo di tecnologia usata: stampa, cinema, televisione, ecc. L’attività principale dell’istituzione dei m.m. è la produzione e distribuzione di contenuto simbolico. Sono organizzati in modo professionale e strutturati burocraticamente. I media si sono sviluppati gradualmente attorno alle attività chiave di pubblicazione e ampia diffusione delle informazioni e della cultura. Con l’avvento della democrazia in tutto il mondo i m.m. tendono ad essere progressivamente liberi, ma in quanto strumenti di controllo sociale, operanti nella sfera pubblica, essi sono andati soggetti a regolamentazione legale. In tutto il mondo sia nei Paesi democratici che in quelli a regime dittatoriale hanno acquistato una forte incidenza sull’opinione pubblica e sono per questo considerati come «potere» ricercato sia dalle maggioranze che dalle minoranze.

2.​​ Libri.​​ Si potrebbe sostenere che la storia dei media moderni cominci con il​​ ​​ libro stampato. All’inizio era solo un mezzo tecnico per riprodurre quello che in precedenza era copiato a mano. Gradualmente i libri attraversarono degli stadi di sviluppo dall’élite, alla massa, a forme di specializzazione. Lo sviluppo tecnologico del procedimento con i caratteri mobili rese possibile la produzione di libri. Ci sono tre tipi essenziali di pubblicazioni: generali, professionali, didattiche. Il segmento più vasto dell’industria è costituito da libri didattici. I libri stanno diventando sempre più media giornalistici, dato che possono essere prodotti in massa e commercializzati rapidamente. Oltre a ciò, la nuova tecnologia dei computer sta accrescendo la capacità del libro di rispondere ai bisogni personalizzati dei singoli comunicatori e lettori. Rispetto ad altri media, i libri sono più individualizzati dato che la loro lettura rappresenta un’esperienza personale.

3.​​ Giornali.​​ La pubblicazione regolare delle notizie risale almeno al 59 a.C., quando i romani affiggevano dei fogli di notizie pubbliche chiamati​​ Acta Diurna.​​ Le parole giornale e giornalismo hanno la radice nello stesso termine, giorno, e l’aspetto quotidiano, attuale o tempestivo delle notizie è sempre stato un fattore essenziale dei giornali. Come gli altri media, anche i giornali hanno attraversato degli stadi di sviluppo. Iniziarono come media d’affari e commerciali per un’audience​​ d’élite, poi diventarono gradualmente m.m. per un’audience​​ popolare ed infine si specializzarono per i vari segmenti di​​ audience.​​ In questi ultimi anni i molti giornali dei Paesi avanzati sono diminuiti di numero, ma c’è la tendenza alla creazione di società che posseggono catene di giornali che generano efficienza e profitto. Nonostante lo sviluppo della televisione, i giornali danno ancora impiego al maggior numero di lavoratori e raccolgono la più alta quantità di entrate pubblicitarie. Con la crescita di altri media tuttavia i giornali stanno cambiando: essi sono ora meno interessati alla mera pubblicazione delle notizie e più all’interpretazione e all’analisi delle stesse. Con l’avvento della democrazia in tutto il mondo, inoltre, sono diventati progressivamente liberi e questo processo, a volte, ha assunto la forma di una maggiore sofisticazione dei mezzi di controllo applicati alla stampa. In linea di massima, però, la libertà di stampa è considerata essenziale per la sopravvivenza della democrazia.

4.​​ Riviste e periodici.​​ La prima rivista inglese fu «Review», pubblicata a Londra nel 1704 da Daniel Defoe ed era un incrocio tra un giornale ed una rivista. La prima pubblicazione del genere che usò la parola «rivista» fu «Gentlemen’s Magazine», fondata da Edward Cave nel 1731. Iniziarono nel sec. XVIII per pochi eletti e verso la fine del sec. XIX, grazie ai progressi nella tecnologia della stampa e alla crescita dell’alfabetizzazione, cominciarono a raggiungere un’audience​​ di massa. Nonostante la competizione crescente di altri m.m., in modo particolare della radio e della televisione, le riviste hanno continuato ad essere influenti e forti a livello finanziario, specializzandosi per i vari segmenti di​​ audience.​​ Esse godono di uno speciale vantaggio rispetto agli altri media, dato che possono essere prodotte da uno staff molto piccolo e richiedono un minimo investimento iniziale. Il calo nella circolazione globale delle riviste (a partire dalla metà degli anni ’80) è stato compensato da un crescente numero di periodici specializzati e diretti a precisi segmenti di pubblico dei lettori. Le riviste a fumetti (per intrattenimento) e i bollettini (per informazione) sono due tipi di periodici, sviluppatisi nel XX sec., che hanno un pubblico di lettori di massa.

5.​​ Cinematografia.​​ La cinematografia, nei suoi cento anni di storia, ha vissuto cambiamenti significativi. Molte scoperte a partire dal 1824 dimostrarono il fascino costante del riprodurre il moto e culminarono verso la fine del XIX sec. con la scoperta di una telecamera cinematografica da parte di Thomas Edison; sono anche noti gli esperimenti dei fratelli Lumière (1895). Dalla metà del sec. XX la cinematografia iniziò ad esprimere i bisogni di una società in trasformazione. Negli ultimi trentacinque anni l’industria cinematografica è molto cambiata; un tempo era la maggiore forma di svago, ma ora serve come fonte primaria di materiale per il mezzo televisivo. Nonostante la competizione, in modo particolare della televisione, il cinema rimane il più internazionale dei m.m. Questo mezzo selettivo va incontro ai gusti e alle ambizioni dei giovani per le tematiche trattate. Nonostante la diminuzione della sua​​ audience​​ diretta, il mezzo gode di una certa centralità come vetrina per altri media e come fonte culturale, dalla quale derivano libri, strisce di fumetti, canzoni, «star» e «serial» televisivi. In questo modo la cinematografia è rimasta una creatrice di cultura. Come mezzo gode della libertà, ma da nessuna parte può esigere pieni diritti di espressione politica ed artistica dato che la maggior parte dei Paesi mantiene un apparato per la licenza, la censura ed altri strumenti di controllo.

6.​​ Radio e televisione.​​ La radio e la televisione hanno molto in comune e quindi vengono trattate insieme, anche se ciascuna meriterebbe di essere affrontata separatamente. La storia della radio è lunga più di 90 anni, quella della televisione più di cinquanta. Rispetto ad altri media essi sono innovativi nel senso che sono basati sulla possibilità dell’osservazione diretta, della trasmissione e della registrazione degli avvenimenti nel momento in cui accadono. Un’altra caratteristica distintiva della televisione e della radio è che l’autorità pubblica ha su di essi un alto potere di regolamentazione, controllo e licenza. I due m.m. hanno in comune un terzo aspetto: storicamente presentano entrambi uno schema di distribuzione centro-periferia e la televisione nazionale è sempre stata associata alla vita politica e ai centri di potere della società. La radio contemporanea è più un mezzo locale che nazionale in termini di​​ audience​​ ed entrate e le abitudini di ascolto sono in larga parte personali. Potrebbe essere definito un mezzo mobile dato che per le persone l’ascolto della radio può rappresentare una seconda attività mentre lavorano o giocano. È sopravvissuta alla dura concorrenza della televisione e si è evoluta in un mezzo nuovo ed aggressivo con frequenze FM e AM che forniscono una varietà di servizi che includono musica, sport, e radiocronache ed un’audience​​ sempre più segmentata. Come la radio, la televisione sta cercando nuove identità e funzioni. Sebbene occupi una posizione dominante nei Paesi avanzati, è un mezzo giovane in crescita e sviluppo; negli ultimi tempi quest’industria sta affrontando la dura concorrenza determinata dall’arrivo di nuove tecnologie. Nonostante ciò, l’intrattenitore, l’informatore, il persuasore è l’educatore di massa della società. Il pubblico ha bisogno di imparare a controllare questo mezzo potente e ad usarlo per i propri scopi invece di essere controllato da esso.

7.​​ Discografia.​​ L’industria discografica include riproduzioni audio e video su dischi, cassette magnetiche e dischi laser. Di tutti i media, questo è il più difficile da trattare dato che sta vivendo i cambiamenti più rapidi e, in futuro, diventerà probabilmente il più potente. Nei suoi confronti, i consumatori possono esercitare un controllo diretto su ciò che vedono ed ascoltano, come pure sul luogo ed il momento della visione o dell’ascolto. Il significato sociale della musica non è stato oggetto di molta attenzione da parte dei ricercatori sulla comunicazione. È comunque un importante strumento di​​ ​​ socializzazione, impegnato nelle cause sociali e con un notevole avvicendamento di talenti e contenuti. La musica popolare trasmessa dai m.m. è stata collegata all’idealismo dei giovani, alla critica politica, ad una presunta degenerazione ed edonismo, all’assunzione di droga, alla violenza e ad atteggiamenti antisociali. Ma occorre ricordare che la musica ha avuto anche un ruolo nei movimenti nazionalisti per l’indipendenza (per es. in Irlanda ed Estonia). Il contenuto della musica non è stato molto regolamentato, ma la sua distribuzione si è concentrata nelle mani di società costituite a questo scopo e le tendenze considerate devianti sono state oggetto di alcune sanzioni. In generale, però, la musica più popolare ha continuato ad esprimere e a rispondere a valori tradizionali e bisogni personali. Con l’avvento di Internet la musica viene distribuita e venduta​​ online.

8.​​ Mezzi telematici e nuovi mezzi elettronici.​​ Il termine telematico indica la combinazione fra televisione e​​ ​​ informatica. Nel processo per la loro realizzazione sono coinvolti molti tipi di tecnologia. I nuovi mezzi telematici sono offerti al pubblico principalmente sotto due forme: il televideo e il videotel. Il televideo mette a disposizione molte informazioni aggiuntive sotto forma di testo, tramite la trasmissione aerea, per integrare la normale programmazione televisiva e può essere richiamato su iniziativa dell’utente. La telefonia tramite Internet, abbinata alla​​ webcam, permette la comunicazione sincrona. I nuovi media includono anche video game e CD-ROM per computer (CD significa compact disc, ROM memoria a sola lettura). I CD-ROM permettono un accesso flessibile e semplice a un’enorme quantità di informazioni tramite dischi che possono essere letti dal computer. La produzione non ha più bisogno di essere concentrata in grandi strutture localizzate in posizione centrale (come per i film o la televisione), né di essere collegata integralmente alla distribuzione (tipico dei film e della televisione), né di essere controllata così centralmente. Con la possibilità di fornire direttamente per via elettronica la stampa nelle case, questi m.m. entrano in concorrenza anche con i vecchi mezzi di stampa.

9. La loro incidenza e la loro rilevanza educativa sono riconosciute da tutti. Un’educazione ai m.m. è auspicata all’interno della scolarizzazione di base e come aspetto di​​ ​​ educazione permanente, di educazione delle comunità e dell’opinione pubblica. Per questi aspetti si rimanda in particolare alla voce​​ ​​ educazione ai media.

Bibliografia

Farrar R. T.,​​ M. communication: an introduction to the field,​​ New York, West Publishing Company, 1988; Gerbner G.,​​ International encyclopedia of communications,​​ New York, Oxford University Press, 1988; Hiebert R. E. - D. F. Ungurait - T. W. Bohn,​​ M.m.​​ V,​​ New York, Longman, 1988; Mc-Quail D.,​​ Le comunicazioni di massa,​​ Bologna, Il Mulino, 1993; Rondolino G.,​​ Storia del cinema,​​ Torino, UTET,​​ 31995; Wang G. - J. Servaes,​​ The new communications landscape: demystifying media globalization, Oxford (UK), Routledge, 2000;​​ Baran S. J. - S. Baran,​​ Introduction to m. communication: media literacy and culture, Mountain View (CA), Mayfield, 2001.

T. Purayidathil




MASSONERIA

 

MASSONERIA

L’opera realizzata dalla m. in campo educativo è poco nota. Nella sua tappa medioevale, denominata​​ operativa,​​ la m. diede prova della sua specifica vocazione educatrice. Così la corporazione di costruttori o massoni, analogamente ad altre corporazioni impartì l’istruzione tecnica propria del mestiere. I massoni​​ operativi​​ si preoccuparono pure della formazione morale degli​​ apprendisti​​ e dei​​ compagni​​ attraverso un particolare insegnamento esoterico, che cominciava con delle enigmatiche cerimonie d’iniziazione nel momento della ammissione degli apprendisti. Servendosi di un supporto rituale proprio, nelle logge medioevali si infuse una spiritualità di radice cattolica e si trasmisero le chiavi simboliche dei distinti elementi architettonici.

1. Con la fondazione della Grande Loggia di Londra nel 1717, la m., che aveva sperimentato una forte evoluzione nel sec. XVII, cominciò la sua tappa contemporanea o​​ speculativa.​​ Lungo la medesima, i massoni abbandonarono l’aspetto professionale e centrarono le loro mete educative esclusivamente sugli aspetti intellettuali e morali. I principi ideologici generali sui quali fondarono la formazione furono enunciati schematicamente nelle Costituzioni di Anderson del 1723, carta magna della m. contemporanea. Questi furono, fondamentalmente, il neutralismo religioso, politico e filosofico come fondamento dell’unità istituzionale, il rispetto scrupoloso delle credenze individuali, il filantropismo, l’armonicismo sociale e l’universalismo. Tali principi furono interpretati e sviluppati filosoficamente, tra gli altri, negli scritti massonici di Lessing, Herder, Göthe, Fichte e Krause.

2. Muovendo dai postulati andersoniani e dai lavori degli autori citati, la m. si collocò su una terza via educativa, caratterizzata dal fatto di situare l’educazione fuori delle tradizioni stataliste e confessionali. Una terza via educativa che, formulata con precisione da​​ ​​ Comenio, Basedow,​​ ​​ Pestalozzi,​​ ​​ Fröbel e da altri pedagogisti vicini alla sensibilità massonica, o loro stessi massoni, richiedeva una educazione integrale, indipendente, universalista, tollerante e filantropica. Tuttavia, dalla seconda metà del sec. XIX, molte sezioni massoniche europee e latino-americane reagirono violentemente contro le condanne della Chiesa Cattolica, e, influenzate dal positivismo allora in auge, si rifugiarono in posizioni razionalistiche, agnostiche e, non poche volte, anticlericali e antireligiose, passando a difendere un laicismo educativo radicalmente razionalista e, in fondo, intollerante.

3. Le logge speculative mantennero per i loro affiliati l’insegnamento esoterico ereditato dalle corporazioni medievali, arricchendo i riti e i simboli tradizionali con altri nuovi presi da leggende cavalleresche, ermetistiche, rosacrociane ecc. Ma fondarono anche numerose istituzioni docenti, sostenute dal loro sforzo o con la collaborazione di altre organizzazioni affini, per trasmettere alla società profana i valori che difendevano nelle loro riunioni interne. Tra queste istituzioni, si distinsero l’Università Libera di Bruxelles, le Leghe dell’Insegnamento belga, francese e italiana, l’Associazione Nazionale Italiana per l’Istruzione e l’Educazione Popolare, e un grande numero di piccole scuole che ordinariamente ebbero vita breve. Bisogna sottolineare anche che lo​​ ​​ Scautismo venne a istituzionalizzare le idee pedagogico-massoniche del suo fondatore, il fratello Baden Powell.

Bibliografia

Tomasi T.,​​ M. e scuola dall’Unità ai nostri giorni,​​ Firenze, Vallecchi, 1980; Bartier J.,​​ Laïcité et Franc-Maçonnerie,​​ Bruxelles, Université de Bruxelles, 1981;​​ Álvarez P. et al.,​​ Monografía: Masonería​​ y​​ educación en la historia,​​ in «Historia de la Educación. Revista Interuniversitaria» (1990) 7-182; 277-323; Id.,​​ La masonería como escuela de formación del hombre,​​ Madrid, Universidad Comillas, 1996; Álvarez P. F.,​​ La masonería, escuela de formación del ciudadano: la educación interna de los masones españoles en el último tercio del siglo XIX, Madrid, Universidad Pontificia Comillas, 2005.

P. Álvarez




MASTERY LEARNING

 

MASTERY LEARNING

L’espressione ingl.​​ m.l.​​ o​​ l.​​ for m.​​ viene usata ormai a livello mondiale e corrisponde al significato di apprendimento per la padronanza (pédagogie de la maîtrise,​​ Zielerreichendes Lernen,​​ Aprendizaje para el dominio).

1. Il m.l. è una strategia dell’organizzazione / realizzazione / verifica del processo didattico utilizzabile nelle ordinarie situazioni didattiche di classe, volta a far pervenire tutti gli alunni alla padronanza (m.) intesa come acquisizione di obiettivi (conoscenze e abilità) previsti dal​​ ​​ curricolo. A tale scopo è necessario definire chiaramente le unità didattiche, indicative di obiettivi, contenuti, metodi e mezzi, assicurare i prerequisiti, servirsi della​​ ​​ valutazione cosiddetta «formativa» per individuare tempestivamente carenze, difficoltà, lacune, errori di apprendimento dei singoli alunni al fine di disporre le corrispondenti strategie didattiche (procedure e mezzi integrativi e correttivi). Da questo punto di vista la procedura del m.l. può essere applicata in vari modi anche indipendentemente dalla teoria particolare degli esponenti di tale strategia, ossia J. B. Carroll (1963), B. S. Bloom (1971) e J. H. Block (1978).​​ 

2. La strategia si basa su un preciso riferimento teorico enunciato da Carroll il quale sostiene che: a) l’apprendimento scolastico dev’essere gratificante, positivo; b) la maggioranza degli studenti (90%) può apprendere purché l’istruzione sia di buona qualità (buona strutturazione logica delle sequenze; passaggio per​​ m.;​​ conoscenza degli obiettivi) e purché si rispetti il ritmo, ossia si conceda il tempo necessario ad ognuno. Egli introduce quindi un concetto particolare di attitudine, basato sul fattore tempo e rifiuta il ricorso alla curva normale per la distribuzione dei risultati del rendimento scolastico.

3. Al di là della teoria, di stampo behaviorista, che sottende a questa strategia, e dell’uso prevalente dei tests come strumenti di verifica, il m.l. ha influito molto sul rinnovamento della didattica, soprattutto sul discorso della programmazione e della valutazione con tutto ciò che queste operatività comportano, ossia circa la necessità di precisare gli obiettivi, di motivare gli alunni, di diagnosticare le difficoltà e fornire i rimedi (materiali didattici per ripassi ed esercizi) appropriati a ciascuno, di controllare costantemente il progresso degli studenti (valutazione formativa). In questo senso il m.l. può essere considerato anche come una delle migliori tecniche dell’individualizzazione didattica.

Bibliografia

Block J. H.,​​ M.L.: theory and practice,​​ New York, Holt, Rinehart & Winston,​​ 1971; Block J. H. - L. W. Anderson,​​ M.L. in classe,​​ Torino, Loescher, 1978.

H.-C. A. Chang




MATRIMONIO

 

MATRIMONIO​​ 

Nella sua prospettiva globale il m. viene generalmente considerato sia come​​ istituzione​​ che come​​ processo.

1.​​ Il m. in quanto istituzione.​​ Rappresenta quell’atto con cui viene legittimata l’unione coniugale permanente di due partner di sesso diverso, celebrata da un’autorità rappresentativa dell’organizzazione sociale dei due soggetti che lo contraggono, la quale convalida la reciproca volontà delle parti e attribuisce a ciascuno dei due coniugi uno status (quello matrimoniale) e dei ruoli precisi. Tale atto si formalizza e si esprime visibilmente in un rito (civile o religioso) a seconda del tipo di autorità (civile o religiosa) davanti alla quale esso viene celebrato. È un atto che si completa nel momento stesso in cui si svolge senza la necessità di un perfezionamento successivo. Esso produce degli​​ effetti​​ concreti che sono determinati in base agli ordinamenti legislativi dei singoli Paesi. Il m. quindi costituisce la base giuridica della​​ ​​ famiglia dando fondamento istituzionale (sociale e visibile) ad un sistema di relazioni (familiari) da cui derivano diritti e doveri sia rispetto ai singoli che lo contraggono, sia rispetto alla società che lo ratifica. In particolare esso regola le relazioni dei coniugi, il dovere di tutela dei figli e il processo della successione ereditaria. Tali prerogative richiedono perciò che le unioni siano durature, stabili e fondate su un contratto di sostegno reciproco. Non si tratta quindi di un affare semplicemente privato o individuale, ma sociale e di gruppo. Il m. quindi si è venuto configurando come il fondamento dell’istituzione sociale sia per l’esigenza reclamata dell’esogamia in ordine alla costruzione della società, sia per il divieto dell’incesto, sia per la suddivisione dei ruoli. Si capisce allora perché il m. non possa essere abbandonato al caso e perché la scelta del coniuge sia oggetto di norme precise. Ciò era abbastanza pacifico nelle società semplici e tradizionali, dove la «soggettività» era sacrificata alla «coscienza collettiva» e al controllo sociale. Nell’attuale società complessa, invece la scelta del coniuge e la formazione della coppia stanno sempre più diventando interessi di ordine privato, mentre si viene ponendo in secondo ordine tutto ciò che è struttura e istituzione.

2.​​ Il​​ m. come processo.​​ In questa prospettiva viene considerato come una​​ relazione sociale particolare,​​ dove l’enfasi cade sulla formazione, stabilizzazione, qualità e durata della relazione e sui cambiamenti che avvengono lungo il ciclo della vita familiare. Fattori strutturanti diventano allora lo sviluppo della comunicazione, la distribuzione del potere nella coppia e l’organizzazione degli stili di vita, i modelli di decisione, i processi di apprendimento dei ruoli coniugali, la distribuzione del tempo familiare anche in rapporto al lavoro extradomestico della​​ ​​ donna. La capacità di esprimere adeguatamente i propri sentimenti, pensieri, emozioni, diventa la misura del grado di intimità nella coppia e della frustrazione conseguente nel caso in cui le attese non vengono soddisfatte. Così quando la qualità della comunicazione è buona, altrettanto lo è la soddisfazione coniugale e la felicità della coppia. Ma quando quella incomincia ad incrinarsi, anche questa ne risente e rischia di deteriorarsi. Ciò costituisce un elemento cruciale della vita di famiglia oggi più ancora che in passato, proprio perché le attese e le domande rivolte al m. sono diventate più esigenti e per ciò stesso meno facilmente realizzabili senza un impegno reciproco di educazione alla vita di famiglia. Ieri ci si aspettava di «fare un buon m.», oggi ci si attende soprattutto un «m. felice». Ciò però predispone ad un più facile accumulo di frustrazioni e quindi a una maggior fragilità della relazione, a un aumento delle patologie coniugali che portano a tassi crescenti di separazioni e di​​ ​​ divorzi, alla diffusione delle unioni libere e di forme di vita di coppia alternative al m. Il trionfo soggettivistico e privatistico dell’amore romantico, se da una parte costituisce il fondamento della coppia, dall’altra non può prescindere da un necessario supporto istituzionale proprio del m., che molto spesso aiuta a risolvere situazioni facilmente dissolvitrici.

3.​​ Le trasformazioni dei comportamenti matrimoniali.​​ Rispetto al passato, in Italia si assiste oggi ad un forte calo dei m.: dall’inizio del secolo infatti quando il tasso di nuzialità era del 7.7 per mille, arrivando anche all’8.2 nel 1963, si è giunti al 6.7 del 1975, al 5.8 del 1978, al 5.3 del 1992, al 4.7 del 2002 e al 4.3 del 2005, anno in cui sono stati celebrati poco più di 250mila m. Rimane stabile infatti dal 2004 al 2005 il numero di m., che passa da 250.764 del 2004 (anno in cui si era raggiunto il minimo storico) a 250.968 del 2005. Continuano invece a diminuire i m. celebrati con rito religioso che scendono a 169.638, il 67,6% del totale (erano il 68,8% nel 2004), mentre quelli con rito civile salgono a 81.330, il 32,4% del totale (erano il 31,2% nel 2004). Prende piede inoltre il fenomeno delle​​ convivenze​​ prematrimoniali, come unioni flessibili, fasi di ingresso e di prova per la vita coniugale. Maggiore precocità dei rapporti sessuali, ritardo nei tempi di accesso al primo impiego stabile, indisponibilità degli alloggi, ingresso più frequente delle donne nel mercato del lavoro, facilitazioni per una più prolungata permanenza nella famiglia di origine, sono alcuni fattori, espressione del cambiamento del clima socio-culturale che sta trasformando i tradizionali modelli di nuzialità.​​ Tale evoluzione​​ si è accompagnata a modificazioni anche dell’età al primo m., che ha registrato a partire dagli anni ’60 e fino ai primi anni ’70 una rapida anticipazione. Se tra il 1960 e il 1975 l’età media si riduce di 1,4 anni per i maschi (da 28.6 a 27.2) e di 0,8 anni per le femmine (da 24.8 a 24), ma successivamente, a partire dagli anni ’80, si registra una posticipazione dell’età al m., che passa tra il 1981 e il 1991 da 24.1 a 25.9 anni per le donne e da 27.3 a 28.7 per gli uomini, fino al 2005, quando l’età media dello sposo è attorno ai 32 anni e delle spose a poco meno di 30 anni. Anche la differenza di età degli sposi alle nozze subisce una lenta e progressiva diminuzione da 3.8 anni del 1960 a 2.8 nel 1991 e a 2.9 del 1998. Tali trasformazioni si riflettono anche sui cambiamenti nel​​ modello procreativo.​​ L’evoluzione della natalità, che dal tasso del 27.7 per mille del 1926 è passato al 23 per mille del 1946, al 19.7 del 1964, al 9.7 del 1986, al 9.4 del 2002, ha visto la progressiva posticipazione della maternità ad un’età media per la donna al primo parto di 30.4 anni.

4.​​ Verso una nuova cultura del m.​​ L’esaltazione del principio dell’individualizzazione, dell’autorealizzazione e del privatismo nella rappresentazione sociale del m. non ne facilita l’immagine di istituzione sociale, soprattutto nelle giovani generazioni. Lo stesso ritorno alle radici e «ritorno alla famiglia», da più parti osservato e richiesto, ha bisogno di un’azione educativa e promozionale per rafforzare la coscienza del valore sociale del m. e della sua rilevanza pubblica, sociale e politica. Tutto ciò costituisce infatti una piattaforma di base assai importante per una ormai necessaria ed indilazionabile educazione dei giovani alla famiglia e al m.

Bibliografia

Galli N.,​​ Educazione dei giovani alla vita matrimoniale e familiare,​​ Milano, Vita e Pensiero, 1993; Rossi G. (Ed.),​​ Lezioni di sociologia della famiglia, Roma, Carocci, 2001; Osservatorio Nazionale sulle Famiglie e le​​ politiche Locali (Ed.),​​ Famiglie: mutamenti e politiche sociali, vol. 1, Bologna, Il Mulino, 2002; Barbagli M. et al.,​​ Fare famiglia in Italia, Ibid., 2003; Rossi G. (Ed.),​​ La famiglia in Europa, Roma, Carocci, 2003; Donati P. P.,​​ Manuale di sociologia della famiglia, Roma / Bari, Laterza, 2006; Istat,​​ Il m. in Italia: un’istituzione in mutamento. Anni 2004-2005, Roma, ISTAT, on-line, 12.02.2007; Id.,​​ Indagini multiscopo sulle famiglie (2000-2007), voll. vari pubblicati nel periodo, Roma, ISTAT, 2000-2007; Id.,​​ Rapporti annuali sulla situazione del Paese (2000-2007), voll. annuali pubblicati nel periodo, Ibid., 2000-2007.

R. Mion




MATURITÀ

 

MATURITÀ

Il termine m. si presenta con una varietà di significati (dal suggestivo etimo celtico​​ ma,​​ che sta ad indicare il passaggio dalle tenebre alla luce o il raggiungimento della pienezza del frutto acerbo). In termini generali essa sta per: a) le competenze che costituiscono la meta, vertice e compimento insieme, dello sviluppo di un organismo; b) le competenze adeguate per affrontare una determinata situazione, l’«essere-pronti-per»; c) nel senso comune, leggermente in disuso, l’età intermedia tra la giovinezza e la vecchiaia, considerata come il periodo più pieno e fruttuoso della vita. Il termine descrive, in ultima analisi, il livello più alto e completo di funzionalità di un organismo, come vertice della sua evoluzione o come compito specifico. Implicito nel termine è il riferimento al processo autonomo di maturazione che avviene in ogni organismo attraverso il progressivo evolversi, sotto la spinta di fattori interni e ambientali, verso livelli sempre più complessi e stabilizzati di differenziazione e di integrazione. Si parla di m. fisica, mentale, affettiva, sociale, morale, civile, personale, religiosa e così via. Si può intendere comunque la m. anche a livello globale, come m. umana che nasce dall’interazione dei differenti livelli di m. Nel presente contributo ci si soffermerà sulla m. psicologica, poiché essa costituisce un punto cardine nella costruzione e nella integrazione della m. globale. Tuttavia anche tale approccio richiede si sia attenti alla «antropologia latente», e alle questioni epistemologiche ad esso soggiacenti.

1.​​ L’evoluzione storica del concetto.​​ Da poco più di un secolo il concetto di m. è oggetto privilegiato di ricerca da parte della psicologia sperimentale e clinica. Questa infatti non può prescindere dall’assunzione di un modello di sanità e di m. (sebbene i due termini, spesso usati come sinonimi, non siano equivalenti, poiché la m. fa riferimento in modo univoco alla «pienezza di salute» e ha come alternativa l’immaturità, che può anche non essere patologica). S.​​ ​​ Freud fa implicitamente coincidere la m. con la capacità del soggetto di fare luce su di sé con coraggio ed estrema onestà permettendo all’Io​​ un indispensabile controllo delle componenti pulsionali della vita psichica. Si opera, così, una mediazione tra le esigenze dell’Es​​ e le istanze del​​ Super-Io.​​ Maturazione come passaggio dal principio di piacere al principio di realtà ed, in ultima analisi, capacità di​​ lieben und arbeiten​​ (amare e lavorare). Negli anni ’50, a livello sociale e culturale, avviene il decisivo cambiamento di orizzonte antropologico dall’ideale di un uomo adattato in modo «non repressivo», all’uomo «autorealizzato». Si tratta, nei termini di Kohut, del passaggio dall’uomo «colpevole» (guilty man)​​ della​​ ​​ psicoanalisi, all’uomo «tragico» (tragic man)​​ che lotta per la realizzazione di se stesso. Dopo gli anni ’50, in consonanza con una prospettiva di uomo non deterministico, si approda a indicazioni «positive» circa la m. umana.​​ ​​ Allport (1968) caratterizza la personalità matura per i seguenti criteri: a)​​ l’estensione dell’io:​​ capacità di dedicarsi a una grande varietà di interessi, e di progettarli nel futuro; b)​​ l’oggettivazione dell’io:​​ capacità di valutazione realistica di sé e degli altri con un senso di umorismo sui limiti propri e altrui; c)​​ una filosofia di vita​​ che crei unità e impegno responsabile nell’azione; d) la capacità di​​ un caldo e profondo rapporto​​ con se stessi e con gli altri; e)​​ la competenza​​ nelle abilità realistiche nella soluzione dei problemi concreti della vita; f) un senso di​​ compassione​​ nei riguardi della condizione umana, in ogni sua espressione individuale e comunitaria. M. Jahoda (1958) individua sei criteri indispensabili per esaminare la funzionalità psichica: 1)​​ gli atteggiamenti positivi​​ verso il Sé; 2)​​ la crescita,​​ lo sviluppo​​ e​​ l’autorealizzazione:​​ 3)​​ l’integrazione;​​ 4)​​ l’autonomia;​​ 5)​​ la percezione​​ della realtà; 6)​​ la padronanza​​ (mastery) dell’ambiente. A sua volta​​ ​​ Maslow (1982), uno dei fondatori del Movimento per lo Sviluppo del Potenziale Umano, propone ben sedici criteri di m., in cui sono rilevabili alcune idee-guida: capacità di percepire la realtà in maniera accurata e di accettarla; capacità di​​ privacy​​ e di inventiva; spontaneità, genuinità, creatività e non conformismo nel vedere e valutare le cose; capacità di amicizie valide; capacità di rapporti democratici; senso dell’umorismo e tolleranza; capacità di conciliare gli opposti. Decisivi si rivelano soprattutto gli apporti di​​ ​​ Rogers, di​​ ​​ Frankl e della terapia della​​ ​​ Gestalt. La m. secondo Rogers (1970), è definita come la capacità del soggetto di avere «potere personale». Ciò implica, allo stesso modo che per Freud, la conoscenza autentica di se stessi, ritenuta possibile però da Rogers anche mettendo tra parentesi l’inconscio, grazie ad un clima relazionale non valutativo, di fiducia, di accettazione e di stima positiva reciproca. Nel drammatico contesto dei campi di concentramento nazisti nasce invece la​​ ​​ Logoterapia di Frankl (1977). La terapia della Gestalt presenta la m. come un processo funzionale nel quale il sistema sensorio (consapevolezza della direzione verso cui l’organismo intende muoversi) agisce in intima connessione con il sistema motorio (energia e capacità di portare a compimento l’intenzionalità dell’organismo). A livello relazionale, la terapia della Gestalt descrive la m. della persona come capacità di contatto. Il benessere o il malessere derivano dalla qualità delle relazioni che la persona instaura con l’ambiente (Perls-Goodman, 1971). Comincia inoltre ad apparire centrale nella comprensione della persona, della sua m. come anche della sua eventuale patologia, la prospettiva evolutiva. Non solo si pensa la m. come un compito dello sviluppo e l’autonomia personale come punto di arrivo dello sviluppo infantile (Salonia, 1989), ma, soprattutto con​​ ​​ Erikson, si vede la m. come processo coestensivo all’esistenza e si parla di m. diverse proprie di ogni età della vita.

2.​​ Dagli anni​​ 70 alla fine degli anni​​ 80: il principio reciprocità e la società complessa.​​ Negli anni ’70 l’interesse per l’incontro interpersonale come espressione dell’apertura dell’uomo che si autorealizza, si trasforma in quello che possiamo chiamare il principio reciprocità. La relazione supera la prospettiva della «feeling expression» e delle caratteristiche di congruenza ed empatia (Franta-Salonia, 1979) per diventare, in un significativo cambiamento di paradigma, chiave di lettura della realtà. Si pensi ai fondamentali lavori di G. Bateson (1976) e agli sviluppi della Terapia della Gestalt. Si può dire che dalla pubblicazione del testo​​ Pragmatica della comunicazione umana​​ (Watzlawick-Beavin-Jackson, 1971) in poi, la lettura sistemica diventa fattore indispensabile di ogni competenza relazionale: la m. è interpretata all’interno del sistema in cui il soggetto si trova inserito (come il tutto che dà significato alla parte), con la relativa accentuazione della competenza relazionale e comunicativa, e la progressiva sottolineatura della dimensione «ecologica» della m. stessa, vista quale capacità di sentirsi inseriti in totalità tanto ampie da includere perfino la terra ed ogni forma di habitat umano. L’uomo si scopre immerso in una complessità irriducibile che lo costringe a mutare punto di vista sul proprio organismo come sul mondo in cui vive, né l’uno né l’altro comprensibili ormai con spiegazioni lineari e monocasuali, ma leggibili solo con strumenti nuovi, capaci di cogliere la circolarità e l’intreccio tra (e dentro) i sottosistemi ad ogni livello e «tarati» sulle inevitabilità del caos e del disordine, secondo il principio dell’order from noise.​​ L’impossibilità di una osservazione «neutra» ed «oggettiva» all’interno di un sistema complesso, riapre in maniera radicalmente nuova la questione della «conoscenza della conoscenza» rendendo problematica, nel nostro caso, ogni definizione di m. che non espliciti i propri presupposti epistemologici.

3.​​ Le prospettive attuali.​​ Oggi una rinnovata riflessione sulla m. deve tener conto della diffusa «frantumazione sociale» come anche della fine delle grandi appartenenze, scaturita dai mutamenti epocali dell’89, ed è altresì chiamata a misurarsi con il senso di frammentazione del soggetto che non si percepisce integro e coerente e non può porsi quale effettivo interlocutore della complessità e della inestricabilità quotidiana dei messaggi. In una cultura assolutamente restia a tracciare parametri valutativi, la m. si va configurando come apertura della persona alle potenzialità germinali del proprio esserci, nell’abbandono netto di modelli antropologici forti e di ogni cultura dell’eroe, per ritrovare la freschezza e la preziosità di ogni esistenza, pur fragile, debole e ferita.

3.1.​​ L’orizzonte dell’interiorità creativa.​​ In una società frantumata, il primo itinerario di maturazione mira al senso dell’integrità personale. La m. è qui anzitutto capacità di contatto con se stesso, disponibilità ad interrogarsi in una mai conclusa conoscenza della propria interiorità, integrazione dei propri bisogni con le proprie intenzionalità e potenzialità, per potersi sentire soggetti attivi, nei propri contesti vitali, capaci di cambiare i vincoli in risorse, grazie ad una aggressività vissuta anzitutto come discernimento critico dei messaggi e positiva forza assertiva, e grazie ad una esperienza integrata della propria immagine corporea («corpo vissuto») non più asservito alla riduzione visiva del «corpo immagine». Tale ritrovamento di sé dentro la frantumazione, ridà forza per sostenere la difficile colpa della separazione e riapre il soggetto alla creatività del gioco​​ ​​ come esplorazione di competenze e relazioni in una dimensione di spontaneità e di leggerezza​​ ​​ e alla forza unificatrice del raccontare, capacità che dà senso alla molteplicità degli eventi.

3.2.​​ L’orizzonte della condivisione.​​ In una società pluricentrica, in cui la struttura gerarchica è sostituita da quella a rete, diventa necessario apprendere nuove modalità paritarie per ricostruire il «noi», come luogo in cui «consegnare» la propria autonomia. Compito drammatico della m. è oggi riapprendere le regole della relazione, scorgendo l’autenticazione dell’unicità soggettiva, nel riconoscimento pieno del valore dell’altro proprio perché differente. Si profila un​​ ethos​​ della parità, che richiede il superamento incessante delle ricadute nella dipendenza e nella controdipendenza (delega, invidia, gelosia, accusa: «il mondo delle chiacchiere») e il congedo coraggioso dalle evasioni narcisistiche nella eccezionalità personale o di gruppo. Il riconoscimento è terreno di lotta (Gadamer, 1983): esso non è possibile effettivamente senza il rischio del conflitto, in cui vengono espresse sino in fondo le reciproche modalità di esistenza e di resistenza (paura / desiderio di invadere e di essere invasi) e le differenze reciproche emergono con la massima intensità, consentendo così la realizzazione di una situazione nuova e nutriente per i soggetti in gioco (Gadamer, 1983; Perls-Goodman, 1971). In tale prospettiva l’amicizia diventa luogo di apprendimento della effettiva compagnia; la relazione amorosa si fa momento di strutturazione dell’esistenza, in un’intimità affettiva e corporea radicalmente collocata dentro l’orizzonte della fedeltà a se stessi e all’altro; il lavoro diventa ambito di collaborazione e di competenza.

3.3.​​ L’orizzonte della responsabilità.​​ In una società sottoposta al rischio dell’individualismo esasperato, percorsi della m. passano attraverso il sentirsi responsabili dell’altro, come capacità di «prendersi cura»: prendersi cura di chi cresce (abbandonando le scorciatoie distruttive del dominio e del convincimento unidirezionale, per lo sviluppo di una educazione propositiva incentrata sul confronto e sull’obiezione); prendersi cura degli ultimi, di coloro che pur abitando la casa comune non usufruiscono degli stessi diritti e delle stesse possibilità degli altri. Si accede alla m. del tempo postmoderno quando ci si sente custodi responsabili anche del fragile, del caduco in quanto tale e dell’umanità futura. Naturalmente gli orizzonti delineati, mentre tentano di indicare le strade della m. percorribili in un presente vario e difficile, presuppongono continuamente un ritrovato senso del limite e del confronto aspro e liberante con le assurdità dell’esistenza. L’interrogativo duro che ad ogni ipotesi di m. viene dalla violenza, dalla guerra come anche dal dolore dei singoli e dalla morte, non può essere eluso: essere maturi significa prima di tutto imparare a cercare un significato umano e una possibilità di crescita anche nel massimo dell’orrore e dello smarrimento, nel tempo della speranza oltraggiata e del terribile silenzio di Dio, non più da eroi, ma da uomini che si fanno carico umilmente della propria debolezza e di quella degli altri. La definizione della m. è costretta a rimanere un​​ work in progress,​​ una domanda aperta per ogni diversa sensibilità culturale.​​ Wege,​​ nicht Werke​​ (sentieri, non opere), direbbe Heidegger, perché nella m. non conviene forse parlare di definizioni o di parametri, ma di sentieri aperti.

Bibliografia

Allport G. W.,​​ Psicologia della personalità,​​ Zürich, PAS-Verlag, 1968; Perls F. - R. Hefferline - P. Goodman,​​ Teoria e pratica della terapia della Gestalt,​​ Roma, Astrolabio, 1971; Bateson G.,​​ Verso un’ecologia della mente,​​ Milano, Adelphi, 1976; Franta H. - G. Salonia,​​ Comunicazione interpersonale,​​ Roma, LAS, 1979; Minuchin S.,​​ Famiglie psicosomatiche,​​ Roma, Astrolabio, 1980; Maslow A. H.,​​ Motivazione e personalità,​​ Roma, Armando, 1982; Gadamer H.,​​ Verità e metodo,​​ Milano, Bompiani, 1983; Freud S.,​​ Il disagio della civiltà,​​ X, Torino, Bollati Boringhieri, 1989, 553-563; Salonia G.,​​ Dal Noi all’Io-Tu: contributo per una teoria evolutiva del contatto,​​ in «Quaderni di Gestalt» 8 / 9 (1989) 45-54; Hillesum E.,​​ Diario,​​ Roma, Adelphi, 1990.

G. Salonia




MAZZARELLO Maria Domenica

 

MAZZARELLO Maria Domenica

n. a Mornese (AL) nel 1837 - m. a Nizza Monferrato (AT) nel 1881, educatrice italiana, confondatrice con don​​ ​​ Bosco dell’Istituto delle Figlie​​ ​​ di Maria Ausiliatrice.

1. Nata e vissuta in ambiente rurale di sane tradizioni religiose popolari, ma aperta e sensibile alla situazione femminile del suo tempo, M. si propone come un’educatrice attenta e sollecita, con un proprio stile, in sintonia profonda con il​​ ​​ sistema preventivo di don Bosco. L’incontro decisivo della giovane mornesina con il Santo (1864) orientò, infatti, un cammino di ricerca e di realizzazione della missione educativa da lei già iniziato. Membro attivo di un’associazione femminile laicale (Figlie di Maria SS. Immacolata) aperta ad una missione apostolica caritativa ad ampio raggio, M. ricercò e scoprì la sua vocazione educativa lasciando il lavoro dei campi per rivolgersi alle ragazze di Mornese. Cogliendone, infatti, la necessità di aiuto ed accompagnamento graduale e completo, iniziò con alcune compagne (1863) un laboratorio di cucito, quindi un piccolo internato (1864) che si trasformò in una casa-famiglia (1867). Don Bosco orientò, tramite don D. Pestarino, il piccolo gruppo che aveva colto sensibile e in sintonia con la sua proposta educativa: e con un susseguirsi di alterne vicende giunse alla fondazione in Mornese dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, religiose che nel nome di Maria si dedicarono all’educazione delle giovani «specie le più povere ed abbandonate» (1872). M. guidò con sapienza e con l’esempio di vita i primi passi dell’istituto nella realizzazione di un progetto di vita religiosa che fa dell’educazione delle giovani una via di santità (1872-1881). Il collegio di Mornese ebbe poi la sua espansione a Nizza Monferrato (1879), quindi, ancora vivente M. a S. Cyr (Francia) (1877), in Uruguay (1878), in Argentina (1879): denominatore comune la preoccupazione formativa delle ragazze, attraverso lo studio, il lavoro, la vita di preghiera, la serena e familiare convivenza.

2. Intuitiva ed aperta, M. riuscì a creare un ambiente educativo pervaso di semplicità e di spontaneità, ma contemporaneamente impregnato di serietà, di impegno culturale, di chiarezza di mete alla luce dei valori evangelici. Chiarezza di interventi, convergenza nelle mete e nei mezzi, concretezza nelle proposte: un progetto educativo condiviso dalle prime educatrici alla scuola della parola e della vita della madre. M. si rivelò capace di proporre il raggiungimento di una identità femminile atta ad affrontare con serietà la vita e con competenza la società, fondandosi, secondo la visione cristiana della vita a cui era stata formata, su un’armonica fusione di valori evangelici assimilati ed armonizzati con quelli umani. Nelle sue poche e preziose lettere troviamo indicati i suoi principi di vita, espressi con sano realismo (la brevità e la preziosità dell’esistenza!) e quell’attenzione alla persona, quel «prendersi cura» dell’altro che caratterizzava la sua vita. Bontà, delicatezza di tratto, ma fermezza e chiarezza nell’agire; ambiente sereno ed operoso; collaborazione e corresponsabilità fra educatori, e fra e con gli educandi; intesa serena con le famiglie; ricerca di modalità adatte secondo tempi e luoghi: tratti che ancora oggi caratterizzano l’azione educativa delle Figlie di Maria Ausiliatrice in fedeltà alle origini, ma aperte alle esigenze dell’oggi.

Bibliografia

Posada M. E (Ed.),​​ Attuale perché vera. Contributi su S.M.D.M.,​​ Roma, LAS, 1987; Cavaglià P., «Linee dello stile educativo di M.M. L’arte del “prendersi cura” con saggezza e amore», in P. Cavaglià - P. Del Core,​​ Un progetto di vita per l’educazione della donna. Contributi​​ sull’identità educativa delle FMA,​​ Ibid., 1994, 131-162; Cavaglià P. - A. Costa (Edd.),​​ Orme di vita tracce di futuro. Fonti e testimonianze sulla prima comunità delle FMA (1870-1881), Ibid., 1996; Posada M. E. - A. Costa - P. Cavaglià,​​ La sapienza della vita. Lettere di M.D.M., Roma, Istituto FMA, 2004; Fernández A. M.,​​ Le lettere di M.D.M. Testimoni di una mediazione carismatica,​​ Roma, LAS, 2006.

A. Deleidi