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MACCHINE PER INSEGNARE

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MACCHINE PER INSEGNARE

L’introduzione di un mezzo meccanico o elettromeccanico per imparare non è una novità del nostro tempo. Il termine m.p.i. però risale a questo secolo ed è legato agli studi sull’​​ ​​ istruzione programmata per potenziare l’istruzione automatizzata. Attualmente ha un significato più articolato di quello iniziale espresso da Pressey e​​ ​​ Skinner dove veniva accentuato maggiormente la «m.» e meno il «programma» che rende la m. interessante. L’insieme delle funzioni necessarie per insegnare può essere compiuto in vari modi attraverso un rapporto diretto con l’insegnante o mediato attraverso altri materiali e m. Anche se oggi con i sistemi computerizzati la m.p.i. ha perso la sua importanza primitiva ha ancora una certa significatività soprattutto dove si hanno situazioni particolari di insegnamento dovute a casi di soggetti in difficoltà per motivi diversi determinati da forme più o meno gravi di​​ ​​ handicap. Potremmo definire la m.p.i. come​​ un meccanismo d’istruzione usato per produrre cambiamenti sistematici nel comportamento di uno studente.​​ Essa è strutturata in modo che possa adempiere ad un insieme di funzioni utili ai fini dell’​​ ​​ apprendimento di una persona. Naturalmente le m.p.i. devono avere un programma di insegnamento ben strutturato nei più piccoli dettagli e devono prevedere un minimo di interazione con chi le sta utilizzando, diversamente risultano demotivanti e in fondo poco utili.

Bibliografia

Calvani A.,​​ Manuale di tecnologie dell’educazione, Pisa, ETS, 1999; Id.,​​ Che cos’è la tecnologia dell’educazione, Roma, Carocci, 2004.

N. Zanni​​ 




MAESTRE PIE

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MAESTRE PIE

Dall’età postridentina fino alla seconda metà dell’Ottocento questa espressione è stata usata «genericamente» per indicare delle donne che, individualmente o unite in comunità, senza professare voti, si sono dedicate all’insegnamento del catechismo, all’educazione delle fanciulle e delle adulte, spesso ispirandosi alle Scuole della Dottrina cristiana.

1. In senso specifico la denominazione di M.P. è propria di alcuni istituti religiosi, anche se essa venne attribuita fin dal 1685 alle giovani che si erano unite a santa Rosa Venerini (1656-1728) costituendo una libera associazione di donne laiche che vivevano da secolari, e non dovevano né volevano essere religiose per essere libere «da altre devozioni», tenendo «in grandissima considerazione il fare scuola gratis alle fanciulle». Successivamente le scuole della Venerini (che all’inizio furono aperte per le bambine povere), in cui si impartiva un insegnamento (individuale e simultaneo) religioso (catechismo, preghiera, orazione mentale), istruttivo (lettura – raramente la scrittura – e far di conto) e operativo (lavori femminili), seguendo fedelmente il metodo stabilito dalla Fondatrice, accolsero tutte le fanciulle «a motivo del maggior bene che ne sarebbe derivato» e le adulte per momenti di conversazione e di preghiera. In seguito al Dec. Pont. 1-2-1933 le M.P. Venerini poterono emettere voti pubblici ed il loro istituto divenne una congregazione religiosa.

2. All’esperienza di S. Rosa Venerini si collega l’origine delle M.P. Filippini di Montefiascone (Dec. Dioc. 1690 e Dec. Pont. 1760), fondate da S. Lucia Filippini (1672-1732)mentre alcuni istituti, la cui azione è rivolta prevalentemente all’educazione femminile, sono sorti successivamente: M.P. Operaie (primo Settecento), M.P. di Sant’Agata (1820), M.P. dell’Addolorata (1893).

Bibliografia

Macchietti S. S.,​​ Rosa Venerini all’origine della scuola popolare femminile,​​ Brescia, La Scuola, 1986; Centro Studi dell’Unione Superiore Maggiori d’Italia,​​ Le religiose in Italia, suppl. n. 40 aprile 2001 di «Consacrazione e Servizio».

S. S. Macchietti




MAESTRO

 

MAESTRO

Il termine m. può avere tre significati: di «caposcuola» o di guida eminente nel campo della cultura o della scienza; di «capo d’arte» nel campo artistico o industriale; di «educatore» e «insegnante» in senso generale, e specificamente di insegnante nella scuola elementare. Le università medievali assegnavano il titolo di​​ Magister​​ a chi avesse completato un corso avanzato nelle varie discipline, soprattutto nelle​​ artes liberales​​ (​​ Medioevo). Oggi, nelle università britanniche e statunitensi rimane il titolo di​​ Master​​ conseguibile al termine di un curricolo avanzato nelle materie liberali (Master of Arts) o nelle materie scientifiche (Master of Science), corrispondente al titolo italiano di Laurea.

1. Sulla personalità e sul ruolo del m. hanno dissertato filosofi medievali di grande risonanza: da Boezio a​​ ​​ Tommaso d’Aquino. La funzione essenzialmente «ministeriale» del m. è stata sottolineata soprattutto da Tommaso, che considerava la funzione magistrale come coadiuvante subordinato all’agente principale, che è la natura del discepolo: un concetto che sarà poi, dopo secoli, ripreso e sviluppato dall’Attivismo moderno con la formulazione del principio della centralità dell’allievo (​​ Scuole Nuove). I costitutivi della professionalità magistrale sono sostanzialmente: 1) funzione di «guida», «animatore», «trascinatore», arricchendosi di doti squisitamente «umane»; 2) doti spirituali, culturali, psicologiche, didattiche; 3) possesso e uso pertinente di tecniche didattiche, destinate a facilitare e a rendere efficace il comunicarsi e il comunicare (​​ insegnante​​ ,​​ ​​ insegnamento).

2. L’idoneità a insegnare educativamente nella scuola primaria (o «scuola di base») richiede un processo previo di selezione e di formazione del m. Selezionare i candidati alla professione magistrale in base a precisi requisiti attitudinali, riducibili ai seguenti: 1)​​ attitudini:​​ fisiche, intellettuali, sociali; 2)​​ disposizioni:​​ affettive, morali, religiose, temperamentali, caratterologiche. L’esame di tali complessi di attitudini e disposizioni deve essere sostanzialmente di ordine diagnostico e prognostico. In molti Paesi, gli Istituti o le Facoltà di preparazione magistrale svolgono sia una funzione selettiva che formativa. La formazione, in particolare, esige un processo di direzione e orientamento di tipo istruttivo e addestrativo (mediante l’insegnamento di nozioni psicologiche, pedagogiche, didattiche; e mediante un tirocinio guidato e controllato). Importante è la valutazione periodica e ben mirata dell’acquisizione di capacità precise di ordine psico-pedagogico e didattico, generale e specifico per le diverse discipline d’insegnamento.

3. Il concetto di m. nella sua formulazione classica ha due significati; uno «possessivo» di​​ ​​ maturità piena della personalità; uno «dativo», di capacità comunicativa dei valori personali. Nel primo senso, l’uomo è​​ magister sui​​ (padrone del suo essere e del suo agire); nel secondo, è​​ magister alterius​​ (guida degli altri per arricchirli). Prima di essere m. degli altri, l’uomo deve essere m. di se stesso. Questa è chiamata tradizionalmente «legge di maestria», illustrata ampiamente dal filosofo dell’educazione Raffaele Resta. Ovviamente, nel m. ben formato si richiede una chiara e operativa conoscenza del testo, dei principi e dello spirito dei programmi ufficiali della scuola primaria. In Italia, i​​ Programmi​​ del 1985 rappresentano una formulazione scientificamente giustificata e storicamente matura delle modalità di attuazione di un curricolo formativo del fanciullo moderno.

Bibliografia

Titone R.,​​ Psicodidattica,​​ Brescia, La Scuola, 1977 / 1986; Postic M.,​​ La relazione educativa. Oltre il rapporto m.-scolaro,​​ Roma, Armando, 1993; Grillo M. R.,​​ Il m.: umanità e saggezza, Ibid., 2003.

R. Titone




MAGISTERO DELLA CHIESA

 

MAGISTERO DELLA CHIESA

In orizzonte cristiano-cattolico, M. sta ad indicare il potere e la pratica che la​​ ​​ Chiesa ha di insegnare e interpretare autorevolmente il messaggio evangelico e la tradizione ecclesiale. Solitamente si distingue un M. ordinario, affidato alla comunità cristiana che adempie tale compito con la​​ ​​ catechesi, la predicazione, le lettere pastorali, ecc.; e un M. straordinario o solenne di cui fanno parte gli insegnamenti del Papa e dei concili ecumenici, tesi a conservare indefettibilmente il patrimonio di fede e a definire aspetti della dottrina cristiana.

1. Sempre presente negli interessi del M.d.C. il tema dell’educazione negli ultimi tempi è stato oggetto di particolare attenzione. Basti ricordare nel sec. scorso quanto si afferma in alcuni tra i documenti più significativi, come l’enc. di Pio XI​​ Divini illius Magistri,​​ il decreto​​ Gravissimum Educationis​​ (GE) del Vaticano II, o il Codice di Diritto Canonico del 1983, che dedica all’argomento un ampio e rinnovato sviluppo rispetto al precedente (can. 793-821). Il motivo di questa dilatata attenzione magisteriale per l’educazione sta sia nell’accresciuta importanza che l’argomento ha avuto nel contesto sociale e culturale odierno sia nella pluralità di visioni pedagogiche oggi presenti, non sempre immediatamente coniugabili con una visione cristiana della​​ ​​ vita e della​​ ​​ persona. La situazione è il risultato di un’evoluzione storica. All’inizio dell’epoca moderna, in continuità con la propria tradizione, la Chiesa cattolica ribadiva in modo inequivocabile la sua competenza in ambito educativo, nella convinzione che non esisteva altra educazione che non fosse stata quella cristiana. Lo possiamo verificare, ad es., nelle autorevoli affermazioni del Concilio Lateranense (1512-1517) e del Tridentino (1545-1563). Nei secoli successivi, tuttavia, si assiste al progressivo affermarsi del pluralismo culturale ed al sorgere della pedagogia come sapere autonomo, a volte non cristiano. Comincia così, per la Chiesa cattolica, un confronto che la porta in più occasioni a reagire per affermare i principi della sua tradizione, in alcuni casi polemicamente, in altri ricercando il dialogo.

2. La posizione più autorevole del M. odierno sull’argomento è espressa nel documento GE del Vaticano II. Tra i punti fermi del documento va registrata la convinzione che «tutti gli uomini di qualunque razza, condizione ed età, in forza della loro dignità di persona, hanno il diritto inalienabile ad una educazione che risponda al proprio fine, convenga alla propria indole, alla differenza di sesso, alla cultura e alle tradizioni del loro Paese, e insieme aperta a una fraterna convivenza con gli altri popoli al fine di garantire la vera unità e la vera pace sulla terra» (GE 1). I primi responsabili dell’educazione sono i genitori, ai quali competono il diritto e il dovere di promuovere lo sviluppo dei figli sotto ogni aspetto: fisico, intellettuale, morale e religioso. Per svolgere il loro compito hanno il diritto di godere delle condizioni necessarie, e di avere a disposizione i mezzi idonei. Compete alla società civile, in particolare allo Stato, non violare questo diritto fondamentale. Anzi, lo Stato, con la ricchezza delle sue strutture educative, è chiamato ad aiutare il compito della famiglia, in virtù della sua funzione sussidiaria ed in forza della giustizia distributiva (cfr. GE 3,2; 6,1; 6,2). A sostegno della responsabilità educativa si pone in modo del tutto particolare la Chiesa. Essa ritiene di dover essere riconosciuta idonea al compito di educare già come società umana; ma ancor più in virtù della sua missione pastorale. La responsabilità educativa della Chiesa, infatti, scaturisce dalla sua missione salvifica e non investe esclusivamente i minori, ma riguarda le loro famiglie, le istituzioni e l’intera società, nella quale è chiamata ad essere segno profetico di valori cristiani ed umani.

Bibliografia

Sinistrero V.,​​ Il​​ Vaticano II e l’educazione,​​ con la dichiarazione su l’educazione cristiana. Genesi,​​ testo,​​ commento,​​ Leumann (TO), Elle Di Ci, 1970;​​ Codice di diritto canonico,​​ 1983, can. 793-821; Giovanni Paolo II,​​ Christifideles laici,​​ 1988, nn. 57-63; Groppo G.,​​ Teologia dell’educazione. Origine identità compiti,​​ Roma, LAS, 1991; Galli N. (Ed.),​​ L’educazione cristiana negli insegnamenti degli ultimi pontefici. Da Pio XI a Giovanni Paolo II, Milano, Vita e Pensiero, 1992; Pont. Cons. Iustitia et Pax,​​ Compendio della dottrina sociale della Chiesa, Città del Vaticano, LEV, 2004.

R. Rezzaghi




MAGISTRALE istituto / scuola

 

MAGISTRALE: istituto / scuola

L’istituto m. (scuola secondaria di durata quadriennale finalizzata alla preparazione degli insegnanti elementari) e la scuola m. (fino al 1933 definita scuola di metodo per l’educazione materna, di durata triennale, per la formazione degli insegnanti della scuola materna) furono entrambi istituiti nell’ambito della riforma scolastica del 1923, rispettivamente previsti dal R.D. 6.05.1923, n. 1054 e dal R.D. 31.12.1923, n. 3106.

1. L’istituto m., inizialmente di durata settennale (quadriennio inferiore e triennio superiore) e organizzato secondo un impianto umanistico e didattico ispirato a quello del ginnasio-liceo, sostituì le preesistenti​​ ​​ scuole normali, con il proposito di privilegiare più la formazione culturale che le competenze tecnico-professionali come dimostrava l’arricchimento dei programmi (che prevedevano anche l’insegnamento della filosofia e del lat.) e la contestuale soppressione del tirocinio che ampio spazio aveva avuto nella tradizione normalista. L’abilitazione m. consentiva l’accesso, previo esame di ammissione, agli Istituti superiori di Magistero per il conseguimento della laurea universitaria (pedagogia, materie letterarie, lingue e letterature straniere) e del diploma di vigilanza ai fini della carriera direttiva nella scuola elementare. La scuola m., a sua volta, regolamentò finalmente in modo organico dopo un dibattito e tentativi durati per molti decenni, la preparazione del personale docente nelle scuole infantili. Mentre gli istituti m. furono presenti in prevalenza nell’ambito dell’istruzione statale, le scuole m. (caso piuttosto infrequente nel sistema scolastico italiano) furono per lo più affidate all’iniziativa di enti e privati con un intervento dello Stato piuttosto modesto.

2. Col trascorrere degli anni tanto l’istituto m. quanto la scuola m. sono stati interessati da notevoli cambiamenti, pur nella permanenza del quadro normativo definito nel 1923. In seguito alla unificazione, prevista dalla riforma Bottai del 1939, dei corsi inferiori nella scuola media triennale, l’istituto m. assunse la fisionomia quadriennale che conserva tuttora. Con i programmi del 1945 furono introdotti l’insegnamento della psicologia e la pratica del tirocinio allo scopo di potenziare gli aspetti professionali del corso di studi. La liberalizzazione degli accessi universitari del 1969 rese infine necessaria la creazione negli istituti m. del cosiddetto quinto «anno integrativo» per equiparare la durata quadriennale ai corsi quinquennali degli altri istituti secondari. Nel frattempo il riordino degli esami di Stato del febbraio 1969 trasformò l’abilitazione m. in «maturità m.». A partire dalla fine degli anni Settanta, in mancanza di interventi riformatori nel settore dell’istruzione secondaria (più volte progettati, ma mai andati in porto) tanto l’istituto m. quanto la scuola m. sono stati soggetti a numerosi processi di sperimentazione quinquennale. Sono state in tal senso avviate numerose esperienze di liceo pedagogico e di liceo psico-socio-pedagogico. Le vicende sopra descritte si sono, a loro volta, intrecciate con i dibattiti sulla qualità, la durata e l’impianto culturale della formazione degli insegnanti primari e della scuola materna. Con il tempo è prevalsa la convinzione dell’opportunità del suo spostamento a livello universitario. Questo traguardo, già indicato nella L. delega del 1973, è stato sancito dalla L. di riforma universitaria n. 341 del 1990 che ha infatti previsto l’istituzione di un apposito corso di laurea per la formazione degli insegnanti primari e della scuola materna (corso di laurea in Scienze della formazione primaria) avviato in una ventina di sedi universitarie a decorrere dall’anno accademico 1997-98. Di conseguenza con D.L. 10 marzo 1997 il Ministero della Pubblica Istruzione ha progressivamente soppresso i corsi dell’Istituto M. che ha definitivamente cessato di esistere alla fine dell’anno scolastico 2001-02.​​ 

Resta aperto il dibattito nell’ambito del riordino della scuola secondaria se sia opportuna la persistenza di un indirizzo psico-socio-pedagogico (tesi sostenuta da quanti ritengono necessario coltivare la cultura socio-educativa fin dagli anni adolescenziali, pur in un quadro di ampia flessibilità, già fatta propria dalla Commissione Brocca e confermata dalla L. n. 53 / 2003 che prevede il liceo delle Scienze Umane) anche per l’accesso ai corsi universitari di tipo pedagogico oppure sia sufficiente una buona formazione culturale generale.

Bibliografia

Ministero dell’Educazione Nazionale,​​ Dalla riforma Gentile alla Carta della scuola,​​ Firenze, Vallecchi, 1941; Agazzi A.,​​ La formazione dell’insegnante,​​ Bari, Laterza, 1964; De Vivo F.,​​ La formazione del maestro dalla legge Casati ad oggi,​​ Brescia, La Scuola, 1986; Zuccon G. C.,​​ Il progetto della Commissione Brocca. Piani di studio della scuola secondaria superiore e programmi del biennio,​​ Ibid., 1991; Di Pol R. S.,​​ Cultura pedagogia e professionalità nella formazione del maestro italiano, Torino, Sintagma, 1998; Luzzatto G.,​​ Insegnare a insegnare. I nuovi corsi universitari per la formazione dei docenti, Roma, Carocci, 1999; Chiosso G.,​​ Le débat sur la formation des enseignants en Italie, in «Politique d’Éducation et de Formation»​​ (2002) 5, 81-94; Galliani L. - E. Felisatti,​​ Maestri all’Università. Modello empirico e qualità della formazione iniziale degli insegnanti, Lecce, Pensa, 2002; Damiano E.,​​ L’insegnante. Identificazione di una professione,​​ Brescia, La Scuola, 2004.​​ 

G. Chiosso




MAKARENKO Anton Semënovič

 

MAKARENKO Anton Semënovič

n. a Belopol’e nel 1888 - m. a Golicyno nel 1939, scrittore, pedagogista e educatore ucraino.

1.​​ Vita e opere.​​ Di famiglia operaia e credente. Di salute cagionevole, dopo l’anno per poter insegnare (1904), si dedica sempre più alle letture, specie con l’inizio dell’insegnamento a Krjukov nel 1905 e poi a Dolinskaja (1911). Nel 1914 è ammesso all’istituto magistrale triennale di Poltava e frequenta un gruppo di studenti orientato alla socialdemocrazia. Fatto il militare a Kiev, per pochi mesi, a causa della salute, termina il corso a Poltava, con un saggio su​​ La crisi della pedagogia moderna,​​ premiato con la medaglia d’oro, e nello stesso anno (1917) è direttore di una scuola per ferrovieri a Krjukov. Nel 1919 si trasferisce, come direttore, a Poltava, dove è membro di organismi sindacali. Nel 1920 è incaricato della direzione della colonia di lavoro per ragazzi di strada a Triby, dove arriverà la Grigorovič. Alla fine dell’anno ottiene di passare nella fattoria Trepke a Kovalevka e, falliti i tentativi psico-pedagogici, si impegna nella costruzione del​​ collettivo.​​ Nel 1922 nascono i «reparti», con propri comandanti, e cominciano le ispezioni ufficiali, con valutazioni alterne. M. va a Mosca per un breve periodo di studio, cui fanno seguito nel 1923-24 due suoi articoli sulla colonia «Gor’kij» (come la chiamò). Nasce il «Consiglio dei comandanti» e la banda musicale, migliorano pure le condizioni economiche generali (1924), ma cominciano gli scontri con il Commissariato per l’educazione popolare (Narkompros). Nel 1925, si costituisce il Komsomol (associazione della gioventù comunista) e inizia una corrispondenza regolare con Gor’kij. Nel suo 5° anniversario, si decide il trasferimento della colonia, che passerà, nel 1926, al convento di Kurjaž, dove c’erano già centinaia di altri ragazzi. Nell’ottobre 1927 è contattato dalla GPU per organizzare e dirigere una loro «comune», in onore di F. E. Dzeržinskij, mentre è aspramente criticato per il militarismo e i castighi. Nel dicembre 4 educatori e 60 ragazzi si trasferiscono nella comune, solennemente inaugurata. Nel ’28 viene discussa con lui l’impostazione della medesima; poco dopo, viene proibito il sistema dei «comandanti» e si propone l’affidamento della colonia al comitato esecutivo di zona: M. pensa di dimettersi. Nel luglio, Gor’kij visita la colonia e la comune. Poco più tardi, si impone a M. o di rinunciare ai comandanti o di lasciare la colonia. M. si ritira e accelera la stesura del​​ Poema pedagogico,​​ pressato da Gor’kij. Nell’agosto del ’29 arriva nella comune un «direttore politico» e M., sentendosi emarginato, pensa ad altre possibilità. Nel 1930 scrive​​ Na veletens’komu fronti​​ (Sul fronte gigantesco), che consegna per la stampa con la prima parte del​​ Poema:​​ questa è respinta. La comune prospera e si costituisce una «facoltà operaia». M. mette a punto la​​ Mars 30 goda​​ (Marcia dell’anno 30), mentre, contro il suo parere, si annullano i posti di educatore e prendono il sopravvento interessi economici (1931). Al ritorno dalle vacanze, si vede sostituito da un nuovo direttore. In novembre stampa la​​ Marcia dell’anno 30​​ e prepara, per il 5° anniversario della comune,​​ Pedagogi poržimajut plečami​​ (I pedagoghi alzano le spalle). È incoraggiato e aiutato da Gor’kij, che insiste sul​​ Poema,​​ cui M. si sta dedicando e di cui si pubblica la prima parte (1933). Nel 1934, diventa membro dell’associazione degli scrittori dell’URSS. Nelle vacanze fa l’ultimo viaggio con i comunardi e finisce la 2a​​ parte del​​ Poema,​​ che esce nel 1935. Malato di cuore, in luglio è nominato funzionario al Commissariato per le colonie di lavoro e si trasferisce a Kiev, da dove spedisce la 3a​​ parte del​​ Poema,​​ che uscirà nel 1936. Dopo un soggiorno a Mosca, prepara, con la moglie,​​ Kniga dlja roditelej​​ (Il libro per i genitori). A giugno muore Gor’kij e, a luglio, ha luogo il ripudio ufficiale della​​ ​​ «pedologia»​​ con piacere di M., che chiede l’esonero dalle sue funzioni per dedicarsi a scrivere. Si svolgono i grandi processi epurativi e si rilanciano le tesi di M., allineato sulle posizioni ufficiali; accetta la direzione temporanea della colonia di Brovary, nei pressi di Kiev, mentre pubblica vari articoli d’occasione. Nel febbraio del ’37 si trasferisce a Mosca, dove si moltiplicano i suoi interventi orali e scritti. La sua salute peggiora e deve ricoverarsi più volte. È ancora oggetto di polemiche in patria, mentre all’estero, dove sono già in commercio tre traduzioni del​​ Poema,​​ si diffonde la sua fama. Nel gennaio del 1939 gli è conferito l’«Ordine della bandiera rossa» per i suoi meriti letterari e, da allora, si moltiplicano i consensi. Ripresenta domanda di iscrizione al partito (accolta dopo la sua morte), si propone alla direzione di una scuola di Mosca (ottenendone risposta affermativa) e, dopo un viaggio a Char’kov, si ritira nella casa degli scrittori di Golicyno, dove, volendo rientrare nella capitale, muore nella stazione, il 1° aprile.

2.​​ Il pensiero pedagogico.​​ Formatosi sui classici, se ne distacca, come dalla pedologia, nell’impatto con i colonisti, pur avendo impiantato, prima, un laboratorio psicologico. Elaborò, nella scia del marxismo-leninismo e della tradizione russa, una​​ concezione collettivistica,​​ di cui venne formulando gradualmente le tesi teoriche. Il​​ Poema pedagogico​​ ne è testimonianza.

2.1. L’«uomo nuovo»:​​ è il punto di partenza teorico; coincide, di fatto, con l’uomo sovietico,​​ anima ed espressione della nuova società: è «un cittadino utile, qualificato, formato e politicamente istruito ed educato», lottatore, creativo, votato alla causa. Gli compete una​​ «nuova etica»,​​ non individualistica, come la vecchia, ma tesa a unire gli uomini, alla creazione del​​ collettivo.​​ La sua​​ educazione​​ sarà dunque​​ politica,​​ frutto di un processo induttivo dall’esperienza, anziché da deduzioni da una supposta natura o da altre scienze, come voleva la pedologia. Si tratta di una nuova logica, dal basso, per la​​ costruzione​​ e non per uno sviluppo precostituito dell’«uomo nuovo».​​ Al più si potrà dedurre il «metodo della pedagogia dai nostri fini» (Soč.,​​ V, 362). Di fatto,​​ fine ultimo​​ è la​​ felicità,​​ «nostro dovere morale» (Ibid.,​​ 453-454), e questa felicità dev’essere​​ collettiva.

2.2 Il​​ collettivo:​​ di origine russa, per M. è il tutto dell’educazione; è metodo, mezzo e fine; «il collettivo educa». Include giovani e vecchi, educandi ed educatori, con ruoli e funzioni differenziate, in base al principio: «le più elevate richieste all’uomo, ma, al tempo stesso, il più grande rispetto di fronte a lui» (Ibid.,​​ 229), con una responsabilizzazione di tutti e il superamento del «principale vizio pedagogico», la «convinzione che i ragazzi sono soltanto oggetto di educazione» (Ibid.,​​ III, 137). Anche gli educatori sono organizzati in collettivo, sebbene questo sia «forse, il più difficile problema della nostra pedagogia» (Ibid.,​​ 177), sul quale «nella futura pedagogia si dovrà scrivere tutto un libro» (Ibid.,​​ 183): il che egli stesso cercò di fare. Il​​ collettivo dei ragazzi​​ invece è organizzato attorno a un​​ centro,​​ come persona (all’origine, il direttore, poi anche il dirigente pedagogico, del Komsomol e dei pionieri) e come stanza, con un insieme di​​ reparti​​ o collettivi di base, che condividono, ciascuno sotto un comandante, vita e impegni e che, uniti, costituiscono l’assemblea,​​ con potere decisionale e giudiziario. Un ruolo importante, come organo esecutivo, aveva il​​ consiglio dei comandanti​​ (nel quale si entrava per cooptazione) e, a livello di quotidianità, il​​ comandante di turno,​​ cui spettava la responsabilità disciplinare dell’intero collettivo per un tempo limitato (e variato). Originariamente, il​​ direttore​​ è stato il punto di riferimento principale nella vita del collettivo. M. confessa di essere stato, all’inizio, un dittatore, mancando altri supporti, ma poi progressivamente si trasforma in educatore, con compiti specifici, quale primo membro del collettivo stesso. Tali compiti riguardavano specialmente i rapporti con i singoli, verso i quali era sempre disponibile, e che poteva anche castigare, ma non perdonare, che doveva amare, senza sdolcinature però e senza pretendere un contraccambio. Il collettivo ha un suo​​ stile e tono.​​ Il primo è definito dalla​​ disciplina cosciente​​ (di derivazione leniniana), più fine che mezzo educativo, nonché dall’ordine, dalla pulizia, dalle tradizioni, simboli, divise e comportamenti comuni; il tono, che ne dipende, dev’essere sempre «maggiore»: espressione di un clima di allegria, entusiasmo e disponibilità generalizzati e contagiosi. In tale prospettiva, al suo interno, si distingue tra un​​ «attivo»,​​ con funzione di animazione e di esempio, un​​ «sano passivo»,​​ costituito dai nuovi e dai piccoli, un​​ «attivo pigro»,​​ fatto dai furbi, dalla condotta variabile secondo le convenienze, e, infine, la​​ «palude»,​​ che raccoglieva gli inerti.

2.3. Il​​ lavoro e la metodologia del collettivo:​​ il​​ lavoro​​ è stato lo strumento più efficace per la costruzione del collettivo, sebbene poi affiancato dalla scuola, con ugual numero di ore (4 e 4 ogni giorno), ma con un differente apporto educativo. Il lavoro è, in senso stretto,​​ produttivo,​​ benché con modalità diverse (prima agricolo, poi di laboratorio e, infine, di fabbrica). Esso era solennizzato da un proprio cerimoniale, con feste, momenti celebrativi e particolari incentivazioni, con modalità diverse specie in rapporto al «salario». Le situazioni di emergenza od occasionali, con esigenze transitorie, hanno portato alla costituzione dei​​ «reparti misti»,​​ «la scoperta più importante» nello sviluppo del collettivo. Erano transitori, composti, prevalentemente, da comandanti, sottoposti, nel caso, agli ordini di un colonista, evitando così l’affermarsi di caste privilegiate. La​​ metodologia​​ operativa si articola, con l’esperienza e il superamento della contrapposizione tra educazione e rieducazione, in due momenti: 1’«esplosione»,​​ iniziale, di impatto con il collettivo, con una sovversione di abitudini e comportamenti, in funzione di una svolta radicale; e l’«infiltrazione»,​​ successivo, più duraturo, con una penetrazione e assimilazione graduale e cosciente degli indirizzi del collettivo, anche mediante la​​ competizione. Essa si realizza però​​ a livello di gruppo, anziché individuale, stimolata dal «sistema delle​​ prospettive»:​​ «nostra seconda importantissima istituzione». La prospettiva, a breve, medio o lungo termine, propone una meta raggiungibile, che consente ai ragazzi «la gioia del domani», «vero stimolo della vita umana»; inoltre, applicata alla produzione impegna al superamento di sé, alla lotta, alla vittoria: tutti concetti paradigmatici in M. e con risvolti catartici. Le prospettive furono utilizzate anche con riferimento all’alcolismo, alla religione e soprattutto al furto.

3.​​ Valutazione:​​ consentendo con quanto M. dice: «io non posso affermare di essere giunto a conclusioni definitive. Io resto ancora, come probabilmente voi, nello stadio della ricerca e del divenire» (Ibid.,​​ 251: asserto del 20.10.1938), va rilevato che egli ha conosciuto momenti di esaltazione e di rigetto acritici, momenti di ricerca diffusa e di stanca, al pari dei classici dell’educazione, nel cui novero merita comunque di entrare per il suo impegno, la sua originalità e per le difficoltà che ha incontrato e che non sempre è riuscito a superare con chiarezza. Le possibilità aperte dopo la caduta del comunismo contribuiranno indubbiamente a una sua più equa valutazione, con l’apertura degli archivi, sebbene permanga qualche interpretazione più ideologica che storica.

Bibliografia

a)​​ Fonti: Sočinenija v semi tomach​​ (Opere in 7 voll.), Mosca, Izdatel’stvo Akademii pedag. nauk, 1956-1958 (cit.:​​ Soč.); Sočinenija v os’mi tomach​​ (8 voll.),​​ Ibid., 1983-1986;​​ Gesammelte Werke,​​ Marburger Ausgabe​​ (ediz. critica in corso: voll. 1, 2, 7, 9, 13), Ravensburg, Maier, 1976-1978. b)​​ Studi:​​ contributi più recenti e innovativi: Makarenko V. S.,​​ «Erinnerungen an meinem​​ Bruder», in G. Hillig (Ed.),​​ M.-Materialien III,​​ Marburg, VWG, 1973, 157-222 (trad. it.​​ A.S.M. nelle memorie del fratello,​​ a cura di B. Bellerate, Roma, Armando, 1977); Hillig G. - S. Weitz (Edd.),​​ M.-Diskussionen international,​​ München, Minerva Publikation,​​ 1989; Bellerate B. A.,​​ A.S.M. oggi,​​ in «Pedagogia e Vita» (1995) 1, 11-30;​​ Hillig G.,​​ M. im Jahr des «grossen Terrors», Marburg, Makarenko-Referat,​​ 1998; Floris F.Ch.,​​ La pedagogia familiare nell’opera di A.S.M., Roma, Aracne, 2005.

B. A. Bellerate




MANJÓN Andrés

 

MANJÓN Andrés

n. a Sargentes de la Lora (Burgos) nel 1846 - m. a Granada nel 1923, giurista ed educatore spagnolo.

1.​​ Vita e opere.​​ Nato in una famiglia contadina, in cui spicca la figura della madre, donna profondamente religiosa. La «circostanza» storica in cui compie gli studi e fa le prime esperienze docenti è assai travagliata (instabilità politica, scontri sociali, analfabetismo). Quando fonda la prima scuola «per ragazze bisognose», M. è ormai prete e professore di Diritto presso l’università di Granada. La scuola, che chiama dell’«Ave-María»,​​ sorge in un quartiere periferico, dove «l’ignoranza e la povertà, la trascuratezza e l’abbandono si davano la mano con la corruzione e lo scandalo». L’opera avemariana si estende a molte città spagnole e trova consensi anche all’estero. Avviata l’esperienza, M. ne racconta le origini e lo sviluppo in brevi scritti:​​ Hojas​​ (fogli) e​​ Memorias.

2.​​ Pensiero pedagogico.​​ M. usa l’espressione «capitale di idee», per riferirsi allo scritto del 1897:​​ Condizioni pedagogiche di una buona educazione e quali ci mancano.​​ Questo saggio offre la migliore sintesi del suo pensiero: precisato il concetto di pedagogia («insieme di principi scientifici e regole pratiche il cui scopo finale è la formazione di uomini integri e completi»), vengono esaminate le «condizioni» dell’educazione: integrale, iniziata fin dalla culla, graduale e continua, progressiva, organica e armonica, «attiva da parte dell’allievo e del maestro», estetica, morale, religiosa, libera, manuale. Questi temi sono approfonditi in scritti posteriori:​​ El maestro mirando hacia dentro​​ (1915),​​ Hojas paterno-escolares​​ (1916). È agevole rilevare in essi nuclei dottrinali di efficacia educativa: visione integrale del bambino, amore alla natura, famiglia come ambiente formativo, ruolo della donna, opera educativa come progetto e «cosa di tutti», scuola strumento di rigenerazione sociale.

3.​​ Critica.​​ La figura di M. è oggetto di giudizi contrastanti. La valutazione dei nuclei accennati consente di superare silenzi e interpretazioni riduttive che mettono in risalto quasi esclusivamente determinati aspetti suggestivi (scuola all’aria aperta, giochi didattici, «mapas en relieve»). Accanto ad alcuni punti problematici (proposta del «catechismo come materia centrale»; innovazioni didattiche non accompagnate da una pari attenzione per il rinnovamento dei contenuti), vanno sottolineati giustamente i pregi: valorizzazione del contatto con l’ambiente naturale in un clima di spontaneità e gioia, rilievo dato alla famiglia, uso di metodi intuitivi e attivi.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ Edición nacional de las obras selectas de A.M.,​​ [Granada], Ave-María, 1945-1956;​​ Diario del P. M. 1895-1923.​​ introd. y texto crítico de J. M. Prellezo, Madrid, BAC, 2003. b)​​ Studi:​​ Dévaud E.,​​ Pédagogie à ciel ouvert,​​ in «Revue Belge de Pédagogie»​​ 20 (1939) 416-427; Montero J.,​​ Didáctica manjoniana,​​ Granada, CEPPAM, 1959; Prellezo J. M.,​​ Educación y familia en A.M. Estudio histórico-crítico, Zürich / Roma, PAS-Verlag, 1969; Id.,​​ Bibliografía de M. (1882-1997), Granada, Ave-María, 1997; García M. E.,​​ Las Escuelas del Ave María de Arnao, Castrillón, Patronato Municipal de Cultura, 2004.

J. M. Prellezo




MANN Horace

 

MANN Horace

n. a Franklin (Massachusetts) nel 1796 - m. ad Antioch (Ohio) nel 1859, politico nordamericano, riformatore scolastico e studioso di problemi educativi.

1. M., figlio di contadini del Massachusetts, crebbe in estrema povertà e lottò nei primi anni della sua vita per ottenere un’istruzione. I suoi insegnanti, egli dichiarò, «erano bravissima gente; ma molto scarsi come insegnanti». Un piccolo lascito gli permise di iscriversi alla Brown University dove ottenne un brillante curriculum come studente. Successivamente studiò legge e divenne un procuratore di grande successo. M. fu eletto all’assemblea legislativa dello Stato nel 1827 e ricoprì per dodici anni la carica di segretario del Consiglio per l’Istruzione del Massachusetts. Durante quel periodo rivoluzionò l’organizzazione e l’insegnamento nella scuola pubblica e fu di valido aiuto nell’istituzione della prima scuola normale negli Stati Uniti (1839). Fu membro della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti dal 1848 al 1853; dal 1853 all’anno della sua morte fu presidente dell’Antioch College dell’Ohio.

2. Fu sua la visione di una democrazia fondata e costantemente rigenerata da una popolazione istruita. Sarà sempre ricordato negli annali della storia dell’istruzione americana come colui che gettò le fondamenta del sistema scolastico pubblico. Egli creò la «scuola pubblica gratuita»: una scuola non per la gente comune, ma comune a tutte le genti. L’evento più importante nella vita di M. fu l’approvazione da parte dell’assemblea legislativa dello Stato del Massachusetts, nel 1837, di un disegno di legge che stabiliva la creazione di un Consiglio Statale per l’Istruzione e la nomina di M. quale suo primo segretario. Nel 1847 ricevette il permesso di visitare «ciascuno dei paesi europei» e di studiare i loro sistemi pedagogici. Il suo scopo era di trovare «spunti per guidare il popolo americano nella soluzione dei problemi riguardanti l’istruzione». Da questa visita, durata sei mesi, derivò il famoso​​ Seventh annual report​​ che riportava fedelmente le sue osservazioni ed i suoi giudizi ricavati dalle numerose scuole che aveva visitato. Il rapporto ebbe un tale impatto da essere definito uno dei libri che hanno cambiato l’America. Nel corso dei suoi viaggi, M. trovò «molte cose all’estero, che noi, in patria, faremmo bene ad imitare» anche se nel complesso, trovò più cose da deplorare che da lodare nelle scuole straniere.

3. Nel campo dell’istruzione, M. aveva forti convinzioni ideologiche e democratiche. Era decisamente contrario alle punizioni corporali e le condannava con parole durissime: «Dare un ceffone ad un bambino sul capo perché non ha imparato le lezioni, è all’incirca tanto saggio quanto lo sarebbe colpire un orologio con un martello perché non segna l’ora esatta». La scuola pubblica americana, egli insisteva, deve servire l’intera comunità, in cui sono rappresentate numerose sette religiose. L’insegnamento del settarismo religioso era per M. ambiguo e controproducente per gli scolari americani. Nella sua crociata per una migliore istruzione, M. inveì contro le squallide condizioni delle scuole nel suo Stato e chiese che ne fossero costruite di nuove che soddisfacessero opportuni requisiti sanitari. Volle che ciascuna scuola fosse dotata di una propria biblioteca e quando ciò non fu possibile, incoraggiò l’apertura di biblioteche affinché ogni bambino potesse avere una buona biblioteca entro una mezz’ora di cammino dalla propria casa. M. sconvolse la pratica convenzionale sostenendo l’impiego di un maggior numero di donne insegnanti e riuscì a far aumentare i salari degli insegnanti in tutto lo Stato. Un’ammonizione contenuta nel suo ultimo discorso in occasione della consegna dei diplomi all’Antioch College è un esempio perfetto della sua coscienza sociale: «Vergognati di morire prima di aver riportato una qualche vittoria per l’umanità».

Bibliografia

Hall Tharp L.,​​ Until victory: H.M. and Mary Peabody,​​ Boston, 1953; Messerli J.,​​ H.M.,​​ a biography,​​ New York, 1972; Cremin L. A.,​​ American education: the national experience,​​ 1783-1876,​​ New York, 1979; Pagano G. - V. Giura (Edd.),​​ L’Italia del secondo Settecento nelle relazioni segrete di W. Hamilton,​​ H.M. e J. Mourray, Napoli, Esi, 1997.

M. Ribotta




MAPPE CONCETTUALI

 

MAPPE CONCETTUALI

Le m.c. sono rappresentazioni in forma grafica di un insieme di concetti in relazione fra loro. I concetti sono indicati da termini o brevi espressioni e, generalmente, sono racchiusi in box che ne evidenziano il livello di generalità. I legami tra i concetti sono individuati da linee o frecce e spesso il loro significato viene dichiarato con etichette verbali (Novak, 2001). Le m.c. consentono la rappresentazione in forma logico-iconica di un tema o ambito di conoscenza, di cui mettono in evidenza la struttura.​​ 

1.​​ M.c. e formazione.​​ Il valore formativo attribuito alla formalizzazione della conoscenza per mezzo delle m.c. consiste nel favorire la rielaborazione personale di contenuti culturali, l’organizzazione e l’acquisizione del sapere in termini di apprendimento significativo (Ausubel, 1989), tale da modificare, potenziandola, la matrice cognitiva del discente.

2.​​ M.c. e insegnamento. Le m.c. sono impiegate in didattica quali dispositivi per presentare i contenuti disciplinari in forma sintetica e strutturata; costituiscono uno strumento per la progettazione da parte del docente di percorsi di apprendimento organizzati e coerenti; vengono utilizzate quali strumenti di​​ ​​ valutazione dell’apprendimento adatti a rilevarne la dimensione processuale (processi di concettualizzazione, logico-deduttivi ecc.).​​ 

Bibliografia

Ausubel D.,​​ Educational psychology. A cognitive view,​​ New York, Holt, Rinehart and Winston, 1967; Novak J. D. - D. B. Gowin,​​ Learning how to learn, New York, Cambridge University Press, 1984 (trad.it.,​​ Imparando a imparare, Torino, SEI, 1989); Novak J. D.,​​ Learning,​​ creating,​​ and using​​ knowledge: Concept maps as facilitative tools in schools and corporations, Mahwah, New Jersey, 1998 (trad. it.,​​ L’apprendimento significativo.​​ Le m.c. per creare e usare la conoscenza, Trento, Erickson, 2001).​​ 

D. Maccario




MARIANISTI

 

MARIANISTI

Religiosi della Compagnia di Maria, fondati a Burdeos nel 1817 dal sacerdote francese Guillaume de Chaminade (1761-1850). Questi, nel suo isolamento di Saragozza (1797-1800), si dedicò alla creazione della Congregazione come risposta alla decristianizzazione rivoluzionaria: il suo obiettivo era difendere la fede e propagare i principi cristiani. La sua finalità consiste nell’educazione della gioventù, nella formazione dei più piccoli (tramite congregazioni mariane) e nell’attività missionaria. I sacerdoti esercitano anche il ministero sacerdotale, esercizi spirituali, ecc. Non escludono nessun genere di opere (risonanze del «quodcumque dixerit facite» delle nozze di Cana): scuole normali e di agricoltura, parrocchie, missioni, collegi, orfanotrofi e ospedali. Chaminade voleva formare uomini di fede, ma non lo fece attraverso la prevenzione o la preservazione, bensì «per contagio». Lo spirito di famiglia è presente in tutta la pedagogia marianista. La sua attività principale è l’educazione a tutti i livelli, anche se la maggior parte dei suoi membri si dedica all’insegnamento superiore nelle università. Fin dall’inizio i M. si sono distinti per un insegnamento selettivo ed una metodologia ugualmente innovativa, come si dimostrò già a Saint-Remy (scuola normale e di agricoltura e collegio d’istruzione media) in cui il contatto diretto con i fenomeni studiati in fisica, storia naturale ed altre materie, e le riproduzioni geografiche realistiche costituirono una novità. Il cosiddetto «esercizio generale» fu un procedimento didattico caratteristico in cui, servendosi di una parola significativa (es. fiume), si intavolava un lungo discorso tra insegnanti e alunni della scuola primaria, cosa che diminuiva la tendenza libresca della scuola tradizionale. Alcuni dati statistici danno l’idea dell’evoluzione dei m.: nel 1841 avevano 27 case e 215 membri; nel 1982, 230 case e 2.000 membri; nel 1987, rispettivamente 227 e 1922; nel 1992, 223 e 1.815; nel 1995 hanno all’incirca 175.000 alunni e 6 università. Oggi, i membri della Famiglia Marianista sono 9.000 ca. in ca. 30 Paesi.

Bibliografia

Reseña histórica de la Compañía de María,​​ Madrid, SM, 1950; Darbon M.,​​ G. J. Chaminade,​​ Paris, 1980; Tuñón Á.,​​ Educadores en los colegios marianistas, Madrid, Servicio de Publicaciones Maristas, 2002.

V. Faubell