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LIBERAZIONE

 

LIBERAZIONE

Il termine l. fa riferimento etimologicamente a​​ ​​ libertà, ma vi aggiunge una connotazione particolare, poiché designa il passaggio da una situazione di schiavitù ad una di libertà. Come tale è utilizzato in svariati contesti che vanno dall’affrancamento individuale da situazioni di oppressione fisica, psichica, morale o religiosa, al superamento collettivo di situazioni di dipendenza e sottomissione da parte di interi popoli e continenti.

1. A partire dalla seconda metà del sec. XX​​ il termine ha acquistato dei risvolti particolari, per via dei «movimenti di l.» sviluppatisi specialmente tra i popoli del cosiddetto Terzo Mondo. La spinta è venuta inizialmente dall’​​ ​​ America Latina. La presa di coscienza della situazione di estrema povertà della stragrande maggioranza degli abitanti del continente, e l’individuazione delle cause strutturali che la provocano e che configurano una situazione di nuova dipendenza e schiavitù (teoria della dipendenza), fomentarono delle forti aspirazioni ad un cambiamento globale e diedero​​ origine ad un vasto tentativo di l., che si è espresso in qualche caso estremo anche in forma di lotta armata. Tale ricerca di l. si è caratterizzata per aver sottolineato soprattutto i condizionamenti economici della povertà, senza tuttavia trascurare quelli sociali, politici e culturali. In altri continenti i movimenti di l. sorti successivamente hanno acquistato delle sfumature peculiari, determinate dalle condizioni in cui versavano. Così, in Africa è stata molto accentuata la componente culturale della l.; nell’Asia povera (India, Filippine) è stata la sua dimensione religiosa ad essere presa in speciale considerazione, in ragione della forte presenza delle antiche religioni profondamente radicate nei popoli; negli Stati Uniti, tra i negri, i movimenti si sono raggruppati in ragione della segregazione razziale.

2. Uno degli aspetti della l. a cui si è prestata particolare attenzione, specialmente nell’America Latina, è stato quello educativo. Si è così sviluppata quella che venne chiamata​​ ​​ «educazione liberatrice», una «pedagogia degli oppressi» (​​ Freire) mirata prioritariamente alla trasformazione dell’educando in soggetto della propria educazione. L’educazione liberatrice si caratterizza per il fatto di essere umanizzante, critica, dialogica e coscientizzatrice. Essa si propone di portare l’educando da uno stato di coscienza non corrispondente al contesto storico in cui vive, ad un altro che gli permetta una partecipazione effettiva, oggettiva e critica nel processo storico in cui è inserito.

3. La Chiesa cattolica, specialmente attraverso le Conferenze Generali del suo Episcopato di Medellín (Colombia 1968) e di Puebla (Messico, 1979), diede​​ un valido contributo ai tentativi di l. del Continente. Medellín, in particolare, dedicò uno dei suoi 16 capitoli al tema dell’educazione liberatrice, in cui si coglie l’influsso esercitato dalle proposte di Freire. Ci sono anche dei considerevoli apporti sulla tematica nel documento dedicato alla​​ ​​ catechesi.

Bibliografia

Freire P.,​​ La pedagogia degli oppressi,​​ Milano, Mondadori, 1971; Balducci E.,​​ L.,​​ in J. B. Bauer - C. Molari (Edd.),​​ Dizionario teologico,​​ Assisi, Cittadella, 1974, 313-322; Mongillo D.,​​ L., in V. Bo et al. (Edd.),​​ Dizionario di pastorale della comunità cristiana,​​ Assisi, Cittadella, 1980, 323-325; Boff L. - C. Boff,​​ Libertad y liberación,​​ Salamanca, Sígueme, 1982; Gutiérrez G.,​​ Teología de la liberación. Perspectivas,​​ Salamanca, Sígueme,​​ 172004; Aráujo Freire A.M. (Coord.),​​ La pedagogía de la liberación en Paulo Freire, Barcelona, Graó, 2004; Gelpi E.,​​ Educación permanente. La dialéctica entre opresión y liberación, Xàtiva, Edicions del CREC, 2005.

L. A. Gallo




LIBERTÀ

 

LIBERTÀ

Condizione umana in cui si agisce non per costrizione esterna, ma per decisione cosciente e volontaria in vista di qualcosa che si intende perseguire o realizzare in situazioni concrete. Nella pedagogia contemporanea la l. è vista come​​ ​​ fine specifico dell’educazione e come tratto qualificante del rapporto educativo (​​ autorità educativa).

1.​​ La comprensione storica della l.​​ Nel mondo greco-romano la l. (in gr.​​ eleuthería;​​ in lat.​​ libertas)​​ era principalmente di carattere politico, riferita all’autonomia dello Stato (della​​ pólis​​ o della​​ res publica)​​ o ai cittadini in quanto non sottomessi a poteri dispotici di imperatori, re, tiranni o in quanto non in condizione di schiavitù. Ma della l. si trattava anche in relazione al fato e alla responsabilità morale (cfr. poesia, tragedia, sofisti, stoici,​​ ​​ Socrate). Nell’Etica Nicomachea​​ (III, 1),​​ ​​ Aristotele ha sottolineato l’imputabilità soggettiva, la dimensione conoscitiva e la non costrittività esterna dell’agire libero. Il platonismo e il neo-platonismo hanno indicato il Bene come orizzonte della l. Nel pensiero cristiano, si pone l’accento sulla dimensione interiore e morale. La l. è stata messa in relazione con il tema del peccato personale e di quello dell’umanità nella sua globalità, della salvezza, della grazia, dell’aiuto divino creatore, liberante, redentore e provvidente; ma anche con i temi difficili del libero arbitrio personale, della pre-scienza divina, della predestinazione dei giusti. L’età moderna ha accentuato l’autonomia soggettiva, la l. d’azione, le l. civili e politiche, ma ha cercato di discutere il divario tra idealità e concretezza per una l. incarnata nella storia. Peraltro il sec.​​ xx​​ l’ha collegata con la tragicità, l’assurdità, la finitezza dell’esistenza, come anche con le lotte di​​ ​​ liberazione dei popoli, delle classi oppresse, delle minoranze e dei gruppi soggetti a poteri disumanizzanti e alienanti.

2.​​ Per un concetto comprensivo di l.​​ L’idea di l., per chi si muove nella tradizione culturale occidentale e moderna, è più che un semplice concetto. È carica di emozionalità, di atteggiamenti di difesa, di aspettative, di desideri. Come concetto contiene aspetti diversi che, se assolutizzati, rischiano di contraddirsi a vicenda: come può succedere quando la si pensa come spontaneità assoluta; o all’opposto come controllo razionale di tutto; o come autonomia soggettiva senza alcun legame esterno; o come adesione incondizionata a un’idea suprema o ad un gruppo o partito o movimento. In tal senso nel discorso sulla l. si devono tener insieme livelli diversi e aspetti tra loro complementari. Anche considerata astrattamente come atto isolato, risulta costituzionalmente insieme e sempre «l. da» (costrizione, almeno psicologica), «l. per» (qualcosa che si pone come termine intenzionale dell’agire), «l. in» (interiore capacità di scelta «ragionevole» rispetto a possibilità concretamente date) e «l. di» (esercizio pratico in qualche ambito del reale, ad es. di pensiero, di parola, di circolare, di commerciare, ecc.). In quanto realtà non è tanto del tipo «c’è / non c’è», ma piuttosto del tipo «più / meno», «nella misura in cui», «in quanto», «a patto che», e così via. D’altra parte è pure abbastanza chiaro che essa non si realizza in astratto né come singolo atto, slegato da ogni contesto e da ogni storia. Le scienze umane, la letteratura e i mass-media hanno messo in luce le complesse dinamiche consce ed inconsce che attraversano, condizionano e stimolano la l. umana. Non è una l. «senza condizioni», né è una l. senza storia o fuori della storia. È, come si dice, sempre una l. «incarnata», una l. «in situazione», «intrisa di tempo e di giorni»: fisica, psichica e spirituale, pratica. Peraltro, il pensiero esistenziale e fenomenologico ha messo in risalto che l’essere umano più che possedere la l.,​​ è​​ l. Essa è struttura ontologica originaria che lo costituisce. Non è una «cosa», ma piuttosto il modo specifico di essere dell’agire umano, individuale e collettivo, caratterizzato da assenza di costrizione e procedente da decisione razionale pratica («deliberato consenso»). Essa dà forma e completezza ai contenuti dell’azione dell’uomo, qualificandola come umana, ma a sua volta è misurata proprio dalla sua rilevanza umana. Trova cioè il suo criterio di valore nella promozione umana integrale, individuale e generale, di cui è capace. Senza di essa le azioni dell’uomo rimarrebbero infra-umane o sub-umane. La nostra diretta esperienza ci attesta amaramente come molte delle nostre azioni sono di questo tipo. S.​​ ​​ Tommaso d’Aquino distingueva per questo gli​​ actus humani​​ dagli​​ actus hominis​​ (atti procedenti dall’essere umano, ma non qualificabili come umani). In tal senso la l., più che un dato è un compito, che chiede impegno morale e educazione.​​ 

3.​​ Tra l. negata e ricerca di l.​​ La condizione umana contemporanea sembra radicalizzare la questione della l. Essa viene esaltata e difesa contro ogni forma di soggezione, di alienazione, di plagio, di indottrinamento, e d’altro canto appare praticamente negata dalla massificazione sociale e dall’omologazione culturale (attuata tramite il sistema mass-mediatico che invade il «privato»), dalle spinte del mercato internazionale (che utilizza le tecnologie informatiche e telematiche), dalla diffusa mentalità consumistica (che getta individui e masse in un presentismo alienante e in una ricerca spasmodica di sensazioni senza quadro e senza progetto). La complessità dell’esistenza sociale, come anche la mondializzazione del sistema economico-politico, sembrano rendere evanescente la l. personale e quella dei popoli, nella trama intricata delle dinamiche strutturali psicologiche, intellettuali, culturali, socio-economiche. D’altra parte la diffusa «preoccupazione per l’uomo», per i diritti umani di tutti, per una buona e migliore qualità della vita, per il destino del mondo e degli eco-sistemi, per l’accesso di tutti i popoli e dei diversi gruppi o strati sociali alla scena della storia, spinge ad andare oltre la difesa delle «l. moderne» e ad aprirsi all’altro, ad uscire da sé nella dedizione senza misura o lungo le strade non sempre controllabili dell’amicizia e dell’amore, nell’impegno solidale di liberazione. In effetti la l. è «con-l.», che chiede di coniugare interdipendenza effettiva e solidarietà voluta e ricercata fattivamente, nella coscienza della corresponsabilità storica per l’umano. In questa linea il pensiero cristiano contemporaneo prospetta l’idea che se non si vuol ridurre la l. ad una «passione inutile» (J.-P. Sartre), occorre non costringerla entro la «curva dei giorni» (A. Camus), ma porla in relazione con la trascendenza di Dio: visto non come concorrente dell’uomo nella l., ma promotore di essa. A questo scopo si fa riferimento alle indicazioni bibliche di Dio che chiama l’uomo alla vita, lo forma a sua immagine e somiglianza, fa alleanza con lui, lo soccorre e lo libera per farne un popolo; che nell’incarnazione, nella morte e resurrezione del Cristo toglie la separazione tra cielo e terra, tra sacro e profano, tra carne e spirito in modo che «ogni carne vedrà la salvezza» di Dio, la cui «gloria è l’uomo vivente» e i cui comandamenti sono la «legge dell’amore» di un Dio Padre, non l’imposizione di un «dio-tiranno».

Bibliografia

Rigobello A.,​​ Il futuro della l., Roma, Studium, 1978; Laeng M.,​​ Educazione alla l. civile,​​ morale,​​ religiosa,​​ Teramo, Lisciani e Giunti, 1980; Penati G.,​​ Decisione e origine. Sulla verità della l.,​​ Brescia, Morcelliana, 1983; Laeng M.,​​ Educazione alla l., Teramo, Lisciani e Giunti, 1992; Smith Michael P.,​​ Educare per la l., Milano, Eleuthera, 1990; Zavalloni R.,​​ Educarsi alla responsabilità,​​ Assisi, Porziuncola, 1996; Sen Amartya K.,​​ La l. individuale come impegno sociale, Roma / Bari, Laterza, 2007.

C. Nanni




LIBERTÀ DI INSEGNAMENTO

 

LIBERTÀ DI INSEGNAMENTO

La l.d.i. non appartiene solo agli operatori professionali della scuola: essendo un diritto che rientra in quel grappolo di diritti originari della persona e delle sue formazioni sociali, il cui riconoscimento originario costituisce una delle caratteristiche strutturali dell’impianto costituzionale, ne sono titolari sia i singoli sia le comunità. E tuttavia non c’è dubbio che la l.d.i. riguardi specialmente coloro che sono operatori stabili della struttura scolastica.

1. Nella dottrina giuridica sul diritto scolastico si discute ampiamente​​ ​​ e da lungo tempo​​ ​​ se la l.d.i. sia una specificazione della più generale l. di espressione del pensiero, o sia una l. autonoma, con un suo specifico e originario fondamento. Non solo, ma una parte della dottrina, specialmente quella tedesca, tende a​​ derubricare​​ la l.d.i., e a non più collocarla tra i diritti individuali di l., ma tra​​ «die institutionellen Garantien»​​ (Köttgen),​​ le garanzie istituzionali assicurate al libero esercizio di un diritto nell’ambito di strutture predeterminate e preordinate, tanto che si giunge acutamente a distinguere tra l.d.i.​​ tout court​​ e l.d.i. (Amorth). Per chiarire i fondamenti della l.d.i., occorre ricordare due elementi originari: la socialità dell’istruzione e la funzione educativa dell’istituzione. Nel primo piano va certamente rilevato come la finalità di istruzione non si limiti all’espressione di una cultura, in maniera indifferenziata, ma alla sua finalizzazione all’interesse esterno, in primo luogo dei destinatari diretti di tale espressione (per i quali, anzi, l’insegnamento ricevuto è risposta a un diritto, il diritto all’istruzione), e della società tutta, dalle comunità territoriali di più vicino riferimento fino alla comunità nazionale e a quella internazionale. Nel secondo piano va rilevato che l’insegnamento si esplica naturalmente in un rapporto, nel quale vengono in considerazione e in rilievo due soggetti, l’insegnante e l’allievo (e mediatamente la comunità sociale), tra i quali l’insegnamento crea una corrente, una tensione educativa necessaria alla stessa costituzione del rapporto giuridico. C’è chi arriva ad affermare che «attualmente la l.d.i. è data nell’interesse diretto e primario della società, non in quello di coloro cui, di per sé, la norma si rivolge» (Pototschnig). Senza addentrarci ulteriormente in questa discussione​​ ​​ per altro suggestiva e decisiva per stabilire alcuni confini basilari per affrontare correttamente l’intera problematica del diritto scolastico​​ ​​ crediamo di poter rilevare che: a) la l.d.i. non può essere considerata di esclusiva pertinenza del singolo individuo, e da questi opposta a chicchessia, ma trova la sua più compiuta caratterizzazione e il suo più pieno sviluppo nell’ambito di un​​ ​​ rapporto educativo; b) essa non può essere riferita esclusivamente ad un singolo individuo insegnante, ma va estesa ad altri soggetti, e segnatamente a quelle formazioni sociali «ove si svolge la personalità» dell’uomo e del cittadino riconosciute dall’ordinamento costituzionale, a partire dalla famiglia; c) essa non può essere limitata alla semplice espressione del pensiero e della cultura, ma non può che estendersi all’intero rapporto educativo, e pertanto anche alla predisposizione del complesso degli strumenti per realizzare al meglio tali rapporti (e cioè, in ultima analisi, alla istituzione e gestione di scuole ed istituti di educazione). Nella scuola istituita e gestita dallo Stato o da altri soggetti di diritto pubblico, la l.d.i. è programmaticamente ed istituzionalmente l. individuale, vale a dire espressione di un rapporto individualistico con la legge, e trova i suoi vincoli nella responsabilità individuale di fronte ad un soggetto di diritto pubblico, che deve curare esclusivamente gli aspetti formali. Tuttavia, nei confronti dell’ente pubblico istitutore e gestore la tutela della l.d.i. funziona come una tutela negativa, una affermazione di l. da qualsiasi intervento o interferenza esterni, salvo quelli relativi da una parte all’ordine pubblico ed al buon costume e dall’altra agli​​ standard​​ e agli assetti formali dell’organizzazione e del servizio. Nelle scuole istituite e gestite da soggetti di diritto privato, la l.d.i. disegna e fa parte di un rapporto più complesso, dato che la scuola non statale​​ ​​ altrimenti detta correttamente (anche letteralmente in altri ordinamenti europei)​​ ​​ scuola libera​​ ​​ nasce dall’incontro, variamente organizzato e giuridicamente formalizzato, di diverse l., della l., e della l.d.i. di diversi soggetti.

2. C’è tuttavia un elemento unificante, che insieme dà senso costruttivo alla l.d.i., sia che si esplichi nelle scuole istituite e gestite da enti di diritto pubblico sia che si esprima attraverso scuole istituite e gestite da soggetti di diritto privato: ed è l’esplicazione, l’adempimento della medesima​​ funzione docente.​​ Essa è funzione radicalmente pubblica, perché rivolta al pubblico, anche se è un pubblico speciale, specifico di quella scuola. Essa risponde al diritto-dovere dei genitori di istruire ed educare i figli, e più in generale al diritto all’istruzione dei cittadini. La funzione docente realizza la l. costruttiva, positiva degli operatori scolastici: è il loro modo di partecipare all’organizzazione sociale e di concorrere, in adempimento del dovere di solidarietà, allo sviluppo ed alla crescita della società. È in questa accezione pienamente pubblica e partecipativa della funzione docente che la l.d.i. anche nella scuola istituita e gestita dallo Stato può qualificarsi non solo come l. negativa, vale a dire come potere di interdizione dell’individuo di fronte ad eventuali intrusioni nella sua sfera giuridica, ma anche qui come l. positiva, l. per costruire un nuovo modello di rapporti.

3. La funzione docente è, dunque, una specificazione di quella attività o funzione che ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, per concorrere «al progresso materiale o spirituale della società». E siccome i doveri che vengono in evidenza in questi principi fondamentali della Cost. repubblicana sono i «doveri inderogabili di​​ solidarietà»​​ (art. 2 Cost.), ne deriva che lo svolgimento della funzione docente non configura soltanto un diritto soggettivo, e non inerisce quindi soltanto alla sfera giuridica individuale, ma rientra anche nell’adempimento di un dovere di solidarietà, imponendo che vi si dedichi la dovuta attenzione, il dovuto rispetto per la personalità, l’identità culturale, lo sviluppo integrale dei destinatari (gli allievi), sia come singoli, sia nel contesto dell’insieme delle formazioni sociali dove si svolge e costruisce la loro personalità (dalla famiglia al complesso della società organica). In questo contesto, pertanto, la l.d.i. non si può configurare soltanto come un diritto soggettivo, e come una l. individuale e negativa opponibile​​ tout court​​ ai terzi, e in qualche modo conflittuale con le loro sfere giuridiche individuali: bensì va configurata come una garanzia per lo svolgimento corretto e tendenzialmente completo di quella funzione di cui si diceva. Pertanto le modalità di attuazione della l.d.i. non possono non tenere conto delle modalità previste dalla Cost., prima fra tutte quella della partecipazione. Infatti la l.d.i. si integra necessariamente con la partecipazione alla vita della scuola e della / e comunità di riferimento, e con la sua corresponsabilizzazione (il​​ concorso)​​ con lo sviluppo sia dell’identità personale e sociale degli allievi sia della società.

4. La l.d.i., dunque, si esplica nel e attraverso il sistema scolastico-formativo o, ma più riduttivamente, attraverso la scuola, intesa come organizzazione e molto di più come istituzione. Essa viene in considerazione in relazione: a) ai fondamenti istitutivi della scuola; b) alle modalità organizzative; c) agli altri diritti o interessi che sono presenti nella scuola e che in essa ed attraverso di essa tendono alla loro realizzazione (diritti e / o interessi degli allievi, delle loro famiglie, della società organica, della stessa pubblica amministrazione). La l.d.i. può essere, in sostanza, definita come «la l. di partecipare al progetto educativo-formativo della scuola (non dello Stato, che per definizione e per scelta democratica non si occupa dell’educazione nazionale ma della pubblica istruzione), con i​​ propri apporti professionali originali​​ (che debbono, naturalmente, essere originali e professionali) e di concorrere alla sua realizzazione (e, a determinate condizioni, alla sua elaborazione)». In relazione ai fondamenti istitutivi della scuola, la l.d.i. si situa necessariamente in rapporto con il contesto della scuola stessa, con la sua​​ tavola valoriale,​​ quale è dettata non già dall’organizzazione o dall’appartenenza patrimoniale a un ente pubblico, bensì dai concreti soggetti coinvolti nell’esperienza della comunità scolastica, gli allievi, le loro famiglie, gli insegnanti, l’intera società locale di riferimento. In tal senso la​​ tavola valoriale​​ della scuola, della singola scuola non può che essere in relazione stretta con la​​ tavola valoriale​​ della comunità. E quanto più esse coincideranno, tanto maggiore sarà l’efficacia del servizio scolastico formativo. Quanto meno esse coincideranno, tanto meno efficace sarà il lavoro sviluppato​​ ​​ se sviluppato​​ ​​ nell’istituzione.

5. In relazione alle modalità di organizzazione della scuola, giova prima di tutto distinguere tra la l.d.i., costitutiva dei criteri organizzativi, dopo che istituzionali, della scuola, dalle l. dell’insegnante, contingenti e determinabili praticamente in relazione alle diverse caratteristiche del servizio e allo sviluppo delle relazioni aziendali nella scuola: sulla base di una periodica contrattazione, che non può a sua volta non tenere conto del patrimonio della tradizione sindacale e dei ben delimitati confini dell’ordinamento. Emerge con sufficiente chiarezza l’esigenza che le modalità di organizzazione​​ ​​ fatte salve quelle generalissime attinenti ad un’adeguata omogeneità di​​ standard,​​ di condizioni oggettive (igienico-sanitarie, per es.), al generale​​ buon andamento​​ del servizio ed alla correttamente intesa imparzialità nel suo adempimento​​ ​​ siano subordinate e strumentali rispetto alle finalità statutarie dell’ente e di ogni singolo plesso scolastico e / o formativo, e soprattutto alla realizzazione dei diritti dei singoli e degli interessi collettivi coinvolti nel processo educativo e nell’utilizzazione del suo prodotto. La l.d.i.​​ ​​ nel rispetto dei diritti e degli interessi altrui​​ ​​ dovrebbe fare perno su «esigenze di carattere organizzativo che non discendano direttamente dalle esigenze dei destinatari / committenti del servizio». In questo senso, in piena autonomia dell’insegnante, a sua volta immersa e come garantita nell’autonomia dei soggetti e delle formazioni sociali destinatari / committenti del servizio, si esplica appieno la funzione docente la quale, giova ricordarlo, è trasmissione / comunicazione di cultura e​​ ​​ prima ancora​​ ​​ contributo alla sua elaborazione, impulso alla​​ partecipazione​​ di giovani e meno giovani alla loro stessa formazione ed all’educazione dei figli (diretti e​​ mediati​​ attraverso l’accettazione consapevole e responsabile di una sorta​​ di paternità sociale​​ che è il fondamento di tutta la legislazione partecipativa). Proprio perché il fine ultimo è la formazione «umana e critica» della / e personalità dei giovani viene ad essere l’esercizio della funzione docente come espressione e seme di l. e responsabilità.

Bibliografia

Pototschnig U., «Insegnamento (l. di)», in​​ Enciclopedia del diritto,​​ vol. XXI, Milano, Giuffré, 1971, 721-751; Talamanca A.,​​ L. della scuola e l. nella scuola,​​ Padova, CEDAM, 1975; Cecchini A. I.,​​ L. dell’informazione,​​ della scuola e dell’insegnamento nella Costituzione italiana,​​ Ibid., 1983; Pizzi A., «Insegnamento e scuola (l. di)», in​​ Enciclopedia giuridica,​​ vol. XVII, Roma, Treccani, 1989, 1-6; Corradini L. - G. Macchia - A. Milletti - S. Cicatelli,​​ Professione docente e autonomia delle scuole, Brescia, La Scuola, 2001; Cicatelli S.,​​ Conoscere la scuola. Ordinamento didattica legislazione, Ibid., 2004.

G. Garancini




LIBRETTO FORMATIVO DEL CITTADINO

 

LIBRETTO FORMATIVO​​ DEL CITTADINO

1.​​ Introduzione. Il l.f.d.c., definito in sede istituzionale nazionale ai sensi dell’accordo Stato-Regioni del 18 febbraio 2000, rappresenta «il l. personale del lavoratore […] in cui vengono registrate le competenze acquisite durante la formazione in apprendistato, la formazione in contratto di inserimento, la formazione specialistica e la formazione continua svolta durante l’arco della vita lavorativa ed effettuata da soggetti accreditati dalle regioni, nonché le competenze acquisite in modo non formale e informale secondo gli indirizzi della Unione Europea in materia di apprendimento permanente, purché riconosciute e certificate»​​ (art. 2 comma i. Decreto Legislativo 10 sett. 2003 n. 276).​​ Si tratta di un documento che si aggiunge, qualificandolo, al l. di lavoro e mira a raccogliere, sintetizzare e documentare le diverse esperienze di apprendimento dei lavoratori nonché le competenze da essi comunque acquisite: nella scuola, nella formazione, nel lavoro, nella vita quotidiana. Ciò al fine di migliorare la leggibilità e la spendibilità delle competenze e l’occupabilità delle persone.

2.​​ Spiegazione. La realizzazione di questo documento trae origine dalla limitatezza delle declaratorie professionali basate sulle qualifiche come fonte per precisare la padronanza professionale del titolare; esso si presenta quindi come uno strumento dinamico in grado di accompagnare la persona in tutto l’arco della sua esperienza formativa e lavorativa in coerenza con il concetto di​​ lifelong learning.​​ Questa concezione è coerente con le strategie e le azioni dell’Unione Europea finalizzate alla trasparenza delle competenze e alla mobilità delle persone tanto che il l. può essere considerato il corrispettivo italiano di EUROPASS, il passaporto delle qualifiche e delle competenze che favorisce la «portabilità» delle stesse in Europa, con la differenza che il l. rappresenta la carta d’identità per muoversi sia sul territorio nazionale, sia attraverso le diverse esperienze di apprendimento e lavoro. È infine coerente con la Borsa Continua del Lavoro per favorire l’incontro domanda-offerta di lavoro. Il l. fornisce informazioni sul soggetto e sul suo curriculum di apprendimento formale, non formale e informale, per la ricerca di un lavoro, per la mobilità professionale e per il passaggio da un sistema formativo all’altro; rende riconoscibili e trasparenti le competenze comunque acquisite e sostiene in questo modo l’occupabilità e lo sviluppo professionale; aiuta gli individui a mantenere consapevolezza del proprio bagaglio culturale e professionale anche al fine di orientare le scelte e i progetti futuri.

Bibliografia

Autieri E. - G. Di Francesco,​​ La certificazione delle competenze. Innovazione e sostenibilità, Milano, Angeli, 2000; Frega R.,​​ Dalla competenza alla navigazione professionale, in «Professionalità» 62 (2001) 7-18; Alberici A.- P. Serreri,​​ Competenza e formazione in età adulta. Il bilancio di competenze, Roma, Monolite Editore, 2002; Isfol,​​ La certificazione delle competenze: analisi comparativa internazionale dei dispositivi di certificazione di alcuni Paesi europei, Roma, ISFOL, 2003; Pugliese​​ S.,​​ Valutazione e sviluppo delle competenze, Milano, Ipsoa, 2004; Bordignon B.,​​ Certificazione delle competenze, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2006.

D. Nicoli




LIBRO

 

LIBRO

In origine pellicola interna di un fusto usata per la scrittura, in seguito parte di un’opera scritta, designa oggi sia un insieme ordinato di fogli cartacei rilegati, scritti e, più frequentemente, stampati, sia, per metonimia, il testo in essi contenuto.

L’industria della carta, sviluppatasi in Europa tra il XIV e il XV sec., produce il materiale che, insieme al perfezionarsi della tecnica tipografica, costituisce il l. come oggi lo conosciamo. I primi l. di carta stampata prendono il nome di​​ incunaboli​​ e sono spesso impreziositi da incisioni. La componente iconica raggiunge nel tempo elevati livelli tecnici, anche in rapporto alla domanda dell’editoria scientifica, fino all’esito eccezionalmente raffinato dell’Enciclopedia​​ di Diderot e D’Alembert (1751-1772). Diversi erano stati nel tempo i materiali su cui tramandare e diffondere la parola scritta: dal III millennio a.C. le​​ tavolette​​ incise in cuneiforme trasmettono la cultura mesopotamica; prevale poi per lungo tempo il​​ papiro,​​ in​​ fogli​​ o​​ rotoli​​ nell’area dell’antico Egitto e per tutto il mondo classico, molto gradualmente sostituito dalla​​ pergamena.​​ Di questo materiale sono costituiti i​​ codici,​​ che possono essere anche raschiati e riscritti (palinsesti)​​ e che sono molto spesso miniati. Si preferisce in seguito per maggiore praticità e minori costi la​​ carta​​ (esistono codici umanistici cartacei) con cui si realizza la diffusa esigenza di «scrittura artificiale», cioè, di fatto, della stampa (Gutenberg, 1456).

2. Nella sua storia, al l. sono stati attribuiti compiti di conservazione / testimonianza della cultura e di diffusione delle informazioni e delle idee. Proprio con la stampa si sviluppa infatti il l. funzionale: il trattato scientifico, l’opera divulgativa, la libellistica. Al l. come veicolo di idee e di formazione è collegato il suo significato pedagogico più evidente, spesso non separabile dai problemi dell’alfabetizzazione e dell’insegnamento. Ma su entrambi i versanti la cultura e la civiltà del l. sono chiamate oggi a confrontarsi con il futuro multimediale, soprattutto in rapporto all’acquisizione, alla disponibilità e al controllo delle informazioni. Ne deriva la necessità, da elaborare in termini pedagogici, di un equilibrato discernimento tra la rapidità delle accelerazioni culturali e l’esigenza della memoria storica.

Bibliografia

Di Milano V. (Ed.),​​ Manuale enciclopedico della bibliofilia, Milano, Sylvestre Bonnard, 1997; Blumenberg H.,​​ La leggibilità del mondo. Il l. come metafora della natura,​​ Bologna, Il Mulino, 1999; Barbier F.,​​ Histoire du livre, Paris, Armand Colin, 2000 (tr. it.:​​ Storia del l. dall’antichità al XX secolo,​​ Bari, Dedalo, 2004); Brezzi P.,​​ Storia del l. e dell’editoria,​​ dai codici a Internet,​​ Roma, Visceglia, 2005.

R. Lollo