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LIBERAZIONE

 

LIBERAZIONE

Il termine l. fa riferimento etimologicamente a​​ ​​ libertà, ma vi aggiunge una connotazione particolare, poiché designa il passaggio da una situazione di schiavitù ad una di libertà. Come tale è utilizzato in svariati contesti che vanno dall’affrancamento individuale da situazioni di oppressione fisica, psichica, morale o religiosa, al superamento collettivo di situazioni di dipendenza e sottomissione da parte di interi popoli e continenti.

1. A partire dalla seconda metà del sec. XX​​ il termine ha acquistato dei risvolti particolari, per via dei «movimenti di l.» sviluppatisi specialmente tra i popoli del cosiddetto Terzo Mondo. La spinta è venuta inizialmente dall’​​ ​​ America Latina. La presa di coscienza della situazione di estrema povertà della stragrande maggioranza degli abitanti del continente, e l’individuazione delle cause strutturali che la provocano e che configurano una situazione di nuova dipendenza e schiavitù (teoria della dipendenza), fomentarono delle forti aspirazioni ad un cambiamento globale e diedero​​ origine ad un vasto tentativo di l., che si è espresso in qualche caso estremo anche in forma di lotta armata. Tale ricerca di l. si è caratterizzata per aver sottolineato soprattutto i condizionamenti economici della povertà, senza tuttavia trascurare quelli sociali, politici e culturali. In altri continenti i movimenti di l. sorti successivamente hanno acquistato delle sfumature peculiari, determinate dalle condizioni in cui versavano. Così, in Africa è stata molto accentuata la componente culturale della l.; nell’Asia povera (India, Filippine) è stata la sua dimensione religiosa ad essere presa in speciale considerazione, in ragione della forte presenza delle antiche religioni profondamente radicate nei popoli; negli Stati Uniti, tra i negri, i movimenti si sono raggruppati in ragione della segregazione razziale.

2. Uno degli aspetti della l. a cui si è prestata particolare attenzione, specialmente nell’America Latina, è stato quello educativo. Si è così sviluppata quella che venne chiamata​​ ​​ «educazione liberatrice», una «pedagogia degli oppressi» (​​ Freire) mirata prioritariamente alla trasformazione dell’educando in soggetto della propria educazione. L’educazione liberatrice si caratterizza per il fatto di essere umanizzante, critica, dialogica e coscientizzatrice. Essa si propone di portare l’educando da uno stato di coscienza non corrispondente al contesto storico in cui vive, ad un altro che gli permetta una partecipazione effettiva, oggettiva e critica nel processo storico in cui è inserito.

3. La Chiesa cattolica, specialmente attraverso le Conferenze Generali del suo Episcopato di Medellín (Colombia 1968) e di Puebla (Messico, 1979), diede​​ un valido contributo ai tentativi di l. del Continente. Medellín, in particolare, dedicò uno dei suoi 16 capitoli al tema dell’educazione liberatrice, in cui si coglie l’influsso esercitato dalle proposte di Freire. Ci sono anche dei considerevoli apporti sulla tematica nel documento dedicato alla​​ ​​ catechesi.

Bibliografia

Freire P.,​​ La pedagogia degli oppressi,​​ Milano, Mondadori, 1971; Balducci E.,​​ L.,​​ in J. B. Bauer - C. Molari (Edd.),​​ Dizionario teologico,​​ Assisi, Cittadella, 1974, 313-322; Mongillo D.,​​ L., in V. Bo et al. (Edd.),​​ Dizionario di pastorale della comunità cristiana,​​ Assisi, Cittadella, 1980, 323-325; Boff L. - C. Boff,​​ Libertad y liberación,​​ Salamanca, Sígueme, 1982; Gutiérrez G.,​​ Teología de la liberación. Perspectivas,​​ Salamanca, Sígueme,​​ 172004; Aráujo Freire A.M. (Coord.),​​ La pedagogía de la liberación en Paulo Freire, Barcelona, Graó, 2004; Gelpi E.,​​ Educación permanente. La dialéctica entre opresión y liberación, Xàtiva, Edicions del CREC, 2005.

L. A. Gallo




LIBERTÀ

 

LIBERTÀ

Condizione umana in cui si agisce non per costrizione esterna, ma per decisione cosciente e volontaria in vista di qualcosa che si intende perseguire o realizzare in situazioni concrete. Nella pedagogia contemporanea la l. è vista come​​ ​​ fine specifico dell’educazione e come tratto qualificante del rapporto educativo (​​ autorità educativa).

1.​​ La comprensione storica della l.​​ Nel mondo greco-romano la l. (in gr.​​ eleuthería;​​ in lat.​​ libertas)​​ era principalmente di carattere politico, riferita all’autonomia dello Stato (della​​ pólis​​ o della​​ res publica)​​ o ai cittadini in quanto non sottomessi a poteri dispotici di imperatori, re, tiranni o in quanto non in condizione di schiavitù. Ma della l. si trattava anche in relazione al fato e alla responsabilità morale (cfr. poesia, tragedia, sofisti, stoici,​​ ​​ Socrate). Nell’Etica Nicomachea​​ (III, 1),​​ ​​ Aristotele ha sottolineato l’imputabilità soggettiva, la dimensione conoscitiva e la non costrittività esterna dell’agire libero. Il platonismo e il neo-platonismo hanno indicato il Bene come orizzonte della l. Nel pensiero cristiano, si pone l’accento sulla dimensione interiore e morale. La l. è stata messa in relazione con il tema del peccato personale e di quello dell’umanità nella sua globalità, della salvezza, della grazia, dell’aiuto divino creatore, liberante, redentore e provvidente; ma anche con i temi difficili del libero arbitrio personale, della pre-scienza divina, della predestinazione dei giusti. L’età moderna ha accentuato l’autonomia soggettiva, la l. d’azione, le l. civili e politiche, ma ha cercato di discutere il divario tra idealità e concretezza per una l. incarnata nella storia. Peraltro il sec.​​ xx​​ l’ha collegata con la tragicità, l’assurdità, la finitezza dell’esistenza, come anche con le lotte di​​ ​​ liberazione dei popoli, delle classi oppresse, delle minoranze e dei gruppi soggetti a poteri disumanizzanti e alienanti.

2.​​ Per un concetto comprensivo di l.​​ L’idea di l., per chi si muove nella tradizione culturale occidentale e moderna, è più che un semplice concetto. È carica di emozionalità, di atteggiamenti di difesa, di aspettative, di desideri. Come concetto contiene aspetti diversi che, se assolutizzati, rischiano di contraddirsi a vicenda: come può succedere quando la si pensa come spontaneità assoluta; o all’opposto come controllo razionale di tutto; o come autonomia soggettiva senza alcun legame esterno; o come adesione incondizionata a un’idea suprema o ad un gruppo o partito o movimento. In tal senso nel discorso sulla l. si devono tener insieme livelli diversi e aspetti tra loro complementari. Anche considerata astrattamente come atto isolato, risulta costituzionalmente insieme e sempre «l. da» (costrizione, almeno psicologica), «l. per» (qualcosa che si pone come termine intenzionale dell’agire), «l. in» (interiore capacità di scelta «ragionevole» rispetto a possibilità concretamente date) e «l. di» (esercizio pratico in qualche ambito del reale, ad es. di pensiero, di parola, di circolare, di commerciare, ecc.). In quanto realtà non è tanto del tipo «c’è / non c’è», ma piuttosto del tipo «più / meno», «nella misura in cui», «in quanto», «a patto che», e così via. D’altra parte è pure abbastanza chiaro che essa non si realizza in astratto né come singolo atto, slegato da ogni contesto e da ogni storia. Le scienze umane, la letteratura e i mass-media hanno messo in luce le complesse dinamiche consce ed inconsce che attraversano, condizionano e stimolano la l. umana. Non è una l. «senza condizioni», né è una l. senza storia o fuori della storia. È, come si dice, sempre una l. «incarnata», una l. «in situazione», «intrisa di tempo e di giorni»: fisica, psichica e spirituale, pratica. Peraltro, il pensiero esistenziale e fenomenologico ha messo in risalto che l’essere umano più che possedere la l.,​​ è​​ l. Essa è struttura ontologica originaria che lo costituisce. Non è una «cosa», ma piuttosto il modo specifico di essere dell’agire umano, individuale e collettivo, caratterizzato da assenza di costrizione e procedente da decisione razionale pratica («deliberato consenso»). Essa dà forma e completezza ai contenuti dell’azione dell’uomo, qualificandola come umana, ma a sua volta è misurata proprio dalla sua rilevanza umana. Trova cioè il suo criterio di valore nella promozione umana integrale, individuale e generale, di cui è capace. Senza di essa le azioni dell’uomo rimarrebbero infra-umane o sub-umane. La nostra diretta esperienza ci attesta amaramente come molte delle nostre azioni sono di questo tipo. S.​​ ​​ Tommaso d’Aquino distingueva per questo gli​​ actus humani​​ dagli​​ actus hominis​​ (atti procedenti dall’essere umano, ma non qualificabili come umani). In tal senso la l., più che un dato è un compito, che chiede impegno morale e educazione.​​ 

3.​​ Tra l. negata e ricerca di l.​​ La condizione umana contemporanea sembra radicalizzare la questione della l. Essa viene esaltata e difesa contro ogni forma di soggezione, di alienazione, di plagio, di indottrinamento, e d’altro canto appare praticamente negata dalla massificazione sociale e dall’omologazione culturale (attuata tramite il sistema mass-mediatico che invade il «privato»), dalle spinte del mercato internazionale (che utilizza le tecnologie informatiche e telematiche), dalla diffusa mentalità consumistica (che getta individui e masse in un presentismo alienante e in una ricerca spasmodica di sensazioni senza quadro e senza progetto). La complessità dell’esistenza sociale, come anche la mondializzazione del sistema economico-politico, sembrano rendere evanescente la l. personale e quella dei popoli, nella trama intricata delle dinamiche strutturali psicologiche, intellettuali, culturali, socio-economiche. D’altra parte la diffusa «preoccupazione per l’uomo», per i diritti umani di tutti, per una buona e migliore qualità della vita, per il destino del mondo e degli eco-sistemi, per l’accesso di tutti i popoli e dei diversi gruppi o strati sociali alla scena della storia, spinge ad andare oltre la difesa delle «l. moderne» e ad aprirsi all’altro, ad uscire da sé nella dedizione senza misura o lungo le strade non sempre controllabili dell’amicizia e dell’amore, nell’impegno solidale di liberazione. In effetti la l. è «con-l.», che chiede di coniugare interdipendenza effettiva e solidarietà voluta e ricercata fattivamente, nella coscienza della corresponsabilità storica per l’umano. In questa linea il pensiero cristiano contemporaneo prospetta l’idea che se non si vuol ridurre la l. ad una «passione inutile» (J.-P. Sartre), occorre non costringerla entro la «curva dei giorni» (A. Camus), ma porla in relazione con la trascendenza di Dio: visto non come concorrente dell’uomo nella l., ma promotore di essa. A questo scopo si fa riferimento alle indicazioni bibliche di Dio che chiama l’uomo alla vita, lo forma a sua immagine e somiglianza, fa alleanza con lui, lo soccorre e lo libera per farne un popolo; che nell’incarnazione, nella morte e resurrezione del Cristo toglie la separazione tra cielo e terra, tra sacro e profano, tra carne e spirito in modo che «ogni carne vedrà la salvezza» di Dio, la cui «gloria è l’uomo vivente» e i cui comandamenti sono la «legge dell’amore» di un Dio Padre, non l’imposizione di un «dio-tiranno».

Bibliografia

Rigobello A.,​​ Il futuro della l., Roma, Studium, 1978; Laeng M.,​​ Educazione alla l. civile,​​ morale,​​ religiosa,​​ Teramo, Lisciani e Giunti, 1980; Penati G.,​​ Decisione e origine. Sulla verità della l.,​​ Brescia, Morcelliana, 1983; Laeng M.,​​ Educazione alla l., Teramo, Lisciani e Giunti, 1992; Smith Michael P.,​​ Educare per la l., Milano, Eleuthera, 1990; Zavalloni R.,​​ Educarsi alla responsabilità,​​ Assisi, Porziuncola, 1996; Sen Amartya K.,​​ La l. individuale come impegno sociale, Roma / Bari, Laterza, 2007.

C. Nanni




LIBERTÀ DI INSEGNAMENTO

 

LIBERTÀ DI INSEGNAMENTO

La l.d.i. non appartiene solo agli operatori professionali della scuola: essendo un diritto che rientra in quel grappolo di diritti originari della persona e delle sue formazioni sociali, il cui riconoscimento originario costituisce una delle caratteristiche strutturali dell’impianto costituzionale, ne sono titolari sia i singoli sia le comunità. E tuttavia non c’è dubbio che la l.d.i. riguardi specialmente coloro che sono operatori stabili della struttura scolastica.

1. Nella dottrina giuridica sul diritto scolastico si discute ampiamente​​ ​​ e da lungo tempo​​ ​​ se la l.d.i. sia una specificazione della più generale l. di espressione del pensiero, o sia una l. autonoma, con un suo specifico e originario fondamento. Non solo, ma una parte della dottrina, specialmente quella tedesca, tende a​​ derubricare​​ la l.d.i., e a non più collocarla tra i diritti individuali di l., ma tra​​ «die institutionellen Garantien»​​ (Köttgen),​​ le garanzie istituzionali assicurate al libero esercizio di un diritto nell’ambito di strutture predeterminate e preordinate, tanto che si giunge acutamente a distinguere tra l.d.i.​​ tout court​​ e l.d.i. (Amorth). Per chiarire i fondamenti della l.d.i., occorre ricordare due elementi originari: la socialità dell’istruzione e la funzione educativa dell’istituzione. Nel primo piano va certamente rilevato come la finalità di istruzione non si limiti all’espressione di una cultura, in maniera indifferenziata, ma alla sua finalizzazione all’interesse esterno, in primo luogo dei destinatari diretti di tale espressione (per i quali, anzi, l’insegnamento ricevuto è risposta a un diritto, il diritto all’istruzione), e della società tutta, dalle comunità territoriali di più vicino riferimento fino alla comunità nazionale e a quella internazionale. Nel secondo piano va rilevato che l’insegnamento si esplica naturalmente in un rapporto, nel quale vengono in considerazione e in rilievo due soggetti, l’insegnante e l’allievo (e mediatamente la comunità sociale), tra i quali l’insegnamento crea una corrente, una tensione educativa necessaria alla stessa costituzione del rapporto giuridico. C’è chi arriva ad affermare che «attualmente la l.d.i. è data nell’interesse diretto e primario della società, non in quello di coloro cui, di per sé, la norma si rivolge» (Pototschnig). Senza addentrarci ulteriormente in questa discussione​​ ​​ per altro suggestiva e decisiva per stabilire alcuni confini basilari per affrontare correttamente l’intera problematica del diritto scolastico​​ ​​ crediamo di poter rilevare che: a) la l.d.i. non può essere considerata di esclusiva pertinenza del singolo individuo, e da questi opposta a chicchessia, ma trova la sua più compiuta caratterizzazione e il suo più pieno sviluppo nell’ambito di un​​ ​​ rapporto educativo; b) essa non può essere riferita esclusivamente ad un singolo individuo insegnante, ma va estesa ad altri soggetti, e segnatamente a quelle formazioni sociali «ove si svolge la personalità» dell’uomo e del cittadino riconosciute dall’ordinamento costituzionale, a partire dalla famiglia; c) essa non può essere limitata alla semplice espressione del pensiero e della cultura, ma non può che estendersi all’intero rapporto educativo, e pertanto anche alla predisposizione del complesso degli strumenti per realizzare al meglio tali rapporti (e cioè, in ultima analisi, alla istituzione e gestione di scuole ed istituti di educazione). Nella scuola istituita e gestita dallo Stato o da altri soggetti di diritto pubblico, la l.d.i. è programmaticamente ed istituzionalmente l. individuale, vale a dire espressione di un rapporto individualistico con la legge, e trova i suoi vincoli nella responsabilità individuale di fronte ad un soggetto di diritto pubblico, che deve curare esclusivamente gli aspetti formali. Tuttavia, nei confronti dell’ente pubblico istitutore e gestore la tutela della l.d.i. funziona come una tutela negativa, una affermazione di l. da qualsiasi intervento o interferenza esterni, salvo quelli relativi da una parte all’ordine pubblico ed al buon costume e dall’altra agli​​ standard​​ e agli assetti formali dell’organizzazione e del servizio. Nelle scuole istituite e gestite da soggetti di diritto privato, la l.d.i. disegna e fa parte di un rapporto più complesso, dato che la scuola non statale​​ ​​ altrimenti detta correttamente (anche letteralmente in altri ordinamenti europei)​​ ​​ scuola libera​​ ​​ nasce dall’incontro, variamente organizzato e giuridicamente formalizzato, di diverse l., della l., e della l.d.i. di diversi soggetti.

2. C’è tuttavia un elemento unificante, che insieme dà senso costruttivo alla l.d.i., sia che si esplichi nelle scuole istituite e gestite da enti di diritto pubblico sia che si esprima attraverso scuole istituite e gestite da soggetti di diritto privato: ed è l’esplicazione, l’adempimento della medesima​​ funzione docente.​​ Essa è funzione radicalmente pubblica, perché rivolta al pubblico, anche se è un pubblico speciale, specifico di quella scuola. Essa risponde al diritto-dovere dei genitori di istruire ed educare i figli, e più in generale al diritto all’istruzione dei cittadini. La funzione docente realizza la l. costruttiva, positiva degli operatori scolastici: è il loro modo di partecipare all’organizzazione sociale e di concorrere, in adempimento del dovere di solidarietà, allo sviluppo ed alla crescita della società. È in questa accezione pienamente pubblica e partecipativa della funzione docente che la l.d.i. anche nella scuola istituita e gestita dallo Stato può qualificarsi non solo come l. negativa, vale a dire come potere di interdizione dell’individuo di fronte ad eventuali intrusioni nella sua sfera giuridica, ma anche qui come l. positiva, l. per costruire un nuovo modello di rapporti.

3. La funzione docente è, dunque, una specificazione di quella attività o funzione che ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, per concorrere «al progresso materiale o spirituale della società». E siccome i doveri che vengono in evidenza in questi principi fondamentali della Cost. repubblicana sono i «doveri inderogabili di​​ solidarietà»​​ (art. 2 Cost.), ne deriva che lo svolgimento della funzione docente non configura soltanto un diritto soggettivo, e non inerisce quindi soltanto alla sfera giuridica individuale, ma rientra anche nell’adempimento di un dovere di solidarietà, imponendo che vi si dedichi la dovuta attenzione, il dovuto rispetto per la personalità, l’identità culturale, lo sviluppo integrale dei destinatari (gli allievi), sia come singoli, sia nel contesto dell’insieme delle formazioni sociali dove si svolge e costruisce la loro personalità (dalla famiglia al complesso della società organica). In questo contesto, pertanto, la l.d.i. non si può configurare soltanto come un diritto soggettivo, e come una l. individuale e negativa opponibile​​ tout court​​ ai terzi, e in qualche modo conflittuale con le loro sfere giuridiche individuali: bensì va configurata come una garanzia per lo svolgimento corretto e tendenzialmente completo di quella funzione di cui si diceva. Pertanto le modalità di attuazione della l.d.i. non possono non tenere conto delle modalità previste dalla Cost., prima fra tutte quella della partecipazione. Infatti la l.d.i. si integra necessariamente con la partecipazione alla vita della scuola e della / e comunità di riferimento, e con la sua corresponsabilizzazione (il​​ concorso)​​ con lo sviluppo sia dell’identità personale e sociale degli allievi sia della società.

4. La l.d.i., dunque, si esplica nel e attraverso il sistema scolastico-formativo o, ma più riduttivamente, attraverso la scuola, intesa come organizzazione e molto di più come istituzione. Essa viene in considerazione in relazione: a) ai fondamenti istitutivi della scuola; b) alle modalità organizzative; c) agli altri diritti o interessi che sono presenti nella scuola e che in essa ed attraverso di essa tendono alla loro realizzazione (diritti e / o interessi degli allievi, delle loro famiglie, della società organica, della stessa pubblica amministrazione). La l.d.i. può essere, in sostanza, definita come «la l. di partecipare al progetto educativo-formativo della scuola (non dello Stato, che per definizione e per scelta democratica non si occupa dell’educazione nazionale ma della pubblica istruzione), con i​​ propri apporti professionali originali​​ (che debbono, naturalmente, essere originali e professionali) e di concorrere alla sua realizzazione (e, a determinate condizioni, alla sua elaborazione)». In relazione ai fondamenti istitutivi della scuola, la l.d.i. si situa necessariamente in rapporto con il contesto della scuola stessa, con la sua​​ tavola valoriale,​​ quale è dettata non già dall’organizzazione o dall’appartenenza patrimoniale a un ente pubblico, bensì dai concreti soggetti coinvolti nell’esperienza della comunità scolastica, gli allievi, le loro famiglie, gli insegnanti, l’intera società locale di riferimento. In tal senso la​​ tavola valoriale​​ della scuola, della singola scuola non può che essere in relazione stretta con la​​ tavola valoriale​​ della comunità. E quanto più esse coincideranno, tanto maggiore sarà l’efficacia del servizio scolastico formativo. Quanto meno esse coincideranno, tanto meno efficace sarà il lavoro sviluppato​​ ​​ se sviluppato​​ ​​ nell’istituzione.

5. In relazione alle modalità di organizzazione della scuola, giova prima di tutto distinguere tra la l.d.i., costitutiva dei criteri organizzativi, dopo che istituzionali, della scuola, dalle l. dell’insegnante, contingenti e determinabili praticamente in relazione alle diverse caratteristiche del servizio e allo sviluppo delle relazioni aziendali nella scuola: sulla base di una periodica contrattazione, che non può a sua volta non tenere conto del patrimonio della tradizione sindacale e dei ben delimitati confini dell’ordinamento. Emerge con sufficiente chiarezza l’esigenza che le modalità di organizzazione​​ ​​ fatte salve quelle generalissime attinenti ad un’adeguata omogeneità di​​ standard,​​ di condizioni oggettive (igienico-sanitarie, per es.), al generale​​ buon andamento​​ del servizio ed alla correttamente intesa imparzialità nel suo adempimento​​ ​​ siano subordinate e strumentali rispetto alle finalità statutarie dell’ente e di ogni singolo plesso scolastico e / o formativo, e soprattutto alla realizzazione dei diritti dei singoli e degli interessi collettivi coinvolti nel processo educativo e nell’utilizzazione del suo prodotto. La l.d.i.​​ ​​ nel rispetto dei diritti e degli interessi altrui​​ ​​ dovrebbe fare perno su «esigenze di carattere organizzativo che non discendano direttamente dalle esigenze dei destinatari / committenti del servizio». In questo senso, in piena autonomia dell’insegnante, a sua volta immersa e come garantita nell’autonomia dei soggetti e delle formazioni sociali destinatari / committenti del servizio, si esplica appieno la funzione docente la quale, giova ricordarlo, è trasmissione / comunicazione di cultura e​​ ​​ prima ancora​​ ​​ contributo alla sua elaborazione, impulso alla​​ partecipazione​​ di giovani e meno giovani alla loro stessa formazione ed all’educazione dei figli (diretti e​​ mediati​​ attraverso l’accettazione consapevole e responsabile di una sorta​​ di paternità sociale​​ che è il fondamento di tutta la legislazione partecipativa). Proprio perché il fine ultimo è la formazione «umana e critica» della / e personalità dei giovani viene ad essere l’esercizio della funzione docente come espressione e seme di l. e responsabilità.

Bibliografia

Pototschnig U., «Insegnamento (l. di)», in​​ Enciclopedia del diritto,​​ vol. XXI, Milano, Giuffré, 1971, 721-751; Talamanca A.,​​ L. della scuola e l. nella scuola,​​ Padova, CEDAM, 1975; Cecchini A. I.,​​ L. dell’informazione,​​ della scuola e dell’insegnamento nella Costituzione italiana,​​ Ibid., 1983; Pizzi A., «Insegnamento e scuola (l. di)», in​​ Enciclopedia giuridica,​​ vol. XVII, Roma, Treccani, 1989, 1-6; Corradini L. - G. Macchia - A. Milletti - S. Cicatelli,​​ Professione docente e autonomia delle scuole, Brescia, La Scuola, 2001; Cicatelli S.,​​ Conoscere la scuola. Ordinamento didattica legislazione, Ibid., 2004.

G. Garancini




LIBRETTO FORMATIVO DEL CITTADINO

 

LIBRETTO FORMATIVO​​ DEL CITTADINO

1.​​ Introduzione. Il l.f.d.c., definito in sede istituzionale nazionale ai sensi dell’accordo Stato-Regioni del 18 febbraio 2000, rappresenta «il l. personale del lavoratore […] in cui vengono registrate le competenze acquisite durante la formazione in apprendistato, la formazione in contratto di inserimento, la formazione specialistica e la formazione continua svolta durante l’arco della vita lavorativa ed effettuata da soggetti accreditati dalle regioni, nonché le competenze acquisite in modo non formale e informale secondo gli indirizzi della Unione Europea in materia di apprendimento permanente, purché riconosciute e certificate»​​ (art. 2 comma i. Decreto Legislativo 10 sett. 2003 n. 276).​​ Si tratta di un documento che si aggiunge, qualificandolo, al l. di lavoro e mira a raccogliere, sintetizzare e documentare le diverse esperienze di apprendimento dei lavoratori nonché le competenze da essi comunque acquisite: nella scuola, nella formazione, nel lavoro, nella vita quotidiana. Ciò al fine di migliorare la leggibilità e la spendibilità delle competenze e l’occupabilità delle persone.

2.​​ Spiegazione. La realizzazione di questo documento trae origine dalla limitatezza delle declaratorie professionali basate sulle qualifiche come fonte per precisare la padronanza professionale del titolare; esso si presenta quindi come uno strumento dinamico in grado di accompagnare la persona in tutto l’arco della sua esperienza formativa e lavorativa in coerenza con il concetto di​​ lifelong learning.​​ Questa concezione è coerente con le strategie e le azioni dell’Unione Europea finalizzate alla trasparenza delle competenze e alla mobilità delle persone tanto che il l. può essere considerato il corrispettivo italiano di EUROPASS, il passaporto delle qualifiche e delle competenze che favorisce la «portabilità» delle stesse in Europa, con la differenza che il l. rappresenta la carta d’identità per muoversi sia sul territorio nazionale, sia attraverso le diverse esperienze di apprendimento e lavoro. È infine coerente con la Borsa Continua del Lavoro per favorire l’incontro domanda-offerta di lavoro. Il l. fornisce informazioni sul soggetto e sul suo curriculum di apprendimento formale, non formale e informale, per la ricerca di un lavoro, per la mobilità professionale e per il passaggio da un sistema formativo all’altro; rende riconoscibili e trasparenti le competenze comunque acquisite e sostiene in questo modo l’occupabilità e lo sviluppo professionale; aiuta gli individui a mantenere consapevolezza del proprio bagaglio culturale e professionale anche al fine di orientare le scelte e i progetti futuri.

Bibliografia

Autieri E. - G. Di Francesco,​​ La certificazione delle competenze. Innovazione e sostenibilità, Milano, Angeli, 2000; Frega R.,​​ Dalla competenza alla navigazione professionale, in «Professionalità» 62 (2001) 7-18; Alberici A.- P. Serreri,​​ Competenza e formazione in età adulta. Il bilancio di competenze, Roma, Monolite Editore, 2002; Isfol,​​ La certificazione delle competenze: analisi comparativa internazionale dei dispositivi di certificazione di alcuni Paesi europei, Roma, ISFOL, 2003; Pugliese​​ S.,​​ Valutazione e sviluppo delle competenze, Milano, Ipsoa, 2004; Bordignon B.,​​ Certificazione delle competenze, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2006.

D. Nicoli




LIBRO

 

LIBRO

In origine pellicola interna di un fusto usata per la scrittura, in seguito parte di un’opera scritta, designa oggi sia un insieme ordinato di fogli cartacei rilegati, scritti e, più frequentemente, stampati, sia, per metonimia, il testo in essi contenuto.

L’industria della carta, sviluppatasi in Europa tra il XIV e il XV sec., produce il materiale che, insieme al perfezionarsi della tecnica tipografica, costituisce il l. come oggi lo conosciamo. I primi l. di carta stampata prendono il nome di​​ incunaboli​​ e sono spesso impreziositi da incisioni. La componente iconica raggiunge nel tempo elevati livelli tecnici, anche in rapporto alla domanda dell’editoria scientifica, fino all’esito eccezionalmente raffinato dell’Enciclopedia​​ di Diderot e D’Alembert (1751-1772). Diversi erano stati nel tempo i materiali su cui tramandare e diffondere la parola scritta: dal III millennio a.C. le​​ tavolette​​ incise in cuneiforme trasmettono la cultura mesopotamica; prevale poi per lungo tempo il​​ papiro,​​ in​​ fogli​​ o​​ rotoli​​ nell’area dell’antico Egitto e per tutto il mondo classico, molto gradualmente sostituito dalla​​ pergamena.​​ Di questo materiale sono costituiti i​​ codici,​​ che possono essere anche raschiati e riscritti (palinsesti)​​ e che sono molto spesso miniati. Si preferisce in seguito per maggiore praticità e minori costi la​​ carta​​ (esistono codici umanistici cartacei) con cui si realizza la diffusa esigenza di «scrittura artificiale», cioè, di fatto, della stampa (Gutenberg, 1456).

2. Nella sua storia, al l. sono stati attribuiti compiti di conservazione / testimonianza della cultura e di diffusione delle informazioni e delle idee. Proprio con la stampa si sviluppa infatti il l. funzionale: il trattato scientifico, l’opera divulgativa, la libellistica. Al l. come veicolo di idee e di formazione è collegato il suo significato pedagogico più evidente, spesso non separabile dai problemi dell’alfabetizzazione e dell’insegnamento. Ma su entrambi i versanti la cultura e la civiltà del l. sono chiamate oggi a confrontarsi con il futuro multimediale, soprattutto in rapporto all’acquisizione, alla disponibilità e al controllo delle informazioni. Ne deriva la necessità, da elaborare in termini pedagogici, di un equilibrato discernimento tra la rapidità delle accelerazioni culturali e l’esigenza della memoria storica.

Bibliografia

Di Milano V. (Ed.),​​ Manuale enciclopedico della bibliofilia, Milano, Sylvestre Bonnard, 1997; Blumenberg H.,​​ La leggibilità del mondo. Il l. come metafora della natura,​​ Bologna, Il Mulino, 1999; Barbier F.,​​ Histoire du livre, Paris, Armand Colin, 2000 (tr. it.:​​ Storia del l. dall’antichità al XX secolo,​​ Bari, Dedalo, 2004); Brezzi P.,​​ Storia del l. e dell’editoria,​​ dai codici a Internet,​​ Roma, Visceglia, 2005.

R. Lollo




LICEO

 

LICEO

Dal gr.​​ Lykaion óros​​ (lat.​​ mons Licaeus),​​ designava la località nei pressi di Atene che traeva nome dal santuario di Apollo Licèo e dove​​ ​​ Aristotele aprì una scuola nella quale svolgeva il suo insegnamento di filosofia. Più tardi il termine passò ad indicare in genere luoghi pubblici, in cui si tenevano esercitazioni letterarie e filosofiche, e divenne infine, talora unito al termine​​ ​​ ginnasio, titolo di scuola superiore.

1. Così avvenne in Italia, dove la L. Casati (1859) istituì il l. classico di tre anni, che con i cinque anni di ginnasio che lo precedevano (inferiore e superiore), segnò la scuola di più alto livello culturale, fondata prevalentemente sull’insegnamento del lat. e del gr. La riforma​​ ​​ Gentile (1923), per mantenere al l. classico la sua posizione di prestigio, vi affiancò il l. scientifico, in cui, in sostituzione del gr., venne dato più spazio all’area delle discipline fisico-matematiche e potenziato l’insegnamento delle lingue straniere. Con un decreto legge del 1926 venne istituito anche il l. artistico. In tempi successivi sorsero altri tipi di l., come il l. linguistico, e più recentemente, il l. psico-socio-pedagogico (rispondente all’istituto magistrale), il l. europeo, il l. tecnologico...

2. Fra gli ordinamenti scolastici europei si segnala la presenza del l. particolarmente nella scuola francese, dove il​​ licée​​ si identifica con la secondaria superiore (preceduta dalla inferiore denominata​​ collège),​​ articolata in l. generale (a più indirizzi: letterario, economico-sociale, scientifico) e tecnologico (scienze e tecnologie terziarie, industriali, di laboratorio, medico-sociali) e in l. professionale, orientato ad una istruzione generale di base e tecnico-pratica. In Lussemburgo la denominazione l. copre tutto l’arco della scuola secondaria inferiore e superiore, di tipo generale (lycées)​​ e di tipo tecnico (lycées techniques).​​ Anche in Olanda il​​ Lyceum,​​ accanto all’Atheneum​​ e al​​ Gymnasium,​​ costituisce un tipo di scuola secondaria con sbocco universitario. La Grecia, dopo il​​ Gymnasio​​ (secondaria inferiore), prevede il​​ Lykeio​​ (secondaria superiore) a indirizzi unificati dopo la riforma del 1997-98. Per ulteriori notizie cfr. anche la voce​​ ​​ ginnasio.

Bibliografia

Cives G. (Ed.),​​ La scuola italiana dall’Unità ai nostri giorni,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1990; Caron J. C., «I giovani a scuola: collegiali e liceali (fine XVIII - fine XIX sec.)», in G. Levi - C. Schmitt (Edd.),​​ Storia dei giovani,​​ vol. 2,​​ L’età contemporanea,​​ Bari, Laterza, 1994, 161-232;​​ www.eurydice.org / portal / page / portal / Eurydice /​​ DB_Eurybase_Home.

G. Proverbio




LINGUAGGIO

 

LINGUAGGIO

Si definisce l.: a) la capacità dell’uomo di scambiare informazioni o comunque di entrare in comunicazione con i propri simili; b) l’oggetto di tale scambio comunicativo, in quanto strutturato in codici e lessici; c) la pratica sociale attraverso la quale detta facoltà produce il suo oggetto. Ciascuna di queste definizioni implicherebbe competenze disciplinari articolate ed eterogenee che riguardano la psicolinguistica, la linguistica, la semiologia, la sociologia, la filosofia del l., rendendo ragione della indiscussa centralità del l. nel pensiero contemporaneo. Tenendo sullo sfondo tale orizzonte problematico è possibile indicare almeno i nodi attorno ai quali il dibattito teorico si è volta a volta organizzato.

1.​​ Il l.​​ come facoltà comunicativa.​​ La linguistica ha sin dall’inizio (Saussure) chiarito la differenza del l. rispetto al fenomeno della lingua pensata come «il prodotto sociale della facoltà del l.», o meglio come «un insieme di convenzioni adottate all’interno di un gruppo di individui per consentire l’uso sociale di questa facoltà». Con questo, essa assume anche un ben preciso punto di vista circa l’origine del l., optando per l’ipotesi convenzionalista, già sostenuta da Ermogene nel​​ Cratilo​​ platonico. Secondo questa posizione teorica, il rapporto che lega la materialità significante della parola (piano dell’espressione) con il significato cui essa rinvia (piano del contenuto) è puramente arbitrario: quindi, ad esempio, non vi è una ragione particolare per cui il noto animale lanuto si chiami pecora in italiano, sheep in inglese o ovelha in portoghese. A questa ipotesi si oppone quella naturalista che, facendo leva soprattutto sullo studio delle onomatopee, evidenzia invece il forte radicamento della parola alle cose: così il verbo tintinnare avrebbe a che fare con il rumore della moneta quando rimbalza più volte per terra. Decidere dell’origine naturale o convenzionale del l. significa decidere del suo valore strumentale. La tradizione occidentale ha sempre concepito il l. come un mezzo attraverso il quale veicolare messaggi. Contro questa concezione strumentalista da più parti (Heidegger, Wittgenstein, Gadamer, Habermas) si è reagito anche in ragione della riscoperta del nesso di coappartenenza tra essere e l. I risultati di questo ripensamento vanno nella direzione sia di una riflessione sulla profondità della dizione metaforica (Ricoeur) come l. dell’essere, sia, più in generale, di un ripensamento dell’ontologia e dell’antropologia proprio a partire dalla centralità del l.

2.​​ Il l. oggetto.​​ La​​ ​​ semiologia ma anche le altre scienze umane e sociali hanno ormai fissato la scansione del l. nelle due grandi aree del verbale e del non verbale. Il l. verbale va inteso come un enunciato (o un insieme di enunciati) orale o scritto la cui funzione è di descrivere stati di cose (constativo) o produrre effetti nel destinatario (performativo). Più articolato il discorso nel caso del l. non verbale. Ad esso si possono ricondurre infatti: gli elementi para-linguistici (mimica, gestualità, prossemica; tono, timbro e altezza della voce), gli elementi sonori (rumori e musica), gli elementi iconici. In entrambi i casi (verbale e non verbale) è facile riconoscere una possibilità di analisi del l. ad almeno tre livelli (Morris): il livello sintattico delle relazioni, interne al sistema linguistico, tra i suoi elementi costitutivi; il livello semantico della capacità di questo sistema di rinviare a una determinata struttura simbolica; il livello pragmatico della sua efficacia comunicativa. Si tratta in sostanza, secondo un’altra nota terminologia (Austin), delle tre dimensioni del l. come sistema di segni (locuzione), sedimentazione di contenuti (illocuzione), produzione di comportamenti (perlocuzione). Soprattutto quest’ultima dimensione è oggi al centro dell’attenzione delle scienze sociali tanto da giustificare prima la nascita e poi l’affermazione della pragmatica (Levinson) come nuovo campo disciplinare.

3.​​ Il l.​​ come pratica sociale.​​ Lo scambio comunicativo, l’interazione fra i parlanti, è ciò che consente di definire il l. come una pratica sociale, forse la più rilevante delle pratiche sociali umane. In quest’ottica si può senz’altro dire che il l. è costitutivo della struttura profonda della persona, cioè del suo essere in relazione. Secondo il vecchio paradosso spiritualista, infatti, anche per parlare da solo a solo, con me stesso, nel chiuso silenzioso della mia coscienza, ho bisogno del l. A maggior ragione non può prescindere dal l. l’altro movimento relazionale, quello che pone in rapporto persona e persona. Come una lunga tradizione teoretica ha messo in luce (Hegel, Husserl, Sartre) la costruzione della coscienza trova nel riconoscimento, e quindi nell’incontro con l’altro, il proprio momento insostituibile. Nella misura in cui il l. rende possibile tale incontro, esso si lascia comprendere come condizione del formarsi di quella struttura socioantropologicamente importantissima che è l’intersoggettività. Lo si comprende bene, oggi, se si pensa alla rilevanza che l’analisi della comunicazione ha assunto nello studio dei processi di formazione in rete telematica o delle culture giovanili.

4.​​ L’importanza educativa.​​ Proprio in relazione a questo spazio umano e sociale si può comprendere l’importanza educativa del l. che si può ricondurre ad almeno tre rilievi. Anzitutto, come la sociologia dell’educazione neomarxista e certa pedagogia cattolica (Don Milani) hanno indicato, educare al l. significa ridurre lo​​ ​​ svantaggio sociale. Perché questo sia possibile è necessario smettere di pensare l’educazione linguistica come apprendimento di abilità (alfabetiche) in vista di prove da superare (Postman): questo tipo di educazione, infatti, mantiene anziché ridurre lo svantaggio (Bourdieu). La nuova concezione dell’insegnamento del l. che occorre promuovere intende il l. come capacità di porre domande, di elaborare metafore che sintetizzino la conoscenza, di produrre definizioni (Postman): in sostanza il passaggio auspicato è da una concezione strumentale e riproduttiva del l., a una concezione culturale ed espressiva. In secondo luogo, l’educazione linguistica potrebbe configurarsi come vera e propria meta-educazione in grado di porre in dialogo le diverse discipline. A prescindere dal set di competenze che le appartengono, ogni disciplina è anzitutto un gioco linguistico dotato di elementi e di regole: lo è evidentemente la letteratura, ma lo sono anche la matematica e la biologia che servono, come direbbe Galileo proprio con metafora linguistica, a leggere il libro della natura. Capire questo implica il compito di ogni educatore di educare a quel tipo particolare di l. in cui il sapere della sua area disciplinare si esprime. Non solo. Consente di ripensare su base linguistica seria l’equivoca interpretazione della transdisciplinarità (o​​ ​​ interdisciplinarità) come semplice convergenza sui contenuti. Da ultimo, proprio alla luce di quanto detto è possibile indicare una terza valenza educativa del l. Esso si presenta all’educatore come un formidabile strumento metodologico per l’approccio alla complessità nel senso, se non di una sua riduzione, almeno dell’offerta al soggetto di una importante mappa cognitiva ai fini di un suo più facile orientamento.

Bibliografia

Morris C.,​​ Lineamenti di una teoria dei segni,​​ Torino, Paravia,​​ 21970; Austin J. L.,​​ Come fare cose con parole,​​ Casale Monferrato (AL), Marietti, 1974; Saussure F.,​​ Corso di linguistica generale,​​ Roma / Bari, Laterza,​​ 51987; Bertuccelli Papi M.,​​ Che cos’è la pragmatica,​​ Milano, Bompiani, 1993; Ferrari S.,​​ Metodi e strumenti per l’analisi psicopedagogia dei forum, Milano, Guerini Studio, 2006.​​ 

P. C. Rivoltella​​ 




LINGUAGGIO ARTIFICIALE

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LINGUAGGIO ARTIFICIALE

Sistema di segni (alfabeto), dotato di un suo lessico, di una sua grammatica, di una sua sintassi e di una sua logica, costruito dall’uomo per risolvere determinati problemi di​​ ​​ comunicazione.

1. I l.a. più noti sono quelli usati nell’ambito dell’​​ ​​ informatica e nell’uso dei computer. Tuttavia possono essere considerati tali anche quelli utilizzati nella segnaletica stradale e nel disegno tecnico, anche se spesso vengono a mancare alcuni caratteri propri di un l. autonomo, come la sintassi o la logica. L’alfabeto Morse è un esempio di l.a. ridotto al suo solo alfabeto. Di natura ancora diversa è il linguaggio dei segni e quello Braille utilizzati nella comunicazioni con soggetti sordi e / o sordomuti.​​ 

2. L’aggettivo «artificiale» contrappone i l.a. a quelli naturali, cioè a quelli storicamente sviluppati dall’uomo per comunicare con i suoi simili. I l.a., infatti, hanno avuto origine in genere nella comunicazione uomo-macchina. All’uso diretto di leve e manovelle è succeduto progressivamente, a partire dalla fine del sec. XVIII, l’uso di un sistema di segni che la macchina fosse in grado di riconoscere. Il primo l.a. di questo tipo può essere identificato nelle tavole o schede a buchi utilizzate nei telai meccanici e nei carillon. Oggi i l.a. utilizzati nelle tecnica sono assai numerosi e sono costruiti e usati per affrontare specifici problemi e di lavoro e di comunicazione. Tra questi sono particolarmente diffusi i l. usati per comunicare con i computer e con tutte le altre macchine che utilizzano sistemi di elaborazione basati su microprocessori.

Bibliografia

Mauri G.,​​ Comunicare con il computer: i l., Milano, Jackson, 1986; Pellerey M.,​​ Informatica: fondamenti scientifici e culturali,​​ Torino, SEI, 1986; Goldschlager L. - A. Lister,​​ Introduzione all’informatica. Algoritmi,​​ strutture,​​ sistemi,​​ Ibid., 1988; Calvani A. (Ed.),​​ Scuola,​​ computer,​​ l.,​​ Torino, Loescher, 1989; Schank R. C.,​​ Il computer cognitivo. L.,​​ apprendimento e intelligenza artificiale,​​ Firenze, Giunti, 1989;​​ Fondamenti di informatica. Vol. 2: Reti,​​ basi di dati,​​ multimedia,​​ l.,​​ algoritmi, Bologna, Zanichelli, 2006; Guida G. - M. Giacomin,​​ Fondamenti di informatica, Milano, Angeli, 2006.

M. Pellerey




LINGUISTICA TESTUALE

 

LINGUISTICA TESTUALE

La l. del testo, o l.t., viene inaugurata intorno agli anni settanta, ad indicare lo spostamento dell’oggetto di studio dall’unità-frase all’unità-testo, per l’insufficienza della frase a dare ragione di numerosi fenomeni, quali la coreferenza, la selezione degli articoli, la pronominalizzazione, l’ordine delle parole, l’intonazione... Ad essa si deve il merito di aver individuato le proprietà fondamentali del testo, quali la​​ coesione,​​ o compattezza formale, e la​​ coerenza,​​ o unità di significato.

1. Nello sviluppo della l.t. vanno segnalati alcuni momenti importanti, che hanno consentito di perfezionare la nozione di testo: il momento interfrastico, il momento comunicativo e il momento pragmatico. Il momento interfrastico ha indotto a definire il testo quale «sequenza coerente di frasi», dove l’attenzione più che al testo in sé è rivolta ai meccanismi di coesione, garanti della coerenza testuale: i fenomeni di coreferenza (ripetizioni lessematiche, sostituzioni, pronominalizzazioni anaforiche e cataforiche) e i connettivi testuali, quali le congiunzioni e alcuni tipi di avverbio.

2. Al momento comunicativo appartiene la definizione di testo inteso come «insieme di frasi tematicamente coerente», in cui sia chiaramente riconoscibile l’intenzione comunicativa. E ciò avviene soltanto attraverso quella che è chiamata la «progressione tematica», che consiste di solito nella assunzione, nelle frasi che costituiscono la sequenza testuale, di un elemento noto (detto «tema») e nell’apporvi un elemento nuovo (detto «rema»). Non vi è progressione tematica, per es., nella sequenza​​ Luigi possiede una macchina potente. Mentre la mamma di Paolo è inglese.​​ Nel momento pragmatico, infine, si evidenzia che, accanto all’intenzione comunicativa, nel testo deve essere riconoscibile anche l’intenzione pragmatica o pratica del locutore: in altri termini, ciò che questi intende «fare» parlando. Il testo viene così definito come «manifestazione di un potenziale illocutivo», di quell’aspetto del testo cioè, chiamato appunto illocutivo, che permette di cogliere che cosa si proponga il parlante «agendo» linguisticamente, che è segnalato peraltro dai verbi «performativi» (promettere,​​ domandare,​​ consigliare).​​ 

3. Così inteso il testo può essere costituito anche da una sola frase (ti consiglio di partire)​​ o da una sola parola (parti),​​ dove il verbo performativo è sottaciuto, ma dove si coglie ugualmente l’azione l. e l’intenzione pratica del locutore. Nella pratica didattica, l’analisi dei testi non dovrebbe trascurare gli aspetti ora segnalati, ai fini di una adeguata comprensione da parte degli studenti e, conseguentemente, di una corretta produzione. La competenza testuale ricettiva consiste infatti nella capacità di segmentare, riformulare e riassumere un testo (dunque nella capacità di comprenderlo nei suoi livelli).

Bibliografia

Weinrich H.,​​ Sprache in Texten,​​ Stuttgart, Klett,​​ 1976; Conte M. E. (Ed.),​​ La l.t.,​​ Milano, Feltrinelli, 1977; Schmidt S. J.,​​ Teoria del testo,​​ Bologna, Il Mulino, 1982; De Beaugrande R. A. - W. U. Dressler,​​ Introduzione alla l.t.,​​ Ibid., 1984; Chini M. - A. Giacalone Ramat (Edd.),​​ Strutture testuali e principi di organizzazione dell’informazione nell’apprendimento linguistico, numero monografico di «Studi It. di L. Teorica e Applicata», 1, 1998; Andorno C.,​​ Introduzione alla l.t.,​​ Roma, Carocci, 2003.

G. Proverbio




LITURGIA

 

LITURGIA

Il termine si trova per la prima volta nel gr. classico, dove​​ leitourgía​​ denota un’attività pubblica, svolta liberamente a servizio dei concittadini. Con il tempo l.​​ presenta un qualunque servizio reso alla collettività o alla divinità. Nella Bibbia greca l.​​ indica sempre un «servizio religioso» reso a JHWH, mentre il NT adotta altri termini per definire la realtà del nuovo culto «in spirito e verità» inaugurato da Gesù Cristo. Al termine di un’ampia pagina biblico-teologica (cfr.​​ SC​​ 5-7), il Vaticano II presenta la l.​​ come «l’esercizio del sacerdozio di Gesù Cristo». L’azione rituale, con il linguaggio tipico dei segni e dei simboli, è il luogo di annuncio e realizzazione dell’opera santificatrice del Padre, per Cristo, nello Spirito; l. pertanto non equivale solo a​​ rito, ma indica una realtà cui il rito stesso rinvia.​​ Per evidenziare meglio questa realtà è stata attuata la riforma liturgica nella Chiesa di rito romano, e si è rinnovata la pastorale e la catechesi. Tanto la ricca documentazione liturgica, quanto la variegata produzione pastorale e catechistica che hanno caratterizzato le Chiese locali dal Vaticano II in poi, mostrano quanto sia urgente continuare nell’impegno di​​ comprensione della l.​​ in modo da​​ educare​​ ad essa valorizzando i più diversi ambiti della vita, e secondo i ritmi del tempo. Il traguardo che dà senso ad ogni espressione cultuale, è costituito dalla​​ l. della vita,​​ cioè dal «culto spirituale» (Rm 12,1-2).

1.​​ Comprendere la l.​​ Dal momento in cui è risuonato il comando di Cristo: «Fate questo in memoria di me» la Chiesa celebra il​​ memoriale​​ della Pasqua del suo Signore non ripetendo dei riti quasi fine a se stessi, ma elevando al Padre, con il loro linguaggio, il culto spirituale: celebrato nei diversi segmenti del quotidiano, attraverso il​​ linguaggio simbolico e rituale,​​ esso è l’unico che permette, in un contesto di fede, una reale comunicazione divino-umana, e viceversa. La mediazione sacerdotale di Cristo continua ad attuare quella comunione-comunicazione portata a compimento una volta per tutte sulla Croce, perché ogni persona che si apre all’annuncio del Vangelo possa realizzare la più profonda​​ liberazione interiore​​ attraverso l’incontro reale ed efficace con il Dio della vita nella celebrazione sacramentale. I sacramenti, pertanto, attuano questo​​ incontro​​ a condizione che siano realmente​​ simboli​​ di quella volontà di​​ incontro​​ con il fratello, e di quel desiderio di​​ liberazione​​ da ogni forma di male, quali si devono attuare nel quotidiano impregnato di Vangelo.

2.​​ Un itinerario nel tempo.​​ L’esperienza di Dio Trinità non può mai essere ridotta ad un momento puntuale; essa si attua e si prolunga nel tempo secondo quei ritmi che la pedagogia liturgica ha condensato nella progressiva strutturazione dell’anno liturgico.​​ La sua articolazione è finalizzata a far vivere al fedele​​ nel tempo​​ l’esperienza misterica della Pasqua di Gesù Cristo. L’alternarsi di «tempi forti» (tempo natalizio​​ e​​ tempo pasquale)​​ e del «tempo ordinario», di solennità, feste e memorie costituisce l’occasione per una conformazione sempre più piena e totalizzante a Cristo, Uomo nuovo e perfetto. Per questo, ciò che dà significato alla dimensione​​ tempo​​ non è la successione dei giorni e delle stagioni, ma la certezza di vivere l’opera della salvezza all’interno di un ciclo naturale, in cui gli elementi «sole» e «luce» sono assunti come segni di Cristo «sole di giustizia» e «luce che non conosce tramonto». Dal momento che l’esperienza del mistero passa attraverso il rito, anche l’anno liturgico (in armonia con i ritmi quotidiani della l.​​ delle Ore) costituisce un’esperienza educativa che permette al singolo di realizzare il proprio itinerario di fede e di vita. Educare ai dinamismi del rito liturgico è pertanto cogliere i contenuti e le metodologie di uno dei linguaggi chiamati ad esprimere e a realizzare quanto racchiuso nel mistero di quel tempo che scorre dall’Incarnazione fino al suo compimento nella Parusía.

3.​​ Educare alla l. della vita.​​ Il titolo rinvia al ruolo educativo da attuare in ordine alla formazione liturgica. Dal momento in cui il Cristo ha inviato i suoi discepoli, Parola e Sacramento sono sempre stati accompagnati dall’impegno della comunità ecclesiale nell’educare all’esperienza viva e vivificante della Pasqua di Cristo. Come l’annuncio della Parola si realizza attraverso forme diverse, così la celebrazione del Sacramento richiede il supporto della formazione, della catechesi e dell’animazione. In tal modo Parola e Sacramento possono realizzare quella​​ l. della vita​​ o quel​​ culto spirituale​​ che si identifica con la libera accettazione della​​ proposta​​ divina, in attesa di una​​ risposta​​ che il rito è capace di esprimere​​ in verità​​ quando questa è già stata​​ ritualizzata nella vita.​​ Nella stessa prospettiva è doveroso ricordare che la l.​​ nel suo insieme ha la capacità innata di educare a se stessa. Infatti, mentre la Chiesa celebra, l’assemblea celebrante è educata a fare della propria vita un culto. Alla luce della Parola rivelata e annunciata nella l., i testi eucologici (= preghiere ufficiali presenti nel libro liturgico) diventano una memoria impegnativa e prospettica per chi partecipa all’azione liturgica con le necessarie disposizioni interiori. L’insieme dei linguaggi della l.​​ contribuisce, inoltre, a coinvolgere la persona nella sua totalità: tutti i sensi sono chiamati in azione, secondo il tipo di celebrazione e secondo le situazioni e i tempi liturgici. Linguaggio verbale e non verbale, unitamente alla ministerialità e al livello di fede dell’assemblea che celebra, contribuiscono non solo alla percezione esperienziale del mistero, ma anche alla sua vera e propria immedesimazione, in modo che il mistero celebrato e vissuto diventi una vera e propria mistica. In questo senso la dimensione catechetico-pastorale non può mai mancare in un itinerario educativo ordinato al vertice dell’esperienza religiosa cristiana quale si attua nel sacramento. Un percorso educativo cristiano non potrà dirsi tale se non si apre all’esperienza sacramentale, e ad essa conduce sollecitando l’operatore pastorale ad attivare tutte quelle competenze che caratterizzano il proprio ambito di ricerca, in vista di un umanesimo integrale.

Bibliografia

Aldazábal J.,​​ Vocabulario básico de liturgia, Barcelona, Centre de Pastoral Litúrgica,​​ 1994; Sartore D. - A. M. Triacca. - C. Cibien (Edd.),​​ L., Cinisello Balsamo (MI), San Paolo, 2001; Sodi M. - A. M. Triacca (Edd.),​​ Dizionario di omiletica, Leumann (TO) / Gorle (BG), Elle Di Ci / Velar, 2002;​​ Basurko X.,​​ Historia de la liturgia, Barcelona, Centre de Pastoral Litúrgica, 2006.

M. Sodi