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LIBRO

 

LIBRO

In origine pellicola interna di un fusto usata per la scrittura, in seguito parte di un’opera scritta, designa oggi sia un insieme ordinato di fogli cartacei rilegati, scritti e, più frequentemente, stampati, sia, per metonimia, il testo in essi contenuto.

L’industria della carta, sviluppatasi in Europa tra il XIV e il XV sec., produce il materiale che, insieme al perfezionarsi della tecnica tipografica, costituisce il l. come oggi lo conosciamo. I primi l. di carta stampata prendono il nome di​​ incunaboli​​ e sono spesso impreziositi da incisioni. La componente iconica raggiunge nel tempo elevati livelli tecnici, anche in rapporto alla domanda dell’editoria scientifica, fino all’esito eccezionalmente raffinato dell’Enciclopedia​​ di Diderot e D’Alembert (1751-1772). Diversi erano stati nel tempo i materiali su cui tramandare e diffondere la parola scritta: dal III millennio a.C. le​​ tavolette​​ incise in cuneiforme trasmettono la cultura mesopotamica; prevale poi per lungo tempo il​​ papiro,​​ in​​ fogli​​ o​​ rotoli​​ nell’area dell’antico Egitto e per tutto il mondo classico, molto gradualmente sostituito dalla​​ pergamena.​​ Di questo materiale sono costituiti i​​ codici,​​ che possono essere anche raschiati e riscritti (palinsesti)​​ e che sono molto spesso miniati. Si preferisce in seguito per maggiore praticità e minori costi la​​ carta​​ (esistono codici umanistici cartacei) con cui si realizza la diffusa esigenza di «scrittura artificiale», cioè, di fatto, della stampa (Gutenberg, 1456).

2. Nella sua storia, al l. sono stati attribuiti compiti di conservazione / testimonianza della cultura e di diffusione delle informazioni e delle idee. Proprio con la stampa si sviluppa infatti il l. funzionale: il trattato scientifico, l’opera divulgativa, la libellistica. Al l. come veicolo di idee e di formazione è collegato il suo significato pedagogico più evidente, spesso non separabile dai problemi dell’alfabetizzazione e dell’insegnamento. Ma su entrambi i versanti la cultura e la civiltà del l. sono chiamate oggi a confrontarsi con il futuro multimediale, soprattutto in rapporto all’acquisizione, alla disponibilità e al controllo delle informazioni. Ne deriva la necessità, da elaborare in termini pedagogici, di un equilibrato discernimento tra la rapidità delle accelerazioni culturali e l’esigenza della memoria storica.

Bibliografia

Di Milano V. (Ed.),​​ Manuale enciclopedico della bibliofilia, Milano, Sylvestre Bonnard, 1997; Blumenberg H.,​​ La leggibilità del mondo. Il l. come metafora della natura,​​ Bologna, Il Mulino, 1999; Barbier F.,​​ Histoire du livre, Paris, Armand Colin, 2000 (tr. it.:​​ Storia del l. dall’antichità al XX secolo,​​ Bari, Dedalo, 2004); Brezzi P.,​​ Storia del l. e dell’editoria,​​ dai codici a Internet,​​ Roma, Visceglia, 2005.

R. Lollo




LICEO

 

LICEO

Dal gr.​​ Lykaion óros​​ (lat.​​ mons Licaeus),​​ designava la località nei pressi di Atene che traeva nome dal santuario di Apollo Licèo e dove​​ ​​ Aristotele aprì una scuola nella quale svolgeva il suo insegnamento di filosofia. Più tardi il termine passò ad indicare in genere luoghi pubblici, in cui si tenevano esercitazioni letterarie e filosofiche, e divenne infine, talora unito al termine​​ ​​ ginnasio, titolo di scuola superiore.

1. Così avvenne in Italia, dove la L. Casati (1859) istituì il l. classico di tre anni, che con i cinque anni di ginnasio che lo precedevano (inferiore e superiore), segnò la scuola di più alto livello culturale, fondata prevalentemente sull’insegnamento del lat. e del gr. La riforma​​ ​​ Gentile (1923), per mantenere al l. classico la sua posizione di prestigio, vi affiancò il l. scientifico, in cui, in sostituzione del gr., venne dato più spazio all’area delle discipline fisico-matematiche e potenziato l’insegnamento delle lingue straniere. Con un decreto legge del 1926 venne istituito anche il l. artistico. In tempi successivi sorsero altri tipi di l., come il l. linguistico, e più recentemente, il l. psico-socio-pedagogico (rispondente all’istituto magistrale), il l. europeo, il l. tecnologico...

2. Fra gli ordinamenti scolastici europei si segnala la presenza del l. particolarmente nella scuola francese, dove il​​ licée​​ si identifica con la secondaria superiore (preceduta dalla inferiore denominata​​ collège),​​ articolata in l. generale (a più indirizzi: letterario, economico-sociale, scientifico) e tecnologico (scienze e tecnologie terziarie, industriali, di laboratorio, medico-sociali) e in l. professionale, orientato ad una istruzione generale di base e tecnico-pratica. In Lussemburgo la denominazione l. copre tutto l’arco della scuola secondaria inferiore e superiore, di tipo generale (lycées)​​ e di tipo tecnico (lycées techniques).​​ Anche in Olanda il​​ Lyceum,​​ accanto all’Atheneum​​ e al​​ Gymnasium,​​ costituisce un tipo di scuola secondaria con sbocco universitario. La Grecia, dopo il​​ Gymnasio​​ (secondaria inferiore), prevede il​​ Lykeio​​ (secondaria superiore) a indirizzi unificati dopo la riforma del 1997-98. Per ulteriori notizie cfr. anche la voce​​ ​​ ginnasio.

Bibliografia

Cives G. (Ed.),​​ La scuola italiana dall’Unità ai nostri giorni,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1990; Caron J. C., «I giovani a scuola: collegiali e liceali (fine XVIII - fine XIX sec.)», in G. Levi - C. Schmitt (Edd.),​​ Storia dei giovani,​​ vol. 2,​​ L’età contemporanea,​​ Bari, Laterza, 1994, 161-232;​​ www.eurydice.org / portal / page / portal / Eurydice /​​ DB_Eurybase_Home.

G. Proverbio




LINGUAGGIO

 

LINGUAGGIO

Si definisce l.: a) la capacità dell’uomo di scambiare informazioni o comunque di entrare in comunicazione con i propri simili; b) l’oggetto di tale scambio comunicativo, in quanto strutturato in codici e lessici; c) la pratica sociale attraverso la quale detta facoltà produce il suo oggetto. Ciascuna di queste definizioni implicherebbe competenze disciplinari articolate ed eterogenee che riguardano la psicolinguistica, la linguistica, la semiologia, la sociologia, la filosofia del l., rendendo ragione della indiscussa centralità del l. nel pensiero contemporaneo. Tenendo sullo sfondo tale orizzonte problematico è possibile indicare almeno i nodi attorno ai quali il dibattito teorico si è volta a volta organizzato.

1.​​ Il l.​​ come facoltà comunicativa.​​ La linguistica ha sin dall’inizio (Saussure) chiarito la differenza del l. rispetto al fenomeno della lingua pensata come «il prodotto sociale della facoltà del l.», o meglio come «un insieme di convenzioni adottate all’interno di un gruppo di individui per consentire l’uso sociale di questa facoltà». Con questo, essa assume anche un ben preciso punto di vista circa l’origine del l., optando per l’ipotesi convenzionalista, già sostenuta da Ermogene nel​​ Cratilo​​ platonico. Secondo questa posizione teorica, il rapporto che lega la materialità significante della parola (piano dell’espressione) con il significato cui essa rinvia (piano del contenuto) è puramente arbitrario: quindi, ad esempio, non vi è una ragione particolare per cui il noto animale lanuto si chiami pecora in italiano, sheep in inglese o ovelha in portoghese. A questa ipotesi si oppone quella naturalista che, facendo leva soprattutto sullo studio delle onomatopee, evidenzia invece il forte radicamento della parola alle cose: così il verbo tintinnare avrebbe a che fare con il rumore della moneta quando rimbalza più volte per terra. Decidere dell’origine naturale o convenzionale del l. significa decidere del suo valore strumentale. La tradizione occidentale ha sempre concepito il l. come un mezzo attraverso il quale veicolare messaggi. Contro questa concezione strumentalista da più parti (Heidegger, Wittgenstein, Gadamer, Habermas) si è reagito anche in ragione della riscoperta del nesso di coappartenenza tra essere e l. I risultati di questo ripensamento vanno nella direzione sia di una riflessione sulla profondità della dizione metaforica (Ricoeur) come l. dell’essere, sia, più in generale, di un ripensamento dell’ontologia e dell’antropologia proprio a partire dalla centralità del l.

2.​​ Il l. oggetto.​​ La​​ ​​ semiologia ma anche le altre scienze umane e sociali hanno ormai fissato la scansione del l. nelle due grandi aree del verbale e del non verbale. Il l. verbale va inteso come un enunciato (o un insieme di enunciati) orale o scritto la cui funzione è di descrivere stati di cose (constativo) o produrre effetti nel destinatario (performativo). Più articolato il discorso nel caso del l. non verbale. Ad esso si possono ricondurre infatti: gli elementi para-linguistici (mimica, gestualità, prossemica; tono, timbro e altezza della voce), gli elementi sonori (rumori e musica), gli elementi iconici. In entrambi i casi (verbale e non verbale) è facile riconoscere una possibilità di analisi del l. ad almeno tre livelli (Morris): il livello sintattico delle relazioni, interne al sistema linguistico, tra i suoi elementi costitutivi; il livello semantico della capacità di questo sistema di rinviare a una determinata struttura simbolica; il livello pragmatico della sua efficacia comunicativa. Si tratta in sostanza, secondo un’altra nota terminologia (Austin), delle tre dimensioni del l. come sistema di segni (locuzione), sedimentazione di contenuti (illocuzione), produzione di comportamenti (perlocuzione). Soprattutto quest’ultima dimensione è oggi al centro dell’attenzione delle scienze sociali tanto da giustificare prima la nascita e poi l’affermazione della pragmatica (Levinson) come nuovo campo disciplinare.

3.​​ Il l.​​ come pratica sociale.​​ Lo scambio comunicativo, l’interazione fra i parlanti, è ciò che consente di definire il l. come una pratica sociale, forse la più rilevante delle pratiche sociali umane. In quest’ottica si può senz’altro dire che il l. è costitutivo della struttura profonda della persona, cioè del suo essere in relazione. Secondo il vecchio paradosso spiritualista, infatti, anche per parlare da solo a solo, con me stesso, nel chiuso silenzioso della mia coscienza, ho bisogno del l. A maggior ragione non può prescindere dal l. l’altro movimento relazionale, quello che pone in rapporto persona e persona. Come una lunga tradizione teoretica ha messo in luce (Hegel, Husserl, Sartre) la costruzione della coscienza trova nel riconoscimento, e quindi nell’incontro con l’altro, il proprio momento insostituibile. Nella misura in cui il l. rende possibile tale incontro, esso si lascia comprendere come condizione del formarsi di quella struttura socioantropologicamente importantissima che è l’intersoggettività. Lo si comprende bene, oggi, se si pensa alla rilevanza che l’analisi della comunicazione ha assunto nello studio dei processi di formazione in rete telematica o delle culture giovanili.

4.​​ L’importanza educativa.​​ Proprio in relazione a questo spazio umano e sociale si può comprendere l’importanza educativa del l. che si può ricondurre ad almeno tre rilievi. Anzitutto, come la sociologia dell’educazione neomarxista e certa pedagogia cattolica (Don Milani) hanno indicato, educare al l. significa ridurre lo​​ ​​ svantaggio sociale. Perché questo sia possibile è necessario smettere di pensare l’educazione linguistica come apprendimento di abilità (alfabetiche) in vista di prove da superare (Postman): questo tipo di educazione, infatti, mantiene anziché ridurre lo svantaggio (Bourdieu). La nuova concezione dell’insegnamento del l. che occorre promuovere intende il l. come capacità di porre domande, di elaborare metafore che sintetizzino la conoscenza, di produrre definizioni (Postman): in sostanza il passaggio auspicato è da una concezione strumentale e riproduttiva del l., a una concezione culturale ed espressiva. In secondo luogo, l’educazione linguistica potrebbe configurarsi come vera e propria meta-educazione in grado di porre in dialogo le diverse discipline. A prescindere dal set di competenze che le appartengono, ogni disciplina è anzitutto un gioco linguistico dotato di elementi e di regole: lo è evidentemente la letteratura, ma lo sono anche la matematica e la biologia che servono, come direbbe Galileo proprio con metafora linguistica, a leggere il libro della natura. Capire questo implica il compito di ogni educatore di educare a quel tipo particolare di l. in cui il sapere della sua area disciplinare si esprime. Non solo. Consente di ripensare su base linguistica seria l’equivoca interpretazione della transdisciplinarità (o​​ ​​ interdisciplinarità) come semplice convergenza sui contenuti. Da ultimo, proprio alla luce di quanto detto è possibile indicare una terza valenza educativa del l. Esso si presenta all’educatore come un formidabile strumento metodologico per l’approccio alla complessità nel senso, se non di una sua riduzione, almeno dell’offerta al soggetto di una importante mappa cognitiva ai fini di un suo più facile orientamento.

Bibliografia

Morris C.,​​ Lineamenti di una teoria dei segni,​​ Torino, Paravia,​​ 21970; Austin J. L.,​​ Come fare cose con parole,​​ Casale Monferrato (AL), Marietti, 1974; Saussure F.,​​ Corso di linguistica generale,​​ Roma / Bari, Laterza,​​ 51987; Bertuccelli Papi M.,​​ Che cos’è la pragmatica,​​ Milano, Bompiani, 1993; Ferrari S.,​​ Metodi e strumenti per l’analisi psicopedagogia dei forum, Milano, Guerini Studio, 2006.​​ 

P. C. Rivoltella​​ 




LINGUAGGIO ARTIFICIALE

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LINGUAGGIO ARTIFICIALE

Sistema di segni (alfabeto), dotato di un suo lessico, di una sua grammatica, di una sua sintassi e di una sua logica, costruito dall’uomo per risolvere determinati problemi di​​ ​​ comunicazione.

1. I l.a. più noti sono quelli usati nell’ambito dell’​​ ​​ informatica e nell’uso dei computer. Tuttavia possono essere considerati tali anche quelli utilizzati nella segnaletica stradale e nel disegno tecnico, anche se spesso vengono a mancare alcuni caratteri propri di un l. autonomo, come la sintassi o la logica. L’alfabeto Morse è un esempio di l.a. ridotto al suo solo alfabeto. Di natura ancora diversa è il linguaggio dei segni e quello Braille utilizzati nella comunicazioni con soggetti sordi e / o sordomuti.​​ 

2. L’aggettivo «artificiale» contrappone i l.a. a quelli naturali, cioè a quelli storicamente sviluppati dall’uomo per comunicare con i suoi simili. I l.a., infatti, hanno avuto origine in genere nella comunicazione uomo-macchina. All’uso diretto di leve e manovelle è succeduto progressivamente, a partire dalla fine del sec. XVIII, l’uso di un sistema di segni che la macchina fosse in grado di riconoscere. Il primo l.a. di questo tipo può essere identificato nelle tavole o schede a buchi utilizzate nei telai meccanici e nei carillon. Oggi i l.a. utilizzati nelle tecnica sono assai numerosi e sono costruiti e usati per affrontare specifici problemi e di lavoro e di comunicazione. Tra questi sono particolarmente diffusi i l. usati per comunicare con i computer e con tutte le altre macchine che utilizzano sistemi di elaborazione basati su microprocessori.

Bibliografia

Mauri G.,​​ Comunicare con il computer: i l., Milano, Jackson, 1986; Pellerey M.,​​ Informatica: fondamenti scientifici e culturali,​​ Torino, SEI, 1986; Goldschlager L. - A. Lister,​​ Introduzione all’informatica. Algoritmi,​​ strutture,​​ sistemi,​​ Ibid., 1988; Calvani A. (Ed.),​​ Scuola,​​ computer,​​ l.,​​ Torino, Loescher, 1989; Schank R. C.,​​ Il computer cognitivo. L.,​​ apprendimento e intelligenza artificiale,​​ Firenze, Giunti, 1989;​​ Fondamenti di informatica. Vol. 2: Reti,​​ basi di dati,​​ multimedia,​​ l.,​​ algoritmi, Bologna, Zanichelli, 2006; Guida G. - M. Giacomin,​​ Fondamenti di informatica, Milano, Angeli, 2006.

M. Pellerey




LINGUISTICA TESTUALE

 

LINGUISTICA TESTUALE

La l. del testo, o l.t., viene inaugurata intorno agli anni settanta, ad indicare lo spostamento dell’oggetto di studio dall’unità-frase all’unità-testo, per l’insufficienza della frase a dare ragione di numerosi fenomeni, quali la coreferenza, la selezione degli articoli, la pronominalizzazione, l’ordine delle parole, l’intonazione... Ad essa si deve il merito di aver individuato le proprietà fondamentali del testo, quali la​​ coesione,​​ o compattezza formale, e la​​ coerenza,​​ o unità di significato.

1. Nello sviluppo della l.t. vanno segnalati alcuni momenti importanti, che hanno consentito di perfezionare la nozione di testo: il momento interfrastico, il momento comunicativo e il momento pragmatico. Il momento interfrastico ha indotto a definire il testo quale «sequenza coerente di frasi», dove l’attenzione più che al testo in sé è rivolta ai meccanismi di coesione, garanti della coerenza testuale: i fenomeni di coreferenza (ripetizioni lessematiche, sostituzioni, pronominalizzazioni anaforiche e cataforiche) e i connettivi testuali, quali le congiunzioni e alcuni tipi di avverbio.

2. Al momento comunicativo appartiene la definizione di testo inteso come «insieme di frasi tematicamente coerente», in cui sia chiaramente riconoscibile l’intenzione comunicativa. E ciò avviene soltanto attraverso quella che è chiamata la «progressione tematica», che consiste di solito nella assunzione, nelle frasi che costituiscono la sequenza testuale, di un elemento noto (detto «tema») e nell’apporvi un elemento nuovo (detto «rema»). Non vi è progressione tematica, per es., nella sequenza​​ Luigi possiede una macchina potente. Mentre la mamma di Paolo è inglese.​​ Nel momento pragmatico, infine, si evidenzia che, accanto all’intenzione comunicativa, nel testo deve essere riconoscibile anche l’intenzione pragmatica o pratica del locutore: in altri termini, ciò che questi intende «fare» parlando. Il testo viene così definito come «manifestazione di un potenziale illocutivo», di quell’aspetto del testo cioè, chiamato appunto illocutivo, che permette di cogliere che cosa si proponga il parlante «agendo» linguisticamente, che è segnalato peraltro dai verbi «performativi» (promettere,​​ domandare,​​ consigliare).​​ 

3. Così inteso il testo può essere costituito anche da una sola frase (ti consiglio di partire)​​ o da una sola parola (parti),​​ dove il verbo performativo è sottaciuto, ma dove si coglie ugualmente l’azione l. e l’intenzione pratica del locutore. Nella pratica didattica, l’analisi dei testi non dovrebbe trascurare gli aspetti ora segnalati, ai fini di una adeguata comprensione da parte degli studenti e, conseguentemente, di una corretta produzione. La competenza testuale ricettiva consiste infatti nella capacità di segmentare, riformulare e riassumere un testo (dunque nella capacità di comprenderlo nei suoi livelli).

Bibliografia

Weinrich H.,​​ Sprache in Texten,​​ Stuttgart, Klett,​​ 1976; Conte M. E. (Ed.),​​ La l.t.,​​ Milano, Feltrinelli, 1977; Schmidt S. J.,​​ Teoria del testo,​​ Bologna, Il Mulino, 1982; De Beaugrande R. A. - W. U. Dressler,​​ Introduzione alla l.t.,​​ Ibid., 1984; Chini M. - A. Giacalone Ramat (Edd.),​​ Strutture testuali e principi di organizzazione dell’informazione nell’apprendimento linguistico, numero monografico di «Studi It. di L. Teorica e Applicata», 1, 1998; Andorno C.,​​ Introduzione alla l.t.,​​ Roma, Carocci, 2003.

G. Proverbio




LITURGIA

 

LITURGIA

Il termine si trova per la prima volta nel gr. classico, dove​​ leitourgía​​ denota un’attività pubblica, svolta liberamente a servizio dei concittadini. Con il tempo l.​​ presenta un qualunque servizio reso alla collettività o alla divinità. Nella Bibbia greca l.​​ indica sempre un «servizio religioso» reso a JHWH, mentre il NT adotta altri termini per definire la realtà del nuovo culto «in spirito e verità» inaugurato da Gesù Cristo. Al termine di un’ampia pagina biblico-teologica (cfr.​​ SC​​ 5-7), il Vaticano II presenta la l.​​ come «l’esercizio del sacerdozio di Gesù Cristo». L’azione rituale, con il linguaggio tipico dei segni e dei simboli, è il luogo di annuncio e realizzazione dell’opera santificatrice del Padre, per Cristo, nello Spirito; l. pertanto non equivale solo a​​ rito, ma indica una realtà cui il rito stesso rinvia.​​ Per evidenziare meglio questa realtà è stata attuata la riforma liturgica nella Chiesa di rito romano, e si è rinnovata la pastorale e la catechesi. Tanto la ricca documentazione liturgica, quanto la variegata produzione pastorale e catechistica che hanno caratterizzato le Chiese locali dal Vaticano II in poi, mostrano quanto sia urgente continuare nell’impegno di​​ comprensione della l.​​ in modo da​​ educare​​ ad essa valorizzando i più diversi ambiti della vita, e secondo i ritmi del tempo. Il traguardo che dà senso ad ogni espressione cultuale, è costituito dalla​​ l. della vita,​​ cioè dal «culto spirituale» (Rm 12,1-2).

1.​​ Comprendere la l.​​ Dal momento in cui è risuonato il comando di Cristo: «Fate questo in memoria di me» la Chiesa celebra il​​ memoriale​​ della Pasqua del suo Signore non ripetendo dei riti quasi fine a se stessi, ma elevando al Padre, con il loro linguaggio, il culto spirituale: celebrato nei diversi segmenti del quotidiano, attraverso il​​ linguaggio simbolico e rituale,​​ esso è l’unico che permette, in un contesto di fede, una reale comunicazione divino-umana, e viceversa. La mediazione sacerdotale di Cristo continua ad attuare quella comunione-comunicazione portata a compimento una volta per tutte sulla Croce, perché ogni persona che si apre all’annuncio del Vangelo possa realizzare la più profonda​​ liberazione interiore​​ attraverso l’incontro reale ed efficace con il Dio della vita nella celebrazione sacramentale. I sacramenti, pertanto, attuano questo​​ incontro​​ a condizione che siano realmente​​ simboli​​ di quella volontà di​​ incontro​​ con il fratello, e di quel desiderio di​​ liberazione​​ da ogni forma di male, quali si devono attuare nel quotidiano impregnato di Vangelo.

2.​​ Un itinerario nel tempo.​​ L’esperienza di Dio Trinità non può mai essere ridotta ad un momento puntuale; essa si attua e si prolunga nel tempo secondo quei ritmi che la pedagogia liturgica ha condensato nella progressiva strutturazione dell’anno liturgico.​​ La sua articolazione è finalizzata a far vivere al fedele​​ nel tempo​​ l’esperienza misterica della Pasqua di Gesù Cristo. L’alternarsi di «tempi forti» (tempo natalizio​​ e​​ tempo pasquale)​​ e del «tempo ordinario», di solennità, feste e memorie costituisce l’occasione per una conformazione sempre più piena e totalizzante a Cristo, Uomo nuovo e perfetto. Per questo, ciò che dà significato alla dimensione​​ tempo​​ non è la successione dei giorni e delle stagioni, ma la certezza di vivere l’opera della salvezza all’interno di un ciclo naturale, in cui gli elementi «sole» e «luce» sono assunti come segni di Cristo «sole di giustizia» e «luce che non conosce tramonto». Dal momento che l’esperienza del mistero passa attraverso il rito, anche l’anno liturgico (in armonia con i ritmi quotidiani della l.​​ delle Ore) costituisce un’esperienza educativa che permette al singolo di realizzare il proprio itinerario di fede e di vita. Educare ai dinamismi del rito liturgico è pertanto cogliere i contenuti e le metodologie di uno dei linguaggi chiamati ad esprimere e a realizzare quanto racchiuso nel mistero di quel tempo che scorre dall’Incarnazione fino al suo compimento nella Parusía.

3.​​ Educare alla l. della vita.​​ Il titolo rinvia al ruolo educativo da attuare in ordine alla formazione liturgica. Dal momento in cui il Cristo ha inviato i suoi discepoli, Parola e Sacramento sono sempre stati accompagnati dall’impegno della comunità ecclesiale nell’educare all’esperienza viva e vivificante della Pasqua di Cristo. Come l’annuncio della Parola si realizza attraverso forme diverse, così la celebrazione del Sacramento richiede il supporto della formazione, della catechesi e dell’animazione. In tal modo Parola e Sacramento possono realizzare quella​​ l. della vita​​ o quel​​ culto spirituale​​ che si identifica con la libera accettazione della​​ proposta​​ divina, in attesa di una​​ risposta​​ che il rito è capace di esprimere​​ in verità​​ quando questa è già stata​​ ritualizzata nella vita.​​ Nella stessa prospettiva è doveroso ricordare che la l.​​ nel suo insieme ha la capacità innata di educare a se stessa. Infatti, mentre la Chiesa celebra, l’assemblea celebrante è educata a fare della propria vita un culto. Alla luce della Parola rivelata e annunciata nella l., i testi eucologici (= preghiere ufficiali presenti nel libro liturgico) diventano una memoria impegnativa e prospettica per chi partecipa all’azione liturgica con le necessarie disposizioni interiori. L’insieme dei linguaggi della l.​​ contribuisce, inoltre, a coinvolgere la persona nella sua totalità: tutti i sensi sono chiamati in azione, secondo il tipo di celebrazione e secondo le situazioni e i tempi liturgici. Linguaggio verbale e non verbale, unitamente alla ministerialità e al livello di fede dell’assemblea che celebra, contribuiscono non solo alla percezione esperienziale del mistero, ma anche alla sua vera e propria immedesimazione, in modo che il mistero celebrato e vissuto diventi una vera e propria mistica. In questo senso la dimensione catechetico-pastorale non può mai mancare in un itinerario educativo ordinato al vertice dell’esperienza religiosa cristiana quale si attua nel sacramento. Un percorso educativo cristiano non potrà dirsi tale se non si apre all’esperienza sacramentale, e ad essa conduce sollecitando l’operatore pastorale ad attivare tutte quelle competenze che caratterizzano il proprio ambito di ricerca, in vista di un umanesimo integrale.

Bibliografia

Aldazábal J.,​​ Vocabulario básico de liturgia, Barcelona, Centre de Pastoral Litúrgica,​​ 1994; Sartore D. - A. M. Triacca. - C. Cibien (Edd.),​​ L., Cinisello Balsamo (MI), San Paolo, 2001; Sodi M. - A. M. Triacca (Edd.),​​ Dizionario di omiletica, Leumann (TO) / Gorle (BG), Elle Di Ci / Velar, 2002;​​ Basurko X.,​​ Historia de la liturgia, Barcelona, Centre de Pastoral Litúrgica, 2006.

M. Sodi




LIVELLI ESSENZIALI DELLE PRESTAZIONI

 

LIVELLI ESSENZIALI​​ DELLE PRESTAZIONI

1.​​ Introduzione.​​ I l.e.d.p. rappresentano i requisiti richiesti ad un organismo formativo – indipendentemente dalla sua natura giuridica – affinché i percorsi che esso attiva siano in grado di soddisfare i diritti civili e sociali dei cittadini. Essi costituiscono nel contempo i requisiti per l’accreditamento delle strutture formative presso le Regioni e Province autonome, secondo l’approccio sostenuto dall’Unione europea. La presenza di questo dispositivo giuridico è il segnale di un sistema formativo non monopolistico ma aperto e pluralistico, con taluni aspetti di concorrenzialità tra gli organismi, nel quale si esercita una funzione di​​ governance​​ da parte dell’ente pubblico.​​ 

2.​​ Spiegazione.​​ Il decreto 226 / 05 relativo al secondo ciclo degli studi propone una serie di​​ l.e d.p., così specificati: a) Il​​ primo​​ indica le caratteristiche dell’offerta formativa e precisamente il soddisfacimento della domanda di frequenza, l’orientamento ed il tutorato, la continuità formativa, i tirocini e l’alternanza. b) Il​​ secondo​​ riguarda l’orario minimo annuale (almeno 990 ore l’anno) e l’articolazione dei percorsi, prevedendo le tipologie triennale e quadriennale. c) Il​​ terzo​​ concerne la metodologia della personalizzazione, il riferimento alle competenze previste dal Pecup (Profilo educativo, culturale e professionale dello studente), l’insegnamento della religione cattolica, il riferimento a figure e profili professionali di differente livello, gli standard minimi formativi definiti dalla Conferenza Stato-Regioni. d) Il​​ quarto​​ si riferisce ai requisiti dei docenti, distinguendo tra «personale docente» che deve essere in possesso di abilitazione all’insegnamento, ed «esperti» che debbono essere in possesso di documentata esperienza maturata per almeno cinque anni nel settore professionale di riferimento. e) Il​​ quinto​​ indica la necessità di una valutazione collegiale, l’obbligo di rilascio a tutti gli studenti della certificazione periodica e annuale delle competenze, oltre che dei titoli di studio, la necessaria presenza di docenti ed esperti nelle commissioni per gli esami, la registrazione delle competenze certificate sul «libretto formativo del cittadino». f) Il​​ sesto​​ e ultimo elemento richiede che le strutture ed i relativi servizi abbiano specifici organi di governo e garantiscano: l’adeguatezza delle capacità gestionali e della situazione economica, il rispetto dei contratti collettivi nazionali di lavoro del personale dipendente, la completezza dell’offerta formativa comprendente entrambe le tipologie dei percorsi triennali e quadriennali, lo svolgimento del corso annuale integrativo di preparazione all’esame di Stato, l’adeguatezza dei locali, della strumentazione didattica, della dotazione tecnologica, la disponibilità di attrezzature e strumenti, la capacità di progettazione e realizzazione di stage e tirocini.

Bibliografia

Osborne D. - T. Gaebler,​​ Dirigere e governare. Una proposta per reinventare la pubblica amministrazione, Milano, Garzanti, 1995; Palumbo M.,​​ Il processo di valutazione, Milano, Angeli, 2001; Commissione europea,​​ La governance europea - Un libro bianco, COM (2001) 428 definitivo / 2, Bruxelles, 5.8.2001; Battistelli F. (Ed.),​​ La cultura delle amministrazioni, Milano, Angeli, 2002; Lion C. - P. Martini - S. Volpi,​​ Le sfide per la valutazione nel nuovo contesto di governance, in «Osservatorio Isfol», 2003, 3, 185-205.

D. Nicoli




LLULL Ramón

 

LLULL Ramón

n. a Mallorca nel 1232 - m. probabilmente ivi nel 1315, filosofo e letterato spagnolo.

1. Ll. (noto in Italia come Raimondo Lullo) apprese la lingua araba con uno schiavo musulmano che aveva comprato, cosa che gli consentì di studiare l’antica cabala e concepire il progetto di fare una sintesi a base di lettere e segni cabalistici desunti dalla logica araba per la quale poter dimostrare ai musulmani e ai giudei la veridicità della religione cristiana. Era questo l’obiettivo delle varie redazioni della sua​​ Ars magna​​ e dei suoi frequenti viaggi, con cui cercava di convincere papi, re e generali francescani e domenicani della necessità di riconquistare il mondo musulmano e di convertirlo al cristianesimo mediante l’arte che egli aveva elaborato.

2. Tra le sue numerose opere sono di particolare rilevanza quelle di interesse educativo e didattico, scritte sempre in catalano, come​​ Doctrina pueril,​​ catechismo dedicato a suo figlio Domènec e composto in forma semplice per poter essere utilizzato dai maestri di scuola. Ll. espone i precetti della fede, i rudimenti della retorica, della logica, della teologia, ecc. Nel​​ Llibre d’Evast e d’Aloma e de Blanquerna​​ son fill,​​ presenta una coppia cristiana idealizzata che educa cristianamente il figlio Blanquerna. Altre opere a spiccato carattere didattico e moraleggiante sono il​​ Llibre de maravelles, concepito come enciclopedia scritta in forma di dialogo tra un maestro ed un suo discepolo, l’Arbre de ciència,​​ che tratteggia le caratteristiche e gli obblighi sociali dei nobili, dei borghesi, dei giudici, degli avvocati, dei cavalieri, ecc. A quest’ultima classe sociale dedica il​​ Llibre de l’Ordre de Cavalleria,​​ molto vicino nella struttura e nel contenuto alle numerose opere medievali destinate a rendere moderati gli atteggiamenti dei militari ai quali si chiede di difendere la Chiesa e proteggere i più deboli con le loro armi.

3. In generale, attraverso dei personaggi ideali (Blanquerna, Aloma, Evast, il cavaliere, il saggio, l’eremita, ecc.) Ll. difende una società profondamente cristiana lontana dai costumi rudi e barbari del suo tempo.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ R. Ll.,​​ Arte breve; introducción y traducción de J. E. Rubio, Barañán (Navarra), Eunsa, 2004. b)​​ Studi: Carreras y Artau T.,​​ Filosofía cristiana de los siglos XIII al XV,​​ 2 voll.,​​ Madrid, 1938 e 1941; Tusquets J.,​​ R.Ll. pedagogo de la cristiandad,​​ Madrid, 1954; Cruz Hernández M.,​​ Historia del pensamiento en el mundo islámico,​​ Madrid, 1981; Pons G.,​​ 15 días con R.Ll., Madrid, Ciudad Nueva, 2005.

B. Delgado




LOCKE John

 

LOCKE John

n. a Wrington (Somersetshire) nel 1632 - m. a Oates (Essex) nel 1704, filosofo inglese.

1.​​ Vita e opere.​​ Studente alla Westminster School ed al Christ Church College di Cambridge, acquisì una vastissima preparazione ma non scelse nessun tipo di carriera, restando uno studioso indipendente. Direttamente coinvolto nelle vicende culturali e politiche come esponente del partito «whig» (ideologia liberale e costituzionalista), fu esiliato in Olanda, da dove rientrò in patria al seguito dei nuovi sovrani Maria e Guglielmo d’Orange. Ricoprì importanti incarichi pubblici ed infine si dedicò esclusivamente alla riflessione filosofica e scientifica. La sua amplissima produzione costituisce una delle fonti basilari del pensiero occidentale moderno soprattutto nei campi della gnoseologia, della filosofia politica e della pedagogia.

2.​​ Il​​ pensiero.​​ L. afferma, ponendo con questo il fondamentale assioma dell’empirismo, l’equivalenza fra il concetto di conoscenza e quello di esperienza, che costituisce il limite invalicabile di ogni possibilità conoscitiva, poiché in essa risiedono le uniche opportunità per la mente dell’uomo, attraverso le sue facoltà (sensazione, intuizione, dimostrazione), di ricevere ed elaborare oggetti (idee) provvisti di un qualche genere di contenuto. La vita cognitiva è quindi circoscritta all’ambito di ciò che è riportabile ad un contenuto mentale effettualmente presente. Il rifiuto dell’innatismo sorregge anche l’analisi del comportamento etico e politico, nella quale assume un ruolo centrale il principio della corrispondenza a leggi, la cui origine può essere rintracciabile nella volontà divina, negli ordinamenti civili e nella pubblica opinione. Anche in questo caso, l’impostazione empirista appare quanto mai lineare: il bene ed il male non costituiscono proprietà in sé e per sé, ma consistono nella conformità o difformità ad una di queste leggi; il motivo dell’agire è dato dal disagio per un bene assente di cui si avverte il bisogno; il fondamento della convivenza civile degli uomini va identificato in uno stato ideale degno della natura di un essere razionale, in cui avviene una «delega» all’autorità politica per la salvaguardia dei diritti soggettivi inviolabili dell’individuo (vita, libertà, proprietà); sul terreno religioso, è necessario allontanarsi da ogni dogmatismo per accedere ad una concezione che lascia libera ogni credenza purché non contrasti con i principi morali e con le leggi (tolleranza). Il mondo umano delineato in questa visione teorica ha influenzato alle radici tutte le rivoluzioni liberali dell’età moderna.

3.​​ L’educazione.​​ I notissimi​​ Pensieri sull’educazione​​ nascono da una raccolta di consigli che L., esperto di grande reputazione anche nel campo medico ed igienistico, inviava ad alcune famiglie amiche. Va però detto che, al di là dell’occasionalità pratica dell’origine, appaiono evidenti nelle sue indicazioni le tracce delle riflessioni e delle competenze acquisite nell’ambito della ricerca teoretica, politica e scientifica generale. Siamo quindi in presenza di uno dei primi casi in cui un «filosofo» applica con sistematicità ed autentico interesse il suo sapere alle problematiche dell’educazione. Il messaggio fondamentale della pedagogia di L. consiste – come ha affermato A. Carlini – in «un profondo senso della dignità della persona umana», intesa come portatrice di una sostanziale ed originale attività autonoma di ordine spirituale, che vede nella coscienza il suo punto unificante. Il soggetto è un essere razionale, sottoposto a leggi ma titolare di diritti che va garantito in ogni campo di esperienza nei confronti di qualsiasi genere di oppressione. Anche in pedagogia L. dispiega il suo paradigma empirista, che lo porta ad un atteggiamento realista, pratico – il terreno immediato di riferimento è l’educazione dei figli delle famiglie nobili ed alto-borghesi della nuova Inghilterra: i «gentlemen» – sorretto dalla continua ricerca dell’equilibrio fra le evidenze dei dati e dei fatti ed il rispetto delle «regole» di natura psicologica e morale derivate dalla conoscenza oggettiva della natura umana. Il bambino va osservato e compreso nella sua naturalezza ed individualità caratteristica, allo scopo di coglierne immediatamente l’indole, le inclinazioni e le attitudini, così da favorire le buone e correggere le cattive; i genitori non devono lasciarsi fuorviare dagli eccessi emotivi ed affettivi mentre gli educatori (precettori) devono ispirare il loro operato alla dolcezza ed alla comprensione; la cura del corpo (indurimento) è il presupposto della disciplina morale della volontà; l’istruzione intellettuale non deve perseguire finalità di informazione enciclopedica o di ornamento ma badare all’acquisizione di abilità pratiche e dei principi basilari del ragionamento e della dimostrazione; la formazione del giovane trova il suo culmine in un prolungato viaggio all’estero, nel quale, sotto la guida di un saggio ed esperto accompagnatore, può fare diretta esperienza della grande varietà di usanze, vizi e virtù presenti nel genere umano.

4.​​ Universalismo o particolarismo?​​ La questione critica principale è costituita dal problema se la pedagogia di L. è tale da confinarsi in una limitata prospettiva di classe e di ceto oppure se essa presenti caratteristiche tali da comprendere valori e significati validi anche al di fuori di questa contingente applicazione. In effetti, è vero che la sensibilità moderna (ma anche quella anteriore) ha individuato strade che in L. non sono assolutamente presenti; ma va anche riconosciuto che egli ha fatto compiere alla pedagogia di ambientazione nobiliare dei decisivi passi in avanti, che hanno reso possibile «rendere partecipabili al maggior numero di persone» (King) le qualità impersonate dal suo «gentleman». In questo senso, il suo è il contributo che per primo ha introdotto nella nostra civiltà educativa alcune essenziali verità pedagogiche.

Bibliografia

Cranston M.,.​​ J.L. A biography,​​ London, Longmans e Green, 1957; Scurati C.,​​ L., Brescia, La Scuola, 1967; King E. J.,​​ Prospettive mondiali dell’educazione:​​ Il «gentleman» e l’evoluzione di un ideale,​​ Roma, Armando, 1968; Benne K. D.,​​ Il gentleman, in P. Nash - A. M. Kazamias - H. J. Perkinson (Edd.),​​ Gli ideali educativi,​​ Brescia, La Scuola, 1972, 221-256; Scurati C.,​​ L., in​​ Nuove questioni di storia della pedagogia,​​ Ibid., 1977, vol. II, 31-76.

C. Scurati




LOCUS OF CONTROL

 

LOCUS OF CONTROL

Il termine indica un​​ ​​ costrutto psicosociale appartenente ad una estesa area di controlli che le persone possono esercitare sugli eventi personali e collettivi. Il l.o.c. si riferisce alla convinzione che il soggetto ha riguardo al rinforzo che segue le azioni dipendenti dal suo comportamento. Nel caso contrario il rinforzo viene considerato come dipendente da fattori esterni al soggetto (caso, fortuna o fato). I primi soggetti vengono considerati degli​​ Interni (I),​​ i secondi degli​​ Esterni (E).​​ L’autore del costrutto è J. B. Rotter (1966), che lo situa nella teoria dell’apprendimento sociale.

1. Poiché i soggetti situati ai due poli del costrutto assumono posizioni diverse in rapporto alla causalità del proprio comportamento, essi si differenziano per mezzo di numerosi criteri sociali. Gli​​ Interni​​ controllano meglio il loro ambiente, cercano di acquisire delle informazioni in vista delle loro decisioni, si dimostrano sensibili alle stimolazioni dell’ambiente sociale e resistono maggiormente ai condizionamenti esterni; sono inoltre socialmente più valorizzati in quanto risultano socievoli, efficienti, tolleranti e autonomi. Gli​​ Esterni​​ presentano problemi di adattamento e in quanto agli attributi personali risultano ansiosi, aggressivi, dogmatici e sospettosi. Gli Interni hanno maggiore successo professionale e nel lavoro risultano competenti, aggiornati e coscienziosi. Gli Esterni, oltre ad aver un minore successo professionale, sono esposti ai rischi dell’abuso di alcool e dell’uso di​​ ​​ droga ed esercitano un minore controllo sulle abitudini nocive alla salute (fumo ed eccessiva alimentazione). Lungo i due poli del costrutto si collocano i tipi meno definiti. Furnham e Steele (1993), seguendo O’Brien, hanno proposto come tipi intermedi​​ Realisti​​ e​​ Strutturalisti.​​ Mentre gli Interni sono tali in tutte le situazioni, i Realisti sono a volte Interni e a volte Esterni in base alla specifica situazione. Gli Strutturalisti, che si collocano tra Realisti ed Esterni (e sono chiamati in questo caso Fatalisti), agiscono da Esterni secondo le esigenze sociali. I due tipi intermedi sono probabilmente maggiormente aderenti alla realtà in quanto si rendono conto dei limiti che la realtà pone all’attribuzione della responsabilità personale e non assumono l’atteggiamento di deresponsabilizzazione degli Esterni.

2. Il costrutto è stato messo in rapporto con le varie realtà sociali come il rendimento scolastico, l’adattamento generale, l’autocontrollo personale, la responsabilità sociale, l’uso di sostanze dannose e la perseveranza nelle abitudini nocive alla salute, le psicopatie e l’esito della psicoterapia, dimostrandosi utile per la comprensione di tali fenomeni e offrendo la possibilità di modificarli positivamente.

3. Per rilevare il costrutto, Rotter ha elaborato un breve questionario (Poláček, 1980), che diagnostica i due poli del costrutto (I-E). Come hanno attestato Furnham e Steele (1993), sono disponibili più di cinquanta questionari per rilevare il l.o.c. Il rapporto tra di loro, come risulta dalle verifiche di Furnham (1987) e Hau (1995), è tutt’altro che univoco; i dati infatti confermano da un lato la multidimensionalità del costrutto e dall’altro sottolineano l’incertezza nell’elaborazione dei questionari su quali dimensioni del l.o.c. siano da realizzare. Una recente conferma di ciò è stata offerta da Leone e Burns (2000) con la loro ricerca su una ottantina di studenti universitari ai quali hanno somministrato tre più noti questionari del costrutto. È stato riscontrato solo un discreto rapporto tra qualche scala dei tre questionari mentre per le rimanenti i coefficienti risultavano bassi. Nell’interpretazione dei risultati di un questionario occorre fare stretto riferimento alla concezione del costrutto elaborato dal rispettivo autore.

4. Esistono delle convincenti conferme che genitori protettivi, affettuosi, con comportamento coerente (rinforzo costante) e ragionevolmente severi contribuiscono a rendere Interno un figlio. È possibile inoltre effettuare interventi educativi che promuovono la crescita del giovane dalla dimensione Esterna a quella Interna. Il costrutto infine è associato al concetto positivo di sé e all’​​ ​​ autoefficacia. Con quest’ultima il l.o.c. ha in comune gli effetti positivi del controllo interno e le due componenti di entrambi: una individuale e l’altra collettiva. Tanto l’autoefficacia quanto il l.o.c. prima di tutto sono individuali e poi nell’insieme di tanti soggetti diventano sociali. L’opinione pubblica è costantemente messa di fronte a fatti pubblici preoccupanti (inquinamento, corruzione finanziaria, bancarotta fraudolenta, conflitto generazionale, riscaldamento del globo e altri ancora) di fronte ai quali i singoli si considerano impotenti ma il costrutto tiene desta l’attenzione dei soggetti Interni su tali pericoli.​​ 

5. Il l.o.c. è stato assunto da B. Weiner (1974) nella sua teoria dell’attribuzione causale del comportamento. Per interpretare la causalità del successo e dell’insuccesso che le persone attribuiscono agli eventi, Weiner, accanto al l.o.c., colloca altre due componenti: stabilità e controllabilità dell’evento. Un esempio può chiarire la funzione delle tre componenti: un alunno può attribuire il fallimento in un esame scritto di matematica alla seguente combinazione delle tre situazioni: esterna, variabile, incontrollabile; in tal caso l’insuccesso è dovuto alla prova inadatta; interna, stabile, incontrollabile; l’insuccesso è dovuto alla sua scarsa abilità in matematica; interna, variabile, controllabile; l’insuccesso è dovuto al suo scarso impegno. In base all’attribuzione della causalità il futuro comportamento del soggetto assumerà modalità diverse a cui seguiranno comportamenti differenti. Tale attribuzione ha una fruttuosa applicazione nell’apprendimento scolastico e costituisce un buon indice di motivazione al lavoro.​​ 

Bibliografia

Rotter J. B.,​​ Generalized expectancies for internal vs external control of reinforcement,​​ in «Psychological Monographs» 80 (1966) 10, 1-28; Weiner B.,​​ Achievement motivation and attribution theory,​​ Morristown, General Learning Corporation, 1974; Poláček K.,​​ L.o.c: concetto,​​ risultati e misurazione,​​ in «Orientamenti Pedagogici» 27 (1980) 410-418; Furnham A.,​​ A content and correlational analysis of seven l.o.c. scales,​​ in «Current Psychological Research and Reviews» 6 (1987) 244-255; Furnham A. - H. Steele,​​ Measuring l.o.c: a critique of general,​​ children’s,​​ health-and work-related l.o.c. questionnaires,​​ in «British Journal of Psychology» 84 (1993) 443-479; Hau K. T.,​​ Confirmatory factor analyses of seven l.o.c. measures,​​ in «Journal of Personality Assessment» 65 (1995) 117-132; Leone C. - J. Burns,​​ The measurement of l.o.c.: assessing more than meets the eye?, in «Journal of Psychology» 134 (2000) 63-76.

K. Poláček