1

LEGISLAZIONE SCOLASTICA

 

LEGISLAZIONE SCOLASTICA

È l’insieme delle norme che presiedono all’organizzazione​​ del sistema scolastico in un determinato ordinamento.

1.​​ Diritti,​​ l.,​​ valori.​​ La l.s. si distingue dalla indicazione dei​​ diritti costituzionali​​ che riguardano l’istruzione e lo studio. Tuttavia non è possibile elaborare una compiuta l.s., se non si tiene conto dei diritti che la precedono. Essa è infatti​​ ​​ se coerentemente intesa​​ ​​ lo strumento che serve a dare attuazione a quei diritti, intendendosi in generale la l. come l’assetto formale che una determinata società in un determinato tempo si dà per attuare i​​ ​​ valori di cui si sente ed in concreto è portatrice. Il termine l.s. usualmente ricomprende, tuttavia, sia l’impianto costituzionale dei diritti e dei doveri inerenti all’​​ ​​ istruzione e alla​​ ​​ scuola, sia il concreto ordinamento scolastico attuativo di quei diritti. Distingueremo, comunque, tra​​ istruzione​​ in senso soggettivo o passivo, vale a dire l’insieme delle conoscenze che il cittadino ha il diritto di, e deve, acquisire per poter realizzare effettivamente i suoi diritti di cittadinanza e concorrere al progresso materiale e spirituale proprio, delle sue comunità vitali, dell’intera società (e in questo senso il diritto all’istruzione è esso stesso un «diritto di cittadinanza») e​​ istruzione​​ in senso oggettivo o attivo, vale a dire «una pluralità di insegnamenti [...] coordinati tra loro o resi sistematici, così da rendere possibile quel risultato complessivo che, una volta raggiunto, supera e prescinde dai singoli insegnamenti e dalle persone che li hanno forniti, per entrare a far parte, come valore autonomo, della realtà personale del soggetto “istituito”» (Pototschnig, 1961,47): il primo significato di istruzione attiene alla sfera dei diritti; il secondo attiene più specificamente alla sfera della l.s. Intenderemo altresì per​​ insegnamento​​ «qualunque manifestazione, anche isolata, del proprio pensiero che, riguardando l’arte e la scienza, abbia in sé forza tale da illuminare altri su “lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica” (art. 9 della Cost. italiana)» (Ibid.)​​ e che, più specificamente, sia impartito al fine di fornire elementi di istruzione. Intenderemo, ancora, per scuola una particolare «organizzazione [...] nell’ambito della quale [...] i diversi insegnamenti si coordinano tra loro in modo da assicurare il raggiungimento del risultato comune (quello di istruire) e che si vale, in vista di questo suo scopo, di tutti quegli elementi personali, tecnici e materiali che garantiscono continuità e sistematicità all’azione di coloro che operano nella scuola» (Pototschnig, 1961, 83): la l.s. è pertanto l’insieme delle norme che regolano la scuola come organizzazione unitaria di persone, attività e beni volta al fine di garantire gli spazi di insegnamento e di assicurare istruzione. In questo senso si parla anche di​​ servizio scolastico –​​ più estesamente – di​​ servizio di istruzione​​ (riprendendo in esso non solo l’ambito dell’insegnamento scolastico ma anche quello della​​ ​​ formazione professionale). La l.s. sarebbe allora l’insieme delle norme che regolano il servizio scolastico (o il servizio di istruzione), per assicurarne il funzionamento e il coordinamento al fine del soddisfacimento del diritto all’istruzione dei cittadini e del progresso materiale e spirituale della società. La l.s. si pone quindi come strumentale per il perseguimento di quei​​ valori​​ e non come «fine a se stessa». Anzi, la sua dignità e completezza​​ ​​ la sua stessa efficacia ed efficienza​​ ​​ si valutano proprio in funzione del migliore​​ ​​ più efficace ed efficiente​​ ​​ perseguimento e raggiungimento di quei​​ valori​​ (valori,​​ si badi, sì «esterni» all’ordinamento ordinante, ma non certo ad esso «estranei», se è vero che l’assetto costituzionale dell’ordinamento ordinante li fa propri​​ ​​ come «principi fondamentali» o «valori superiori» dell’ordinamento giuridico [cfr. art. 1 della Cost. del Regno di Spagna del 1978]​​ ​​ per così dire «costituzionalizzando» il riferimento ad essi e il nesso necessario per i valori e la legislazione: non diversamente intende la Cost. italiana quando individua come compito della 1. quello di indirizzare e coordinare «a fini sociali» le attività dei soggetti dell’esperienza giuridica o quello di assicurarne la «funzione sociale»).

2.​​ Il rapporto educativo come rapporto giuridico.​​ In sé, il​​ ​​ rapporto educativo non ha bisogno di l. Esso infatti naturalmente si inserisce nel quadro dei rapporti personalissimi tra genitori e figli (prima di tutto) e tra formazioni sociali originarie e loro membri. In quanto «introduzione alla realtà», l’educazione è dovere-diritto inalienabile dei genitori, ai quali la società e le sue istituzioni hanno il dovere di fornire i supporti strumentali necessari per il suo pieno adempimento; ma non hanno alcun diritto di avocarlo a sé. Segnatamente il ruolo delle istituzioni è quello di assicurare le condizioni giuridiche ed economiche e di definire le norme generali in forza delle quali tale dovere-diritto di istruire ed educare i figli («anche se nati fuori del matrimonio», aggiunge la Cost. italiana, art. 30, primo comma) si può e si deve esplicare. In questo senso la l.s. interviene ad assicurare organizzazione, criteri e finalità generali, all’interno dei quali si esplicano le libertà e si rendono effettivi i diritti dei differenti soggetti del rapporto educativo; mentre il rapporto educativo entra nella sfera dell’ordinamento, il quale assume nei suoi confronti un ruolo positivo e promozionale e non un ruolo​​ ​​ o un compito​​ ​​ impositivo e cogente. In questo senso il rapporto educativo può essere inteso anche come rapporto giuridico, siccome rapporto tra due o più soggetti regolato dal diritto.

2.1.​​ I soggetti.​​ Ogni soggetto che «entra» nel rapporto educativo è portatore e titolare di un proprio ruolo, di un proprio compito, di propri diritti e di una propria libertà, per l’effettivo esercizio e la piena esplicazione dei quali la l.s. è tenuta ad assicurare la cornice normativa generale e le condizioni giuridiche necessarie, ivi compresa la disponibilità delle risorse umane e strumentali, organizzative ed economiche adeguate. a) Gli​​ allievi​​ sono una delle parti fondamentali (anzi, la parte fondamentale, senza la quale esso neppure si instaura) del rapporto educativo / formativo. Essi godono delle garanzie fondamentali che il costituzionalismo democratico contemporaneo riconosce all’uomo e al cittadino, non solo per sé e per il proprio sviluppo (diritto) ma anche in funzione del progresso della compagine politica, economica e sociale del proprio Paese e della comunità internazionale (dovere). Pertanto gli ordinamenti di pressoché tutti i Paesi del mondo stabiliscono per ogni cittadino un certo periodo di istruzione «di base» obbligatoria, variamente disponendo circa le provvidenze per confermare che essa non è solo un dovere, ma risponde anche alla realizzazione di un diritto: vanno lette in questo senso le affermazioni dell’art. 34 della Cost. italiana secondo cui «la scuola è aperta a tutti», e l’istruzione «inferiore» è «obbligatoria» e «gratuita». Non diversamente stabilisce l’art. 27 della Cost. spagnola del 1978 («Tutti hanno diritto all’istruzione»; «l’istruzione primaria è obbligatoria e gratuita»). E non sono che esempi. b) I​​ genitori​​ sono l’altra parte fondamentale del rapporto educativo / formativo: essi sono titolari di un dovere-diritto ad istruire ed educare i figli, in ragione dello specialissimo rapporto naturale che si instaura tra loro. Proprio la speciale e insuperabile naturalità di tale legame è tra i fondamenti di tutta la disciplina giuridica del servizio scolastico negli ordinamenti democratici. Infatti la individuazione del rapporto genitori / figli come il fondamentale nucleo del rapporto educativo, fa sì che tutti gli altri soggetti e le loro posizioni giuridiche vi si adeguino e vi si conformino, nell’organizzazione del servizio scolastico. Così la legge fondamentale (Grundgesetz)​​ della Repubblica Federale tedesca, art. 6 (II) stabilisce che «la cura e l’educazione dei figli sono un diritto naturale dei genitori ed un precipuo dovere che loro incombe, la comunità statale sorveglia la loro attività»; e la Cost. italiana non diversamente si esprime agli articoli 30 e 31. È interessante notare come le più recenti Costituzioni europee, e segnatamente quelle dei Paesi slavi, riprendano questi principi (Cost. ungherese del 1989, art. 67.2; Cost. croata del 1990 art. 63; Cost. bulgara del 1991, art. 47.1). Va altresì ricordato che, in senso conforme si muove la Convenzione europea dei diritti; firmata a Roma il 4 novembre 1950, protocollo addizionale firmato a Parigi il 20 marzo 1952 (art. 2), recepita nell’ordinamento italiano con la legge 4 agosto 1955, n. 848, e nel Parlamento Europeo, con la risoluzione del 14 marzo 1984, ha affermato, tra l’altro, «il diritto dei genitori di scegliere per i propri figli, tra diverse scuole equiparabili, una scuola in cui questi ricevano l’istruzione desiderata». c) Gli​​ insegnanti​​ hanno nel sistema del servizio scolastico che si va delineando una duplice posizione: da una parte essi sono titolari della​​ ​​ libertà di insegnamento; e dall’altra sono, per così dire, mediatori di istruzione, o collaboratori dei titolari del diritto ad istruire ed educare i figli. Essi, esplicando la propria professionalità, adempiono la funzione docente (che è funzione inequivocabilmente pubblica, nel senso indicato in premessa), intesa come «esplicazione essenziale dell’attività di trasmissione della cultura, di contributo alla elaborazione di essa e di impulso alla partecipazione dei giovani a tal processo e alla formazione umana e critica della loro professionalità», «nel rispetto della coscienza morale e civile degli alunni».​​ La trasmissione della cultura,​​ la promozione della formazione della personalità degli alunni​​ nel rispetto della loro libertà e della loro coscienza morale e civile sono il compito specifico e la funzione sociale degli insegnanti nel sistema delineato. d) Le​​ formazioni sociali​​ originarie (oltre alla famiglia)​​ ​​ intese come le comunità culturali e / o religiose, le comunità locali, le comunità di lavoro, la comunità nazionale (che è cosa ben diversa dalla stato-persona), le stesse comunità sovranazionali​​ ​​ hanno anch’esse un ruolo, allargato ma primario, nel rapporto educativo scolastico / formativo. Esse sono portatrici di quella tradizione culturale la cui trasmissione è parte centrale della funzione docente (intesa qui in senso aspecifico e allargato); esse sono altresì il luogo di integrata formazione di quella​​ personalità​​ dei cittadini (e tra essi degli alunni) il cui pieno sviluppo è tra i fini del sistema istituzionale democratico, e sono, al pari delle persone singole, titolari dei diritti fondamentali di cittadinanza. Anche le formazioni sociali sono parte integrante del rapporto educativo scolastico / formativo, e possono svolgere un ruolo assai importante nella determinazione dei criteri di gestione del servizio, specialmente quando la struttura è fortemente accentrata, come capita finora soprattutto nei Paesi mediterranei e di più giovane democrazia. Fra le formazioni sociali di cui si parla sono anche le autonomie locali (intese come le​​ comunità locali)​​ che, esprimendosi anche (ma non soltanto) attraverso gli enti locali, hanno il compito (e il diritto) di far valere l’importanza del rispetto delle situazioni, delle tradizioni, delle esperienze, dei bisogni locali, al fine della migliore efficienza e della più proficua efficacia del servizio scolastico / formativo. e) Le​​ istituzioni​​ svolgono nel contesto del rapporto educativo scolastico / formativo un ruolo necessario, sebbene​​ ​​ come si è visto finora​​ ​​ non sufficiente. Esse hanno il compito di apprestare le condizioni giuridiche e le risorse umane e materiali necessarie perché il rapporto educativo si possa svolgere e sviluppare efficacemente tra i soggetti che ne sono protagonisti. Si vuole ribadire che non esiste​​ ​​ alla luce di quanto detto sopra​​ ​​ una «sovranità» dello Stato nel campo dell’istruzione, e tanto meno dell’educazione, bensì il riconoscimento da parte dell’ordinamento costituzionale della originaria soggettività nel rapporto educativo scolastico / formativo delle «parti» che abbiamo indicato, e della loro titolarità di diritti e libertà derivanti da tale originaria soggettività. Ne consegue anche il compito istituzionale per l’insieme dei pubblici poteri, quali enti esponenziali dello Stato-comunità, di dettare le norme generali sull’istruzione, sia in ordine ai criteri e agli standard organizzativi e funzionali, sia in ordine ai riferimenti comuni di valore, indicati nelle diverse Costituzioni attraverso il riferimento ad alcuni principi fondamentali (intesi come presupposti del sistema politico, economico e sociale, e come contenuto minimo e irrinunciabile per il conseguimento dei «fini sociali», senza tuttavia pretendere alcun compito o «potere» educativo per le strutture istituzionali); come pure il compito di istituire scuole​​ ​​ nel senso esposto in apertura​​ ​​ per l’effettivo esercizio del diritto all’istruzione dei cittadini.

2.2.​​ I diritti.​​ Emerge allora che, intendendo il rapporto educativo come rapporto giuridico (e per la parte in cui così può essere inteso), la sua regolamentazione giuridica deve comprendere il riconoscimento di​​ diritti,​​ l’apertura all’esercizio di libertà, l’apprestamento e l’organizzazione e la gestione operativa di​​ strumenti​​ (o​​ strutture)​​ per assicurare, su un piede di libertà e di uguaglianza, l’esercizio di quei diritti. Il primo diritto che viene in considerazione, e il cui riconoscimento effettivo ed efficace costituisce il fondamento di qualsiasi ordinamento democratico della materia, è il​​ diritto all’istruzione.​​ Esso ha due versanti: il diritto a​​ ricevere​​ istruzione, che appartiene originariamente ad ogni uomo quale diritto primario di umanità e ad ogni cittadino quale diritto primario di cittadinanza. È diritto incondizionato, da esercitarsi su un piede di libertà e di uguaglianza senza discriminazioni basata su distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di appartenenza a minoranze, di ricchezza, di nascita o di qualsiasi altra condizione (cfr. art. 14 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali), nonché di stato giuridico delle strutture ove in concreto​​ ​​ fatti salvi gli standard del servizio e rispettate le norme generali sull’istruzione​​ ​​ si intende esercitare tale diritto (​​ pubblico / privato). Il secondo versante del diritto all’istruzione è il diritto a dare istruzione. Esso, a sua volta, può essere visto sia dall’angolatura generale, come appartenente​​ in primis​​ ai genitori e alle formazioni sociali, sia dall’angolatura particolare della libertà (o diritto alla libertà) di insegnamento per così dire «individuale», o «professionale», come appartenente a coloro che come proprio contributo al progresso materiale e spirituale della società esercitano​​ ​​ individualmente o all’interno di strutture scolastico-formative​​ ​​ l’insegnamento dell’arte, della scienza e la trasmissione del patrimonio culturale dell’umanità. Anche il diritto a​​ dare​​ istruzione è diritto costituzionale soggettivo, vuoi per i soggetti comunitari (cfr. art. 2 della Cost. italiana), vuoi per i soggetti individuali, o come esplicitazione della generale libertà di espressione del proprio pensiero, o (meglio) come diritto specificamente riconosciuto in sé dall’ordinamento. Il secondo diritto è il​​ diritto allo studio,​​ inteso secondo una complessa stratificazione di elementi: l’accesso ai luoghi di istruzione; le condizioni di permanenza in essi; la qualità dell’istruzione impartita, sia dal punto di vista degli strumenti, sia dal punto di vista delle persone (preparazione e aggiornamento degli insegnanti); la partecipazione all’organizzazione del servizio scolastico / formativo, sia per quel che concerne la programmazione (insediamenti, edilizia, ecc.), sia per quel che concerne la concreta gestione (formazione delle classi, iniziative di supporto, di appoggio, collaterali, di integrazione, ecc.). Tale diritto pertiene alla esclusiva titolarità della persona dello studente (o dei suoi legali rappresentanti), a prescindere dal luogo e dalla configurazione giuridica della struttura in cui in concreto esso viene esercitato. Gli interventi positivi per la sua concreta effettuabilità e realizzazione sono di norma affidati agli enti locali (Länder,​​ Regioni, Cantoni, ecc.), cui è anche normalmente demandato di delegare la concreta erogazione a garanzia di uguaglianza agli enti locali «minori», fino​​ ​​ negli ordinamenti anglosassoni​​ ​​ alle​​ neighbourhood​​ (organizzazioni di quartiere o di «vicinato»). Il diritto allo studio​​ ​​ quale diritto a disporre delle condizioni giuridiche e delle risorse strumentali e umane per l’effettiva realizzazione del diritto a ricevere istruzione​​ ​​ è venuto maturando una sua specifica e speciale l., di norma locale.

2.3.​​ Le libertà.​​ Da tutto quanto detto finora discende che, nel contesto dell’ordinamento relativo al rapporto educativo scolastico / formativo, hanno cittadinanza alcune libertà specifiche, e segnatamente la libertà di scelta educativa e conseguentemente scolastica, che compete agli alunni e alle loro famiglie, la libertà di istituzione scolastica e la libertà d’insegnamento. Il dovere-diritto di istruire e di educare i figli (nonché per tutti di istruirsi e di ricevere adeguata educazione) porta con sé, come naturale e necessaria conseguenza, il diritto alla​​ libera scelta scolastico / formativa,​​ e questo sotto due distinti rispetti: il primo, relativo ad una libertà di scelta per così dire orizzontale, che riguarda l’indirizzo degli studi, breve piuttosto che lungo e impegnativo, tecnologico piuttosto che umanistico, e così via; il secondo, relativo ad una libertà di scelta per così dire verticale, che riguarda la cultura, il «progetto educativo» (​​ progettazione educativa), i valori, la concezione dell’uomo e della società (quello che la Convenzione europea di salvaguardia dei diritti chiama «filosofia»), cui ispirare il​​ curriculum​​ della formazione e degli studi. Ciò coinvolge direttamente la libertà di scelta del tipo di scuola sia sotto il primo rispetto, sia sotto il secondo. Per rendere effettivamente operante questa libertà di scelta della scuola dal punto di vista della qualificazione culturale viene affermata, in tutti gli ordinamenti democratici, la​​ libertà di istituzione scolastica,​​ sia come direttamente derivante dalla libertà d’intrapresa e dalla libertà d’espressione​​ ​​ e più specificamente dalla libertà d’insegnamento​​ ​​ sia (e di più) come il necessario supporto realizzativo alla libertà di scelta scolastica, la quale solo nel pluralismo dell’offerta scolastica può trovare un’adeguata risposta. E qui nasce anche l’interesse pubblico ad assicurare tale pluralismo, che legittima gli interventi positivi da parte delle pubbliche istituzioni per garantirlo su un piano di libertà, parità ed eguaglianza. Il pluralismo delle offerte scolastico / formative è il frutto, dunque, della libertà di istituzione scolastico / formativa, la quale a sua volta si radica nella libertà di insegnamento. Essa riguarda sia i singoli sia le formazioni sociali. Si tratterà nel primo caso di una libertà connotata da specifiche caratteristiche soggettive (professionalità, requisiti, condizioni, ecc.) e oggettive (norme a tutela e garanzia); nel secondo caso di una libertà più generale, attinente alla realizzazione di quello che abbiamo chiamato «diritto alla tradizione», alla trasmissione della propria cultura. È qui, per es. (oltre che nel compito di rispondere alle esigenze dei titolari del diritto all’educazione e alla libera scelta scolastico / formativa), che trova fondamento la libertà riconosciuta alle istituzioni scolastico / formative di ispirazione religiosa.

3.​​ Servizio di istruzione e l.s.​​ Si possono trarre da quanto detto fin qua alcune conclusioni specificamente relative alla l.s.

3.1.​​ Il ruolo dello Stato.​​ Si può pensare che lo Stato consideri come proprio fine l’impartire una specifica istruzione, con determinati contenuti, per la formazione di una precisa figura di cittadino, con certe caratteristiche e non altre. Avremo così la figura dello Stato educatore (o Stato etico), per il quale l’istruzione è mezzo per conseguire fini propri, a prescindere da quelli individuali o sociali (comunitari) dei cittadini. Si può altresì pensare che lo Stato consideri come proprio fine l’assicurare le condizioni di fatto e di diritto per il pieno, libero, autonomo sviluppo della personalità dei cittadini nelle e con le loro formazioni sociali. Nel primo caso lo Stato, attraverso la propria l.s. (di norma accentrata e centralistica), detterà i contenuti stessi dell’istruzione, e controllerà che essa si orienti verso l’inculcazione negli studenti di valori predeterminati con la stessa l. Non si tratterà di un​​ servizio​​ scolastico, ma di una​​ funzione​​ scolastica dello Stato stesso, attuata esclusivamente attraverso​​ propri​​ organi e uffici. Nel secondo caso lo Stato, attraverso la propria l.s. (di norma delegata alle autonomie locali e decentralizzate), detterà le norme generali nel quadro delle quali l’istruzione si svilupperà con autonomia, e veglierà perché essa si venga elaborando ed impartendo in un quadro di​​ par condicio,​​ relativamente alle condizioni e ai requisiti oggettivi e all’effettiva realizzazione del diritto allo studio e delle libertà cui s’è accennato. Si tratterà non di una funzione dello Stato stesso, ma di un servizio da esso attuato per l’effettiva realizzazione dei diritti dei cittadini e delle loro formazioni sociali, e per il sostegno all’adempimento dei loro doveri naturali e originali. Negli ordinamenti democratici (quali quelli dei Paesi dell’Unione Europea, ad es.), si verifica il secondo caso, che si basa sull’esplicito «riconoscimento che l’azione dello Stato, per quel che riguarda l’istruzione, non è diretta al soddisfacimento di un interesse proprio, non essendo l’istruzione un “fine” dello Stato, ma che d’altra parte, avendo lo Stato​​ ​​ accanto ed in concomitanza con l’iniziativa di altri soggetti​​ ​​ un indeclinabile​​ compito di provvedere​​ all’istruzione, quest’ultima è un’attività che già in quanto tale​​ ​​ e cioè a prescindere dal soggetto pubblico o privato che la svolge​​ ​​ è tutt’altro che irrilevante per l’ordinamento, il quale, pertanto, proprio per tale ragione, può dettarne le “norme generali”» (Pototschnig, 1961, 62). Si veda in questo senso l’art. 33, secondo comma, della Cost. italiana, per il quale «la Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e i gradi».

3.2.​​ La l.s.​​ La l.s. detterà dunque le norme di quadro all’interno delle quali si potrà svolgere, in autonomia e con il fine di assicurare il pieno sviluppo della persona umana, come singolo e nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità, l’istruzione, intesa come funzione non dello Stato-persona, ma della società, dello Stato-comunità («la Repubblica»), e pertanto come servizio. Tale l., pertanto, determinerà l’ordinamento dei​​ servizi dell’istruzione​​ primaria e secondaria e l’ordinamento delle scuole primarie e secondarie; le condizioni e i requisiti oggettivi (standard)​​ ai quali ogni scuola, a prescindere dalla sua configurazione giuridica, possa e debba entrare a fare parte del sistema del servizio dell’istruzione (pubblico / privato); gli strumenti per assicurare la partecipazione sociale alla gestione del servizio stesso; lo stato giuridico del personale docente, direttivo, ispettivo, nonché non docente; le norme relative alla sperimentazione e ricerca educativa, all’aggiornamento culturale e professionale, la misura dell’autonomia riconosciuta alle singole strutture scolastico / formative; e così via.

Bibliografia

Pototschnig U.,​​ Insegnamento Istruzione Scuola,​​ Milano, Giuffré, 1961; Garancini G.,​​ Costituzione,​​ scuola e libertà, Roma, FIDAE, 1985; Crema F. E. - G. Pollini (Edd.),​​ Scuola,​​ autonomia,​​ mutamento sociale,​​ Roma, Armando, 1989; Glenn C. L.,​​ Choice of schools in six Nations,​​ Washington D.C., Department of Education, 1989; Dalle Fratte G. (Ed.),​​ Autonomia risorsa della scuola,​​ Milano, Angeli, 1991; Commissione Europea,​​ Insegnare ed apprendere,​​ Bruxelles / Luxembourg, Ufficio delle Pubblicazioni Ufficiali delle Comunità Europee, 1996; Garancini G., «Riforme e federalismo», in Cssc-Centro Studi per la Scuola Cattolica,​​ A confronto con le riforme: problemi e prospettive. Scuola cattolica in Italia. Quarto Rapporto, Brescia, La Scuola, 2002, 74-95; Cicatelli S.,​​ Conoscere la scuola. Ordinamento. Didattica. Legislazione, Brescia, La Scuola, 2004.

G. Garancini




LETTERATURA GIOVANILE

 

LETTERATURA GIOVANILE

Complesso delle opere letterarie specificamente proposte all’attenzione e alla fruizione di un pubblico compreso nell’arco dell’età evolutiva e di quelle che, pur scritte in origine per adulti, sono state apprezzate nel tempo e sentite come proprie dai giovani lettori.

1.​​ Denominazione.​​ La denominazione di l.g. si configura ancora oggi come sintesi pratica che reinterpreta dizioni utilizzate nel dibattito pedagogico degli ultimi secoli, quali «l. per l’infanzia» (ancora oggi utilizzata nell’ambito universitario), «l. infantile», «l. per ragazzi», «libri per fanciulli», «l. per l’infanzia e l’adolescenza» cui si vorrebbe aggiungere, ma non da tutti, «l. per giovani adulti». Nel ripercorrerne la storia si possono percepire la diversa attenzione rivolta nel tempo alle varie tappe dell’età evolutiva e il conseguente diversificato interesse per le letture a queste considerate connesse: da strumento educativo per lo più imposto e non sempre ben distinto da una funzione istruttivo-didattica, a consapevole esperienza di sempre più libera scelta della lettura come accompagnamento e costruzione della propria crescita personale. In questa logica la denominazione sembra poter assumere una «pregnanza categoriale» (Bernardinis, 1989) che aiuti una riflessione ancora non esaurita sullo statuto epistemologico della disciplina.​​ 

2.​​ Cenni sulle origini.​​ Al di là di una manualistica scolastica che ha informato nel tempo su un genere ritenuto minore nell’ambito di più generali suddivisioni letterarie (Lollo, 2003), la bibliografia critica più recente ha assunto che «il criterio ordinatore delle periodizzazioni e della ricerca delle fonti» debba essere «il​​ destinatario,​​ la categoria​​ dell’infantile​​ e​​ giovanile»​​ (Bernardinis, 1989) prima delle eventuali specificazioni (non sostitutive e non intercambiabili) di «scolaro», «figliolo» o simili. Una prima percezione del giovane come destinatario del dialogo educativo appare nell’opera di​​ ​​ Fénelon,​​ Télémaque,​​ del 1699, che, pur leggibile e valutabile anche da altri punti di vista, si è diffusa come lettura pedagogica in tutta Europa fino a tutto l’Ottocento. Ancor prima, postumo, era apparso nel 1632-34 in napoletano il​​ Cunto de li cunti​​ di G. B. Basile (1575-1632),​​ o vero lo trattenemiento de peccerille,​​ anche se la polisemia testuale lo fa ritenere di intenzionalità adulta. Basile precede La Fontaine (1668) e Perrault (1697), risultando essenziale fonte scritta per la​​ ​​ fiaba europea, come era ben noto ai Grimm. Nella forma letteraria via via assunta, il fiabesco, in cui si riconosce persistenza di miti e antichi reperti antropologici, pur dopo oscillazioni nel tempo sulla sua efficacia educativa, appare oggi importante, alla luce di apporti psicologici, per lo sviluppo e la strutturazione dell’immaginario infantile.​​ 

3.​​ L.g. tra pedagogia e l.​​ Le difficoltà tuttora persistenti di definizione e di indagine teorica sulla disciplina nascono dalla sua complessità interna. Essa si è infatti sviluppata negli ultimi secoli in rapporto alla comprensione e valutazione adulta delle categorie di​​ ​​ infanzia e​​ ​​ adolescenza, alla diffusione illuministica dell’istruzione, all’autonomia del processo formativo elaborata da​​ ​​ Rousseau, «che rifiutava l’uso della l. quale fonte di modelli» secondo un’ottica adulta (Bernardinis, 1989). Ma nell’Ottocento, oltre i pochi testi di alto livello e notevole diffusione, lo scrivere per l’infanzia è stato, particolarmente in Italia, connotato da un pedagogismo intenzionale, sia di matrice cattolico-liberale e di influsso manzoniano, sia di orientamento mazziniano, con conseguente strumentalità degli assetti linguistico-narrativi al fine extraletterario di un’educazione comunque «nazionale» e di fatto poco propensa a sviluppare autonomie giovanili. Facile è stato il rifiuto di Croce fin dal 1905 di un’arte «infantile» e pesante il suo condizionamento sulla produzione novecentesca per l’infanzia e l’adolescenza non in termini economico-editoriali ma di esistenza critico-culturale al di fuori dell’ambito pedagogico. In questo settore, una riflessione in cui non si possono dimenticare gli apporti degli studiosi P. Hazard e M. Soriano e l’approfondimento della pedagogista A. M. Bernardinis, si avverte a lungo l’esigenza di individuare la specificità della l.g. Con A. Faeti, già docente di l. per l’infanzia nell’Università di Bologna, la polemica sulla valutazione letteraria della l.g. sembra cessare di esistere come problema critico: la formazione pedagogica di Faeti gli consente di percorrere (1977) con innovativa creatività gli spazi lasciati aperti dalle asserzioni di Croce. Non teme infatti di collegare la produzione «infantile» innanzitutto con l’illustrazione e poi col romanzo popolare, con la pubblicistica e con tutto ciò che si legge a circolazione diffusa, senza limiti geografici, anche se trascurato dalla critica ufficiale. L’affermarsi delle tendenze strutturalistico-semiologiche e poi ermeneutiche porta a complesse e non concluse ridefinizioni di testo, di mittente e di destinatario, all’interno di processi in cui la stessa fruizione estetica appare atto soggettivo ma canalizzato e orientato da una pluralità di condizionamenti istituzionali e culturali, da decodificare anche con adatte competenze, tra cui, di rilievo, quelle filologiche. La l.g., che ha acquisito con maggiore chiarezza il dato del «destinatario», ha fatto propri in maniera diseguale gli apporti più direttamente testuali (ma si veda Rodari 1973). Si è arricchito il rapporto già maturo con l’illustrazione e via via si è problematicamente avvertita nella proposta editoriale l’incidenza dei cambiamenti ideologici, delle trasformazioni interculturali (di cui sono indice significativo le case editrici Sinnos e Carthusia) e della globalizzazione. Sono emerse intersezioni accentuate dei linguaggi mediali e multimediali, hanno acquistato peso alcune tendenze diffuse verso mete esoterizzanti, mentre è apparsa difficile e difficoltosamente cercata la relazione con la storia, tra distopia e orizzonte utopico, tra coscienza del costruire e rifiuto del crescere. L’attuale attenzione alla lettura mette in rilievo il piacere del leggere, una «pedagogia della lettura» mirante a far acquisire il gusto del rapporto personale con il libro pur senza escludere apporti dialogici e orientativi. Rimane presente, anche se in gradi diversi di consapevolezza, il nodo problematico sotteso alla l.g.: che le autonomie e le scelte giovanili non appaiono separabili da proposte e scelte adulte. Tra queste ha un rilievo particolare la produzione del testo, che è tanto più di provenienza adulta (singolare e di​​ editing) quanto meno è alta l’età del destinatario. La l.g. non può fingere di ignorare che tra autore e lettore non esiste solo la disparità delle competenze (attiva e passiva), ma una disparità più profonda cui si potrebbe dare il nome di generazionale. Solo accettando questa disparità (ovviamente nel testo, che è il solo vero luogo della comunicazione letteraria cui comunque la l.g. appartiene) si può realizzare il «dialogo paritario tra autore e lettore» (Bernardinis, 1989) che è di squisita natura pedagogica. Sembra infatti connotazione giovanile la​​ domanda​​ e proprio dell’adulto l’accoglierla in quanto domanda esistente, quali che siano le sue attitudini a rispondervi. Attraverso la scrittura e mirando intrinsecamente al «bene dell’opera» (​​ Maritain), lo scrittore che è anche adulto formalizza la problematica di cui è portatore in modo da offrirla, nell’esito creativo in cui si dispone, al piacere e allo scavo di un lettore «giovane» che gli chiede in ultima analisi di essere se stesso nell’opera per poter procedere a sua volta a conoscersi liberamente. Nella diversità dello scambio, quindi, si realizza la parità di esso: la scrittura si fa luogo, con modalità diverse, di comune accrescimento di umanità. In questo senso è importante una l.g. (nella quale si potrebbe individuare e studiare un’eventuale produzione di giovani per giovani o per adulti, con tutte le sue variabili), da non rifiutare per una pretesa e accentuata precocità infantile né da prolungare probabilmente oltre una piena adolescenza, ma da lasciare a una libera attrazione che induca a leggere testi dell’uno e dell’altro versante (giovanili, cioè, o adulti) con una pluralità di esigenze personali e di strumenti interpretativi.

Bibliografia

Bernardinis A. M., «L.g.», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica,​​ vol. IV, Brescia, La Scuola, 1989, 6717-6732; Maritain J.,​​ La responsabilità dell’artista,​​ tr.it.​​ Brescia, Morcelliana, 1963; Rodari G.,​​ Grammatica della fantasia,​​ Torino, Einaudi, 1973; Soriano M.,​​ Guide de littérature pour la jeunesse,​​ Paris, Flammarion,​​ 1975; Faeti A.,​​ L. per l’infanzia,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1977; Hazard P.​​ Uomini ragazzi e libri,​​ Roma, Armando,​​ 31980; Lollo R.,​​ Sulla l. per l’infanzia, Brescia, La Scuola, 2003; Fava S.,​​ Percorsi critici di l. per l’infanzia tra le due guerre, Milano, Vita e Pensiero, 2004; Faeti A.,​​ Specchi e riflessi, Cesena, Soc. Ed.​​ Il Ponte Vecchio, 2005; Colin M.,​​ L’age d’or de la littérature d’enfance et de jeunesse italienne, Caen, Presse Universitaire de Caen, 2005;​​ Boero P. - C. De Luca,​​ La l. per l’infanzia, Roma / Bari, Laterza, 1995 e ristampe fino al 2006;​​ De Maeyer J. (Ed.),​​ Religion,​​ children’s literature and modernity​​ in Western Europe 1750-2000,​​ Leuven, University Press, 2005;​​ dal 2006 è uscita presso l’Università di Macerata la rivista internazionale «History of Education and Children’s Literature»; Blezza Picherle S.,​​ Raccontare ancora, Milano, Vita e Pensiero, 2007.

R. Lollo




LETTERATURA insegnamento della

 

LETTERATURA:​​ insegnamento della

L’insegnamento della l. implica questioni teoriche oltre che psico-pedagogiche.

1. Infatti richiede come presupposto un sufficiente grado di sviluppo della capacità di lettura, applicata agli scopi di informazione, ricreazione e diletto. Pertanto presuppone nel giovane una certa maturità delle sue funzioni psichiche superiori, intellettuali ed estetiche. Ma chiede anche che si pigli posizione nella questione della​​ funzione​​ della l.​​ ​​ Platone parla di una polemica, già vecchia ai suoi tempi, tra poeti e filosofi. In fondo, le teorie più recenti dell’«arte per l’arte» o della​​ «poésie pure»​​ non costituiscono grandi novità rispetto alle polemiche più antiche; benché non si possa identificare la «eresia didascalica» – come Poe chiamò la concezione della poesia come strumento di edificazione – con la dottrina rinascimentale secondo cui la poesia piace e insegna o insegna piacendo. La storia delle teorie estetiche si potrebbe quasi riassumere nell’oscillazione dialettica, in cui tesi e antitesi sarebbero date dall’oraziano​​ dulce​​ e​​ utile.​​ Ciascuno dei due predicati, presi separatamente, non può che dar origine a teorie incomplete perché unilaterali. All’istanza secondo cui la poesia (o la l. in genere) è diletto risponde l’istanza che vede la poesia come insegnamento. All’idea che la l. dovrebbe ridursi a mezzo di persuasione risponde l’idea di una l. neutra, ridotta a suono puro o a vergine immagine. La verità sembra stare nella sintesi delle due note oraziane. Si è parlato anche abbondantemente della funzione​​ catartica​​ dell’arte, da cui non andrebbe esclusa la l., che mirerebbe a liberare o il lettore o lo scrittore dalla pressione angustiante delle emozioni. Ma non è forse egualmente vero che la l., anziché calmare le emozioni, ha talvolta il potere e l’effetto di incitarle?

2. È evidente che, sebbene il letterato non si ponga la questione della funzione o degli effetti dell’opera d’arte, tale questione è ineludibile sul piano​​ morale ed educativo,​​ e va quindi risolta da ciascun insegnante- educatore nella sincerità della propria coscienza. Hosic nel 1917 aveva raccolto e rilevato quattro obiettivi propri dello studio letterario: a) allargare, approfondire ed arricchire la vita immaginativa del giovane; b) destare un senso sincero di ammirazione per le grandi personalità sia degli autori (scrittori) che degli attori (o personaggi descritti); c) elevare il potere di godimento spirituale; d) far conoscere al giovane ambito e contenuto del patrimonio letterario. A sua volta, a livello liceale, Taylor ha indicato queste finalità: la l., nel suo valore di universalità, conferisce a) un senso della interdipendenza vitale nella società umana; b) un affinamento e un ravvivamento del sentire, del pensare, del fare umano in ciascun individuo che vi si accosta e rivive l’esperienza letteraria genuinamente in se stesso; c) un senso del processo creativo e ricostruttivo con cui l’uomo trionfa sul processo disintegrativo della realtà cosmica; d) un ampliamento delle prospettive del giudizio e della decisione.

3. Per giudicare della dinamica psicopedagogica dell’esperienza letteraria bisogna tener presenti i due aspetti che la costituiscono: l’aspetto​​ contenutistico​​ e l’aspetto​​ formale.​​ La l. non è solo contenuto, come non è solo forma: ciò che la distingue da altri prodotti spirituali dell’uomo è appunto la fusione di un contenuto di alto valore spirituale con una forma autenticamente «bella». Perciò l’esperienza letteraria non si può ridurre a un fatto meramente intellettuale, di assimilazione di dati culturali (culturalismo),​​ ma nemmeno ad un semplice fascio di vibrazioni estetiche (estetismo).​​ Per cui, se da una parte non si può fare insegnamento letterario, col rimpinzare la mente del giovane di nozioni storiche o formali, dall’altra non ci si deve fissare unicamente sull’apprezzamento e sull’imitazione di una forma vuota, che in questo caso non sarebbe più «valore» ma «orpello».

4. L’accostamento alla l. esige un buon​​ avviamento alla lettura:​​ l’insegnare a leggere secondo i fecondi canoni della «l. estetica di prima impressione» e della «l. estetica approfondita». Sarà anche necessario indirizzare gli allievi alla «lettura ricreativa». Il gusto della vera l. si coltiva dirigendo intelligentemente, già fin dalle elementari, la scelta delle letture ricreative. Infine, è opportuno un avvertimento sul​​ contenuto​​ dell’insegnamento letterario. Dovrebbe essere bandito un certo feticismo per la l. del passato, che è sempre aggravato da un atteggiamento di sdegnoso ripudio per la l. contemporanea. Anche nella scuola media, anziché proibire la lettura degli autori contemporanei (certo, giudiziosamente scelti), è proprio da questi che dovrebbe iniziarsi l’accostamento ai valori letterari, e ad essi si dovrebbe poi ancora tornare dopo l’esplorazione (indispensabile) del passato. Solo in questo senso la didassi linguistica riuscirebbe autenticamente «funzionale».

Bibliografia

Coveri L. (Ed.),​​ Insegnare l. nella scuola superiore,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1986; Armellini G.,​​ Come e perché insegnare l.,​​ Bologna, Zanichelli, 1987; Blau S.,​​ The literature workshop: Teaching texts and their readers, Portsmouth (NH), Heinemann, 2003; Beach R. W. - D. Appleman,​​ Teaching literature to adolescents, New York (NY),​​ Lawrence Erlbaum Associates, 2006; Dorfman L. R. - R. Cappelli,​​ Mentor texts: teaching writing through children’s literature,​​ K-6, Portland (Maine), Stenhouse Publishers, 2007.

R. Titone




LETTURA

 

LETTURA

Il termine l., assunto in modo generico come sinonimo di «decodificazione», va ulteriormente specificato nel suo oggetto. Si parla in questo modo di l. del testo verbale, di l. dell’immagine, di l. del cinema, di l. della pubblicità, di l. dell’arte, di l. del fumetto (per non parlare di l. della realtà, di fatti od eventi).

1. Nel passato il saper leggere è stato riferito in particolare all’abilità di decodificare il linguaggio verbale e la scuola si è molto impegnata perché questa potesse da tutti essere acquisita. Oggi il saper leggere occupa uno spazio semantico più ampio, ma non meno intenso è stato l’impegno della scuola per educare le generazioni più giovani alle nuove abilità di decodificazione (di lettere, parole, strutture, segni, immagini). I risultati tuttavia non sono stati sempre all’altezza delle intenzioni. L’apprendimento di altre abilità di l. spesso avviene a scapito di quelle verbali. Nonostante il rilievo di altre forme linguistiche, quelle verbali conservano certamente una superiorità per quanto riguarda l’apprendimento e lo sviluppo di conoscenze complesse (​​ strategie cognitive).

2. Gli effetti di una buona o scarsa abilità nella capacità di l. linguistica può avere effetti molto devastanti in altri campi. Da molti psicologi scolastici si sottolinea come una debolezza nella capacità di leggere sia un chiaro indicatore di uno studente a rischio di diventare più avanti un drop-out. Vari motivi oggi sottolineano l’importanza di un’attenzione educativa particolare per la capacità di decodificazione linguistica: a) la necessità di un suo possesso molto sofisticato per l’apprendimento e lo sviluppo elevato di conoscenze; b) la necessità di conoscere la complessità dei processi connessi alla​​ ​​ comprensione del testo linguistico per intervenire adeguatamente nell’educazione, nel ricupero e nelle difficoltà; c) la sua rilevanza fondamentale per molte altre competenze; d) la sua necessità per una comunicazione interpersonale efficace, ma anche per una conoscenza di se stessi.

Bibliografia

Pearson P. D. (Ed.),​​ Handbook of reading research,​​ New York / London, Longman, 1984; Barr R. et al. (Edd.),​​ Handbook of reading research,​​ vol.​​ II, Ibid., 1991; Ruddell R. B. - M. R. Ruddell - H. Singer (Edd.),​​ Theoretical models and processes of reading,​​ Newark, International Reading Association, 1994.

M. Comoglio




LEWIN Kurt

 

LEWIN Kurt

n. a Mogilno, Posnania, nel 1890 - m. a Newtonville (Mass.) nel 1947, psicologo tedesco-statunitense.

1. Frequentò le università di Friburgo e Monaco e ottenne il dottorato all’Università di Berlino nel 1914, dove poi insegnò dal 1921 al 1933, quando lasciò la Germania e si trasferì negli Stati Uniti. Fu​​ visiting professor​​ a Stanford e alla Cornell University e successivamente divenne professore di psicologia infantile all’università statale dell’Iowa dal 1935 al 1945. Nel 1945 si trasferì al Massachusetts Institute of Technology e vi fondò il Research Center for Group Dynamics. Durante trenta anni di attività di ricerca empirica spaziò in diversi ambiti scientifici. All’inizio si interessò soprattutto di processi cognitivi e di percezione, di dinamica della​​ ​​ motivazione e delle emozioni individuali, di processi interpersonali riferiti al rinforzo e alla punizione, al conflitto e all’influsso sociale; più tardi si interessò di​​ leadership,​​ di clima sociale, di norme di gruppo e di valori. Un filo conduttore nella sua ricerca fu sempre la convinzione che l’attività di ricerca doveva oltrepassare i tradizionali confini delle scienze sociali e cogliere la complessità in cui l’individuo si muove; fu pertanto un costante promotore dell’approccio interdisciplinare in psicologia.

2. L. è conosciuto soprattutto per la​​ teoria del campo​​ che sostiene essenzialmente che gli eventi sono determinati da forze che agiscono su di essi dentro i limiti di un campo immediato, piuttosto che da forze che agiscono a distanza. La teoria del campo è allo stesso tempo un metodo per analizzare le relazioni causali per creare costrutti scientifici, quindi una metateoria, e allo stesso tempo è un insieme di costrutti, creati attraverso la ricerca empirica, per descrivere e interpretare i fenomeni psicologici e sociali. Il concetto fondamentale della teorizzazione di L. è quello di​​ spazio vitale,​​ che si riferisce alla totalità degli eventi o dei fatti che determinano il comportamento dell’individuo in un dato momento. Questa posizione suscitò notevoli controversie nella​​ ​​ psicoterapia sulla base dell’assunto che i processi causali sono processi del qui e ora, che in genere contrastava con le posizioni della teoria di​​ ​​ Freud. Aspetti importanti dello spazio vitale sono la persona e l’ambiente psicologico così come esiste per l’individuo.

3. In ambito pedagogico tra gli influssi più notevoli si possono annoverare la ricerca-azione e i processi riguardanti la dinamica dei gruppi. Numerosi studenti di L. hanno portato avanti i suoi concetti e il suo lavoro. I più noti tra essi sono D. Cartwright, L. Festinger, M. Deutsch, J. W. Thibaut, H. H. Kelley.

Bibliografia

principali opere di L. trad. in it.:​​ Teoria dinamica della personalità,​​ Firenze, Giunti-Barbera, 1968;​​ Il​​ bambino nell’ambiente sociale,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1971;​​ Teoria e sperimentazione in psicologia sociale,​​ Bologna, Il Mulino, 1972;​​ I​​ conflitti sociali,​​ Milano, Angeli, 1980.

P. Scilligo




LEZIONE

 

LEZIONE

Dal lat.​​ lectio​​ (lettura). Nelle università medioevali per​​ lectio​​ si intendeva la lettura e la spiegazione di un testo: è questa la fonte originaria del termine l., inteso come spazio di tempo nel quale il docente svolge il suo insegnamento (​​ scolastica). Nel corso degli anni si è passati da un concetto di l. inteso come esposizione orale dei contenuti di una materia ad un concetto più ampio inteso come​​ ​​ azione didattica, consistente in un intervento complesso da parte dell’insegnante, finalizzato a stimolare nell’allievo un apprendimento significativo.

1. R. Titone (1959) distingue tre tipi di l. a seconda della rilevanza data al contenuto della materia e al processo di apprendimento: a) La l. «logocentrica» si focalizza sugli aspetti logici e quantitativi della materia cui si riferisce. L’attività principale è nelle mani dell’insegnante il quale, seguendo prevalentemente un metodo deduttivo, tende a trasmettere, al maggior numero di allievi, il massimo del contenuto nel minor tempo possibile. Questo tipo di l. è caratterizzato da tre momenti: la spiegazione, lo studio individuale e la recitazione. b) La l. «psicocentrica» sposta l’attenzione dall’oggetto di studio (la materia) al soggetto che apprende, ponendo l’accento sul processo psicologico dell’apprendimento. Di conseguenza obiettivo principale di questo tipo di l. è trasmettere la materia considerando i fattori psicologici del soggetto, i suoi bisogni, i suoi interessi e le sue predisposizioni. In questo contesto diventa indispensabile che l’insegnante, nello svolgimento della l., segua un chiaro metodo didattico che tenga presente come: motivare l’allievo all’apprendimento; trasmettere l’idea centrale del contenuto dell’apprendimento; stimolare l’allievo ad applicare ed integrare il nuovo materiale appreso; valutare l’apprendimento. c) La l. «empiriocentrica» pone l’accento sull’esperienza spontanea dell’allievo e mira a far sì che quest’ultimo possa raggiungere gradi sempre crescenti di sviluppo. La l. è quindi vista come un’esperienza di vita dell’allievo tendente a promuovere lo sviluppo globale della sua personalità. In essa si possono distinguere tre fasi: la fase iniziale di pianificazione, la fase centrale di svolgimento e la fase terminale di valutazione.

2. Attualmente la l. è intesa come l’ultimo anello di una lunga catena costituita dalla​​ ​​ programmazione educativa e didattica. Una o più l. compongono un’unità didattica e più unità didattiche costituiscono la programmazione educativa e didattica. La l., le unità didattiche e la programmazione formano un ciclo in cui si susseguono tre momenti: la progettazione, la realizzazione e la valutazione. La valutazione può essere anche utilizzata come base per una nuova progettazione e in questo modo ha inizio un nuovo ciclo. Affinché una l. sia efficace e di conseguenza aiuti l’allievo a raggiungere un apprendimento significativo, è necessario che il docente, oltre ad essere competente nei contenuti disciplinari, sia capace di trasmetterli in modo comprensibile, sia in grado di considerare i principi di metodo e sia esperto nell’instaurare una buona relazione con gli allievi. L’insegnamento, infatti, non può prescindere dai contenuti che si vogliono trasmettere per cui è fondamentale che l’insegnante li abbia assimilati e sia in grado di esporli, in funzione di chi ha di fronte, cioè con un linguaggio ed una complessità diversa a seconda del livello di formazione di ciascun allievo. Ciò può essere favorito mediante una comunicazione che risponda ai criteri di semplicità, brevità, ordine e stimolazione che R. Tausch e A. Tausch (1979) hanno identificato come dimensioni peculiari di un linguaggio comprensibile. Inoltre è importante che il docente, nelle diverse fasi della l., tenga presenti alcuni principi di metodo: a) nella fase iniziale della l. – motivare gli allievi, – esplicitare gli obiettivi che si propone di raggiungere, – verificare l’acquisizione dei prerequisiti necessari al nuovo apprendimento; b) nella fase centrale della l. – scegliere quali materiali utilizzare, – riflettere su come spiegare, porre le domande, intervenire di fronte ad un errore e interessare gli allievi; c) nella fase finale – individuare modi per verificare l’apprendimento, – scegliere gli esercizi di rinforzo da proporre. La l. può risultare più efficace se inserita in un positivo contesto relazionale insegnante-allievo. A tale scopo è necessario che il docente assuma uno stile educativo autorevole, che si contrappone a quello lassista e a quello autoritario e che abbia competenze comunicative che gli consentano di accogliere l’allievo, rinforzarlo, stimarlo ed essere empatico (​​ empatia).

Bibliografia

Titone R., «L.», in​​ Dizionario enciclopedico di pedagogia,​​ vol. 3, Torino, SAIE, 1959, 84-94; Pellerey M.,​​ Progettazione didattica,​​ Torino, SEI, 1979; Tausch R. - A. Tausch,​​ Psicologia dell’educazione,​​ Roma, Città Nuova, 1979; Franta H.,​​ Atteggiamenti dell’educatore,​​ Roma, LAS, 1988; Gagné R. M. - L. J. Briggs,​​ Fondamenti di progettazione didattica,​​ Torino, SEI, 1990; Mastromarino R.,​​ L’azione didattica. Qualità ed efficacia nella classe,​​ Roma, Armando, 1991.

R. Mastromarino




LIBERAZIONE

 

LIBERAZIONE

Il termine l. fa riferimento etimologicamente a​​ ​​ libertà, ma vi aggiunge una connotazione particolare, poiché designa il passaggio da una situazione di schiavitù ad una di libertà. Come tale è utilizzato in svariati contesti che vanno dall’affrancamento individuale da situazioni di oppressione fisica, psichica, morale o religiosa, al superamento collettivo di situazioni di dipendenza e sottomissione da parte di interi popoli e continenti.

1. A partire dalla seconda metà del sec. XX​​ il termine ha acquistato dei risvolti particolari, per via dei «movimenti di l.» sviluppatisi specialmente tra i popoli del cosiddetto Terzo Mondo. La spinta è venuta inizialmente dall’​​ ​​ America Latina. La presa di coscienza della situazione di estrema povertà della stragrande maggioranza degli abitanti del continente, e l’individuazione delle cause strutturali che la provocano e che configurano una situazione di nuova dipendenza e schiavitù (teoria della dipendenza), fomentarono delle forti aspirazioni ad un cambiamento globale e diedero​​ origine ad un vasto tentativo di l., che si è espresso in qualche caso estremo anche in forma di lotta armata. Tale ricerca di l. si è caratterizzata per aver sottolineato soprattutto i condizionamenti economici della povertà, senza tuttavia trascurare quelli sociali, politici e culturali. In altri continenti i movimenti di l. sorti successivamente hanno acquistato delle sfumature peculiari, determinate dalle condizioni in cui versavano. Così, in Africa è stata molto accentuata la componente culturale della l.; nell’Asia povera (India, Filippine) è stata la sua dimensione religiosa ad essere presa in speciale considerazione, in ragione della forte presenza delle antiche religioni profondamente radicate nei popoli; negli Stati Uniti, tra i negri, i movimenti si sono raggruppati in ragione della segregazione razziale.

2. Uno degli aspetti della l. a cui si è prestata particolare attenzione, specialmente nell’America Latina, è stato quello educativo. Si è così sviluppata quella che venne chiamata​​ ​​ «educazione liberatrice», una «pedagogia degli oppressi» (​​ Freire) mirata prioritariamente alla trasformazione dell’educando in soggetto della propria educazione. L’educazione liberatrice si caratterizza per il fatto di essere umanizzante, critica, dialogica e coscientizzatrice. Essa si propone di portare l’educando da uno stato di coscienza non corrispondente al contesto storico in cui vive, ad un altro che gli permetta una partecipazione effettiva, oggettiva e critica nel processo storico in cui è inserito.

3. La Chiesa cattolica, specialmente attraverso le Conferenze Generali del suo Episcopato di Medellín (Colombia 1968) e di Puebla (Messico, 1979), diede​​ un valido contributo ai tentativi di l. del Continente. Medellín, in particolare, dedicò uno dei suoi 16 capitoli al tema dell’educazione liberatrice, in cui si coglie l’influsso esercitato dalle proposte di Freire. Ci sono anche dei considerevoli apporti sulla tematica nel documento dedicato alla​​ ​​ catechesi.

Bibliografia

Freire P.,​​ La pedagogia degli oppressi,​​ Milano, Mondadori, 1971; Balducci E.,​​ L.,​​ in J. B. Bauer - C. Molari (Edd.),​​ Dizionario teologico,​​ Assisi, Cittadella, 1974, 313-322; Mongillo D.,​​ L., in V. Bo et al. (Edd.),​​ Dizionario di pastorale della comunità cristiana,​​ Assisi, Cittadella, 1980, 323-325; Boff L. - C. Boff,​​ Libertad y liberación,​​ Salamanca, Sígueme, 1982; Gutiérrez G.,​​ Teología de la liberación. Perspectivas,​​ Salamanca, Sígueme,​​ 172004; Aráujo Freire A.M. (Coord.),​​ La pedagogía de la liberación en Paulo Freire, Barcelona, Graó, 2004; Gelpi E.,​​ Educación permanente. La dialéctica entre opresión y liberación, Xàtiva, Edicions del CREC, 2005.

L. A. Gallo




LIBERTÀ

 

LIBERTÀ

Condizione umana in cui si agisce non per costrizione esterna, ma per decisione cosciente e volontaria in vista di qualcosa che si intende perseguire o realizzare in situazioni concrete. Nella pedagogia contemporanea la l. è vista come​​ ​​ fine specifico dell’educazione e come tratto qualificante del rapporto educativo (​​ autorità educativa).

1.​​ La comprensione storica della l.​​ Nel mondo greco-romano la l. (in gr.​​ eleuthería;​​ in lat.​​ libertas)​​ era principalmente di carattere politico, riferita all’autonomia dello Stato (della​​ pólis​​ o della​​ res publica)​​ o ai cittadini in quanto non sottomessi a poteri dispotici di imperatori, re, tiranni o in quanto non in condizione di schiavitù. Ma della l. si trattava anche in relazione al fato e alla responsabilità morale (cfr. poesia, tragedia, sofisti, stoici,​​ ​​ Socrate). Nell’Etica Nicomachea​​ (III, 1),​​ ​​ Aristotele ha sottolineato l’imputabilità soggettiva, la dimensione conoscitiva e la non costrittività esterna dell’agire libero. Il platonismo e il neo-platonismo hanno indicato il Bene come orizzonte della l. Nel pensiero cristiano, si pone l’accento sulla dimensione interiore e morale. La l. è stata messa in relazione con il tema del peccato personale e di quello dell’umanità nella sua globalità, della salvezza, della grazia, dell’aiuto divino creatore, liberante, redentore e provvidente; ma anche con i temi difficili del libero arbitrio personale, della pre-scienza divina, della predestinazione dei giusti. L’età moderna ha accentuato l’autonomia soggettiva, la l. d’azione, le l. civili e politiche, ma ha cercato di discutere il divario tra idealità e concretezza per una l. incarnata nella storia. Peraltro il sec.​​ xx​​ l’ha collegata con la tragicità, l’assurdità, la finitezza dell’esistenza, come anche con le lotte di​​ ​​ liberazione dei popoli, delle classi oppresse, delle minoranze e dei gruppi soggetti a poteri disumanizzanti e alienanti.

2.​​ Per un concetto comprensivo di l.​​ L’idea di l., per chi si muove nella tradizione culturale occidentale e moderna, è più che un semplice concetto. È carica di emozionalità, di atteggiamenti di difesa, di aspettative, di desideri. Come concetto contiene aspetti diversi che, se assolutizzati, rischiano di contraddirsi a vicenda: come può succedere quando la si pensa come spontaneità assoluta; o all’opposto come controllo razionale di tutto; o come autonomia soggettiva senza alcun legame esterno; o come adesione incondizionata a un’idea suprema o ad un gruppo o partito o movimento. In tal senso nel discorso sulla l. si devono tener insieme livelli diversi e aspetti tra loro complementari. Anche considerata astrattamente come atto isolato, risulta costituzionalmente insieme e sempre «l. da» (costrizione, almeno psicologica), «l. per» (qualcosa che si pone come termine intenzionale dell’agire), «l. in» (interiore capacità di scelta «ragionevole» rispetto a possibilità concretamente date) e «l. di» (esercizio pratico in qualche ambito del reale, ad es. di pensiero, di parola, di circolare, di commerciare, ecc.). In quanto realtà non è tanto del tipo «c’è / non c’è», ma piuttosto del tipo «più / meno», «nella misura in cui», «in quanto», «a patto che», e così via. D’altra parte è pure abbastanza chiaro che essa non si realizza in astratto né come singolo atto, slegato da ogni contesto e da ogni storia. Le scienze umane, la letteratura e i mass-media hanno messo in luce le complesse dinamiche consce ed inconsce che attraversano, condizionano e stimolano la l. umana. Non è una l. «senza condizioni», né è una l. senza storia o fuori della storia. È, come si dice, sempre una l. «incarnata», una l. «in situazione», «intrisa di tempo e di giorni»: fisica, psichica e spirituale, pratica. Peraltro, il pensiero esistenziale e fenomenologico ha messo in risalto che l’essere umano più che possedere la l.,​​ è​​ l. Essa è struttura ontologica originaria che lo costituisce. Non è una «cosa», ma piuttosto il modo specifico di essere dell’agire umano, individuale e collettivo, caratterizzato da assenza di costrizione e procedente da decisione razionale pratica («deliberato consenso»). Essa dà forma e completezza ai contenuti dell’azione dell’uomo, qualificandola come umana, ma a sua volta è misurata proprio dalla sua rilevanza umana. Trova cioè il suo criterio di valore nella promozione umana integrale, individuale e generale, di cui è capace. Senza di essa le azioni dell’uomo rimarrebbero infra-umane o sub-umane. La nostra diretta esperienza ci attesta amaramente come molte delle nostre azioni sono di questo tipo. S.​​ ​​ Tommaso d’Aquino distingueva per questo gli​​ actus humani​​ dagli​​ actus hominis​​ (atti procedenti dall’essere umano, ma non qualificabili come umani). In tal senso la l., più che un dato è un compito, che chiede impegno morale e educazione.​​ 

3.​​ Tra l. negata e ricerca di l.​​ La condizione umana contemporanea sembra radicalizzare la questione della l. Essa viene esaltata e difesa contro ogni forma di soggezione, di alienazione, di plagio, di indottrinamento, e d’altro canto appare praticamente negata dalla massificazione sociale e dall’omologazione culturale (attuata tramite il sistema mass-mediatico che invade il «privato»), dalle spinte del mercato internazionale (che utilizza le tecnologie informatiche e telematiche), dalla diffusa mentalità consumistica (che getta individui e masse in un presentismo alienante e in una ricerca spasmodica di sensazioni senza quadro e senza progetto). La complessità dell’esistenza sociale, come anche la mondializzazione del sistema economico-politico, sembrano rendere evanescente la l. personale e quella dei popoli, nella trama intricata delle dinamiche strutturali psicologiche, intellettuali, culturali, socio-economiche. D’altra parte la diffusa «preoccupazione per l’uomo», per i diritti umani di tutti, per una buona e migliore qualità della vita, per il destino del mondo e degli eco-sistemi, per l’accesso di tutti i popoli e dei diversi gruppi o strati sociali alla scena della storia, spinge ad andare oltre la difesa delle «l. moderne» e ad aprirsi all’altro, ad uscire da sé nella dedizione senza misura o lungo le strade non sempre controllabili dell’amicizia e dell’amore, nell’impegno solidale di liberazione. In effetti la l. è «con-l.», che chiede di coniugare interdipendenza effettiva e solidarietà voluta e ricercata fattivamente, nella coscienza della corresponsabilità storica per l’umano. In questa linea il pensiero cristiano contemporaneo prospetta l’idea che se non si vuol ridurre la l. ad una «passione inutile» (J.-P. Sartre), occorre non costringerla entro la «curva dei giorni» (A. Camus), ma porla in relazione con la trascendenza di Dio: visto non come concorrente dell’uomo nella l., ma promotore di essa. A questo scopo si fa riferimento alle indicazioni bibliche di Dio che chiama l’uomo alla vita, lo forma a sua immagine e somiglianza, fa alleanza con lui, lo soccorre e lo libera per farne un popolo; che nell’incarnazione, nella morte e resurrezione del Cristo toglie la separazione tra cielo e terra, tra sacro e profano, tra carne e spirito in modo che «ogni carne vedrà la salvezza» di Dio, la cui «gloria è l’uomo vivente» e i cui comandamenti sono la «legge dell’amore» di un Dio Padre, non l’imposizione di un «dio-tiranno».

Bibliografia

Rigobello A.,​​ Il futuro della l., Roma, Studium, 1978; Laeng M.,​​ Educazione alla l. civile,​​ morale,​​ religiosa,​​ Teramo, Lisciani e Giunti, 1980; Penati G.,​​ Decisione e origine. Sulla verità della l.,​​ Brescia, Morcelliana, 1983; Laeng M.,​​ Educazione alla l., Teramo, Lisciani e Giunti, 1992; Smith Michael P.,​​ Educare per la l., Milano, Eleuthera, 1990; Zavalloni R.,​​ Educarsi alla responsabilità,​​ Assisi, Porziuncola, 1996; Sen Amartya K.,​​ La l. individuale come impegno sociale, Roma / Bari, Laterza, 2007.

C. Nanni




LIBERTÀ DI INSEGNAMENTO

 

LIBERTÀ DI INSEGNAMENTO

La l.d.i. non appartiene solo agli operatori professionali della scuola: essendo un diritto che rientra in quel grappolo di diritti originari della persona e delle sue formazioni sociali, il cui riconoscimento originario costituisce una delle caratteristiche strutturali dell’impianto costituzionale, ne sono titolari sia i singoli sia le comunità. E tuttavia non c’è dubbio che la l.d.i. riguardi specialmente coloro che sono operatori stabili della struttura scolastica.

1. Nella dottrina giuridica sul diritto scolastico si discute ampiamente​​ ​​ e da lungo tempo​​ ​​ se la l.d.i. sia una specificazione della più generale l. di espressione del pensiero, o sia una l. autonoma, con un suo specifico e originario fondamento. Non solo, ma una parte della dottrina, specialmente quella tedesca, tende a​​ derubricare​​ la l.d.i., e a non più collocarla tra i diritti individuali di l., ma tra​​ «die institutionellen Garantien»​​ (Köttgen),​​ le garanzie istituzionali assicurate al libero esercizio di un diritto nell’ambito di strutture predeterminate e preordinate, tanto che si giunge acutamente a distinguere tra l.d.i.​​ tout court​​ e l.d.i. (Amorth). Per chiarire i fondamenti della l.d.i., occorre ricordare due elementi originari: la socialità dell’istruzione e la funzione educativa dell’istituzione. Nel primo piano va certamente rilevato come la finalità di istruzione non si limiti all’espressione di una cultura, in maniera indifferenziata, ma alla sua finalizzazione all’interesse esterno, in primo luogo dei destinatari diretti di tale espressione (per i quali, anzi, l’insegnamento ricevuto è risposta a un diritto, il diritto all’istruzione), e della società tutta, dalle comunità territoriali di più vicino riferimento fino alla comunità nazionale e a quella internazionale. Nel secondo piano va rilevato che l’insegnamento si esplica naturalmente in un rapporto, nel quale vengono in considerazione e in rilievo due soggetti, l’insegnante e l’allievo (e mediatamente la comunità sociale), tra i quali l’insegnamento crea una corrente, una tensione educativa necessaria alla stessa costituzione del rapporto giuridico. C’è chi arriva ad affermare che «attualmente la l.d.i. è data nell’interesse diretto e primario della società, non in quello di coloro cui, di per sé, la norma si rivolge» (Pototschnig). Senza addentrarci ulteriormente in questa discussione​​ ​​ per altro suggestiva e decisiva per stabilire alcuni confini basilari per affrontare correttamente l’intera problematica del diritto scolastico​​ ​​ crediamo di poter rilevare che: a) la l.d.i. non può essere considerata di esclusiva pertinenza del singolo individuo, e da questi opposta a chicchessia, ma trova la sua più compiuta caratterizzazione e il suo più pieno sviluppo nell’ambito di un​​ ​​ rapporto educativo; b) essa non può essere riferita esclusivamente ad un singolo individuo insegnante, ma va estesa ad altri soggetti, e segnatamente a quelle formazioni sociali «ove si svolge la personalità» dell’uomo e del cittadino riconosciute dall’ordinamento costituzionale, a partire dalla famiglia; c) essa non può essere limitata alla semplice espressione del pensiero e della cultura, ma non può che estendersi all’intero rapporto educativo, e pertanto anche alla predisposizione del complesso degli strumenti per realizzare al meglio tali rapporti (e cioè, in ultima analisi, alla istituzione e gestione di scuole ed istituti di educazione). Nella scuola istituita e gestita dallo Stato o da altri soggetti di diritto pubblico, la l.d.i. è programmaticamente ed istituzionalmente l. individuale, vale a dire espressione di un rapporto individualistico con la legge, e trova i suoi vincoli nella responsabilità individuale di fronte ad un soggetto di diritto pubblico, che deve curare esclusivamente gli aspetti formali. Tuttavia, nei confronti dell’ente pubblico istitutore e gestore la tutela della l.d.i. funziona come una tutela negativa, una affermazione di l. da qualsiasi intervento o interferenza esterni, salvo quelli relativi da una parte all’ordine pubblico ed al buon costume e dall’altra agli​​ standard​​ e agli assetti formali dell’organizzazione e del servizio. Nelle scuole istituite e gestite da soggetti di diritto privato, la l.d.i. disegna e fa parte di un rapporto più complesso, dato che la scuola non statale​​ ​​ altrimenti detta correttamente (anche letteralmente in altri ordinamenti europei)​​ ​​ scuola libera​​ ​​ nasce dall’incontro, variamente organizzato e giuridicamente formalizzato, di diverse l., della l., e della l.d.i. di diversi soggetti.

2. C’è tuttavia un elemento unificante, che insieme dà senso costruttivo alla l.d.i., sia che si esplichi nelle scuole istituite e gestite da enti di diritto pubblico sia che si esprima attraverso scuole istituite e gestite da soggetti di diritto privato: ed è l’esplicazione, l’adempimento della medesima​​ funzione docente.​​ Essa è funzione radicalmente pubblica, perché rivolta al pubblico, anche se è un pubblico speciale, specifico di quella scuola. Essa risponde al diritto-dovere dei genitori di istruire ed educare i figli, e più in generale al diritto all’istruzione dei cittadini. La funzione docente realizza la l. costruttiva, positiva degli operatori scolastici: è il loro modo di partecipare all’organizzazione sociale e di concorrere, in adempimento del dovere di solidarietà, allo sviluppo ed alla crescita della società. È in questa accezione pienamente pubblica e partecipativa della funzione docente che la l.d.i. anche nella scuola istituita e gestita dallo Stato può qualificarsi non solo come l. negativa, vale a dire come potere di interdizione dell’individuo di fronte ad eventuali intrusioni nella sua sfera giuridica, ma anche qui come l. positiva, l. per costruire un nuovo modello di rapporti.

3. La funzione docente è, dunque, una specificazione di quella attività o funzione che ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, per concorrere «al progresso materiale o spirituale della società». E siccome i doveri che vengono in evidenza in questi principi fondamentali della Cost. repubblicana sono i «doveri inderogabili di​​ solidarietà»​​ (art. 2 Cost.), ne deriva che lo svolgimento della funzione docente non configura soltanto un diritto soggettivo, e non inerisce quindi soltanto alla sfera giuridica individuale, ma rientra anche nell’adempimento di un dovere di solidarietà, imponendo che vi si dedichi la dovuta attenzione, il dovuto rispetto per la personalità, l’identità culturale, lo sviluppo integrale dei destinatari (gli allievi), sia come singoli, sia nel contesto dell’insieme delle formazioni sociali dove si svolge e costruisce la loro personalità (dalla famiglia al complesso della società organica). In questo contesto, pertanto, la l.d.i. non si può configurare soltanto come un diritto soggettivo, e come una l. individuale e negativa opponibile​​ tout court​​ ai terzi, e in qualche modo conflittuale con le loro sfere giuridiche individuali: bensì va configurata come una garanzia per lo svolgimento corretto e tendenzialmente completo di quella funzione di cui si diceva. Pertanto le modalità di attuazione della l.d.i. non possono non tenere conto delle modalità previste dalla Cost., prima fra tutte quella della partecipazione. Infatti la l.d.i. si integra necessariamente con la partecipazione alla vita della scuola e della / e comunità di riferimento, e con la sua corresponsabilizzazione (il​​ concorso)​​ con lo sviluppo sia dell’identità personale e sociale degli allievi sia della società.

4. La l.d.i., dunque, si esplica nel e attraverso il sistema scolastico-formativo o, ma più riduttivamente, attraverso la scuola, intesa come organizzazione e molto di più come istituzione. Essa viene in considerazione in relazione: a) ai fondamenti istitutivi della scuola; b) alle modalità organizzative; c) agli altri diritti o interessi che sono presenti nella scuola e che in essa ed attraverso di essa tendono alla loro realizzazione (diritti e / o interessi degli allievi, delle loro famiglie, della società organica, della stessa pubblica amministrazione). La l.d.i. può essere, in sostanza, definita come «la l. di partecipare al progetto educativo-formativo della scuola (non dello Stato, che per definizione e per scelta democratica non si occupa dell’educazione nazionale ma della pubblica istruzione), con i​​ propri apporti professionali originali​​ (che debbono, naturalmente, essere originali e professionali) e di concorrere alla sua realizzazione (e, a determinate condizioni, alla sua elaborazione)». In relazione ai fondamenti istitutivi della scuola, la l.d.i. si situa necessariamente in rapporto con il contesto della scuola stessa, con la sua​​ tavola valoriale,​​ quale è dettata non già dall’organizzazione o dall’appartenenza patrimoniale a un ente pubblico, bensì dai concreti soggetti coinvolti nell’esperienza della comunità scolastica, gli allievi, le loro famiglie, gli insegnanti, l’intera società locale di riferimento. In tal senso la​​ tavola valoriale​​ della scuola, della singola scuola non può che essere in relazione stretta con la​​ tavola valoriale​​ della comunità. E quanto più esse coincideranno, tanto maggiore sarà l’efficacia del servizio scolastico formativo. Quanto meno esse coincideranno, tanto meno efficace sarà il lavoro sviluppato​​ ​​ se sviluppato​​ ​​ nell’istituzione.

5. In relazione alle modalità di organizzazione della scuola, giova prima di tutto distinguere tra la l.d.i., costitutiva dei criteri organizzativi, dopo che istituzionali, della scuola, dalle l. dell’insegnante, contingenti e determinabili praticamente in relazione alle diverse caratteristiche del servizio e allo sviluppo delle relazioni aziendali nella scuola: sulla base di una periodica contrattazione, che non può a sua volta non tenere conto del patrimonio della tradizione sindacale e dei ben delimitati confini dell’ordinamento. Emerge con sufficiente chiarezza l’esigenza che le modalità di organizzazione​​ ​​ fatte salve quelle generalissime attinenti ad un’adeguata omogeneità di​​ standard,​​ di condizioni oggettive (igienico-sanitarie, per es.), al generale​​ buon andamento​​ del servizio ed alla correttamente intesa imparzialità nel suo adempimento​​ ​​ siano subordinate e strumentali rispetto alle finalità statutarie dell’ente e di ogni singolo plesso scolastico e / o formativo, e soprattutto alla realizzazione dei diritti dei singoli e degli interessi collettivi coinvolti nel processo educativo e nell’utilizzazione del suo prodotto. La l.d.i.​​ ​​ nel rispetto dei diritti e degli interessi altrui​​ ​​ dovrebbe fare perno su «esigenze di carattere organizzativo che non discendano direttamente dalle esigenze dei destinatari / committenti del servizio». In questo senso, in piena autonomia dell’insegnante, a sua volta immersa e come garantita nell’autonomia dei soggetti e delle formazioni sociali destinatari / committenti del servizio, si esplica appieno la funzione docente la quale, giova ricordarlo, è trasmissione / comunicazione di cultura e​​ ​​ prima ancora​​ ​​ contributo alla sua elaborazione, impulso alla​​ partecipazione​​ di giovani e meno giovani alla loro stessa formazione ed all’educazione dei figli (diretti e​​ mediati​​ attraverso l’accettazione consapevole e responsabile di una sorta​​ di paternità sociale​​ che è il fondamento di tutta la legislazione partecipativa). Proprio perché il fine ultimo è la formazione «umana e critica» della / e personalità dei giovani viene ad essere l’esercizio della funzione docente come espressione e seme di l. e responsabilità.

Bibliografia

Pototschnig U., «Insegnamento (l. di)», in​​ Enciclopedia del diritto,​​ vol. XXI, Milano, Giuffré, 1971, 721-751; Talamanca A.,​​ L. della scuola e l. nella scuola,​​ Padova, CEDAM, 1975; Cecchini A. I.,​​ L. dell’informazione,​​ della scuola e dell’insegnamento nella Costituzione italiana,​​ Ibid., 1983; Pizzi A., «Insegnamento e scuola (l. di)», in​​ Enciclopedia giuridica,​​ vol. XVII, Roma, Treccani, 1989, 1-6; Corradini L. - G. Macchia - A. Milletti - S. Cicatelli,​​ Professione docente e autonomia delle scuole, Brescia, La Scuola, 2001; Cicatelli S.,​​ Conoscere la scuola. Ordinamento didattica legislazione, Ibid., 2004.

G. Garancini




LIBRETTO FORMATIVO DEL CITTADINO

 

LIBRETTO FORMATIVO​​ DEL CITTADINO

1.​​ Introduzione. Il l.f.d.c., definito in sede istituzionale nazionale ai sensi dell’accordo Stato-Regioni del 18 febbraio 2000, rappresenta «il l. personale del lavoratore […] in cui vengono registrate le competenze acquisite durante la formazione in apprendistato, la formazione in contratto di inserimento, la formazione specialistica e la formazione continua svolta durante l’arco della vita lavorativa ed effettuata da soggetti accreditati dalle regioni, nonché le competenze acquisite in modo non formale e informale secondo gli indirizzi della Unione Europea in materia di apprendimento permanente, purché riconosciute e certificate»​​ (art. 2 comma i. Decreto Legislativo 10 sett. 2003 n. 276).​​ Si tratta di un documento che si aggiunge, qualificandolo, al l. di lavoro e mira a raccogliere, sintetizzare e documentare le diverse esperienze di apprendimento dei lavoratori nonché le competenze da essi comunque acquisite: nella scuola, nella formazione, nel lavoro, nella vita quotidiana. Ciò al fine di migliorare la leggibilità e la spendibilità delle competenze e l’occupabilità delle persone.

2.​​ Spiegazione. La realizzazione di questo documento trae origine dalla limitatezza delle declaratorie professionali basate sulle qualifiche come fonte per precisare la padronanza professionale del titolare; esso si presenta quindi come uno strumento dinamico in grado di accompagnare la persona in tutto l’arco della sua esperienza formativa e lavorativa in coerenza con il concetto di​​ lifelong learning.​​ Questa concezione è coerente con le strategie e le azioni dell’Unione Europea finalizzate alla trasparenza delle competenze e alla mobilità delle persone tanto che il l. può essere considerato il corrispettivo italiano di EUROPASS, il passaporto delle qualifiche e delle competenze che favorisce la «portabilità» delle stesse in Europa, con la differenza che il l. rappresenta la carta d’identità per muoversi sia sul territorio nazionale, sia attraverso le diverse esperienze di apprendimento e lavoro. È infine coerente con la Borsa Continua del Lavoro per favorire l’incontro domanda-offerta di lavoro. Il l. fornisce informazioni sul soggetto e sul suo curriculum di apprendimento formale, non formale e informale, per la ricerca di un lavoro, per la mobilità professionale e per il passaggio da un sistema formativo all’altro; rende riconoscibili e trasparenti le competenze comunque acquisite e sostiene in questo modo l’occupabilità e lo sviluppo professionale; aiuta gli individui a mantenere consapevolezza del proprio bagaglio culturale e professionale anche al fine di orientare le scelte e i progetti futuri.

Bibliografia

Autieri E. - G. Di Francesco,​​ La certificazione delle competenze. Innovazione e sostenibilità, Milano, Angeli, 2000; Frega R.,​​ Dalla competenza alla navigazione professionale, in «Professionalità» 62 (2001) 7-18; Alberici A.- P. Serreri,​​ Competenza e formazione in età adulta. Il bilancio di competenze, Roma, Monolite Editore, 2002; Isfol,​​ La certificazione delle competenze: analisi comparativa internazionale dei dispositivi di certificazione di alcuni Paesi europei, Roma, ISFOL, 2003; Pugliese​​ S.,​​ Valutazione e sviluppo delle competenze, Milano, Ipsoa, 2004; Bordignon B.,​​ Certificazione delle competenze, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2006.

D. Nicoli