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LA SALLE Jean-Baptiste de

 

LA SALLE Jean-Baptiste de​​ 

n. a Reims 1651 - m. a Rouen nel 1719, sacerdote, educatore francese, fondatore di una congregazione religiosa composta unicamente di insegnanti laici, dediti prevalentemente all’insegnamento scolastico e all’educazione giovanile (​​ Fratelli delle scuole cristiane). Canonizzato nel 1900, è il patrono universale dei maestri e degli educatori cristiani (Pio XII, 15 maggio 1950).

1. La fondazione educativa di L.S. prende corpo verso la fine del sec. XVII in un contesto sociale europeo segnato dagli squilibri della prima industrializzazione (i figli di operai, di artigiani e di poveri non ricevono in famiglia alcuna istruzione, né esistono scuole se non a pagamento). Essa si inserisce inoltre nell’alveo storico della riforma postridentina, sia cattolica (​​ Calasanzio, gli Oratoriani, Démia...) che protestante (​​ Comenio), tesa a valorizzare l’istruzione popolare come tramite basilare per l’educazione civile, cristiana e professionale dei giovani.

2. L.S., fondando soprattutto scuole popolari e gratuite, fa saltare il privilegio delle «petites écoles» e dei maestri scrivani del tempo, che reclutavano solo gli scolari di famiglie benestanti in grado di pagarsi l’istruzione. Nelle scuole lasalliane l’insegnamento primario è concepito come base per la​​ ​​ formazione professionale. Di qui le innovazioni di metodi e programmi rispetto all’educazione classica data nei collegi (​​ Gesuiti): sostituzione del latino con la lingua materna; studio non solo di testi letterari ma anche di manoscritti in uso nella vita corrente (atti pubblici, lettere d’affari, conti commerciali...); introduzione di attività didattiche connesse con le professioni artigianali e commerciali (attivando materie nuove come geometria, disegno, agrimensura, contabilità, meccanica e tecniche di lavorazione e di costruzione…); adozione del metodo di insegnamento simultaneo e graduato mediante una distribuzione monitorata degli alunni in classi omogenee (in sostituzione dell’insegnamento individualizzato allora in vigore).

3. Fondamentale nel sistema educativo di L.S. è la formazione umana e pedagogica dei maestri-educatori. A questo scopo fonda una congregazione laicale di insegnanti-religiosi, crea seminari per maestri di scuole rurali, scrive diverse opere di pedagogia pratica, di spiritualità, di ascetica. Tra queste, oltre alle​​ Regole​​ e alle​​ Meditazioni​​ per i suoi religiosi, ci sono testi destinati all’educazione civica e all’insegnamento etico-religioso come le​​ Règles de la bienséance et de la civilité chrétienne​​ (che hanno conosciuto ben 125 edizioni dopo la morte di L.S.), o come​​ Les devoirs d’un chrétien​​ (270 edizioni). Ma la descrizione dettagliata dell’organizzazione scolastica e dei metodi didattici è contenuta nella celebre​​ Conduite des écoles,​​ frutto congiunto delle migliori esperienze educative di La S. e di quelle dei primi Fratelli, e più volte aggiornata «sul campo» alla luce della prassi educativa dell’intera congregazione (24 diverse edizioni tra il 1720 e il 1920). Un vero trattato di «pedagogia contestuale» per la gestione della scuola.

4. La fortuna pedagogica di L.S. non si è esaurita con la sua esperienza di educatore e di scrittore; è continuata nella vitalità secolare e internazionale della sua congregazione (e, indirettamente, in particolare dal sec. XIX, nella fioritura di altre​​ ​​ congregazioni insegnanti, sia maschili che femminili). Così l’opera lasalliana, oltre ad aver posto le basi in Francia dell’insegnamento primario e tecnico-professionale adottato poi dalla generalità degli Stati moderni, ha interessato la storia mondiale della pedagogia scolastica, con una risonanza che ancor oggi non cessa di espandersi.

Bibliografia

a)​​ Fonti: J.-B. de L.S.,​​ Opere complete, ediz. it. a cura di S. Barbaglia, 6 voll., Roma, Città Nuova, 1993-2005; Collana​​ Cahiers Lasalliens. Textes,​​ études,​​ documents, 64 voll., Roma, Maison gén. FSC, 1959-2007. b)​​ Studi: Calcutt A.,​​ De L. S. A city saint and the liberation of the poor​​ through education, Oxford, 1993; Gallego S.,​​ Vida y pensamiento de s. J.-B.​​ de La S., vol. 1:​​ Biografía; vol. 2:​​ Escritos,​​ Madrid, BAC, 1986; Scaglione S.,​​ Bibliographia internationalis Lasalliana, in «Rivista Lasalliana» 68 (2001) 1-2; Valladolid J. M.,​​ La S. catequista, Madrid, PPC, 2007.

F. Pajer




LABERTHONNIÈRE Lucien

 

LABERTHONNIÈRE Lucien

n. a Chazelet nel 1860 - m. a Parigi nel 1932, filosofo francese.

1. Nato da una famiglia di umili artigiani, compì i suoi studi in seminario e, dopo l’ordinazione sacerdotale, entrò nella Congregazione dell’Oratorio, ricoprendo dapprima l’incarico di professore di filosofia e poi le funzioni di direttore del celebre collegio di Juilly. L’esperienza educativa che venne compiendo lo stimolò a scrivere la​​ Théorie de l’éducation,​​ pubblicata per la prima volta nel 1901. In polemica con i teorici della cosiddetta educazione indipendente secondo cui ogni oggetto andava lasciato al suo libero e spontaneo sviluppo, egli affermava che una tale prospettiva, oltre che concretamente impraticabile, sarebbe stata deleteria e, pertanto, rivendicava la necessità della presenza attiva del maestro. Non si deve però credere che egli fosse portato a giustificare qualsiasi intervento dell’educatore. Sosteneva che, al pari di ogni altra autorità, anche quella del maestro cambiava volto a seconda delle intenzioni da cui era animata. A suo modo di vedere, c’erano due tipi di autorità: l’autorità «asservitrice» (asservissant),​​ che usava del potere e del sapere di cui disponeva per assoggettare gli allievi ai propri fini particolari, e l’autorità «liberatrice», che cercava al contrario di porre se stessa a servizio di coloro che le erano affidati per aiutarli a prendere in mano le sorti del loro destino. Egli riteneva che solo chi si sforzava di attuare il secondo tipo di autorità meritava il titolo di educatore.

2. Nel 1903, essendo stato sciolto l’Oratorio a seguito della legge sulle congregazioni religiose in Francia, L. prese dimora a Parigi e da quel momento dedicò le sue energie all’approfondimento delle tematiche filosofiche e religiose, partecipando a quel profondo sforzo di rinnovamento della cultura cattolica, che si diffuse un po’ in tutta Europa e a cui gli storici avrebbero poi dato il nome di modernismo. Tra il 1903 e il 1904 uscirono due suoi scritti che concorsero a farne conoscere il pensiero:​​ Essais de philosophie religieuse​​ e​​ Le réalisme chrétien et l’idéalisme grec.​​ In aperto contrasto con certa teologia cattolica, a suo giudizio troppo inficiata d’intellettualismo, egli sosteneva che la conquista filosofica del vero era frutto non solo della​​ ​​ ragione, ma anche delle disposizioni interiori del soggetto. Tale concezione nasceva in lui dal convincimento che ogni presa di posizione sull’essere rinviava, in modo più o meno esplicito, a una interpretazione dell’assoluto e che questa interpretazione comportava sempre un’opzione fondamentale sul senso dell’esistenza. Egli pensava cioè che, per avere la certezza e il possesso della​​ ​​ verità, occorreva affermare Dio e che per riuscire a cogliere Dio come principio, era necessario cominciare con l’assumerlo come fine. Queste tesi furono duramente biasimate dagli esponenti della cultura teologica neoscolastica, i quali accusarono il loro autore di fideismo.​​ 

3. Chiamato a far parte della Société Française de Philosophie nel 1905 L. ricevette l’incarico di dirigere le «Annales de Philosophie Chrétienne». Sotto la sua guida, il periodico sarebbe diventato una delle pubblicazioni di punta della cultura cattolica francese. Nella primavera del 1906 L. incorse negli strali della censura ecclesiastica: gli​​ Essais​​ e​​ Le réalisme​​ furono infatti messi all’indice. La vicenda avrebbe dovuto consigliargli una maggiore prudenza, tanto più che, dopo la promulgazione, nel 1907, dell’enciclica​​ Pascendi​​ volta a condannare le dottrine moderniste, nel mondo cattolico prese a diffondersi un pesante clima di sospetti. Ma L., incurante dei rischi, proseguì lungo la sua strada, non perdendo per altro occasione d’attaccare i teologi che guardavano con favore a un’alleanza della Chiesa con l’Action française,​​ il movimento di destra guidato da Charles Maurras. Questa sua coraggiosa linea di condotta non restò senza conseguenze. Tra la primavera e l’estate del 1913 egli fu raggiunto da alcuni gravi provvedimenti: l’8 maggio veniva posta all’indice la serie delle «Annales de Philosophie Chrétienne» uscita sotto la sua direzione; il 16 giugno analoga sorte toccava a due suoi brevi saggi; il 30 giugno gli fu consegnata un lettera del prefetto della Congregazione dell’Indice con cui gli si interdiceva di pubblicare i risultati dei suoi studi. La proibizione di pubblicare, cui L. si sottopose e dalla quale non sarebbe stato più affrancato, ne fece una specie di «murato vivo», anche se egli poté continuare a svolgere l’attività di ricercato conferenziere, oltre che di animatore di piccoli gruppi. Merita ricordare che, nonostante la condanna da cui era stato colpito, a lui non di rado ricorsero sacerdoti e persino vescovi per farsi aiutare nella redazione di testi e documenti.

4. Nel ’29, presa visione di un dibattito apertosi in tema di scuola sulle pagine della rivista di un sindacato di insegnanti, scrisse una lettera nella quale delineava il profilo di quella che avrebbe dovuto essere una scuola pubblica rispetto alle diverse opzioni culturali e religiose presenti nella società. Le precisazioni da lui fornite al riguardo si collocavano in ideale continuità con quanto aveva sostenuto nella​​ Théorie​​ de l’éducation.​​ L. prendeva le distanze sia da chi non esitava a concepire la scuola pubblica a servizio di una determinata concezione sia da chi pensava che, per restare al di sopra delle parti, essa fosse chiamata a stendere il silenzio sui problemi e sulle varie posizioni in campo. A suo modo di vedere, se si voleva che la scuola pubblica attendesse alla propria vocazione educativa, bisognava che i suoi insegnanti, evitando la neutralità non meno della partigianeria, potessero rendere ragione delle idee in cui credevano. In altri termini, egli stimava che la scuola pubblica doveva vedere nella pluralità delle posizioni da cui era caratterizzata non un male da subire o da occultare, ma un’opportunità da mettere a frutto al fine di una più efficace opera di collaborazione nella leale ricerca della verità.

Bibliografia

tra gli studi più recenti: Beillevert P. (Ed.),​​ L.​​ L’homme et l’oeuvre,​​ Paris, Beauchesne,​​ 1972; Pazzaglia L.,​​ Educazione religiosa e libertà umana in L.,​​ Bologna, Il Mulino, 1973; Perrin M. Th.,​​ La jeunesse de L. Printemps d’une mission prophétique,​​ Paris, Beauchesne, 1980;​​ La pensée de P.L.L.​​ Colloque philosophique organisé à l’occasion du 50ème​​ anniversaire de sa mort par la Faculté de Philosophie de l’Institut Catholique de Paris et l’Oratoire de France, in «Revue de l’Institut Catholique de Paris» (1983) fasc. VIII.

L. Pazzaglia




LABORATORIO

 

LABORATORIO

È stato scritto che la pedagogia ha perso progressivamente fiducia nel potere magico della parola – «basta parlare perché gli alunni comprendano e apprendano» (De Landsheere G., 1978, 14) – e ha cercato di produrre nuove situazioni educative in cui si potessero conciliare l’insegnamento individualizzato, il lavoro socializzato, la partecipazione diretta dell’alunno, assicurando da parte dell’insegnante il ruolo di guida e di consulenza.

1. Il l. rientra nel quadro di queste «nuove» situazioni educative. Il termine l. evoca un ambiente provvisto di strumenti e materiali idonei, e una situazione (anche temporale) che richiede alle persone una partecipazione diretta per sperimentare e produrre risultati. Il l. è di fatto un metodo attivo di apprendimento che chiama in causa l’alunno perché personalmente o in gruppo sperimenti e lavori sul proprio apprendimento in un ambiente idoneo avendo a disposizione un supporto preparato dall’insegnante.

2. Il l., così come è inteso oggi, ha conosciuto vari cambiamenti nel tempo. Dapprima circoscritto all’ambito delle scienze sperimentali (l. di fisica e di chimica) gradualmente si è esteso ad altri contenuti dell’insegnamento. Negli anni ’60 un posto privilegiato fu riconosciuto al l. linguistico partendo dal presupposto che una lingua non è materia astratta ma viva, e che uno dei modi migliori per acquisirla è esercitarla. La proposta venne dagli Stati Uniti e all’inizio fu accolta con una certa diffidenza in Europa. Nel 1963 fu scritto che​​ «rien ne nuit au Laboratoire de langues que de s’appeler​​ Laboratoire​​ et de venir d’Amérique»​​ (Guénot, 1963, 27). Era l’epoca in cui le​​ teaching machines​​ invadevano il mercato europeo e il l. linguistico fu annoverato in un primo tempo tra queste. Ben presto fu impiegato come l. d’istruzione per le altre materie, l’uso della «macchina» non apparve prioritario e lo si scoprì come metodologia di apprendimento che coinvolgeva in modo più significativo l’allievo. L’esperienza di «l. didattico» nel​​ microteaching​​ risultò positiva ai fini della formazione dei futuri insegnanti attraverso simulazioni di situazioni scolastiche (strutturate in modo da garantire il raggiungimento di obiettivi specifici) dove alcuni sono protagonisti e altri osservatori.

3. Oggi il metodo di l. è comunemente usato non solo nell’ambito dell’apprendimento scolastico ma anche in corsi e convegni per facilitare ai partecipanti la possibilità di «lavorare» su ipotesi e proposte concrete mettendo a loro disposizione spazio materiale e di tempo e una varietà di supporti di documentazione adeguati.

Bibliografia

De Landsheere G.,​​ La formazione degli insegnanti domani,​​ Roma, Armando, 1978; Novak J. D. - D. B. Gowin,​​ Imparando a imparare,​​ Torino, SEI, 1989; Gagné R. M. - L. J. Briggs,​​ Fondamenti di progettazione didattica,​​ Ibid., 1990; Frabboni F.,​​ Il l., Roma / Bari, Laterza, 2007.

M. G. Caputo​​ 




LAENG Mauro

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LAENG Mauro

n. a Roma nel 1926 - m. a Roseto (PE) nel 2004, pedagogista italiano.​​ 

1.​​ Cenni biografici. Figlio di Walter (Gualtiero) di origine svizzera, laureatosi in filosofia a Milano, all’Università Cattolica, insegnò per 15 anni nelle scuole secondarie e per 35 anni pedagogia nell’Università di Roma, prima nella Fac. di Magistero e poi nella Fac. di Scienze della Formazione dell’Università di Roma Tre, dove è stato anche direttore dell’Istituto di pedagogia, preside della Facoltà di Magistero, direttore del​​ Museo storico della didattica, ora dedicato al suo nome, e infine professore emerito. Si tratta di una delle figure eminenti della cultura filosofica, scientifica, psicologica, pedagogica del Novecento italiano ed europeo. Ha collaborato con molte istituzioni, dando contributi originali: dal CEDE di Frascati, di cui fu vicepresidente, all’OCSE, al Consiglio d’Europa, all’UNESCO, ad associazioni professionali italiane ed europee. Ha fondato nel 1965 e diretto fino alla fine il periodico​​ Didattica delle Scienze​​ ed ha coordinato la Commissione ministeriale che ha elaborato i​​ Programmi della scuola elementare​​ del 1985. Il suo amore per la chiarezza concettuale e la sua passione didattica sono all’origine di una serie fortunata di volumi, in particolare del suo​​ Lessico Pedagogico, tradotto in più lingue; e soprattutto della sua monumentale​​ Enciclopedia Pedagogica​​ (Brescia, La Scuola, 1990-93) in 6 voll., di oltre 6.000 pagine, dovute a 500 collaboratori di vari Paesi, arricchita nel 2003 di un 7° vol. (Appendice A-Z).​​ 

2.​​ Produzione pedagogica. a) Sul piano storico, i suoi studi hanno fornito alimento al noto manuale Reale Antiseri Laeng, in 3 voll.,​​ Filosofia e Pedagogia dalle origini a oggi​​ (Brescia, La Scuola, 1985) più volte ristampato, e ad una​​ Antologia Pedagogica, pure in 3 volumi. b) Nel settore comparativo ha collaborato come​​ Technical Officer​​ alla ricerca internazionale IEA sulla valutazione del profitto scolastico. È stato vicepresidente internazionale della​​ CESE​​ (Comparative Education Society in Europe), collaborando alla costruzione del sistema informativo​​ EUDISED.​​ Frutto delle sue frequentazioni internazionali è l’Atlante della Pedagogia, in 3 voll. e 4 tomi (Napoli, Tecnodid, 1989-1993). c) Sul piano teoretico la sua ricerca ha preso le mosse da​​ Problemi di struttura della Pedagogia​​ (1960), si è sviluppata in​​ Educazione nella civiltà tecnologica​​ (1969 e 1984), in​​ Educazione alla libertà civile morale e religiosa​​ (1980 e 1992), e nella sintesi​​ Nuovi Lineamenti di Pedagogia​​ e nella guida​​ Pedagogia​​ della collana Professione docente (La Scuola, 1999). d) Sul piano sperimentale la sua multiforme attività è confluita in​​ Pedagogia sperimentale​​ (1992 e 1998). e) Sul piano didattico, oltre ai manuali citati, si ricordano i​​ Lineamenti di didattica​​ (1978 e 1996) e i volumi​​ Insegnare scienze​​ (1998),​​ Pedagogia e Informatica​​ (1985),​​ Movimento,​​ gioco,​​ fantasia​​ (1990).

Bibliografia

a)​​ Fonti: M.L.,​​ Sentieri della memoria: note retrospettive. Esperienze e riflessioni. Aneddoti e curiosità, Roseto, 2000 (presso l’A.); Id.,​​ Il mio itinerario alla pedagogia, in «Pedagogia e Vita» (2001) 3, 48-56; b)​​ Studi: Corradini L. (Ed.),​​ Pedagogia,​​ ricerca e formazione.​​ Saggi in onore di M.L., Roma, Seam, 2000; Id., «L., M.», in M.L. (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica. Appendice A-Z, Brescia, La Scuola, 2003, 825-829; Id.,​​ Profilo della vita e dell’opera di M.L., in «Pedagogia e Vita» (2006) 3-4 , 179-210.

L. Corradini




LAMBRUSCHINI Raffaello

 

LAMBRUSCHINI Raffaello

n. a Genova nel 1788 - m. a San Cerbone (Figline Valdarno) nel 1873, educatore e pedagogista italiano.

1. Studia nel seminario di Orvieto, e dopo l’ordinazione presbiterale ricopre vari incarichi ecclesiastici prima in Umbria (subendo un periodo di esilio in Corsica) e poi presso la curia romana. Nel 1816 si ritira nella sua azienda agricola a S. Cerbone, svolgendo un’azione di sperimentazione agraria in contatto con quella del Ridolfi, e compie studi di botanica e di fisica. Fonda nel 1827, insieme a C. Ridolfi e L. de Ricci, il «Giornale Agrario Toscano», sostenendovi la necessità di una pedagogia agraria basata sul​​ ​​ mutuo insegnamento e sulla valorizzazione delle conoscenze già spontaneamente diffuse. Fonda e dirige dal 1830 l’istituto di S. Cerbone, piccolo collegio privato, facendone il laboratorio pratico della sua riflessione pedagogica e nel 1831 la scuola delle feste per gli artigiani della zona. Collabora con l’«Antologia» di Vieusseux, pubblicandovi i suoi primi scritti di carattere strettamente pedagogico, tra cui l’importante memoria​​ Sulla istruzione del popolo.​​ Intreccia un intenso scambio epistolare privato con​​ ​​ Capponi e Tommaseo, da cui emergono le sue propensioni verso una radicale riforma della Chiesa. Dirige e in larga parte scrive in prima persona la celebre «Guida dell’Educatore» (1836-1845), edita dal Vieusseux, prima rivista pedagogica italiana nel senso moderno del termine, che ha come supplemento le «Letture per i Fanciulli» (1836-1842) poi «Letture per la Gioventù» (1844-1845). I contributi del L. spaziano dalla filosofia dell’educazione alla didattica applicata. Le finalità dell’educazione sono connesse alla definizione delle qualità dell’educatore, che offre anzitutto un esempio. Seguono trattazioni sui premi e i castighi, l’educazione familiare e un trattatello​​ Delle virtù e dei vizi.​​ La «Guida» di L. ospita anche una serie di strumenti didattici che riguardano il metodo di lettura, di cui viene proposta una versione di quello sillabico, l’aritmetica, la scrittura, compreso un piccolo corso di calligrafia, e infine la grammatica, l’analisi logica e alcune elementari lezioni di lingua latina. Importanti anche i contributi sull’istruzione religiosa, con narrazioni bibliche e trattazioni sulla morale e la preghiera.

2. Pur nella forma non sistematica emerge dalla molteplicità degli scritti di L. l’affermazione della necessità che l’educazione tenga presenti tutte le dimensioni dell’uomo e la concezione della pedagogia come scienza fondamentalmente pratica e sperimentale. Sempre a L. sono dovuti il saggio​​ Sopra la necessità di scuole magistrali,​​ e il dialogo​​ Sulla libertà d’insegnamento,​​ in cui sostiene la completa libertà dell’insegnamento privato, nel contesto di una presenza pubblica all’altezza dei bisogni della generalità della popolazione. Nel 1849 ripubblica in modo organico, col titolo​​ Della educazione e della istruzione​​ (Firenze, Vieusseux, 1849), i suoi scritti apparsi sulla «Guida». Nel 1852 pubblica la prima giornata dei dialoghi​​ Della istruzione​​ (cfr. l’ediz. definitiva, Firenze, Le Monnier, 1871) che cerca di offrire una sintesi tra «buon senso» e moderne dottrine pedagogiche, tenendo insieme presenti Capponi e​​ ​​ Tommaso d’Aquino, esortando l’educatore a seguire le fasi dello sviluppo fisico e psichico dell’educando. Dopo aver chiuso il suo Istituto, svolge nel 1847-49 un significativo ruolo politico, nel gruppo di Ricasoli.

3. Nel 1859 è nominato dal Ridolfi, ministro della P. I. del governo provvisorio toscano, ispettore generale delle scuole, compiendo, in collaborazione con Buonazia, Conti e Gotti, una vera e propria rifondazione della scuola toscana, soprattutto elementare, servendosi anche della rivista pedagogica «La Famiglia e la Scuola» (1860-1861) in cui L. pubblica la seconda giornata dei dialoghi​​ Della istruzione,​​ le sue lezioni di grammatica e le sue conferenze sulle caratteristiche ideali del maestro. Nominato senatore nel 1860, rimane nell’amministrazione centrale del Ministero della P. I., come ispettore centrale per l’insegnamento elementare, svolgendo un rilevante ruolo nell’amministrazione delle scuole toscane almeno fino al 1865. Collabora al periodico «La Gioventù» (1862-1871) ed è tra i protagonisti di vivaci polemiche sull’evoluzionismo e sulla questione della lingua. È professore di pedagogia e antropologia, all’Istituto di Studi Superiori di Firenze dal 1867 e sovrintendente dello stesso Istituto. La fortuna del L. si esplica attraverso la tradizione educativa moderata toscana, l’influsso di questa su quella piemontese e, per questo tramite, sulla tradizione della scuola e della pedagogia italiana. Nel Novecento, quando L. è ormai un classico della pedagogia italiana, viene riattualizzato ad opera di Gambaro e​​ ​​ Casotti.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ L.R.,​​ Riforma religiosa nel carteggio inedito di R.L., Torino, Paravia, 1923-1926;​​ Scritti politici e di istruzione pubblica, Firenze, La Nuova Italia, 1937;​​ Scritti di varia filosofia e religione, Ibid., 1939; R.L. - G. P. Vieusseux,​​ Carteggio, Firenze, Le Monnier / Fondazione Spadolini, 1997-2000. b)​​ Studi:​​ Casotti M.,​​ R.L. e la pedagogia italiana dell’Ottocento, Brescia, La Scuola, 1964; Gentili R.,​​ L.: un liberale cattolico dell’800, Firenze, La Nuova Italia, 1974; Gaudio A.,​​ Educazione e scuola nella Toscana dell’Ottocento. Dalla Restaurazione alla caduta della Destra, Brescia, La Scuola, 2001; Cambi F. (Ed.),​​ R.L. pedagogista della libertà, Reggello, FirenzeLibri, 2006.

A. Gaudio




LAPORTA Raffaele

 

LAPORTA Raffaele

n. a Pescara nel 1916 - m. a Firenze nel 2000, pedagogista italiano.​​ 

1. Laureatosi in giurisprudenza, divenne insegnante liceale di filosofia e storia. Arrivò alla pedagogia «per il gusto di fare scuola» e di cercare di migliorarla, lavorando con gli insegnanti nell’ambito dei CEMEA e del Movimento di cooperazione educativa. Fondamentale fu per lui la direzione della Scuola Città Pestalozzi di Firenze, una «istituzione sperimentale di differenziazione didattica» istituita nel 1945 su iniziativa di​​ ​​ Codignola per la realizzazione degli ideali democratici. Egli precisò in questo modo i caratteri della scuola: «spirito di servizio, rigore culturale, forte senso autocritico, sviluppato anche collettivamente, a partire dal 1959 in poi, apertura costante all’innovazione, “laicità”, intesa come apertura a tutte le manifestazioni dello spirito, comprese quelle di ogni credo religioso».​​ 

2. Vinto il concorso di pedagogia, insegnò nelle università di Siena, Firenze, Cagliari, Bologna, Roma, Chieti. Diresse la rivista «Scuola e Città», espressione di un «laicismo» spesso illuminato e dialogico. La sua ricerca teorica si è sviluppata con coerenza e con continui approfondimenti, per mezzo secolo. Elegante, garbato, generoso, realista e idealista, positivista e romantico, ha scavato nei terreni fondamentali della pedagogia in​​ Educazione e libertà in una società in progresso​​ (1960), in​​ La comunità scolastica​​ (1963) e in​​ La difficile scommessa​​ (1971), per approdare al monumentale​​ L’assoluto pedagogico. Saggio sulla libertà in educazione​​ (1996), tutti con La Nuova Italia di Firenze: contro l’ideologia e per la libertà della scuola dalle ragioni della politica, in dialogo con tutti, intorno al nucleo che gli sembrava più promettente, quello di un’educazione sottratta a logiche altre, in particolare le ideologie. Dell’educazione infatti sospettava, perché ne temeva la prevaricazione. «L’idea di verità non ha senso nel processo di sopravvivenza dell’uomo, come nella sua educazione. Non è una Verità, ma è la libertà dell’educando la sua condizione e al tempo stesso il suo fine». Animò un vivace dibattito epistemologico, a partire dal suo saggio​​ La via filosofica alla pedagogia, in «Bollettino della società filosofica italiana», 1975, nn. 90-91. In un carteggio con chi scrive, parlò di «una difficile fede nell’uomo, sempre mortificata e sempre rinascente nel rapporto con gli uomini: con i giovani soprattutto». È ritenuto uno dei maestri della pedagogia e della cultura politica del ’900.

Bibliografia

a)​​ Fonti: R.L.,​​ La mia pedagogia nell’attuale contesto culturale, in «Pedagogia e Vita» (2000) 2, 12-25. b)​​ Studi: Corradini L.,​​ La «scommessa pedagogica» di R.L., in Id.,​​ Dialogo pedagogico e partecipazione scolastica, Milano / Roma, Massimo / UCIIM, 1980;​​ Scritti in onore di R.L., Chieti, Il Vecchio Faggio, 1990; Frabboni F. et al.,​​ Le frontiere dell’educazione. Scritti in onore di R.L., Firenze, La Nuova Italia, 1992 (contiene un profilo e una vasta bibl.).

L. Corradini




LAVORO

 

LAVORO

L’accostamento dei termini l. ed educazione richiama una duplice connessione dinamica: l’educazione​​ al​​ l. o formazione in vista dell’attività lavorativa ed educazione​​ nel​​ l. quale occasione specifica di crescita umana.

1.​​ L.,​​ educazione e contesto storico-culturale.​​ Nel corso della storia questo duplice nesso assume una consistenza molto diversificata, perché variando il concetto di l. nei diversi contesti culturali, mutano di conseguenza significati e prassi educative riguardanti l’attività lavorativa. Nel mondo occidentale è soprattutto la riflessione filosofica a offrire, nel corso dei secoli, una serie di concezioni emblematiche di l., a cui sono inevitabilmente sottesi dei particolari orientamenti dell’educazione. Nell’antichità (Grecia e Roma), prevaleva una valutazione negativa del l., considerato come attività manuale riservata agli schiavi, mentre era proprio degli uomini liberi dedicarsi alla guerra, alla politica, alla speculazione. Più oltre, nell’epoca paleocristiana, il l. fu visto come mezzo di espiazione, come sofferenza solo attenuata dal senso di partecipazione all’attività creativa di Dio. Durante il​​ ​​ Medioevo esso assurge con le corporazioni a strumento di solidarietà economica, politica e religiosa. Ma è solo con il Rinascimento che viene esaltato come veicolo di progresso civile e di autonomia personale. Col​​ ​​ protestantesimo Lutero ne fa «un servizio» e Calvino una via di ascesi, come valore etico per la consacrazione della vita nel mondo. L’Illuminismo e l’Idealismo ne mantengono l’immagine positiva quale elemento di dignità sociale. Questo ottimismo viene successivamente incrinato con l’evoluzione del​​ ​​ capitalismo verso ampie forme di sfruttamento del l. umano. Marx, riconoscendo il l. come azione vicendevole di scambio tra uomo e natura, ne denuncia anche i risvolti spesso alienanti. Le critiche si approfondiscono poi con la Scuola di Francoforte. Intanto lo scenario del rapporto fra sviluppo del l. e società si fa più complesso. L’esplosione delle rivoluzioni industriali porta alla frantumazione dei mestieri tradizionali e al diffondersi dell’automazione, dell’informatica, della robotica, della terziarizzazione delle attività economiche, facendo assumere al l. un significato talmente polimorfo da suscitare problemi biologici, psichici, filosofici, politici e conseguentemente educativi. Ormai tutte le correnti della filosofia contemporanea riservano al l. una riflessione attenta e spesso centrale: sorto come strumento dell’uomo, esso può diventare un potenziale per la sua crescita, ma insieme una realtà che lo soverchia e ne minaccia il destino (Friedmann, 1971), fino ad esserne preconizzata la fine (Rifkin, 1995). La stessa Chiesa cattolica, anche attraverso una serie di encicliche papali emanate in particolare dal 1891 ad oggi, ha inteso elaborare un’etica del l. costantemente rispettosa delle esigenze della persona in contesti in divenire.

2.​​ Pedagogia e l.​​ Il pensiero pedagogico ha considerato il l. come componente specifica dell’educazione solo a partire dalla fine del 1700. In precedenza, non era mancata una certa valorizzazione dell’operatività fondata sull’esperienza pratica e manuale. Ma di una «scuola del l.», sia pure come mezzo di riscatto delle classi povere, parlò per primo​​ ​​ Pestalozzi nel 1790, tuttavia bisognò attendere il periodo a cavallo tra il XIX e il XX sec. perché la pedagogia riconoscesse al l. una funzione precisa di maturazione della persona. Da allora, a seconda delle varie aree geografiche e culturali, vi è stato un moltiplicarsi di proposte, dibattiti ed esperienze. Nell’ambiente tedesco, fu soprattutto​​ ​​ Kerschensteiner a formulare una vera sintesi pedagogica sul l., esaltato per la sua relazione con i valori, la sua utilità civile e i potenziali di sviluppo nelle capacità di ideazione, pianificazione e controllo. Negli Stati Uniti dell’industrialismo taylorista e fordista,​​ ​​ Dewey denunciò i pericoli dell’economicismo e dell’individualismo, indicando nell’attività professionale uno spazio privilegiato di collaborazione sociale.​​ ​​ Kilpatrick, suo discepolo, propose come obbligatoria nei​​ colleges​​ qualche esperienza di l. Sulla scia del pensiero marxista la pedagogia russa (​​ marxismo pedagogico), andò sviluppando l’idea di una «formazione politecnica», a base sia teorico-scientifica che pratico-polivalente, orientata a formare il giovane come padrone della macchina e vero protagonista nella vita collettiva. Lo svizzero Ferrière considerò la scuola come un insieme di attività svariate che, passando dal gioco al l., dall’imitazione alla costruzione autonoma, sollecitasse un impegno sia manuale che intellettuale e sociale. In Italia, nel solco di una ricca tradizione di​​ ​​ formazione professionale, offerta da istituzioni religiose (Somaschi,​​ ​​ Fratelli delle Scuole cristiane,​​ ​​ Salesiani),​​ ​​ Gentile e​​ ​​ Lombardo Radice proposero un curricolo scolastico capace di fondere gioco e l.​​ ​​ Gramsci propugnò una scuola unica, fatta di cultura generale e di esperienze successive di orientamento alla professione. Intorno alla seconda metà del secolo vari studiosi aggiungono ulteriori elementi di riflessione e proposta.​​ ​​ Hessen diffonde a livello europeo l’idea di una scuola longitudinale unica orientata a superare una mentalità produttivistica, per una cultura della solidarietà e dello sviluppo globale dell’uomo che, a suo avviso, va liberato​​ nel​​ l. e non​​ dal​​ l. Litt è per un’educazione che sottragga dalle dinamiche fagocitanti dell’evoluzione economica e tecnologica, attraverso un recupero della libertà con scelte di valore sugli indirizzi dell’attività produttiva.​​ ​​ Maslow, gerarchizzando i bisogni dell’uomo al l., pone a loro vertice dinamico l’autorealizzazione, come tensione a diventare pienamente se stessi.

3.​​ Evoluzione tecnologica e professionalità.​​ Fino a un passato recente i termini mestiere e​​ ​​ professione indicavano un insieme di competenze precise, costituite da capacità e abilità specifiche, necessarie per lo svolgimento di una particolare mansione. Oggi questa connessione è pressoché disciolta. Sparita la vecchia cultura agricola e artigiana, la stessa società industriale si va trasformando rapidamente nella società delle informazioni e dei servizi, con mutamenti che investono ormai tutta l’impalcatura della professionalità tradizionale. In questo quadro si riducono fortemente le prestazioni puramente esecutive, mentre si dilatano enormemente quelle di programmazione, controllo e informatizzazione. Oggi anche il lavoratore tradizionale deve possedere doti di intellettualizzazione circa i processi del l., iniziativa, mobilità geografica e professionale, flessibilità di fronte alle esigenze di aggiornamento continuo e di acquisizione di nuove tecnologie, di collegamento con settori diversi dal proprio: dalla finanza al marketing, dal diritto alle scienze sociali e della comunicazione. L’apparire di una nuova «classe creativa» (Florida, 2003) sta accelerando inoltre lo sviluppo di un diverso professionalismo, in cui diventa prioritaria la capacità di collaborare e di acquisire linguaggi scientifico-culturali, la consapevolezza e duttilità nei ruoli organizzativi, l’abilità di​​ problem solving,​​ l’attitudine alle scelte e decisioni e il possesso di impianti valoriali di fondo ispirati alla​​ ​​ tolleranza e all’interculturalità. Nel contempo questa evoluzione aumenta i rischi di obsolescenza professionale che rende sempre più spesso necessari interventi di ricollocazione e di riorientamento.

4.​​ L’educazione e la formazione professionale.​​ Alla luce di queste trasformazioni, attuali e di prospettiva, l’educare​​ al​​ l. e​​ nel​​ l. comporta ormai nuove ottiche, sia nella riflessione pedagogica che negli interventi concreti. Infatti l’educazione è destinata non solo a valicare gli ambienti tradizionali della famiglia e della scuola, ma ad estendersi al corso dell’intera esistenza individuale, nella prospettiva del​​ lifelong learning. UNESCO, Consiglio d’Europa, OCSE e l’UE lo stanno affermando da qualche decennio. In Italia questa cultura pedagogica del l. si sta affermando. Sono tuttavia ancora ampiamente da integrare concetti e prassi inerenti l’educazione (intesa come maturazione globale della persona sotto il profilo etico, psicologico, religioso e sociale), l’istruzione (finalizzata all’accrescimento culturale) e la formazione professionale (come risposta alle esigenze di autorealizzazione nell’ambito lavorativo). Vanno meglio definiti in sé, e resi fra loro realmente integrati e flessibili, sistemi formativi come l’istruzione tecnica e professionale e la formazione professionale. Nella panoramica variegata dell’attuale «cantiere delle riforme», sembra si possano segnalare alcune aree privilegiate di educazione professionale e, in esse, alcune esigenze particolari di intervento: a)​​ L’orientamento come modalità educativa permanente.​​ L’azione orientativa corrisponde, all’interno del processo educativo, all’aiuto fornito alla persona affinché possa realizzare le sue potenzialità mediante scelte adeguate verso la professione, dalla giovinezza all’età adulta. In questo senso orientamento scolastico e professionale risultano complementari, in quanto il primo pone l’attenzione sullo sviluppo globale dell’individuo e sui problemi di apprendimento, mentre il secondo è focalizzato sulle scelte di studio o di l. che consentiranno la sua maturazione professionale. b)​​ Una scuola rinnovata,​​ aperta e per tutta la vita.​​ Una prima esigenza di una scuola orientata al l. è un suo collegamento più stretto con la prospettiva della professione. Secondo alcune proposte formulate più direttamente per la situazione italiana, il sistema scolastico dovrebbe essere possibilmente unitario dall’infanzia all’università e prevedere uscite e rientri più facili rispetto al mondo del l. Scuola e università dovrebbero confrontarsi costantemente con il mondo lavorativo e imprenditoriale, mentre la stessa cultura professionale dovrebbe trasformarsi in vera «cultura del cambiamento», nell’ottica di una qualificazione continua rispetto al «diverso e possibile» e di un apprendimento esteso a tutta la vita. c)​​ La formazione professionale: iniziale,​​ continua e plurima.​​ La formazione professionale, in quanto dimensionata sullo sviluppo economico e produttivo, è in continua evoluzione e si sta configurando verso un vero e proprio sistema, come raccomandato fortemente dalla UE. Nella situazione italiana è possibile delineare in essa una certa varietà di dimensioni tra la formazione iniziale di base (di livello secondario), una nuova formazione superiore non accademica (di livello terziario) e la formazione continua. d)​​ Linee educative trasversali.​​ Tutte le iniziative dovrebbero svolgere un’azione di educazione globale dei giovani e delle giovani, che nella scuola e nelle strutture formative, vanno preparati a ricercare nel l. un’occasione di autorealizzazione individuale e sociale. In questo senso è importante la «motivazione» al l.: sotto il profilo dei suoi aspetti sociali, retributivi e del suo significato esistenziale personale. Andrebbe insieme evidenziata la dimensione cognitiva dell’attività lavorativa, quale ambito di conoscenza per il superamento dei problemi. Inoltre sembra da favorire un reale processo di socializzazione al l. nel percorso di formazione dell’identità personale lungo i momenti diversi della carriera professionale.​​ 

5.​​ Problematiche connesse con l’educazione al l.​​ L’educazione professionale non può non includere anche riflessioni e prassi specifiche circa esperienze strettamente collegate con quella del l. La disoccupazione, ad es., che permane un fenomeno di vaste dimensioni, postula aiuti preventivi e puntuali, per contenerne i danni psicologici, stimolare tecniche efficaci di ricerca del l., destare le risorse psicologiche e sociali dell’individuo. Lo stesso tempo libero, che sembra avere significative correlazioni con l’attività lavorativa, va fatto rientrare in un’educazione professionale che sia formazione globale dell’uomo. Nelle situazioni di devianza si può trovare nel l. una via pedagogica efficace (ergoterapia) al recupero e allo sviluppo della personalità. In tempi più recenti sono emerse anche le nuove problematiche legate all’andamento demografico, all’invecchiamento della popolazione e alla crisi dei sistemi pensionistici (tipiche dell’ageing society). Le sfide poste all’educazione dalla realtà di un l. umano, estremamente polimorfo e destinato a evoluzioni imprevedibili, sono sfide pienamente aperte che restano di vitale importanza per l’intera qualità dell’esistenza, a livello tanto individuale che collettivo.

Bibliografia

Negri A.,​​ Filosofia del l. Storia antologica,​​ Milano, Marzorati, 7 voll., 1980-1981; Rifkin J.,​​ La fine del l., Milano, Baldini e Castoldi, 1995; Beck U.,​​ Il l. nell’epoca della fine del l., Torino, Einaudi, 2000; Donati P.,​​ Il l. che emerge, Torino, Bollati Boringhieri, 2001; Fraccaroli F. - G. Sarchielli,​​ È tempo di l. Per una psicologia dei tempi lavorativi, Bologna, CLUEB, 2002; ISFOL,​​ Prolungamento della vita attiva e politiche del l., Milano, Angeli, 2002; Florida R.,​​ L’ ascesa della nuova classe creativa. Stile di vita,​​ valori e professioni, Milano, Mondadori, 2003; Alessandrini G. (Ed.),​​ Pedagogia e formazione nella società della conoscenza, Milano, Angeli, 2005; Marcaletti F.,​​ L’orizzonte del l.​​ Il prolungamento dell’esperienza professionale nell’ageing society, Milano, Vita e Pensiero, 2007.

G. Tònolo




LE SENNE René

 

LE SENNE René

n. a Elbeuf-sur-Seine nel 1882 - m. a Parigi nel 1954, filosofo e psicologo francese.​​ 

1. Professore prima di filosofia e successivamente di psicologia pedagogica e filosofia morale alla Sorbona, negli ultimi anni si dedica allo studio del​​ ​​ carattere ed elabora una caratterologia che prende le mosse dalle ricerche sperimentali compiute dallo psicologo olandese G. Heymans, fondatore della scuola caratterologica di Groninga. Per L.S. il carattere è immutabile; è definito come l’insieme di disposizioni congenite, che costituisce lo scheletro mentale dell’uomo, non dipende dunque dalla storia dell’individuo ma è presente dalla nascita e assicura attraverso il tempo l’identità strutturale dell’individuo, condizionandone lo sviluppo psicologico. Esso rappresenta una sorta di armatura che, pur essendo mentale, non è che lo scheletro della vita psicologica, collocato ai confini tra l’organico e il mentale. L.S. pone una distinzione netta tra carattere e personalità: quest’ultima nella sua costituzione comprende il carattere e tutti gli elementi acquisiti nella vita dell’individuo che hanno specificato il carattere in un senso o in un altro. La personalità è cioè la totalità completa dell’Io – concettualizzato come essenzialmente libero – di cui il carattere non è che la forma fondamentale e invariabile.

2. Per L.S. la caratterologia ha un valore essenzialmente pratico, è cioè volta a migliorare le azioni umane, ponendosi come ausilio agli interventi educativi, che devono tendere a «specificare» il carattere senza introdurvi alcuna «modificazione». Secondo L.S., cioè, gli interventi educativi dovranno prestare attenzione a non distruggere o alterare nessuno degli elementi del carattere preesistenti, limitandosi invece ad aggiungervi nuove note che contribuiranno a determinarlo e a differenziarlo. L.S. identifica nell’emotività, intesa come quella disposizione della nostra vita mentale per cui si può essere più o meno fortemente scossi o impressionati da un avvenimento, nell’attività, definita come quell’atteggiamento che spinge l’uomo ad agire, a lavorare più per rispondere ad un bisogno che egli sente profondamente che non per ottenere ciò che desidera o potrebbe conseguire con la sua attività e nella risonanza o ripercussione, intesa come la misura delle nostre reazioni di fronte alla emotività e all’azione le tre proprietà fondamentali del carattere. Dalla combinazione di queste proprietà tra loro e con un gruppo di proprietà supplementari L.S. fa derivare otto tipi di carattere, minuziosamente e realisticamente descritti. Inoltre, nello sforzo di proporre una sintesi tra l’interpretazione filosofica e psicologica o scientifica dell’uomo, delinea, a conclusione della sua caratterologia, la psicodialettica, intesa come quel processo educativo che è dato dalle dialettiche o norme intenzionali con le quali l’io reagisce alla situazione che il carattere gli impone e cerca di orientarlo nella vita morale e verso un perfezionamento di tutta la personalità.

Bibliografia

a)​​ Fonti: L.S.:​​ Le mensonge et le caractère, Paris, Alcan, 1930; Id.,​​ Traité de caractérologie, Paris, PUF,​​ 1945. b)​​ Studi:​​ Centineo E.,​​ R.L.S.: idealismo personalistico e metafisica axiologica, Palermo, Palumbo, 1952; Galli N., La​​ caratterologia di G. Heymans e di R.L.S.: rassegna storica,​​ esposizione sistematica,​​ applicazioni pedagogiche,​​ Roma, PAS, 1965; Dollo C.,​​ Momenti e problemi dello spiritualismo: Varisco,​​ Carabellese,​​ Carlini,​​ L.S., Padova, CEDAM, 1967; Giordano M.,​​ L.S. tra spiritualismo e caratterologia, Cassano (BA), Ecumenica, 1975; Spinelli G. P. (Ed.),​​ La bolla di L.S., Caserta, Centro stampa biblioteca comunale, 1996; Canullo C. (Ed.),​​ Coscienza e libertà: itinerario tra Maine de Biran,​​ Lavelle,​​ L.S., Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2001.

F. Ortu - N. Dazzi




LEADERSHIP

 

LEADERSHIP

Con il termine l., alcuni autori fanno riferimento alle modalità mediante le quali si concretizza l’esercizio dell’autorità e del potere esercitata dal leader all’interno di un gruppo sociale (Reber, 1990), modalità che esercitano influssi sul comportamento altrui, determinando un cambiamento nei comportamenti, nelle opinioni, negli atteggiamenti, nei bisogni, nei valori (Minguzzi, 1973). Molte ricerche sulla l. hanno dimostrato la correlazione tra lo stile comportamentale del leader, il clima sociale e la produttività dei gruppi dove viene esercitata (Scilligo, 1973).​​ 

1. Le sorgenti della l. riguardano la competenza riconosciuta al leader dal gruppo; il potere informativo della comunicazione che intercorre tra il leader e gli altri membri del gruppo; oppure, l’azione del leader espressa sotto forma di benefici o coercizioni (Gergen - Gergen, 1990). Il leader può avere alcune caratteristiche di personalità che si riflettono nel modo con cui vive l’autorità, per esempio con uno stile autoritario, quando esercita un forte controllo e dà direzione ed efficienza al gruppo; con uno stile democratico se offre direzionalità e permette ai membri di partecipare alle decisioni; oppure con una l. permissiva se rinuncia al controllo e dà spazio all’autodeterminazione del gruppo (Lewin, Lippitt e White, 1939). Oppure può essere una persona che esercita delle funzioni comportamentali specifiche a seconda delle situazioni in cui viene a trovarsi, integrando i tratti individuali con le motivazioni ambientali (Fiedler, 1967). Tali caratteristiche esercitano la loro influenza sulle prestazioni del gruppo, sul clima relazionale e socioemotivo e sul grado di soddisfazione provato dai suoi membri.​​ 

2. Dal punto di vista psicoeducativo, si avverte sempre più l’esigenza di una l. che non sia solo efficiente e funzionale, ma che sappia integrare i bisogni reali delle persone e del gruppo dove agisce, con le risorse presenti nell’ambiente e accessibili ad ognuno.

Bibliografia

Lewin K. - R. Lippitt - R. White,​​ Patterns of aggressive behavior in experimentally created «social climates», in «Journal of Social Psychology» 10 (1939) 271-299; Fiedler F. E.,​​ A theory of l. effectiveness, New York, McGraw-Hill, 1967; Minguzzi G. F.,​​ Dinamica psicologica dei gruppi sociali, Bologna, Il Mulino, 1973; Scilligo P.,​​ Dinamica di gruppo, Torino, SEI, 1973; Reber A. S.,​​ Dizionario di psicologia, vol. II, Roma, Lucarini, 1990;​​ Gergen K. J. - M. M. Gergen,​​ Psicologia sociale, Bologna, Il Mulino, 1990; March J. G. - T. Weil,​​ L’arte della l., Bologna, Il Mulino, 2002.​​ 

G. Crea




LEE James Michel

 

LEE James Michel

n. a New York nel 1931 - m. a Birmingham (Ala) nel 2004, laico statunitense, teorico e promotore dell’educazione religiosa.

J.M.L., dopo studi di Storia e un Dottorato in​​ Education​​ conseguito nella Columbia University, ha affrontato il problema della​​ ​​ catechesi e dell’educazione religiosa sottolineando, oltre all’imprescindibile rapporto con la teologia, la sua dimensione pedagogica. La catechesi era «religiosa», ma era «educazione». L’aspetto educativo doveva dominare il suo metodo e la sua prassi. Secondo lui, l’istruzione religiosa (intendendo per istruzione ogni forma di insegnamento / apprendimento: come prodotto e come processo, cognitivo e affettivo, verbale e non verbale, conscio e inconscio, e stile di vita) si fondava sulle scienze dell’educazione e sulle scienze umane, che egli chiamava, secondo l’uso americano,​​ social sciences. Ne conseguiva un​​ social-science approach, che egli descriveva, in una ampia trilogia, intesa a creare una macro-teoria dell’educazione religiosa. Su questa concezione aveva elaborato nel 1966 un programma dottorale in educazione religiosa nella University of Notre Dame, da lui brillantemente diretto fino alla brusca soppressione dell’intero dipartimento di educazione nel 1974. Importanti sono stati anche i suoi studi sulla spiritualità e l’impegno dell’educatore religioso e la sua attività come fondatore della Religious Education Press, dedita a pubblicazioni educative di alta qualità. Nonostante le critiche a cui le sue posizioni sono state sottoposte, si riconosce a J.M.L. il merito di avere sollecitato i catecheti ad apprezzare le ricerche delle scienze umane tenendo conto dei loro risultati, e di aver dato rilevanti contributi teorici circa la natura e le mete dell’educazione religiosa e della catechesi.​​ 

Bibliografia

a)​​ Fonti: tra le opere di J.M.L., la trilogia:​​ The shape of religious instruction. A social science approach, Mishawaka, Ind., Religious Education Press, 1971;​​ The flow of religious instruction, Ibid., 1973;​​ The content of religious instruction, Birmingham, Ala., Religious Education Press, 1985). b)​​ Studi: Thompson N. (Ed.),​​ Religious education and theology, Ibid., 1988; Gareth G.,​​ A critical evaluation of the contribution of J.M.L. toward a spirituality of the religious educator,​​ Roma, Università Pontificia Salesiana, 1994 (tesi dott. pubblicata in estratto: Roma, 2000).

U. Gianetto