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KOHLBERG Lawrence

 

KOHLBERG Lawrence

n. a New York nel 1927 - m. nel 1987, psicologo statunitense d’orientamento cognitivista.

1.​​ Cenni biografici.​​ Nel 1945, al termine dei suoi studi superiori, comincia ad interessarsi a problemi d’ordine morale. Frequentando l’Università di Chicago ha modo di conoscere il pensiero di​​ ​​ Platone e​​ ​​ Dewey, e approfondisce la conoscenza di altri autori, quali​​ ​​ Socrate,​​ ​​ Kant e​​ ​​ Locke, che influenzeranno il suo lavoro. I corsi post-universitari in psicologia clinica gli consentono di entrare in contatto con il comportamentismo e con le idee di​​ ​​ Rogers,​​ ​​ Bettelheim e​​ ​​ Piaget. Proprio sullo sfondo del lavoro di quest’ultimo, nel 1955, inizia una ricerca sullo sviluppo del ragionamento morale che lo porta ad interessarsi dello sviluppo morale in campo educativo. Nel 1967, all’Università di Harvard, in collaborazione con E. Turiel, J. Rest e M. Blatt, crea un gruppo di ricerca e fonda un centro di educazione morale. Tra il 1968 e il 1976 perfeziona lo schema di​​ ​​ sviluppo morale che costituisce il suo grande contributo alla psicologia dell’educazione. Secondo alcuni critici, nella vita e nel lavoro di K., alla grande capacità di cogliere la realtà in modo originale ed elastico non corrisponde un’altrettanto rilevante abilità nel costituire verifiche razionali ed empiriche. È, forse, in questa difficoltà di sintesi, e la conseguente insoddisfazione, nell’esperienza sia vitale che lavorativa, che si può ricercare la fonte delle sue crisi depressive e del suicidio con cui pose fine alla sua vita.

2.​​ Teoria dello sviluppo morale.​​ K. interpreta lo sviluppo morale come un processo di ristrutturazione cognitiva del concetto di sé e dell’ambiente circostante che si svolge su tre livelli. Il primo livello è detto «preconvenzionale»: lo stadio 1 è caratterizzato da un «orientamento alla punizione e all’obbedienza» che si ferma nel considerare le conseguenze fisiche di un’azione; lo stadio 2 è caratterizzato da un «orientamento relativista strumentale» secondo il quale una cosa è buona se soddisfa i propri bisogni. Il secondo livello è detto «convenzionale»: lo stadio 3 è caratterizzato da un «orientamento interpersonale del bravo / a bambino / a» secondo il quale è buono quel comportamento che gli altri si aspettano e che approvano; lo stadio 4, «orientamento alla legge e all’ordine costituito», riguarda le persone che si riconoscono come appartenenti a quella società che è volta ad appianare divergenze e a perseguire il bene comune. Il terzo livello è denominato «post-convenzionale»: chi si trova allo stadio 5 («orientamento legalistico verso il contratto sociale») interpreta le norme sociali come garanzia del bene comune, ma è disposto a venire meno al contratto sociale qualora le regole si mostrino dannose o poco funzionali; lo stadio 6 (raggiunto da un’esigua minoranza di adulti) è caratterizzato da un «orientamento al principio etico universale» secondo il quale il comportamento morale è quello che scaturisce da una scelta personale coerente con i principi assunti autonomamente. K. ipotizza l’esistenza di un settimo stadio che costituisce un orientamento esistenziale basato su una prospettiva metafisico-religiosa della realtà.

Bibliografia

K.L., «Stage and sequence: the cognitive-developmental approach to socialization», in D. A. Goslin (Ed.),​​ Handbook of socialization theory and research,​​ Chicago, Rand McNally and Company, 1969, 347-480; Arto A.,​​ Crescita e maturazione morale.​​ Contributi psicologici per una impostazione evolutiva e applicativa,​​ Roma, LAS, 1984; Kuhmerker L. - U. Gielen - R. L. Hayes,​​ L’eredità di K. Intervento educativo e clinico,​​ Firenze, Giunti, 1995; Viganò R.,​​ Psicologia ed educazione in L.K. Un’etica per la società complessa,​​ Milano, Vita e Pensiero, 1998; Hersh R. H. - D. P. Paolitto -​​ J. Reime,​​ El crecimiento moral: de Piaget a K., Madrid, Narcea,​​ 2002.

A. Arto​​ 




KOLPING Adolf

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KOLPING Adolf

n. a Kerpen presso Köln l’8.12.1813 - m. a Köln il 4.12. 1865, teologo, educatore sociale tedesco.

1. Proveniente da una famiglia di umili condizioni, compiuta a tredici anni l’istruzione elementare, diventa apprendista calzolaio e lavora come garzone di bottega in laboratori artigiani del circondario: a Sindorf, Düren, Lechenich. Infine riesce ad entrare come lavorante in una calzoleria di Colonia: un posto redditizio, che però K. ricorderà come ambiente moralmente dissoluto e religiosamente indifferente, tipico del mondo in cui lavoravano i garzoni di bottega del tempo. Ma è proprio questa esperienza che porta il giovane a maturare la decisione di intraprendere la via del sacerdozio. Nel 1837 si iscrive al Gymnasium, conseguendo la maturità classica. Da aprile 1841 ad agosto 1842 è a München per lo studio della filosofia e della teologia cattolica, alla scuola di insigni maestri, tra cui Döllinger, Haneberg,​​ Windischmann​​ e J. Görres. Seguono a Bonn tre semestri prescritti per l’accesso al sacerdozio, che a Pasqua del 1844 consentono a K. di entrare come alunno nel seminario di Köln. Fu ordinato sacerdote il 13 aprile 1845 e subito assegnato come cappellano alla parrocchia di S. Lorenzo del centro industriale di Elberfeld-Wuppertal, e catechista nel Gymnasium locale.

2. Ne veniva significativamente arricchita la conoscenza delle positive qualità dei lavoratori dell’artigianato e degli operai delle fabbriche, ma anche dei gravi problemi legati all’industrializzazione: l’urbanizzazione, la crisi della famiglia, la disoccupazione, le perturbazioni sociali e politiche. Ad Elberfeld fu di particolare importanza l’incontro con il direttore didattico della scuola femminile cattolica, il sac. Johann G. Breuer (1821-1897), socialmente impegnato, fondatore di un’Associazione di giovani lavoratori artigiani. L’esperienza di assistente spirituale della nuova comunità formativa e culturale insieme a quella precedente di apprendista calzolaio e garzone e l’accresciuto contatto col mondo del lavoro spingevano il K. a realizzare un progetto più vasto a favore del mondo giovanile artigiano e operaio. Nell’autunno del 1846 fondava il primo «Gesellenverein» (Casa di assistenza e di insegnamento professionale), del quale diveniva nel 1847 preposto ecclesiastico. Nel 1848 scrive l’opuscolo programmatico​​ Der Gesellenverein. Zur Beherzigung für alle,​​ die es mit dem wahren Volkswohl ernst meinen​​ (Gesellenverein. Ad incitamento di quanti intendono prendere in seria considerazione il vero bene del popolo, II ed. 1852): il «Gesellenverein» è l’«Accademia [l’università] del popolo».

2. Diventato vicario del duomo di Köln, il 6 maggio 1849 fondò anche in questa città un Gesellenverein, destinato a diventare il centro mondiale di tutte le organizzazioni di giovani operai (le​​ Kolpingswerke)​​ a cui diede vita. Esse, infatti, si diffusero presto in varie città della Germania, dell’impero austro-ungarico, della Svizzera, degli Stati Uniti, dell’America Latina, ottenendo la solidarietà e l’appoggio delle più svariate categorie di persone. Ivi i soci trovavano protezione, sicurezza, ordine, sostegno. A Köln egli continuò a svolgere anche un’intensa attività giornalistica popolare cattolica, dirigendo per molti anni i settimanali «Rheinische Volksblätter» e «Volkskalender», di notevole diffusione.

3. Sacerdote «educatore popolare», «diacono del popolo» (Höffner), né rivoluzionario né agitatore politico, K. si batté per un coraggioso inserimento del clero nel vivo dei problemi sociali, che erano anche problemi morali e religiosi: «Se la vita del popolo deve tornare ad essere come vuole la Chiesa (kirchlich),​​ la Chiesa deve diventare di nuovo popolare (volkstümlich)».​​ In realtà, lo scopo del​​ Verein​​ è anzitutto religioso e morale e sociale-professionale con l’esclusione di una formazione politica specifica. La prassi educativa è ispirata a idee cristiane tradizionali: primato della famiglia, destinazione domestica della donna sposa e madre, ordine sociale, formazione integrale dell’uomo come​​ imago Dei,​​ la «famiglia» come spirito e struttura dell’ambiente educativo, la centralità del padre, il «cuore» come centro della metodologia educativa.​​ 

4. La fama di santità largamente diffusa già alla morte prematura di K. si accrebbe col passare del tempo. Nel 1984 ebbe inizio a Köln il processo informativo per la beatificazione. Il 13 maggio 1989 furono decretate le virtù eroiche. La beatificazione fu fissata al 27 ottobre 1991, con esplicito riferimento al centenario della pubblicazione dell’enciclica sociale «Rerum Novarum» di Leone XIII (cfr. AAS 84, 1992, 567-568; omelia di Giovanni Paolo II, ibid., 844-848).

Bibliografia

Linke K. (Ed.),​​ A.K. spricht zum Volk. Aus der Lebens-und Erziehungsweisheit eines grossen Volksmannes,​​ Limburg-Lahn, Lahn-Verlag, 1940; Schäffer S. G.,​​ A.K.: Sein Leben und sein Werk,​​ Köln, Kolping-Verlag, 1952; Wothe F. J.,​​ A.K.: Leben und Lehre eines grossen Erziehers,​​ Rechlinhausen, Paulus-Verlag, 1952; Göbels H.,​​ Ausgewählte pädagogische Schriften,​​ Paderborn, F. Schöningh, 1964; Bellerate B.,​​ A.K.​​ (1813-1865).​​ Sacerdote,​​ educatore,​​ pubblicista,​​ in «Orientamenti Pedagogici» 12 (1965) 1128-1173; Göbels H.,​​ K.A.,​​ in​​ «Neue Deutsche Biographie»​​ 12 (1980) 575-577.

P. Braido




KOMENSKÝ Jan Amos

 

KOMENSKÝ Jan Amos

n. a Nivnice nel 1592 - m. ad Amsterdam nel 1670, teologo, poligrafo, pedagogista ed educatore moravo, più noto con il nome latinizzato di Comenio.

1.​​ Vita e opere.​​ Di famiglia benestante, rimase orfano nel 1603. Affidato a una zia, frequenta le scuole dell’«Unità dei Fratelli», comunità religiosa di ascendenza hussita, cui la famiglia apparteneva e che si occuperà degli studi di K.: prima nella scuola latina di Přerov (1608-1611), poi nell’Accademia di Herborn per la teologia, con uno​​ stage​​ presso l’Università di Heidelberg (1613). A Herborn ebbe come docenti J. Alsted e J. Fischer, dai quali derivò la tendenza al millenarismo e all’enciclopedismo. Nel 1614 tornò a Přerov come insegnante e poi rettore; nel 1616 fu ordinato sacerdote e pubblicò​​ Grammaticae facilioris praecepta,​​ ispirata a​​ ​​ Ratke, ma non conservata. Sposatosi, fu inviato a Fulnek come pastore e rettore della scuola locale. La guerra dei Trent’anni (1618-1648) causò la distruzione di Fulnek e una pestilenza, in cui K. perse la moglie e due figli (1622). Dovette allora nascondersi presso il barone von Žerotín a Brandys, dove, dopo alcuni tentativi di scritti enciclopedici, completò diverse opere religioso-consolatorie, tra cui il​​ Centrum securitatis​​ (1625) e si risposò (1624). La lettura della​​ Didactica​​ di E. Bodinus, ne riaccese l’interesse educativo, mentre l’incontro con K. Kotter, di cui tradusse le «profezie», ne rafforzò la tendenza millenaristica. Nel 1628, acuitasi la persecuzione religiosa, dovette rifugiarsi a Leszno in Polonia, senza poter più rientrare in patria. Insegnò nel ginnasio della fiorente comunità dei Fratelli, diventandone rettore. Terminò la​​ Didactica​​ in ceco, che tradurrà poi, ampliandola e adattandola, in lat. Pubblicò la​​ Janua linguarum reserata​​ (1631), di grande successo, la​​ Physicae synopsis​​ e l’Informatorium der Mutterschule​​ (Manuale della scuola materna, 1633). Si aprì, al tempo stesso, alla dimensione pansofica, pur continuando a preparare testi scolastici, in quanto, eletto «Senior» (vescovo) nel 1632, fu incaricato degli interessi culturali della comunità. In Olanda conobbe i de Geer, suoi mecenati fino alla morte. Si occupò, a Elbląg (1642), di testi scolastici per la Svezia, ma non trascurò l’ascolto di profezie, né incontri irenici ed ecumenici, mentre approfondiva l’interesse pansofico (Pansophiae diatyposis​​ 1643 e inizio della​​ Consultatio catholica​​ 1645). Pubblicata la​​ Methodus linguarum novissima​​ (1648), dopo la morte della moglie, rientrò a Leszno e nel 1649 si risposò. Invitato a Sárospatak (Transilvania) nel 1650, si impegnò in una riforma delle scuole, con relativi testi. Ma nel 1654 rinunciò all’impresa per l’opposizione di docenti locali e per le sue crescenti preoccupazioni politiche. Tornò quindi a​​ Leszno, da cui dovette fuggire definitivamente (1656), perdendo ancora una volta i suoi beni, con il saccheggio della città. Si ritirò così ad Amsterdam, appoggiandosi alla famiglia de Geer. Pubblicò la​​ Schola ludus​​ (1656) e poi il suo famoso testo illustrato​​ Orbis sensualium pictus​​ (1658), preparati a Sárospatak; e, nel 1657, l’Opera didactica omnia​​ (2 voll., in folio), in cui fu pubblicata, per la prima volta, la​​ Didactica magna.​​ Affrontò anni difficili, per la salute e per le ricorrenti polemiche, ma tentò con impegno di completare la​​ De rerum humanarum​​ emendatione consultatio catholica,​​ rimasta ciononostante incompiuta. Pubblicò, nel frattempo, l’Angelus pacis​​ (1667) e l’Unum necessarium​​ (1668), oltre ad altri scritti minori. Raccolti vari materiali, imbastì i​​ Clamores Eliae​​ (editi solo nel 1977), tra il 1665 e il 1670, quando affaticato e angustiato per la sorte della sua gente e della sua chiesa, morì. In precedenza aveva messo a punto, tra l’altro, la​​ Janua rerum reserata,​​ pubblicata postumi nel 1681.

2.​​ Il pensiero pedagogico.​​ K., celebrato per i suoi manuali scolastici e, dal secolo scorso, per la​​ Didactica Magna,​​ si era sempre proclamato​​ «theologus»,​​ più che per l’interesse per la sua chiesa, per l’impegno nel decifrare, propagare e realizzare la volontà divina, norma suprema di ogni agire. Essa si manifesta, a suo avviso, mediante i «tre libri divini»: la​​ Bibbia,​​ la​​ natura​​ e la​​ mente umana,​​ con un indiscutibile primato della prima, testo della rivelazione, che rimane però aperta e non conclusa, lasciando spazio alle profezie, cui aderisce con certa ingenuità. In questa linea teocentrica, si muove durante tutta la sua vita, polemizzando con i contemporanei, pur senza disconoscere il relativo valore delle scienze.​​ Due principi​​ ne guidano il pensiero: il​​ triadismo​​ e l’armonia universale,​​ entrambi fondati nella Scrittura e avvalorati dalle sue riflessioni, che lo fanno passare da un iniziale enciclopedismo alla concezione pansofica. In questa, anche con un ricorso quasi ossessivo al prefisso gr.​​ «pan», egli​​ evidenzia l’esigenza di globalità e universalità («Uni-versum»​​ = tensione all’Uno, che è Dio) onniinclusiva, organica e coordinata, pur nelle sue svariate articolazioni.​​ Dio,​​ uno e trino, creatore e matrice di tutto l’esistente, ne è parimenti il padre e il fine e, nella persona di Cristo, il redentore, a causa del peccato originale umano. L’uomo,​​ figlio e immagine di Dio, è, a sua volta,​​ «microcosmo»​​ e mediatore tra Lui e le creature, che a Lui deve ricondurre, secondo un’ispirazione, in K., mistico-neoplatonica. A tal fine è dotato di​​ «semi innati»,​​ che, sviluppati, lo abilitano al suo compito, benché parta come una​​ «tabula rasa».​​ In tal senso K. mette a punto tutta una serie di triadi, che specificano le possibilità umane e i sentieri da percorrere, come è detto specie nel​​ Triertium catholicum.​​ Tra le altre (a volte, con i termini invertiti): gli​​ organi​​ per la lettura dei libri divini: «sensus,​​ ratio,​​ fides»,​​ usando: «mens,​​ manus,​​ lingua»,​​ da cui il «sapere,​​ agere,​​ loqui»​​ (SAL: una delle triadi fondamentali). Questa, mediante «analysis,​​ synthesis,​​ syncrisis»​​ permette l’esplicazione di «theoria,​​ praxis,​​ chresis».​​ Le due ultime triadi, oltreché tipiche di K., hanno un ruolo particolare sul piano educativo. Infatti non solo rivelano meglio l’armonia universale, ma consentono di raggiungere obiettivi altrimenti impossibili, come la conoscenza di Dio, necessariamente analogica e quindi per confronto (sincrisi), e un uso del sapere e agire, che porti a un’autentica fruizione gratificante e rasserenante (cresi). Pertanto l’operare umano, nella sua compiutezza è, al tempo stesso,​​ teorico-pratico​​ e​​ fruitivo,​​ come chiarisce appunto la​​ pansofia,​​ «sapienza universale», operativamente connotata e unificante ogni sapere umano, superando la frammentarietà dell’enciclopedismo. Su questa base, K. afferma e giustifica la centralità della dimensione educativa, cui dedica appunto la quarta delle sette parti della​​ Consultatio:​​ opera complessiva per una riforma universale, purtroppo non pubblicata integralmente che nel 1966. La prima e la settima parte («Panegersia»​​ e​​ «Pannuthesia»)​​ sono, rispettivamente, introduttiva e conclusiva; la seconda e la terza («Panaugia»​​ e​​ Pansophia»​​ o «Pantaxia»)​​ sono più teoriche; la quarta e la quinta («Pampaedia»​​ e «Panglottia»)​​ esprimono il momento pratico-applicativo, sotto il profilo individuale; mentre la sesta («Panorthosia»)​​ delinea, dal punto di vista sociale e ai vari livelli, il cammino per un esito fruitivo, in un orizzonte stimolante e originale, ma indubbiamente utopico.​​ Due componenti​​ caratterizzano il pensiero pedagogico di K.: quella​​ metodologica,​​ imposta dall’affermarsi delle scienze; e quella​​ contenutistica,​​ frutto delle sue informazioni e di una elaborazione teorica e pratica.​​ Quanto al metodo,​​ sottolinea anzitutto il trinomio​​ necessità,​​ possibilità e facilità​​ dell’educazione, riconducibili, rispettivamente, al raggiungimento del fine dell’uomo, alla sua dotazione naturale («libri», «organi», «strumenti») e alla «spontaneità» del processo. Di qui, in sintonia con Ratke, la​​ naturalità​​ dell’educazione stessa, giustificata prima sul modello dei processi naturali (cfr.​​ Didactica magna)​​ e poi sulla stessa natura umana: evoluzione con significativi risvolti didattici, non riducibili alla​​ gradualità,​​ ciclicità e continuità,​​ caratterizzanti la sua didattica scolastica. Infatti, nel corso degli anni, si allargano gli spazi per una partecipazione dell’allievo, affiancando alla «didactica» (ars docendi),​​ la «mathetica» (ars discendi),​​ dando così più spessore a sue precedenti affermazioni, come: «agendo discitur», «fabricando fabricamur» e simili.​​ Quanto ai contenuti,​​ K., partito dall’esigenza di insegnare​​ tutto,​​ sia pure relativamente (in funzione cioè della «sapienza» e della felicità),​​ a tutti,​​ «nemine usquam neglecto, quia omnes sunt homines», integra poi questo binomio con un terzo membro,​​ globalmente,​​ integralmente, creando la triade pedagogicamente, forse, più importante: «omnes,​​ omnia,​​ omnino».​​ Definito l’orizzonte, K. traccia il cammino, che consente di raggiungere detti obiettivi: la «panscholia»,​​ «pambiblia»​​ e «pandidascalia»​​ (cfr.: «Pampaedia»).​​ Si ipotizzano dunque scuole, testi e insegnanti per tutti e per ogni situazione. Dei docenti K. si era occupato specialmente durante il suo soggiorno a Sárospatak, pur ribadendo poi l’esigenza della loro preparazione e delle altre doti, che li devono qualificare; dei manuali richiama la facilità e, possibilmente, unicità con quelle altre attenzioni che ne rendono proficuo l’uso. Più ampia la trattazione sulle scuole, che, contrariamente ad altri suoi progetti anteriori, diventano coestese all’intera vita umana, con cui (in una visione del tutto innovativa) si identificano, perdendo il loro carattere di istituzione e di rapporto bipolare. Si parte così dalla «scuola prenatale», con spazi, sussidi e fini propri (come tutte le altre), per passare poi alla «scuola dell’infanzia», «della fanciullezza», «dell’adolescenza» e «della giovinezza» o accademia (già presenti queste nella​​ Didactica magna)​​ e, quindi, alla «scuola della virilità», «della vecchiaia» e «della morte». A ognuna è dedicato, con indicazioni tradizionali e no, un capitolo, non sempre completato: quello sulla morte (scuola aggiunta «in extremis») è appena abbozzato. Non sfugge certo il carattere radicalmente riformistico, se non rivoluzionario, di questa visione pedagogica di K.: funzionale sul piano individuale e sociale e integrata, ulteriormente, dalla ricerca e proposta di una lingua unica, per agevolare la comunicazione e collaborazione tra gli uomini (cfr. «Panglottia»).​​ Introduce inoltre correzioni (egli parla di «emendatio») da apportare anche all’interno della famiglia, degli stati e delle chiese, sotto il controllo di organismi internazionali («Collegium lucis», «Consilium oecumenicum» e «Concistorium pacis»), per costruire una vita umana diversa e più soddisfacente. In questa prospettiva assume un rilievo crescente la dimensione politica, ma conserva e, forse, accresce il suo significato la dimensione religiosa, senza la quale nulla è fattibile per K. Di qui la possibilità, quanto meno, di un suo ripensamento globale e tardivo, per cui l’educazione perde il proprio ruolo centrale a vantaggio di un fattore religioso-politico, come sembrerebbe avvenire con i​​ Clamores Eliae,​​ benché restino di difficile lettura per la loro frammentarietà e incompiutezza.

3.​​ Valutazione.​​ Con un’evoluzione continua nei suoi atteggiamenti e nel suo pensiero, K. è stato ed è oggetto di interpretazioni diverse e contrastanti. Prima, si è passati da letture in chiave puramente didattica, a letture più comprensive con accentuazione di interessi, a volte, filosofici; a volte, storico-letterari; a volte, filologici, socio-politici, pedagogici e, poi, teologico-religiosi: tutti indubbiamente presenti in lui e sovrapponentisi, con momenti di maggior attenzione all’uno o all’altro. Dall’inizio alla fine tuttavia K. ha​​ due preoccupazioni principali, in sintonia con la sua missione di «teologo»: quella per il suo popolo e la sua chiesa e quella per la salvezza del genere umano, che percepisce sempre più insensibile ai richiami di Dio e dei «profeti». Di qui il suo ultimo tentativo con i​​ Clamores Eliae,​​ dove accanto a più estese e crude critiche, prospetta anche nuove possibilità di conversione. L’opera di K. e la sua personalità non hanno esercitato tutto l’influsso che avrebbero potuto avere in altre circostanze e se fossero stati conclusi e pubblicati, a suo tempo, tutti i suoi scritti. Ha goduto però di grande fama e fu richiesto da più parti, così da essere riconosciuto «magister nationum». Oggi, studiato specie in patria e in Germania, se ne apprezzano soprattutto altri aspetti, con un’accentuazione del suo impegno per la pace e per la riconciliazione tra le chiese, e si riconosce in lui il fascino di un’umanità cosciente, responsabile e aperta, nonostante i disagi e le peripezie sofferti. Malgrado lo svantaggio di partenza, con la perdita dei genitori, ha saputo riprendersi, lavorare con impegno, lottare e progettare con entusiasmo e con slancio utopico, un rinnovamento della società umana, puntando su tutto il disponibile, in virtù di una rivisitazione globale della condizione umana, chiamata a cooperare con Dio per la salvezza del mondo. L’esempio della sua vita, animata da un’incrollabile speranza e da una salda fede, ha fatto di K. un testimone e un promotore di fratellanza, di pacificazione e di coinvolgimento responsabile in una ricerca continua, critica e, nonostante qualche rigidità, feconda.​​ 

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ Comenii J.A.,​​ Opera omnia,​​ Pragae, Academia scientiarum bohemoslovaca, 1969ss., in 25 voll, più gli indici. In it. si segnalano:​​ Opere di​​ C., a cura di M. Fattori, Torino, UTET, 1974;​​ Grande didattica,​​ a cura di A. Biggio, Firenze, La Nuova Italia, 1993;​​ La riforma universale del mondo, a cura di G. Formizzi, Verona, Il Segno dei Gabrielli, 2003. b)​​ Studi:​​ Bellerate B.,​​ La sincrisi nella metodologia di G.A.C,​​ in «Salesianum» 24 (1962) 86-110;​​ Schaller K.,​​ Die Pädagogik des J.A.C. und die Anfänge des pädagogischen Realismus im 17. Jahrhundert,​​ Heidelberg, Quelle & Meyer,​​ 21967;​​ Bellerate B. (Ed.),​​ C. sconosciuto,​​ Cosenza, Pellegrini, 1984;​​ Schaller K. (Ed.),​​ Zwanzig Jahre C. Forschung in Bochum, Sankt Augustin, Academia Verlag, 1990; Id. (Ed.),​​ C. 1992 - Gesammelte Beiträge zum Jubiläumsjahr,​​ Ibid., 1992; Bellerate B.,​​ C. e l’educazione,​​ in «Pedagogia e Vita» 52 (1994) 1, 31- 42; Ferranti C. (Ed.),​​ J.A.C. 1592-1670, Macerata, Quodlibet, 1998;​​ Cauly O.,​​ C.: l’utopie du paradis, Paris, PUF,​​ 2000; Bellerate B. A.,​​ Società ed educazione in Europa​​ (Secoli XVI-XVII), Milano, Unicopli, 2004; Valeriani A.,​​ Pellegrini nel labirinto del mondo e del vivere, Ibid., 2006.

B. A. Bellerate




KORCZAK Janusz (GOLDSZMIT Henryk)

 

KORCZAK Janusz​​ (GOLDSZMIT Henryk)

n. a Varsavia nel 1878 o 1879 - m. a Treblinka nel 1942, medico, scrittore, educatore ebreo.​​ 

1. Orientato all’assimilazione con i polacchi, iniziò da giovane l’attività letteraria con lo pseudonimo di K. Laureatosi in medicina, esercita prima nella guerra russo-giapponese, poi con i bambini, con un crescendo per l’interesse educativo, culminato con la direzione di un orfanatrofio per ebrei e, in seguito, di un altro per cattolici. Pubblica molto (articoli, libri per ragazzi e saggi), parla alla radio e fa anche un viaggio in Palestina già nel 1934. Nel 1936 si ritira dal secondo orfanotrofio e, durante la guerra mondiale, affronta enormi sacrifici e difficoltà per mantenere quello ebraico. Nell’agosto del 1942, rifiutata la possibilità di salvarsi, è eliminato con tutti i suoi ragazzi nel campo di sterminio di Treblinka. Tra le opere:​​ Jak kochac dzieci​​ (1920, trad. it.:​​ Come amare un bambino,​​ ediz. prima ridotta, con altri scritti, 1979; poi completa: Milano, Luni, 1996);​​ Krol Macius Pierwszy​​ (1923, trad. it.:​​ Re Matteuccio 1°, Milano, Emme, 1979);​​ Prawo dziecka do szacunku​​ (1929, trad. it.:​​ Il diritto del bambino al rispetto,​​ parziale, in:​​ Come amare...; completa: Milano, Luni, 1994)​​ e​​ Pamiętnik​​ (trad. it.:​​ Diario dal ghetto, Roma, Cacucci, 1986; Milano, Luni, 1997).

2. Nel pensiero di K. si intersecano​​ due filoni:​​ biografico e educativo. Il primo l’ha visto passare da una posizione agnostica a un recupero della fede mosaica e combattere con l’incubo della pazzia paterna, da cui la rinuncia al matrimonio e la dedizione al secondo interesse. Questo si articola attorno a​​ tre poli:​​ il bambino, l’educatore e le istituzioni. Più originali e significativi gli apporti al primo, per cui rivendica i diritti del bambino, mentre ne denuncia la mancanza di conoscenza, se non in base a pregiudizi. Rispetto all’educatore e alle istituzioni esprime valutazioni molto critiche, soprattutto per le loro posizioni di potere e oppressive, che egli supera impostando l’autogoverno, con pieno coinvolgimento dei ragazzi e un tipo di didattica attiva e dinamica. Tuttavia «nessuna opinione dovrebbe diventare una convinzione assoluta o una convinzione valida per sempre».

3. K., «non adatto per una gabbia» definitoria, ha conquistato l’ammirazione di tutti quelli che l’hanno incontrato, soprattutto perché «un uomo buono» (Arnon) e radicalmente impegnato.

Bibliografia

per gli scritti in polacco: K.J.,​​ Bibliografia publikacij J. Korczaka i o J. Korczaku w Polsce​​ 1943-1987,​​ a cura di A.​​ Lewin, Heinsberg, Agentur Dieck, 1988. Inoltre: Ignera B.,​​ Der religiöse Humanismus J.Ks,​​ Giessen, tesi ciclost., 1980; Dauzenroth E.,​​ Ein Leben für Kinder,​​ Gütersloh, G. Mohn, 1981; Licharz W. (Ed.),​​ J.K. in seiner und in unserer Zeit, Frankfurt a.M., Haag - Herchen Verlag, 1981; Rella Cornacchia A. T.,​​ J.​​ K. - Una vita per l’infanzia,​​ Milano, Emme, 1983; Bellerate B. - M. L. De Natale - J. Kuberski,​​ L’impegno educativo di J.K.: scrittore,​​ medico,​​ educatore polacco (1878-1942),​​ Bari, Cacucci, 1986.

B. A. Bellerate