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KANT Immanuel

 

KANT Immanuel

n. a Königsberg nel 1724 - m. ivi nel 1804, filosofo e professore di pedagogia tedesco.

1. Dopo una fase influenzata dalla filosofia del razionalismo leibniziano-wolffiano (periodo pre-critico), a partire dal 1770 K. sviluppò la sua originale filosofia (periodo critico), nell’intento di rispondere a tre principali domande: a) che cosa possiamo sapere; b) che cosa dobbiamo volere; c) che cosa possiamo sperare. Ad esse rispondono le tre Critiche (della​​ Ragion pura,​​ della​​ Ragion pratica,​​ del​​ Giudizio),​​ stabilendo che la nostra conoscenza è limitata al mondo dei fenomeni, ma che il nostro dovere ci fa soggetti di un regno dei fini che va oltre di essi. I postulati della ragion pratica (Libertà,​​ immortalità,​​ Dio)​​ ci permettono di asserire valori oltre la sfera empirica giudizi sul bello e sui fini ci fanno intravedere quali possano essere questi valori.​​ 

2. Dalla sua filosofia K. ricava un’impronta fortemente morale alla concezione educativa, che non è permissiva bensì centrata sul senso del dovere come obbedienza alla legge autonoma della ragione. Questa non consiste nel piegarsi a un legislatore esterno (fosse pure presentato come divinità), ma nello svolgere la legge intrinseca della ragione, che pone l’esigenza di «universalizzare» la condotta, vale a dire di assumere come regola dell’agire quella che si vorrebbe come legislazione universale. Il principio «fai agli altri quello che vorresti fosse fatto a te» è una interpretazione fedele della legge.

3. A differenza di​​ ​​ Rousseau, di cui pure ammira l’acutezza, K. ritiene che il fanciullo non sia «naturalmente buono», e condivide piuttosto le tesi luterane sulla persistenza di tracce di un «male radicale»; perciò il fanciullo non può essere lasciato allo spontaneo sviluppo delle sue tendenze. Al contrario, queste devono essere disciplinate. L’educazione è necessaria affinché l’uomo passi dalla natura alla cultura, dall’animalità all’umanità. Oltre ad assimilare «regole dell’abilità» e «consigli della prudenza» necessari alla vita adulta, ma basati su imperativi «ipotetici» o strumentali, l’educando deve essere avviato ad obbedire alla voce della​​ ​​ coscienza che detta il dovere morale, che invece è incondizionato, in quanto è imperativo categorico. Nelle sue lezioni di​​ Pedagogia, trascritte da un discepolo, egli insiste soprattutto sulle virtù della sincerità e della lealtà, ed è ostile agli accomodamenti e ai compromessi con la coscienza, che deve essere libera e intemerata.

4. Tuttavia, K. è uno studioso della psicologia del suo tempo e si occupa degli aspetti dello sviluppo e dei temperamenti nella sua​​ Antropologia prammatica​​ e in alcuni paragrafi della​​ Metafisica dei costumi;​​ perciò si rende conto che un rigorismo assoluto potrebbe avere effetti controproducenti, e in via transitoria ammette che il rispetto rettamente inteso verso l’autorità dei genitori e degli educatori, e in ultima istanza di Dio, possa avviare alla moralità. In questo senso nell’opera​​ La religione nei limiti della pura ragione​​ egli dà un’interpretazione razionale del cristianesimo e del luteranesimo, mostrando la congruenza di questo con i dettami della ragione. In queste opere egli tiene conto dei dati empirici e storici che possono in certi casi contrastare, ma in altri favorire l’educazione al dovere. Personalmente, egli era stato allevato nell’osservanza luterana di indirizzo pietistico nel Collegio Fridericianum, e per qualche tempo aveva avuto esperienze di insegnamento come precettore, prima di essere per lunghi anni docente universitario, non solo di logica e metafisica, ma anche di matematica e geografia fisica.

Bibliografia

Campo M. - V. Mathieu (Edd.),​​ Questioni di storiografìa filosofica, vol. 3, Brescia, La Scuola, 1974, 9-132; Rigobello A., «K. pedagogista», in​​ Nuove questioni di storia della pedagogia,​​ Ibid., 1977, 207-239;​​ Kauder P.,​​ I.K. über Pädagogik: Studien, Baltmannsweiler, Hohengehren, Schneider-Verlag, 1999;​​ Bianchi M. L.,​​ Commento alla Critica della facoltà di giudizio di K., Firenze, Le Monnier, 2005.

M. Laeng




KERSCHENSTEINER Georg

 

KERSCHENSTEINER Georg

n. a Monaco di Baviera nel 1854 - m. a Waldeck nel 1932, pedagogista tedesco.

1. Il K. è soprattutto noto come il pedagogista della «scuola di lavoro» (Arbeitschule).​​ In realtà egli non è stato il solo a sostenerla, e per quanto centrale nel suo pensiero questo concetto non esaurisce la sua concezione educativa. Egli ama rifarsi al pensiero di Goethe che aveva esaltato nel​​ Wilhelm Meister​​ e nella conclusione del​​ Faust​​ il «lavoro costruttore» come principio di civiltà umana; e trova molte consonanze nell’opera educativa e negli scritti di​​ ​​ Pestalozzi, che sul lavoro fondava la redenzione dei derelitti e delle classi subalterne. Le sue opere​​ II concetto della educazione civica​​ (1909) e​​ II concetto della scuola di lavoro​​ (1912) quasi contemporanee all’assunzione del compito di Ispettore nelle scuole di Monaco, illustrano il nocciolo delle sue idee. La scuola deve preparare il cittadino «utile allo Stato», che è per questo utile anche a se stesso. Ciò si esplica attraverso l’educazione al lavoro educativo, che non ha compiti immediati di natura economica, ma è nondimeno lavoro «produttivo». È insita al lavoro, che si cimenta con una materia per trasformarla secondo un progetto, una capacità creativa che però fa i conti con la «disciplina dell’obiettività».

2. K. trova, come già​​ ​​ Rousseau e​​ ​​ Dewey, rispondenti a questi scopi la falegnameria e il lavoro della cucina, e ne fa larga applicazione nelle scuole di Monaco. Imparare a segare un’assicella senza sprecare legno, per fabbricare uno sgabello, uno scaffale, un carrettino, vuol dire applicare le proprie forze in maniera razionale. La cucina è al centro della casa, ed è insieme un laboratorio di scienze e di chimica applicate. In grande, questo si attua attraverso tutte le manifestazioni della​​ tecnologia​​ nel​​ Deutsches Museum,​​ il primo museo del mondo nel suo genere, di cui K. diventa direttore dopo M. von Linde. Ma K. è anche un teorico, come dimostra nel suo lavoro sull’Assioma fondamentale del processo formativo​​ (1917), che è il principio di «congruenza» tra le forze formative esterne e le disposizioni del soggetto. Egli si rifà per questo a Rickert e quindi al pensiero del​​ ​​ neokantismo. Si occupa inoltre diffusamente del disegno infantile, un tema allora dibattuto in Germania.

Bibliografia

K. G.,​​ Theorie der Bildung, Leipzig, Berlin, Teubner, 1926;​​ Gaspari G.,​​ Educazione e lavoro in K.,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1940; Laeng M.,​​ K.,​​ Brescia, La Scuola, 1967; Simmerle J. G.,​​ Il pensiero filosofico e pedagogico in G.M.K.: per una scuola moderna e attiva, tre tomi in un vol., Trento, Arti grafiche Artigianelli, 1976;​​ Gonon P.,​​ G.K.: Begriff der Arbeitsschule, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 2002.

M. Laeng




KILPATRICK William Heard

 

KILPATRICK William Heard

n. a White Plains nel 1871 - m. a New York nel 1965, filosofo, pedagogista e educatore statunitense.

1. Fin dalle prime esperienze come insegnante nelle scuole pubbliche e presso il Mercer College (Georgia), K. è attento alle istanze di rinnovamento dell’insegnamento. Dal 1909 fino al 1938 è professore all’università di Columbia. Le sue esperienze didattiche più significative hanno luogo dopo la prima guerra mondiale, in un momento in cui le idee fröbeliane e montessoriane trovano molti consensi negli USA. Ma l’ispirazione più forte riscontrabile nel suo scritto più noto,​​ Il​​ metodo dei progetti​​ (1918), va ricercata in​​ ​​ Dewey. Altri saggi tradotti in it.:​​ Educazione per una civiltà in cammino​​ (1926),​​ La funzione sociale,​​ culturale e docente della scuola​​ (1943),​​ Filosofìa dell’educazione​​ (1951).

2. Nella concezione del K. si coglie lo sforzo per elaborare i motivi caratteristici dello strumentalismo deweyano. I principi e gli orientamenti generali sui quali poggia il suo «metodo dei progetti» sono: a) il principio dell’esperienza; b) l’affermazione della scuola come luogo di vita, perciò suscitatrice di attività «tendenti ad uno scopo»; c) la necessità di «simpatizzare con l’infanzia»; d) il processo d’apprendimento ha il punto di partenza in una situazione problematica che suscita l’intenzione di superarla. In prospettiva didattica, K. distingue quattro tipi di «progetti»: a)​​ del produttore​​ (fare qualcosa, ma in senso ampio, non soltanto di fare con le mani); b)​​ del consumatore;​​ c)​​ dei problemi;​​ d)​​ di apprendimento specifico.​​ Il «metodo dei progetti» ha arricchito la pedagogia moderna, con il suo impegno teso a suscitare l’interesse per le materie, nello sforzo di rispondere alle esigenze di ogni allievo come soggetto attivo, nell’attenzione alla prospettiva sociale del lavoro realizzato nella scuola.

Bibliografia

Corallo G.,​​ La didattica moderna negli U.S.A.,​​ Brescia, La Scuola, 1951; Andreolo R.,​​ W.H.K. e l’educazione progressiva,​​ Roma, Armando, 1967; Agnello L., «K.W.H.», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica, vol. IV, Brescia, La Scuola, 1990, 6383-6386.

J. M. Prellezo




KLEIN Melanie

 

KLEIN Melanie

n. a Vienna nel 1882 - m. a Londra nel 1960, psicoanalista austriaca.

1. Allieva di K. Abraham (1877-1925) è senz’altro, dopo​​ ​​ Freud, colei che ha fatto compiere un notevole passo in avanti alla riflessione psicoanalitica, gettando specialmente una nuova luce sul complesso mondo dell’infanzia. Inizialmente, le sue scoperte sui dinamismi operanti nei primi mesi di vita, specie quelli relativi alla pulsione di morte e alla fantasia, suscitarono un’aspra polemica nell’ambito del mondo psicoanalitico. Attualmente i suoi contributi sono invece considerati come estremamente preziosi per la comprensione non solo della psiche infantile, ma anche delle patologie degli adulti.

2. Secondo la K. nel primo anno di vita si succedono due​​ posizioni:​​ la​​ posizione schizo-paranoide​​ e la​​ posizione maniaco-depressiva.​​ Essa usa il termine​​ posizione​​ per sottolineare il tipo di rapporto che si instaura con l’oggetto e che poi, sia pure con diverse tonalità, si riscontrerà lungo tutto l’arco della vita. Inoltre la K. denomina tali posizioni in termini psichiatrici, dal momento che le vicende psichiche iniziali del bambino sono, a suo avviso, assimilabili agli stati psicotici (schizo-paranoidi o maniaco-depressivi) dell’adulto.

3. La​​ posizione schizo-paranoide​​ (dalla nascita al terzo-quarto mese) è caratterizzata dalla presenza di un’angoscia persecutoria e da una modalità schizoide della relazione con l’oggetto. I​​ ​​ meccanismi di difesa predominanti sono: la scissione, l’introiezione, la proiezione, l’identificazione proiettiva e la negazione. La​​ posizione maniaco-depressiva​​ (inizio verso i cinque-sei mesi) è caratterizzata dall’angoscia depressiva, per cui il bambino passa dalla preoccupazione di non essere danneggiato dall’oggetto alla preoccupazione di non danneggiarlo. I principali meccanismi di difesa sono: il lavoro del lutto, la riparazione e la maniacalità. I contributi della K. hanno aperto la strada alla cura della schizofrenia e della psicosi maniaco-depressiva.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ opere della K. trad. in it.:​​ Nuove vie della psicoanalisi​​ (in coll.), Milano, Il Saggiatore, 1966;​​ Amore,​​ odio e riparazione​​ (in coll.), Roma, Astrolabio, 1969;​​ Psicoanalisi dei bambini,​​ Firenze, Martinelli, 1969;​​ Invidia e gratitudine,​​ Ibid., 1969;​​ Analisi di un bambino,​​ Torino, Bollati Boringhieri, 1971;​​ II nostro mondo adulto e altri saggi,​​ Firenze, Martinelli, 1972;​​ Scritti 1921-1958,​​ Torino, Bollati Boringhieri, 1978. b)​​ Studi:​​ Segal H.,​​ Introduzione all’opera di M.K.,​​ Firenze, Martinelli, 1968; Geets C.,​​ M.K.,​​ Roma, Astrolabio, 1972; Castellazzi V. L.,​​ Psicoanalisi e infanzia. La relazione oggettuale in M.K.,​​ Roma, LAS, 1974; Segal H.,​​ M.K.,​​ Torino, Bollati Boringhieri, 1981; Grosskurth Ph.,​​ M.K. Il suo mondo e il suo lavoro,​​ Ibid., 1987; Hinshelwood R. D.,​​ Dizionario di psicoanalisi kleiniana, Milano, Cortina, 1990; Kristeva J.,​​ M. K. La madre,​​ la follia, Roma, Donzelli, 2006.

V. L. Castellazzi




KOHLBERG Lawrence

 

KOHLBERG Lawrence

n. a New York nel 1927 - m. nel 1987, psicologo statunitense d’orientamento cognitivista.

1.​​ Cenni biografici.​​ Nel 1945, al termine dei suoi studi superiori, comincia ad interessarsi a problemi d’ordine morale. Frequentando l’Università di Chicago ha modo di conoscere il pensiero di​​ ​​ Platone e​​ ​​ Dewey, e approfondisce la conoscenza di altri autori, quali​​ ​​ Socrate,​​ ​​ Kant e​​ ​​ Locke, che influenzeranno il suo lavoro. I corsi post-universitari in psicologia clinica gli consentono di entrare in contatto con il comportamentismo e con le idee di​​ ​​ Rogers,​​ ​​ Bettelheim e​​ ​​ Piaget. Proprio sullo sfondo del lavoro di quest’ultimo, nel 1955, inizia una ricerca sullo sviluppo del ragionamento morale che lo porta ad interessarsi dello sviluppo morale in campo educativo. Nel 1967, all’Università di Harvard, in collaborazione con E. Turiel, J. Rest e M. Blatt, crea un gruppo di ricerca e fonda un centro di educazione morale. Tra il 1968 e il 1976 perfeziona lo schema di​​ ​​ sviluppo morale che costituisce il suo grande contributo alla psicologia dell’educazione. Secondo alcuni critici, nella vita e nel lavoro di K., alla grande capacità di cogliere la realtà in modo originale ed elastico non corrisponde un’altrettanto rilevante abilità nel costituire verifiche razionali ed empiriche. È, forse, in questa difficoltà di sintesi, e la conseguente insoddisfazione, nell’esperienza sia vitale che lavorativa, che si può ricercare la fonte delle sue crisi depressive e del suicidio con cui pose fine alla sua vita.

2.​​ Teoria dello sviluppo morale.​​ K. interpreta lo sviluppo morale come un processo di ristrutturazione cognitiva del concetto di sé e dell’ambiente circostante che si svolge su tre livelli. Il primo livello è detto «preconvenzionale»: lo stadio 1 è caratterizzato da un «orientamento alla punizione e all’obbedienza» che si ferma nel considerare le conseguenze fisiche di un’azione; lo stadio 2 è caratterizzato da un «orientamento relativista strumentale» secondo il quale una cosa è buona se soddisfa i propri bisogni. Il secondo livello è detto «convenzionale»: lo stadio 3 è caratterizzato da un «orientamento interpersonale del bravo / a bambino / a» secondo il quale è buono quel comportamento che gli altri si aspettano e che approvano; lo stadio 4, «orientamento alla legge e all’ordine costituito», riguarda le persone che si riconoscono come appartenenti a quella società che è volta ad appianare divergenze e a perseguire il bene comune. Il terzo livello è denominato «post-convenzionale»: chi si trova allo stadio 5 («orientamento legalistico verso il contratto sociale») interpreta le norme sociali come garanzia del bene comune, ma è disposto a venire meno al contratto sociale qualora le regole si mostrino dannose o poco funzionali; lo stadio 6 (raggiunto da un’esigua minoranza di adulti) è caratterizzato da un «orientamento al principio etico universale» secondo il quale il comportamento morale è quello che scaturisce da una scelta personale coerente con i principi assunti autonomamente. K. ipotizza l’esistenza di un settimo stadio che costituisce un orientamento esistenziale basato su una prospettiva metafisico-religiosa della realtà.

Bibliografia

K.L., «Stage and sequence: the cognitive-developmental approach to socialization», in D. A. Goslin (Ed.),​​ Handbook of socialization theory and research,​​ Chicago, Rand McNally and Company, 1969, 347-480; Arto A.,​​ Crescita e maturazione morale.​​ Contributi psicologici per una impostazione evolutiva e applicativa,​​ Roma, LAS, 1984; Kuhmerker L. - U. Gielen - R. L. Hayes,​​ L’eredità di K. Intervento educativo e clinico,​​ Firenze, Giunti, 1995; Viganò R.,​​ Psicologia ed educazione in L.K. Un’etica per la società complessa,​​ Milano, Vita e Pensiero, 1998; Hersh R. H. - D. P. Paolitto -​​ J. Reime,​​ El crecimiento moral: de Piaget a K., Madrid, Narcea,​​ 2002.

A. Arto​​ 




KOLPING Adolf

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KOLPING Adolf

n. a Kerpen presso Köln l’8.12.1813 - m. a Köln il 4.12. 1865, teologo, educatore sociale tedesco.

1. Proveniente da una famiglia di umili condizioni, compiuta a tredici anni l’istruzione elementare, diventa apprendista calzolaio e lavora come garzone di bottega in laboratori artigiani del circondario: a Sindorf, Düren, Lechenich. Infine riesce ad entrare come lavorante in una calzoleria di Colonia: un posto redditizio, che però K. ricorderà come ambiente moralmente dissoluto e religiosamente indifferente, tipico del mondo in cui lavoravano i garzoni di bottega del tempo. Ma è proprio questa esperienza che porta il giovane a maturare la decisione di intraprendere la via del sacerdozio. Nel 1837 si iscrive al Gymnasium, conseguendo la maturità classica. Da aprile 1841 ad agosto 1842 è a München per lo studio della filosofia e della teologia cattolica, alla scuola di insigni maestri, tra cui Döllinger, Haneberg,​​ Windischmann​​ e J. Görres. Seguono a Bonn tre semestri prescritti per l’accesso al sacerdozio, che a Pasqua del 1844 consentono a K. di entrare come alunno nel seminario di Köln. Fu ordinato sacerdote il 13 aprile 1845 e subito assegnato come cappellano alla parrocchia di S. Lorenzo del centro industriale di Elberfeld-Wuppertal, e catechista nel Gymnasium locale.

2. Ne veniva significativamente arricchita la conoscenza delle positive qualità dei lavoratori dell’artigianato e degli operai delle fabbriche, ma anche dei gravi problemi legati all’industrializzazione: l’urbanizzazione, la crisi della famiglia, la disoccupazione, le perturbazioni sociali e politiche. Ad Elberfeld fu di particolare importanza l’incontro con il direttore didattico della scuola femminile cattolica, il sac. Johann G. Breuer (1821-1897), socialmente impegnato, fondatore di un’Associazione di giovani lavoratori artigiani. L’esperienza di assistente spirituale della nuova comunità formativa e culturale insieme a quella precedente di apprendista calzolaio e garzone e l’accresciuto contatto col mondo del lavoro spingevano il K. a realizzare un progetto più vasto a favore del mondo giovanile artigiano e operaio. Nell’autunno del 1846 fondava il primo «Gesellenverein» (Casa di assistenza e di insegnamento professionale), del quale diveniva nel 1847 preposto ecclesiastico. Nel 1848 scrive l’opuscolo programmatico​​ Der Gesellenverein. Zur Beherzigung für alle,​​ die es mit dem wahren Volkswohl ernst meinen​​ (Gesellenverein. Ad incitamento di quanti intendono prendere in seria considerazione il vero bene del popolo, II ed. 1852): il «Gesellenverein» è l’«Accademia [l’università] del popolo».

2. Diventato vicario del duomo di Köln, il 6 maggio 1849 fondò anche in questa città un Gesellenverein, destinato a diventare il centro mondiale di tutte le organizzazioni di giovani operai (le​​ Kolpingswerke)​​ a cui diede vita. Esse, infatti, si diffusero presto in varie città della Germania, dell’impero austro-ungarico, della Svizzera, degli Stati Uniti, dell’America Latina, ottenendo la solidarietà e l’appoggio delle più svariate categorie di persone. Ivi i soci trovavano protezione, sicurezza, ordine, sostegno. A Köln egli continuò a svolgere anche un’intensa attività giornalistica popolare cattolica, dirigendo per molti anni i settimanali «Rheinische Volksblätter» e «Volkskalender», di notevole diffusione.

3. Sacerdote «educatore popolare», «diacono del popolo» (Höffner), né rivoluzionario né agitatore politico, K. si batté per un coraggioso inserimento del clero nel vivo dei problemi sociali, che erano anche problemi morali e religiosi: «Se la vita del popolo deve tornare ad essere come vuole la Chiesa (kirchlich),​​ la Chiesa deve diventare di nuovo popolare (volkstümlich)».​​ In realtà, lo scopo del​​ Verein​​ è anzitutto religioso e morale e sociale-professionale con l’esclusione di una formazione politica specifica. La prassi educativa è ispirata a idee cristiane tradizionali: primato della famiglia, destinazione domestica della donna sposa e madre, ordine sociale, formazione integrale dell’uomo come​​ imago Dei,​​ la «famiglia» come spirito e struttura dell’ambiente educativo, la centralità del padre, il «cuore» come centro della metodologia educativa.​​ 

4. La fama di santità largamente diffusa già alla morte prematura di K. si accrebbe col passare del tempo. Nel 1984 ebbe inizio a Köln il processo informativo per la beatificazione. Il 13 maggio 1989 furono decretate le virtù eroiche. La beatificazione fu fissata al 27 ottobre 1991, con esplicito riferimento al centenario della pubblicazione dell’enciclica sociale «Rerum Novarum» di Leone XIII (cfr. AAS 84, 1992, 567-568; omelia di Giovanni Paolo II, ibid., 844-848).

Bibliografia

Linke K. (Ed.),​​ A.K. spricht zum Volk. Aus der Lebens-und Erziehungsweisheit eines grossen Volksmannes,​​ Limburg-Lahn, Lahn-Verlag, 1940; Schäffer S. G.,​​ A.K.: Sein Leben und sein Werk,​​ Köln, Kolping-Verlag, 1952; Wothe F. J.,​​ A.K.: Leben und Lehre eines grossen Erziehers,​​ Rechlinhausen, Paulus-Verlag, 1952; Göbels H.,​​ Ausgewählte pädagogische Schriften,​​ Paderborn, F. Schöningh, 1964; Bellerate B.,​​ A.K.​​ (1813-1865).​​ Sacerdote,​​ educatore,​​ pubblicista,​​ in «Orientamenti Pedagogici» 12 (1965) 1128-1173; Göbels H.,​​ K.A.,​​ in​​ «Neue Deutsche Biographie»​​ 12 (1980) 575-577.

P. Braido




KOMENSKÝ Jan Amos

 

KOMENSKÝ Jan Amos

n. a Nivnice nel 1592 - m. ad Amsterdam nel 1670, teologo, poligrafo, pedagogista ed educatore moravo, più noto con il nome latinizzato di Comenio.

1.​​ Vita e opere.​​ Di famiglia benestante, rimase orfano nel 1603. Affidato a una zia, frequenta le scuole dell’«Unità dei Fratelli», comunità religiosa di ascendenza hussita, cui la famiglia apparteneva e che si occuperà degli studi di K.: prima nella scuola latina di Přerov (1608-1611), poi nell’Accademia di Herborn per la teologia, con uno​​ stage​​ presso l’Università di Heidelberg (1613). A Herborn ebbe come docenti J. Alsted e J. Fischer, dai quali derivò la tendenza al millenarismo e all’enciclopedismo. Nel 1614 tornò a Přerov come insegnante e poi rettore; nel 1616 fu ordinato sacerdote e pubblicò​​ Grammaticae facilioris praecepta,​​ ispirata a​​ ​​ Ratke, ma non conservata. Sposatosi, fu inviato a Fulnek come pastore e rettore della scuola locale. La guerra dei Trent’anni (1618-1648) causò la distruzione di Fulnek e una pestilenza, in cui K. perse la moglie e due figli (1622). Dovette allora nascondersi presso il barone von Žerotín a Brandys, dove, dopo alcuni tentativi di scritti enciclopedici, completò diverse opere religioso-consolatorie, tra cui il​​ Centrum securitatis​​ (1625) e si risposò (1624). La lettura della​​ Didactica​​ di E. Bodinus, ne riaccese l’interesse educativo, mentre l’incontro con K. Kotter, di cui tradusse le «profezie», ne rafforzò la tendenza millenaristica. Nel 1628, acuitasi la persecuzione religiosa, dovette rifugiarsi a Leszno in Polonia, senza poter più rientrare in patria. Insegnò nel ginnasio della fiorente comunità dei Fratelli, diventandone rettore. Terminò la​​ Didactica​​ in ceco, che tradurrà poi, ampliandola e adattandola, in lat. Pubblicò la​​ Janua linguarum reserata​​ (1631), di grande successo, la​​ Physicae synopsis​​ e l’Informatorium der Mutterschule​​ (Manuale della scuola materna, 1633). Si aprì, al tempo stesso, alla dimensione pansofica, pur continuando a preparare testi scolastici, in quanto, eletto «Senior» (vescovo) nel 1632, fu incaricato degli interessi culturali della comunità. In Olanda conobbe i de Geer, suoi mecenati fino alla morte. Si occupò, a Elbląg (1642), di testi scolastici per la Svezia, ma non trascurò l’ascolto di profezie, né incontri irenici ed ecumenici, mentre approfondiva l’interesse pansofico (Pansophiae diatyposis​​ 1643 e inizio della​​ Consultatio catholica​​ 1645). Pubblicata la​​ Methodus linguarum novissima​​ (1648), dopo la morte della moglie, rientrò a Leszno e nel 1649 si risposò. Invitato a Sárospatak (Transilvania) nel 1650, si impegnò in una riforma delle scuole, con relativi testi. Ma nel 1654 rinunciò all’impresa per l’opposizione di docenti locali e per le sue crescenti preoccupazioni politiche. Tornò quindi a​​ Leszno, da cui dovette fuggire definitivamente (1656), perdendo ancora una volta i suoi beni, con il saccheggio della città. Si ritirò così ad Amsterdam, appoggiandosi alla famiglia de Geer. Pubblicò la​​ Schola ludus​​ (1656) e poi il suo famoso testo illustrato​​ Orbis sensualium pictus​​ (1658), preparati a Sárospatak; e, nel 1657, l’Opera didactica omnia​​ (2 voll., in folio), in cui fu pubblicata, per la prima volta, la​​ Didactica magna.​​ Affrontò anni difficili, per la salute e per le ricorrenti polemiche, ma tentò con impegno di completare la​​ De rerum humanarum​​ emendatione consultatio catholica,​​ rimasta ciononostante incompiuta. Pubblicò, nel frattempo, l’Angelus pacis​​ (1667) e l’Unum necessarium​​ (1668), oltre ad altri scritti minori. Raccolti vari materiali, imbastì i​​ Clamores Eliae​​ (editi solo nel 1977), tra il 1665 e il 1670, quando affaticato e angustiato per la sorte della sua gente e della sua chiesa, morì. In precedenza aveva messo a punto, tra l’altro, la​​ Janua rerum reserata,​​ pubblicata postumi nel 1681.

2.​​ Il pensiero pedagogico.​​ K., celebrato per i suoi manuali scolastici e, dal secolo scorso, per la​​ Didactica Magna,​​ si era sempre proclamato​​ «theologus»,​​ più che per l’interesse per la sua chiesa, per l’impegno nel decifrare, propagare e realizzare la volontà divina, norma suprema di ogni agire. Essa si manifesta, a suo avviso, mediante i «tre libri divini»: la​​ Bibbia,​​ la​​ natura​​ e la​​ mente umana,​​ con un indiscutibile primato della prima, testo della rivelazione, che rimane però aperta e non conclusa, lasciando spazio alle profezie, cui aderisce con certa ingenuità. In questa linea teocentrica, si muove durante tutta la sua vita, polemizzando con i contemporanei, pur senza disconoscere il relativo valore delle scienze.​​ Due principi​​ ne guidano il pensiero: il​​ triadismo​​ e l’armonia universale,​​ entrambi fondati nella Scrittura e avvalorati dalle sue riflessioni, che lo fanno passare da un iniziale enciclopedismo alla concezione pansofica. In questa, anche con un ricorso quasi ossessivo al prefisso gr.​​ «pan», egli​​ evidenzia l’esigenza di globalità e universalità («Uni-versum»​​ = tensione all’Uno, che è Dio) onniinclusiva, organica e coordinata, pur nelle sue svariate articolazioni.​​ Dio,​​ uno e trino, creatore e matrice di tutto l’esistente, ne è parimenti il padre e il fine e, nella persona di Cristo, il redentore, a causa del peccato originale umano. L’uomo,​​ figlio e immagine di Dio, è, a sua volta,​​ «microcosmo»​​ e mediatore tra Lui e le creature, che a Lui deve ricondurre, secondo un’ispirazione, in K., mistico-neoplatonica. A tal fine è dotato di​​ «semi innati»,​​ che, sviluppati, lo abilitano al suo compito, benché parta come una​​ «tabula rasa».​​ In tal senso K. mette a punto tutta una serie di triadi, che specificano le possibilità umane e i sentieri da percorrere, come è detto specie nel​​ Triertium catholicum.​​ Tra le altre (a volte, con i termini invertiti): gli​​ organi​​ per la lettura dei libri divini: «sensus,​​ ratio,​​ fides»,​​ usando: «mens,​​ manus,​​ lingua»,​​ da cui il «sapere,​​ agere,​​ loqui»​​ (SAL: una delle triadi fondamentali). Questa, mediante «analysis,​​ synthesis,​​ syncrisis»​​ permette l’esplicazione di «theoria,​​ praxis,​​ chresis».​​ Le due ultime triadi, oltreché tipiche di K., hanno un ruolo particolare sul piano educativo. Infatti non solo rivelano meglio l’armonia universale, ma consentono di raggiungere obiettivi altrimenti impossibili, come la conoscenza di Dio, necessariamente analogica e quindi per confronto (sincrisi), e un uso del sapere e agire, che porti a un’autentica fruizione gratificante e rasserenante (cresi). Pertanto l’operare umano, nella sua compiutezza è, al tempo stesso,​​ teorico-pratico​​ e​​ fruitivo,​​ come chiarisce appunto la​​ pansofia,​​ «sapienza universale», operativamente connotata e unificante ogni sapere umano, superando la frammentarietà dell’enciclopedismo. Su questa base, K. afferma e giustifica la centralità della dimensione educativa, cui dedica appunto la quarta delle sette parti della​​ Consultatio:​​ opera complessiva per una riforma universale, purtroppo non pubblicata integralmente che nel 1966. La prima e la settima parte («Panegersia»​​ e​​ «Pannuthesia»)​​ sono, rispettivamente, introduttiva e conclusiva; la seconda e la terza («Panaugia»​​ e​​ Pansophia»​​ o «Pantaxia»)​​ sono più teoriche; la quarta e la quinta («Pampaedia»​​ e «Panglottia»)​​ esprimono il momento pratico-applicativo, sotto il profilo individuale; mentre la sesta («Panorthosia»)​​ delinea, dal punto di vista sociale e ai vari livelli, il cammino per un esito fruitivo, in un orizzonte stimolante e originale, ma indubbiamente utopico.​​ Due componenti​​ caratterizzano il pensiero pedagogico di K.: quella​​ metodologica,​​ imposta dall’affermarsi delle scienze; e quella​​ contenutistica,​​ frutto delle sue informazioni e di una elaborazione teorica e pratica.​​ Quanto al metodo,​​ sottolinea anzitutto il trinomio​​ necessità,​​ possibilità e facilità​​ dell’educazione, riconducibili, rispettivamente, al raggiungimento del fine dell’uomo, alla sua dotazione naturale («libri», «organi», «strumenti») e alla «spontaneità» del processo. Di qui, in sintonia con Ratke, la​​ naturalità​​ dell’educazione stessa, giustificata prima sul modello dei processi naturali (cfr.​​ Didactica magna)​​ e poi sulla stessa natura umana: evoluzione con significativi risvolti didattici, non riducibili alla​​ gradualità,​​ ciclicità e continuità,​​ caratterizzanti la sua didattica scolastica. Infatti, nel corso degli anni, si allargano gli spazi per una partecipazione dell’allievo, affiancando alla «didactica» (ars docendi),​​ la «mathetica» (ars discendi),​​ dando così più spessore a sue precedenti affermazioni, come: «agendo discitur», «fabricando fabricamur» e simili.​​ Quanto ai contenuti,​​ K., partito dall’esigenza di insegnare​​ tutto,​​ sia pure relativamente (in funzione cioè della «sapienza» e della felicità),​​ a tutti,​​ «nemine usquam neglecto, quia omnes sunt homines», integra poi questo binomio con un terzo membro,​​ globalmente,​​ integralmente, creando la triade pedagogicamente, forse, più importante: «omnes,​​ omnia,​​ omnino».​​ Definito l’orizzonte, K. traccia il cammino, che consente di raggiungere detti obiettivi: la «panscholia»,​​ «pambiblia»​​ e «pandidascalia»​​ (cfr.: «Pampaedia»).​​ Si ipotizzano dunque scuole, testi e insegnanti per tutti e per ogni situazione. Dei docenti K. si era occupato specialmente durante il suo soggiorno a Sárospatak, pur ribadendo poi l’esigenza della loro preparazione e delle altre doti, che li devono qualificare; dei manuali richiama la facilità e, possibilmente, unicità con quelle altre attenzioni che ne rendono proficuo l’uso. Più ampia la trattazione sulle scuole, che, contrariamente ad altri suoi progetti anteriori, diventano coestese all’intera vita umana, con cui (in una visione del tutto innovativa) si identificano, perdendo il loro carattere di istituzione e di rapporto bipolare. Si parte così dalla «scuola prenatale», con spazi, sussidi e fini propri (come tutte le altre), per passare poi alla «scuola dell’infanzia», «della fanciullezza», «dell’adolescenza» e «della giovinezza» o accademia (già presenti queste nella​​ Didactica magna)​​ e, quindi, alla «scuola della virilità», «della vecchiaia» e «della morte». A ognuna è dedicato, con indicazioni tradizionali e no, un capitolo, non sempre completato: quello sulla morte (scuola aggiunta «in extremis») è appena abbozzato. Non sfugge certo il carattere radicalmente riformistico, se non rivoluzionario, di questa visione pedagogica di K.: funzionale sul piano individuale e sociale e integrata, ulteriormente, dalla ricerca e proposta di una lingua unica, per agevolare la comunicazione e collaborazione tra gli uomini (cfr. «Panglottia»).​​ Introduce inoltre correzioni (egli parla di «emendatio») da apportare anche all’interno della famiglia, degli stati e delle chiese, sotto il controllo di organismi internazionali («Collegium lucis», «Consilium oecumenicum» e «Concistorium pacis»), per costruire una vita umana diversa e più soddisfacente. In questa prospettiva assume un rilievo crescente la dimensione politica, ma conserva e, forse, accresce il suo significato la dimensione religiosa, senza la quale nulla è fattibile per K. Di qui la possibilità, quanto meno, di un suo ripensamento globale e tardivo, per cui l’educazione perde il proprio ruolo centrale a vantaggio di un fattore religioso-politico, come sembrerebbe avvenire con i​​ Clamores Eliae,​​ benché restino di difficile lettura per la loro frammentarietà e incompiutezza.

3.​​ Valutazione.​​ Con un’evoluzione continua nei suoi atteggiamenti e nel suo pensiero, K. è stato ed è oggetto di interpretazioni diverse e contrastanti. Prima, si è passati da letture in chiave puramente didattica, a letture più comprensive con accentuazione di interessi, a volte, filosofici; a volte, storico-letterari; a volte, filologici, socio-politici, pedagogici e, poi, teologico-religiosi: tutti indubbiamente presenti in lui e sovrapponentisi, con momenti di maggior attenzione all’uno o all’altro. Dall’inizio alla fine tuttavia K. ha​​ due preoccupazioni principali, in sintonia con la sua missione di «teologo»: quella per il suo popolo e la sua chiesa e quella per la salvezza del genere umano, che percepisce sempre più insensibile ai richiami di Dio e dei «profeti». Di qui il suo ultimo tentativo con i​​ Clamores Eliae,​​ dove accanto a più estese e crude critiche, prospetta anche nuove possibilità di conversione. L’opera di K. e la sua personalità non hanno esercitato tutto l’influsso che avrebbero potuto avere in altre circostanze e se fossero stati conclusi e pubblicati, a suo tempo, tutti i suoi scritti. Ha goduto però di grande fama e fu richiesto da più parti, così da essere riconosciuto «magister nationum». Oggi, studiato specie in patria e in Germania, se ne apprezzano soprattutto altri aspetti, con un’accentuazione del suo impegno per la pace e per la riconciliazione tra le chiese, e si riconosce in lui il fascino di un’umanità cosciente, responsabile e aperta, nonostante i disagi e le peripezie sofferti. Malgrado lo svantaggio di partenza, con la perdita dei genitori, ha saputo riprendersi, lavorare con impegno, lottare e progettare con entusiasmo e con slancio utopico, un rinnovamento della società umana, puntando su tutto il disponibile, in virtù di una rivisitazione globale della condizione umana, chiamata a cooperare con Dio per la salvezza del mondo. L’esempio della sua vita, animata da un’incrollabile speranza e da una salda fede, ha fatto di K. un testimone e un promotore di fratellanza, di pacificazione e di coinvolgimento responsabile in una ricerca continua, critica e, nonostante qualche rigidità, feconda.​​ 

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ Comenii J.A.,​​ Opera omnia,​​ Pragae, Academia scientiarum bohemoslovaca, 1969ss., in 25 voll, più gli indici. In it. si segnalano:​​ Opere di​​ C., a cura di M. Fattori, Torino, UTET, 1974;​​ Grande didattica,​​ a cura di A. Biggio, Firenze, La Nuova Italia, 1993;​​ La riforma universale del mondo, a cura di G. Formizzi, Verona, Il Segno dei Gabrielli, 2003. b)​​ Studi:​​ Bellerate B.,​​ La sincrisi nella metodologia di G.A.C,​​ in «Salesianum» 24 (1962) 86-110;​​ Schaller K.,​​ Die Pädagogik des J.A.C. und die Anfänge des pädagogischen Realismus im 17. Jahrhundert,​​ Heidelberg, Quelle & Meyer,​​ 21967;​​ Bellerate B. (Ed.),​​ C. sconosciuto,​​ Cosenza, Pellegrini, 1984;​​ Schaller K. (Ed.),​​ Zwanzig Jahre C. Forschung in Bochum, Sankt Augustin, Academia Verlag, 1990; Id. (Ed.),​​ C. 1992 - Gesammelte Beiträge zum Jubiläumsjahr,​​ Ibid., 1992; Bellerate B.,​​ C. e l’educazione,​​ in «Pedagogia e Vita» 52 (1994) 1, 31- 42; Ferranti C. (Ed.),​​ J.A.C. 1592-1670, Macerata, Quodlibet, 1998;​​ Cauly O.,​​ C.: l’utopie du paradis, Paris, PUF,​​ 2000; Bellerate B. A.,​​ Società ed educazione in Europa​​ (Secoli XVI-XVII), Milano, Unicopli, 2004; Valeriani A.,​​ Pellegrini nel labirinto del mondo e del vivere, Ibid., 2006.

B. A. Bellerate




KORCZAK Janusz (GOLDSZMIT Henryk)

 

KORCZAK Janusz​​ (GOLDSZMIT Henryk)

n. a Varsavia nel 1878 o 1879 - m. a Treblinka nel 1942, medico, scrittore, educatore ebreo.​​ 

1. Orientato all’assimilazione con i polacchi, iniziò da giovane l’attività letteraria con lo pseudonimo di K. Laureatosi in medicina, esercita prima nella guerra russo-giapponese, poi con i bambini, con un crescendo per l’interesse educativo, culminato con la direzione di un orfanatrofio per ebrei e, in seguito, di un altro per cattolici. Pubblica molto (articoli, libri per ragazzi e saggi), parla alla radio e fa anche un viaggio in Palestina già nel 1934. Nel 1936 si ritira dal secondo orfanotrofio e, durante la guerra mondiale, affronta enormi sacrifici e difficoltà per mantenere quello ebraico. Nell’agosto del 1942, rifiutata la possibilità di salvarsi, è eliminato con tutti i suoi ragazzi nel campo di sterminio di Treblinka. Tra le opere:​​ Jak kochac dzieci​​ (1920, trad. it.:​​ Come amare un bambino,​​ ediz. prima ridotta, con altri scritti, 1979; poi completa: Milano, Luni, 1996);​​ Krol Macius Pierwszy​​ (1923, trad. it.:​​ Re Matteuccio 1°, Milano, Emme, 1979);​​ Prawo dziecka do szacunku​​ (1929, trad. it.:​​ Il diritto del bambino al rispetto,​​ parziale, in:​​ Come amare...; completa: Milano, Luni, 1994)​​ e​​ Pamiętnik​​ (trad. it.:​​ Diario dal ghetto, Roma, Cacucci, 1986; Milano, Luni, 1997).

2. Nel pensiero di K. si intersecano​​ due filoni:​​ biografico e educativo. Il primo l’ha visto passare da una posizione agnostica a un recupero della fede mosaica e combattere con l’incubo della pazzia paterna, da cui la rinuncia al matrimonio e la dedizione al secondo interesse. Questo si articola attorno a​​ tre poli:​​ il bambino, l’educatore e le istituzioni. Più originali e significativi gli apporti al primo, per cui rivendica i diritti del bambino, mentre ne denuncia la mancanza di conoscenza, se non in base a pregiudizi. Rispetto all’educatore e alle istituzioni esprime valutazioni molto critiche, soprattutto per le loro posizioni di potere e oppressive, che egli supera impostando l’autogoverno, con pieno coinvolgimento dei ragazzi e un tipo di didattica attiva e dinamica. Tuttavia «nessuna opinione dovrebbe diventare una convinzione assoluta o una convinzione valida per sempre».

3. K., «non adatto per una gabbia» definitoria, ha conquistato l’ammirazione di tutti quelli che l’hanno incontrato, soprattutto perché «un uomo buono» (Arnon) e radicalmente impegnato.

Bibliografia

per gli scritti in polacco: K.J.,​​ Bibliografia publikacij J. Korczaka i o J. Korczaku w Polsce​​ 1943-1987,​​ a cura di A.​​ Lewin, Heinsberg, Agentur Dieck, 1988. Inoltre: Ignera B.,​​ Der religiöse Humanismus J.Ks,​​ Giessen, tesi ciclost., 1980; Dauzenroth E.,​​ Ein Leben für Kinder,​​ Gütersloh, G. Mohn, 1981; Licharz W. (Ed.),​​ J.K. in seiner und in unserer Zeit, Frankfurt a.M., Haag - Herchen Verlag, 1981; Rella Cornacchia A. T.,​​ J.​​ K. - Una vita per l’infanzia,​​ Milano, Emme, 1983; Bellerate B. - M. L. De Natale - J. Kuberski,​​ L’impegno educativo di J.K.: scrittore,​​ medico,​​ educatore polacco (1878-1942),​​ Bari, Cacucci, 1986.

B. A. Bellerate




KRAUSISMO

 

KRAUSISMO

Dottrina filosofica e sistema etico fondato sulle idee del pensatore tedesco Krause; nel K. si coglie un forte interesse per l’educazione.

1. Karl Ch. Friedrich Krause (1781-1832) fu un uomo poliedrico: filologo, storiografo, musicista, matematico, giurista e pedagogista. Passò quasi inosservato di fronte ai grandi filosofi tedeschi seguaci o contrari a​​ ​​ Kant, come Fichte, Schelling ed Hegel. Questi professori di metafisica dovevano preparare un corso di pedagogia, seguendo il principio secondo cui ogni buon filosofo doveva essere anche un buon pedagogista. Krause per un certo periodo ebbe grande ammirazione per​​ ​​ Pestalozzi, ma comprese i limiti del suo impianto pedagogico e quelli dei suo seguace​​ ​​ Fröbel, soprattutto riguardo alla mitizzazione della nazione e della cultura tedesca che questi trasmetteva ai suoi alunni nell’istituto di Keilhau. Krause preferiva una educazione umana bella, giusta e universale, utile per tutti gli esseri umani, indipendentemente dalla razza, dalla lingua e dalla cultura. Questo ideale filosofico e pedagogico fu da lui esposto nell’Ideal de la Humanidad​​ (1811), opera di evidenti risonanze comeniane e chiara espressione del credo massonico che il suo autore volle riformare. Questo​​ Ideale​​ oltrepassò le frontiere tedesche e fu letto in vari Paesi europei attraverso i discepoli di Krause.

2. In Spagna ebbe un relativo successo negli ambienti filosofici ed universitari di Madrid e per suo influsso si diffuse la pedagogia di Fröbel e si fece un decisivo passo avanti nel rinnovamento del pensiero pedagogico, nelle istituzioni, nei metodi e nella politica educativa spagnoli. Sotto la sua influenza furono organizzati congressi pedagogici in ambito ispano-americano, si moltiplicarono le riviste specializzate, sorse il Museo Pedagogico Nazionale, fu favorita l’integrazione della donna nel mondo del lavoro e dello studio a tutti i livelli, furono create moderne residenze per studenti, che sostituirono gli antichi collegi universitari scomparsi già da tempo, e fu resa possibile la creazione di un ambiente favorevole allo studio, ai viaggi di specializzazione, mediante borse di studio e aiuti speciali, che produssero un rapido cambiamento della mentalità e delle vecchie istituzioni.

3. In tutto o in gran parte di questo sforzo di modernizzazione ebbe un ruolo importante​​ ​​ Giner de los Ríos, krausista, fondatore della​​ Institución Libre de Enseñanza​​ (1876), centro privato di istruzione elementare e secondaria fondato a Madrid e pioniere in Spagna ed in Europa di numerose innovazioni pedagogiche.

Bibliografia

Cacho Viu V.,​​ La Institución libre de enseñanza. Orígenes y etapa universitaria (1860-1881),​​ Madrid, Rialp, 1962; Prellezo J. M.,​​ Escuela confesional y escuela neutra en el pensamiento de F. Giner, in «Orientamenti Pedagogici» 23 (1976) 959-984; Menéndez Ureña E.,​​ Krause,​​ educador de la humanidad. Una biografía,​​ Madrid, Univ. Pont. de Comillas, 1991; Menéndez Ureña E. - J. Fernández - J. Seidel,​​ El «Ideal de la Humanidad» de Sanz del Río y su origen alemán, Ibid., 1991.

B. Delgado




KRISHNAMURTI Jiddu

 

KRISHNAMURTI Jiddu

n. a Madanapalle nel 1895 - m. a Ojai Valley nel 1986, pensatore, filosofo, mistico e educatore indiano.

1.​​ Vita e opera.​​ K. fu istruito dal chiaroveggente C. W. Leadbeater e da A. Besant della Società Teosofica, ad Adayar (Madras) in quanto pensavano che il piccolo Jiddu fosse il veicolo ideale per l’imminente incarnazione di Lord​​ Maitreya​​ (Maestro del mondo).​​ Fu così fondato nel 1911 l’Ordine delle Stelle dell’Oriente con lo scopo precipuo di preparare il mondo per la venuta del​​ Maestro del mondo​​ nella persona di K. Tuttavia nel 1929, dopo un periodo vissuto in esperienza «mistica», egli improvvisamente sciolse l’Ordine della Stella e la sua associazione con la Società Teosofica. «Io affermo che la verità è una terra senza sentieri... A me interessa solo una cosa essenziale: liberare l’uomo». Da allora fino alla sua morte egli girò per il mondo per proclamare il messaggio di libertà e di liberazione.

2.​​ Insegnamento.​​ Secondo K. il mondo è in una crisi senza precedenti e l’unica via di uscita è una «rivoluzione totale» o «radicale», che può essere realizzata solo individualmente e costituisce una rivoluzione psichica o «trasmutazione mentale». Questa rivoluzione non è qualcosa da realizzare nel futuro ma nell’immediato, nell’adesso​​ costante. Come attuare questa «rivoluzione totale»? K. non indica dei metodi o vie, ma invita a vivere in «consapevolezza». Una vita di piena «consapevolezza» (choiceless awareness)​​ o «attenzione olistica» risveglia l’intelligenza e causa una «rivoluzione psicologica» rendendo la mente vuota dei suoi «contenuti psicologici» (l’«io» e il processo psicologico). Una tale mente è «intera», «vuota di sé» ed è trasformata, piena di energia, di intelligenza e amore, ed assolutamente libera.

3.​​ Educazione.​​ Secondo K. i bambini possiedono già questa mente «intera» che è sana e «religiosa»; sono pienamente aperti ad «osservare», «ascoltare», «creare» e «fondersi» con la vita stessa; quindi sono liberi. Però nel cammino della loro vita creano un falso mondo che consiste nel «contenuto psicologico della coscienza» che è la causa di tutti i problemi personali e sociali (divisione in caste, razzismo, nazionalismo, competizioni, religioni, ecc.). Lo scopo dell’educazione dev’essere appunto consentire ai bambini di «vivere pienamente» la loro vita di libertà. Educazione è l’arte di imparare a vivere da tutto il movimento della vita. L’«arte di vivere» consiste nell’avere un rapporto aperto di amicizia con la natura e con gli altri. Per questo la scuola dovrebbe essere il luogo che offre lo spazio e il tempo per «osservare», «contemplare», «creare», «imparare», vivere nella «consapevolezza» e «intelligenza svegliata» con compassione e amore. Il rapporto educativo tra gli insegnanti e gli alunni è di comunione e comunicazione. K. fondò varie scuole in India, America ed Inghilterra allo scopo di creare individui psicologicamente liberi, anche se c’è da sottolineare che la sua concezione di natura umana è troppo influenzata dalle dottrine di​​ ​​ Rousseau.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ J.K.,​​ On education,​​ Madras, Krishnamurti Foundation India, 1974;​​ Id.,​​ Education and significance of life,​​ New Delhi, B. I. Publications, 1981; Id.,​​ Lettere alle scuole,​​ Roma, Astrolabio-Ubaldini, 1983.​​ b)​​ Studi: Thuruthiyil S.,​​ Fascination and limits of an utopia - K.’s approach to liberation,​​ in «Salesianum» 51 (1989) 251-305; Sapio M., «K.J.», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica,​​ vol. IV, Brescia, La Scuola, 1990, 6428-6435; Thuruthiyil S.,​​ The joy of creative living. Radical revolution of the mind,​​ Rome, LAS, 1999.

S. Thuruthiyil