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INFORMATICA

 

INFORMATICA

Il termine risale agli anni ’60 ed è legato alle due parole «informazione» e «automatica».

1.​​ I​​ diversi significati.​​ L’i. fa parte del nostro mondo. Quando si accenna a questo argomento spesso quasi istintivamente vengono alla mente complessi sistemi automatici che fanno da supporto alla raccolta, elaborazione e distribuzione delle informazioni e si pensa a grandi calcolatori e tecnici altamente specializzati. In effetti i. è una parola che può indicare molte cose: strumenti, modo di pensare, utilizzazione di computer e potrebbe essere vista quasi come un’estensione dei poteri mentali dell’uomo nel comunicare attraverso le macchine. Il significato dato al termine può quindi variare molto in ampiezza. Alcuni vedono l’i. come una tecnica del «saper usare il computer» o di sapersene servire per impieghi specifici. Altri le attribuiscono tutti i compiti di trattamento di ogni tipo di​​ ​​ informazione e di sapere.

2.​​ I.​​ e condotte algoritmiche e sistemiche.​​ In ogni caso prima e al di sopra del problema della macchina che elabora le informazioni in maniera automatica e della capacità di un suo utilizzo razionale sta un complesso di conoscenze e di condotte, proprie del pensiero razionale umano, oggi generalmente definite come condotte algoritmiche e sistemiche che fanno parte del mondo informatico. In ogni attività sia manuale che intellettuale si rende necessario organizzare comportamenti e operazioni in maniera valida ed efficace, per trovare itinerari e procedure che consentano di raggiungere determinati risultati in maniera rapida ed economica. In definitiva molti dei problemi che la vita e il lavoro ci pongono debbono essere risolti in termini di azioni, di natura prevalentemente manuale o prevalentemente intellettuale, da eseguire in maniera coordinata e produttiva. In una visione ampia l’i. dovrebbe assolvere a tutti i compiti di trattamento dell’informazione, del sapere più o meno organizzato e dei procedimenti risolutivi (​​ algoritmo) necessari per dare una risposta concreta ai problemi, possibilmente individuando delle procedure standardizzate fatte di operazioni elementari e di momenti decisionali velocemente modificabili. Si può dire che l’i. si interessa dell’analisi e della risoluzione dei problemi mediante la ricerca di una procedura efficace e generalizzabile.

3.​​ I.​​ come disciplina e come elaborazione​​ elettronica.​​ Nel mondo francese, da cui il termine proviene, i. sta per quell’insieme di discipline scientifiche e tecniche applicate al trattamento dell’informazione con mezzi automatici; o, detto in altri termini, l’i. è vista come una disciplina che si occupa essenzialmente del trattamento automatico dell’informazione; quindi come tutto ciò che ha una qualche pertinenza con lo studio teorico e tecnologico-pratico dell’elaborazione dei dati e dei computer che sono gli strumenti utilizzati in tale elaborazione. Nel mondo anglosassone si parla più di elaborazione elettronica dei dati (electronic data processing)​​ riducendo, in un certo modo, la visione generale di una «scienza» che vuole studiare i problemi nella sua globalità, praticamente solo al modo di raccogliere, decodificare, elaborare e conservare le informazioni attraverso strumenti automatici. Non fa parte dell’i., in tale interpretazione, tutto ciò che riguarda direttamente o indirettamente problematiche ad essa legate come potrebbe essere l’impatto che la tecnologia ha sul modo di comunicare le informazioni tra uomini e tra uomini e macchina, sulle strutture e sui processi produttivi, sull’organizzazione del lavoro e sul tempo libero.

4.​​ I.​​ e mentalità tecnologica.​​ In una concezione piuttosto ampia per i. si intende quindi una capacità di risolvere problemi di natura produttiva, organizzativa e gestionale mediante algoritmi di risoluzione, cioè mediante una successione di operazioni ordinate e finite, ovvero mediante sistemi di comunicazione capaci di una efficace interazione. Certamente tutto ciò esige un uso di strumenti che in questo caso potremmo vedere ben rappresentati dal computer, ma esige anche una mentalità che è sottesa a questo modo di procedere e che può definirsi di tipo tecnologico. Il pensiero infatti è orientato alla risoluzione dei problemi in maniera efficace; esso è guidato da obiettivi chiaramente definiti, il cui raggiungimento è la condizione di validità di tutto il lavoro intellettuale e organizzativo. Si richiede pertanto di far entrare in gioco un’analisi sistematica delle informazioni disponibili e di quelle da ricercare; occorrerà allora fare una attenta analisi non solo delle informazioni necessarie, ma anche delle loro reciproche relazioni interne e della progettazione di un sistema o di un procedimento che possa risolvere il problema di cui ci si occupa. Si prefigura in qualche modo non solo una maniera di raccogliere informazioni omogenee, di fare un archivio, su un particolare campo o settore, organizzato in funzione di una gestione automatizzata, di fare cioè una​​ banca dati,​​ ma anche di codificare tali informazioni in modo economico ed efficace, di elaborarle secondo un procedimento corretto e produttivo, di registrare infine i risultati di questo lavoro. È chiaro che oltre agli strumenti occorrono dunque strategie di pensiero e forme di rappresentazione delle soluzioni emergenti tali da permetterne la discussione ed il controllo.

5.​​ Riflessi formativi.​​ I riflessi dell’i. sulla formazione sono molteplici. L’uso degli strumenti diventa non solo un esercizio abilitativo, ma può influenzare il comportamento, esaltando l’aspetto operativo e tecnico dell’essere e dell’agire umani. La logica algoritmica e lo spirito tecnologico non sono senza influenza sulla mentalità e sul modo di accostare ed operare sulla realtà, di relazionarsi con gli altri, di pensare allo sviluppo sociale. Al limite possono ingenerare un concetto di uomo in cui diventa preponderante l’aspetto mentale e quello trasformativo e rielaborativo. La pedagogia avrà quindi da comporre questa prospettiva informatica con una visione integrale e organica della vita e dell’esistenza. L’educazione dovrà fare altrettanto a livello di formazione intellettuale, culturale, professionale e di​​ ​​ educazione permanente.

Bibliografia

La Torre M.,​​ Principi di i., Firenze, La Nuova Italia, 1994; Araldi P. - B. Schifo (Edd.),​​ Internet e l’esperienza religiosa in rete, Milano, Vita e Pensiero, 2000; Cioffi G. - V. Falzone,​​ Manuale di i., Milano, Il Sole 24 ore, 2002; Caltabiano C. - M. Lori - G. Nuzzo,​​ Ulisse e le sirene digitali: internet e lo sviluppo della società dell’informazione in Italia, Milano, Angeli, 2002; Zocchi P.,​​ Internet: la democrazia possibile: come vincere la sfida del digitale divide, Milano, Guerini, 2003; Teti A. - E. Cipriano,​​ Eucip. Il manuale per l’informatico professionista. Certificazione Core Level, Milano, Hoepli, 2005.

N. Zanni




INIBIZIONE

 

INIBIZIONE

Il termine i. deriva dal lat.​​ inhibitio​​ che vuol dire divieto, proibizione. In​​ neurofisiologia​​ esso sta ad indicare la soppressione di determinate scariche nervose o i processi relativi a tale soppressione. In​​ psicologia​​ è usato in diversi ambiti teorici: comportamentistico, dell’apprendimento, del profondo.

1. Al di là delle differenze, il termine riguarda comunque sempre un comportamento bloccato o danneggiato da un’attività di altro tipo. Dal punto di vista psicoanalitico l’i. consiste in un dinamismo inconscio che comporta la restrizione di una funzione dell’Io per far fronte all’angoscia relativa a pulsioni, sia libidiche che aggressive, inaccettabili a livello conscio. Tale processo può essere normale o patologico. In questo secondo caso esso è un sintomo di un conflitto interno, fonte di angoscia (ad es.: desideri incestuosi o pulsioni distruttive nei confronti di un genitore). Il meccanismo dell’i. comporta un impoverimento dell’energia psichica a disposizione dell’Io. In altri termini, la vita psichica dell’individuo viene più o meno gravemente sterilizzata. S.​​ ​​ Freud ha introdotto il concetto di​​ i. della meta​​ per indicare il meccanismo psichico per cui una pulsione, a causa di ostacoli interni o esterni, non raggiunge in modo diretto il suo soddisfacimento, ma attraverso attività o relazioni più o meno lontane dallo scopo primario. A sua volta​​ ​​ Klein ha posto l’accento sull’i.​​ dell’attività simbolica,​​ determinata dalla presenza di un forte sadismo nel primo anno di vita. Essa è indicata come uno dei sintomi principali presenti nei bambini psicotici.

2. L’i. può riguardare qualsiasi funzione dell’Io. Si possono distinguere tre tipi d’i.: a) l’i. intellettiva,​​ che investe prevalentemente l’attività cognitiva e che può portare all’​​ ​​ insuccesso scolastico; b) l’i.​​ a fantasticare,​​ per cui l’individuo appare scarsamente creativo e profondamente conformista; c) l’i. relazionale,​​ che blocca o rende estremamente angoscioso ogni rapporto con gli altri. Questi tre tipi d’i. dell’Io nella pratica clinica sono presenti più o meno contemporaneamente.

Bibliografia

Freud S., «I., sintomo e angoscia», in Id.,​​ Opere,​​ vol. 10, Torino, Bollati Boringhieri, 1978, 237-317; Klein M., «Contributo alla teoria dell’i. intellettiva», in Id.,​​ Scritti 1921-1958,​​ Ibid., 1978, 269-281; Castellazzi V. L.,​​ L’i. intellettiva nella teoria psicoanalitica,​​ in «Orientamenti Pedagogici» 42 (1995) 63-83.

V. L. Castellazzi




INIZIAZIONE

 

INIZIAZIONE

L’i. (dal lat.​​ in-ire) è una condizione universale dell’esistenza umana, anche se assume differenti modalità e tipologie secondo i popoli e le epoche. In generale, fa riferimento al processo di adattamento, di apprendimento e di socializzazione che ogni persona deve realizzare in rapporto all’ambiente fisico, sociale, culturale e religioso in cui viene a trovarsi. L’i. mette in relazione l’individuo che accede e il gruppo che l’accoglie: comporta un passaggio e una trasformazione globale della persona nel suo essere profondo, nella sua identità personale e sociale; diventa pure occasione di identificazione per il gruppo stesso il quale, attraverso tutto il processo, «si dice» ciò che è e ciò che vuol essere.

1. L’i. presenta tre forme storiche principali: i.​​ tribali​​ (passaggio dall’​​ ​​ adolescenza alla condizione adulta); i.​​ religiose​​ (entrata nelle religioni misteriche, o in sette o società segrete); e i.​​ magiche​​ (per l’acquisto di certi poteri sovrumani). Tappe tipiche di ogni i. sono: una situazione iniziale di​​ separazione o rottura​​ riguardo al passato; un momento intermedio di​​ prove,​​ unite a racconti che ne danno il significato; una situazione finale di​​ novità,​​ col passaggio simbolico dalla morte alla vita e l’acquisto di una nuova identità e appartenenza. Nel processo ci sono momenti di​​ istruzione,​​ esperienze di​​ interiorizzazione​​ e​​ momenti rituali.​​ Caratteristiche proprie dell’i. sono anche la​​ temporalità, la durata programmata, e la​​ regolazione sociale, cioè l’istituzionalizzazione del percorso. L’i. così intesa trova nel contesto africano, dove rappresenta il percorso educativo normale di trasmissione culturale e religiosa da una generazione all’altra, l’applicazione più autentica.

2. Nel cristianesimo l’i. gode di rinnovato interesse. L’i.​​ cristiana, pur rimanendo a pieno titolo i., costituisce una entità costitutivamente diversa rispetto alle altre i. per la sua fondazione e motivazione storico-salvifica, cioè il riferimento all’evento storico di Gesù Cristo, e la sua originale accezione teandrico-ecclesiale: l’intervento di Dio, l’impegno di rinnovamento interiore del credente, la mediazione ecclesiale. In ambito cristiano l’i. significa propriamente l’azione trasformante operata dai sacramenti d’i.; e in senso ampio, il processo di interiorizzazione della fede e del comportamento cristiano che porta alla piena incorporazione nella Chiesa e nella vita cristiana.

3.​​ In ordine all’educazione, l’i. ha non poche valenze educative, per la sua condizione globale, esistenziale, e di​​ esperienza​​ forte che ne garantisce l’efficacia. Come forma di apprendimento, l’i. non è dell’ordine della trasmissione di un sapere, ma di introduzione in un «mistero», di​​ ​​ maturazione della persona attraverso una trasformazione e l’incorporazione in una​​ ​​ comunità. L’attuale crisi educativa della generazione adulta, il rifiuto di ogni riferimento a ciò che «trascende» l’individuo, una diffusa mentalità che privilegia il facile e la tendenza alla reversibilità delle decisioni, il venir meno di momenti e riti simbolici di discontinuità, minano progressivamente il valore dell’i. e impongono una attenta riflessione su questo significativo itinerario educativo.

Bibliografia

Eliade M.,​​ Initiation,​​ rites,​​ sociétés secrètes,​​ Paris, Gallimard, 1959; Ries J. - H. Limet (Ed.),​​ Les rites d’initiation, Louvain-la-Neuve, Centre d’Histoire des Religions,​​ 1986; Shorter A.,​​ Songs and symbols of initiation.​​ A study from Africa in the social control of perception, Nairobi, The Catholic Higher Institute of Eastern Africa, 1987;​​ Fayol-Fricout A. - A. Pasquier - O. Sarda,​​ L’initiation chrétienne,​​ démarche catéchuménale,​​ Paris, Desclée, 1991;​​ L’initiation chrétienne,​​ in «Croissance de l’Eglise» (1993) 108, 5-90;​​ Meddi L. (Ed.),​​ Diventare cristiani, Napoli, Luciano, 2002.

M. Gahungu - U. Montisci




INNATISMO

 

INNATISMO

Orientamento filosofico che sostiene l’esistenza di idee o di principi conoscitivi o pratici presenti nell’uomo dalla nascita e quindi indipendenti da ogni esperienza. L’i. – che trova la sua formulazione più antica nella teoria platonica della reminiscenza – permea, nella sua polemica con 1’​​ ​​ empirismo, tutta la storia della filosofia occidentale, presentandosi in versioni più o meno ristrette e radicali a seconda della diversa interpretazione proposta per le idee innate, considerate comunque presupposto essenziale della validità di ogni conoscenza e garanzia della stabilità e assolutezza dei principi morali.

1. Se​​ ​​ Platone, e tutti gli autori del pensiero classico che alla sua teoria si rifanno, sostanzializzano le idee innate, concettualizzandole alla stregua di sostanze mentali, Descartes e Leibniz ridefiniscono a loro volta le idee innate come disposizioni della mente, come tendenze a reagire a determinate stimolazioni sensoriali secondo forme invarianti. In particolare Leibniz con il suo i. virtuale non ammette il possesso di vere e proprie conoscenze anteriori ad ogni esperienza ma sostiene che l’uomo nasce dotato di tendenze e virtualità mentali senza le quali la stessa esperienza non sarebbe possibile. Per Leibniz dunque la mente, con la sua capacità di costruire sintesi e di stabilire rapporti e correlazioni è la funzione presupposta di ogni esperienza possibile.

2. Nel pensiero moderno le posizioni innatiste, che assumono in genere un carattere più sfumato e articolato, caratterizzano ad es. la tesi di H. Spencer che vede nei caratteri che appaiono innati negli individui il frutto evolutivo delle esperienze della specie. Per Spencer l’uniformità di alcuni procedimenti intellettuali che si presentano negli individui in un momento determinato dell’evoluzione deriva dal fatto che il singolo eredita quanto la specie è venuta lentamente accumulando e ha di volta in volta stabilizzato attraverso opportune modificazioni del sistema nervoso. Nella sua riformulazione kantiana, l’orientamento innatista si presenta in forme nuove nelle cosiddette scienze umane e costituisce, ad es., la base della antropologia strutturale elaborata da Lévi-Strauss nonché della teoria del linguaggio proposta da Chomsky che identifica in una innata «grammatica universale generativa» la precondizione all’acquisizione del linguaggio e attribuisce all’esperienza semplicemente la funzione di «mettere in moto» uno schematismo innato. Presupposti fortemente connotati in senso innatista caratterizzano inoltre la teoria degli istinti specifici di McDougall nonché la tipologia di​​ ​​ Sheldon e l’etologia di​​ ​​ Lorenz che attribuiscono importanza fondamentale all’azione dei fattori ereditari nella genesi e nella strutturazione delle condotte. La psicoanalisi freudiana, la teoria piagetiana dello sviluppo, l’etologia post-lorenziana offrono, ciascuna nel proprio ambito e in termini diversi, una soluzione intermedia tra l’ambientalismo e l’i.

3. Secondo gli orientamenti prevalenti, la presenza di strutture psichiche e di schemi comportamentali innati non solo è molto meno significativa di quanto la psicologia scientifica potesse inizialmente ritenere ma soprattutto non è isolabile da fattori acquisiti: ogni modalità innata, nella misura in cui esiste ed è significativa, viene comunque modificata, esaltata o repressa, mutata nei suoi significati e nei suoi fini in ragione di eventi educativi, ambientali e dunque storico-culturali. Complessivamente, i dati tratti dalla ricerca psicologica sottolineano la complessità dell’interazione fra le strutture innate di comportamento e le specifiche caratteristiche dell’ambiente. In particolare la contrapposizione tra ambientalismo e i. è densa di implicazioni ideologiche: si pensi al dibattito particolarmente vivo negli Stati Uniti, relativo all’ereditarietà o meno della superiorità intellettuale di alcuni gruppi rispetto ad altri. L’orientamento innatistico, dunque, in contrapposizione alle teorie che considerano di importanza primaria ciò che è acquisito, finisce per legarsi ai principi del darwinismo sociale e costituisce in questo senso la premessa scientifica al principio della disuguaglianza selettiva degli individui.

Bibliografia

Mecacci L.,​​ Storia della psicologia del novecento,​​ Roma / Bari, Laterza, 1992; Raggiunti R.,​​ I. e linguaggio nel pensiero di Leibniz, Massarosa, Del Bucchia, 1998; Id.,​​ Da Tommaso a Rosmini: indagine sull’i. con l’ausilio dell’esplorazione elettronica dei testi, Venezia, Marsilio, 2003; Barsky R. F. - N. Chomsky,​​ Una vita di dissenso,​​ Roma, Datanew, 2004; Chomsky N. - M. Foucault,​​ Della natura umana. Invariante biologico e potere politico, Roma, DeriveApprodi, 2005.

F. Ortu - N. Dazzi




INNOVAZIONE

 

INNOVAZIONE

È un vocabolo di recente comparsa nella letteratura pedagogica, ma ha avuto successo immediato soprattutto a partire dagli anni ’70, anche ad opera degli organismi internazionali.

1. L’i. come termine richiama il cambiamento, ma nell’ambito pedagogico essa non indica qualunque cambiamento. Un’autentica i., ben lungi dall’improvvisazione, dal cambiamento fine a se stesso, dal pragmatismo deleterio, richiede una serietà di ricerca, sperimentale e non, con un’intenzione deliberata e un accurato processo di programmazione-realizzazione-verifica, il cui risultato deve costituire un effettivo miglioramento qualitativo. Essa indica così l’applicazione dell’esito positivo della ricerca e spesso viene a significare la strategia della ricerca-azione (Action research; Aktionforschung).

2. L’i. è un processo complesso che si effettua a vari livelli: istituzionale, organizzativo, didattico, e richiede competenze e strategie, nonché l’assicurazione delle condizioni e dei mezzi necessari. In questi ultimi decenni la scuola ha vissuto un periodo intenso di trasformazioni profonde attraverso le i. relative a: revisione dei programmi e​​ ​​ programmazione, nuovi sistemi di​​ ​​ valutazione e di​​ ​​ formazione degli insegnanti, collegialità, integrazione scolastica degli handicappati, apertura della scuola al sociale, sperimentazione, continuità educativa, valorizzazione dei nuovi mezzi tecnologici,​​ ​​ e-learning, ecc. I campi toccati dall’i. hanno contemplato, perciò, non solo i cambiamenti​​ concettuali​​ (programmi e metodi di insegnamento,​​ ​​ software​​ didattico compreso, in relazione all’individuazione dei nuovi compiti specifici della scuola), ma anche i cambiamenti​​ relazionali​​ e​​ organizzativi​​ (la partecipazione interna-esterna come criterio organizzativo e formativo, il​​ ​​ team teaching),​​ e i cambiamenti​​ materiali​​ riguardanti attrezzature e sussidi (laboratori multimediali,​​ hardware​​ audiovisivi, biblioteche di lavoro, TV a circuito chiuso e aperto, computer, internet, ecc.). Le riforme scolastiche, sia grandi che piccole, sono pure delle i. pedagogiche, sebbene non sempre in senso positivo soprattutto se sono dovute esclusivamente all’ideologia del regime politico.

3. Urge oggi creare delle vie per un’opportuna comunicazione e cooperazione tra ricercatori, insegnanti e organi decisionali: istituire dei centri di ricerca in connessione diretta con le scuole e gli insegnanti, sia per favorire un flusso ininterrotto d’informazioni tra persone interessate e una partecipazione attiva alla ricerca da parte degli insegnanti, sia per consentire alle autorità competenti di valutare ostacoli e difficoltà nell’introdurre certe i. In ogni caso, l’adeguata formazione iniziale e continua degli insegnanti costituisce il motore principale dell’i.

Bibliografia

Ceri,​​ Études de cas d’innovation dans l’enseignement,​​ 4 voll., Paris, Ocde,​​ 1973; Huberman A. M.,​​ Understanding change in education.​​ An introduction,​​ Paris / Genève, Unesco / BIE, 1973 (31979);​​ House E. R.,​​ Tres perspectivas de la innovación educativa,​​ in «Revista de Educación»​​ 36 (1988) 5-34.

H.-C. A. Chang




INSEGNAMENTO

 

INSEGNAMENTO

L’attività volta a promuovere l’acquisizione di​​ ​​ conoscenze,​​ ​​ abilità,​​ ​​ atteggiamenti e​​ ​​ competenze negli altri per mezzo di opportuni sistemi di rappresentazione e di​​ ​​ comunicazione. Dal lat.​​ insignare,​​ imprimere segni, il termine è stato ben presto utilizzato per indicare la rappresentazione delle informazioni e delle conoscenze​​ in signo sensibili,​​ cioè secondo un sistema di segni sensibili (in signo ponere).​​ D’altra parte​​ insignare​​ significa anche indicare, far segno. L’azione di i. può quindi essere letta sia come azione che mira a rendere sensibili, percepibili le conoscenze, le competenze, i​​ ​​ valori che si intendono proporre all’azione di​​ ​​ apprendimento degli allievi, sia come indicazione del loro significato, del loro grado di plausibilità e del loro valore soggettivo e collettivo (​​ insegnante).

1.​​ Alcuni concetti chiave.​​ S.​​ ​​ Tommaso d’Aquino afferma che: «Il maestro non causa il lume intellettuale del discepolo, né direttamente le specie intelligibili, ma con il suo i. stimola il discepolo perché, applicando la capacità del proprio intelletto, formi i concetti dei quali, dal di fuori, offre i segni» (Tommaso d’Aquino, 1965, 119-121). E ancora: «Il maestro, nei riguardi del discepolo, non fa altro che proporgli dei segni o indicargli qualcosa con parole o con gesti [...]. L’insegnante esercita una funzione esteriore, come il medico che risana; e come la natura interiore è la principale causa della guarigione, così il lume interiore dell’intelletto è la principale causa del sapere» (Ibid.,​​ 113). Non solo l’attivazione dei processi di apprendimento, dunque, ma anche il loro controllo non può essere di conseguenza e in generale che solo indiretto: esso è infatti mediato dai sistemi di segni adottati, includendo tra questi anche i sistemi di relazione instaurati. È il principio fondamentale su cui si fonda la cosiddetta «didattica mediale», espressione che si riferisce all’uso valido e produttivo di adeguati​​ media​​ (ambienti e strumenti) di comunicazione culturale per raggiungere gli​​ ​​ obiettivi didattici intesi. Il primo e fondamentale sistema di segni è il contesto o ambiente di apprendimento stesso considerato nella sua totalità: edifici, aule e loro attrezzature e relativo stato di manutenzione e di pulizia; materiali e strumenti didattici disponibili ed effettivamente utilizzati; sistemi e modalità di relazione attivate e atmosfera generale presente sul piano della comunicazione interpersonale; caratteristiche personali, culturali e professionali dei docenti; attività didattiche progettate e sviluppate; forme linguistiche e conversazioni adottate; ecc. È quello che possiamo chiamare il​​ medium​​ comunicativo fondamentale che costituisce la cornice di sfondo entro cui sono lette, interpretate e valutate le singole azioni didattiche. In questo contesto o ambiente di base vengono via via predisposti e valorizzati sistemi di segni e​​ media​​ particolari.

2.​​ Diversità dei media usati nell’i.​​ I sistemi di segni principali attraverso cui possiamo rappresentare i contenuti della comunicazione culturale sono dati dalle parole (dette o scritte) e dalle immagini (statiche o dinamiche) (Pellerey, 1990), più o meno strettamente intrecciate tra di loro. L’esperienza soggettiva di quanto è segno o può farsi segno può essere diretta oppure mediata. In questo secondo caso si ha l’interposizione di un ulteriore sistema rappresentativo: è il caso del cinema, della televisione, del computer, ma anche del testo scritto, delle opere d’arte riprodotte a stampa, ecc. Nell’esperienza diretta la percezione, l’attribuzione di significato e l’appropriazione delle conoscenze e delle competenze rappresentate sono guidate e sorrette dall’interazione con una o più persone presenti. Nel secondo caso, invece, la percezione, l’attribuzione di significato e l’appropriazione dei contenuti sono nelle sole mani del soggetto. Nel primo caso si costituisce un sistema di interazioni triangolare in cui oltre alla rappresentazione e all’azione di comprensione e appropriazione del soggetto esiste una meta-comunicazione tra insegnante e allievi che sovrintende alla loro interazione. Nel secondo caso l’interazione è bipolare: tra soggetto e rappresentazione. Non solo, esiste una profonda differenza strutturale tra l’i. sviluppato tramite l’uso dell’interazione orale e quello che valorizza testi scritti,​​ ​​ audiovisivi, computer. Nella conversazione, nell’incontro diretto orale, la validità e correttezza della comunicazione vengono immediatamente e con continuità guidate e controllate dall’insegnante. Nell’uso di testi scritti, come in tutte le altre forme di comunicazione indiretta, anche artistica, ci si affida all’interpretazione. Nella lettura di testi scritti a carattere espositivo, per es., dominano la riflessione, l’analisi, la ricerca del senso, la logica, la ricerca di coerenza. Anche psicologicamente l’uso della parola è profondamente diverso dall’uso di altri mezzi comunicativi. Il parlare, infatti, nasce dal nostro profondo, dalla nostra intimità, anche se col tempo subisce evoluzioni e perfezionamenti; lo scrivere è un processo guidato da norme consapevolmente inventate, anche se ormai lo si percepisce come naturale, in quanto profondamente interiorizzato. E questo vale per molte altre tecnologie di comunicazione, come il cinema, la televisione, il computer, soprattutto usato come strumento multimediale.

3.​​ Modelli di i.​​ L’attività pratica che si svolge nell’insegnare coinvolge tre variabili essenziali: l’insegnante, lo studente, il contenuto di i. A queste tre variabili occorre evidentemente aggiungere il contesto nel quale tale attività si svolge. Il prevalere dell’una o dell’altra di queste variabili favorisce la costituzione di una tipologia di modalità di i. Gli elementi che possono essere individuati per caratterizzare tali prevalenze possono essere così sintetizzati: l’approccio teorico-filosofico che viene privilegiato; l’inquadramento psicologico che tende e specificare le modalità di sviluppo dei processi di apprendimento; l’impostazione curricolare che viene adottata. Utilizzando questo quadro di riferimento si possono distinguere almeno quattro modelli base di i.: a) il modello classico nel quale prevale il contenuto e in maniera minore l’insegnante, considerato esperto e modello; b) il modello tecnologico che esalta la scelta e l’organizzazione didattica dei contenuti; c) il modello personalistico, che sottolinea la centralità dell’alunno, attivo costruttore delle sue conoscenze; d) il modello interattivo, che focalizza l’attenzione sull’interscambio tra insegnante e alunno; è durante questa interazione che si costruiscono le conoscenze. Ovviamente nessuno di questi modelli esaurisce la complessità del lavoro di i., per cui il docente dovrà impostare la sua attività strutturando un suo personale approccio, tenuto conto dei suoi orientamenti ideali e dei vincoli istituzionali entro cui egli è tenuto a svolgere la sua professione.

4.​​ Analisi e valutazione dell’i.​​ L’analisi dell’i. può essere sviluppata a partire da approcci disciplinari molteplici. Dal punto di vista della psicologia comportamentale sono state sviluppate tecniche di analisi e modificazione del comportamento insegnante, in particolare esaminando gli scambi verbali intercorrenti tra docente e allievi. Classico è stato il lavoro pionieristico di Flanders (1970). Da un punto di vista più didattico si possono ricordare i lavori di Dussault et al. (1976). Tecniche osservative sistematiche e partecipanti hanno cercato di esplorare più dall’interno il contesto specifico dell’i. La microsociologia ha utilizzato recentemente metodi etnografici e narrazioni, o storie di vita, dei docenti per risalire dai comportamenti esterni ai pensieri e ai sentimenti che animano docenti e allievi durante le interazioni didattiche. La macrosociologia si è interessata, invece, spesso utilizzando il concetto di sistema, al complesso dell’i., visto come insieme strutturato di relazioni interpersonali e istituzionali, di reciproche influenze, di ruoli, di organizzazione dei tempi, degli spazi e delle persone. D’altra parte l’attività di i. ha come scopo fondamentale quello di promuovere un’acquisizione significativa, stabile e fruibile di conoscenze, abilità e atteggiamenti da parte degli studenti. Di conseguenza la qualità dell’i. si misura dai risultati che esso riesce a raggiungere nonostante la diversità di preparazione, di capacità, di motivazione che presentano gli allievi. Tuttavia occorre evitare forme ingenue di valutazione dei risultati dell’i. scolastico o professionale che si basano solo sui livelli finali di apprendimento. Ciò che caratterizza la bontà di un sistema di i. è il guadagno conoscitivo che riesce a raggiungere, cioè la differenza tra stato di preparazione iniziale e risultati finali raggiunti, ovviamente tenendo conto dei vari condizionamenti sociali, economici e culturali sempre presenti. La tendenza a valutare efficacia ed efficienza dell’i. solo sulla base di standard finali raggiunti e riduzione di costi finanziari valorizzando una metafora economicista, può risultare gravemente dannosa nel contesto scolastico, in quanto può indurre facilmente sia a forme più o meno esplicite di selezione, sia ad abbassamento generalizzato dei livelli finali di conoscenza.

Bibliografia

Tommaso d’Aquino (s.),​​ De magistro,​​ Roma, Armando, 1965; De Giacinto S.,​​ Struttura dell’i.,​​ Napoli, Morano, 1967; Flanders N. A.,​​ Analysis teaching behavior,​​ Reading, Addison-Wesley, 1970; Lapp D. et al.,​​ Teaching and learning. Philosophical,​​ psychological,​​ curricular applications,​​ New York, Macmillan, 1975; Dussault G. et al.,​​ L’analisi dell’i.,​​ Roma, Armando, 1976; Joyce B.,​​ Models of teaching,​​ Englewood Cliffs, Prentice-Hall,​​ 21986; Ballanti G.,​​ Modelli di apprendimento e schemi di i.,​​ Teramo, Lisciani & Giunti, 1988;​​ Not L.,​​ L’enseignement répondant,​​ Paris, PUF,​​ 1989; Scurati C. (Ed.),​​ Realtà e forme dell’i.,​​ Brescia, La Scuola, 1990; Mastromarino R.,​​ L’azione didattica,​​ Roma, Armando, 1991;​​ Gimeno Sacristán J. - A. I. Pérez Gómez,​​ Comprender y transformar la enseñanza,​​ Madrid, Morata,​​ 1992; Calidoni P.,​​ I. e ricerca in classe,​​ Brescia, La Scuola, 2004; Bottero E.,​​ Il metodo d’i., Milano, Angeli, 2007.

M. Pellerey




INSEGNAMENTO A DISTANZA

 

INSEGNAMENTO A DISTANZA

Sistema didattico organizzato mediante l’uso di diversi mezzi di comunicazione nel quale gli atti di i. sono eseguiti separatamente dagli atti di​​ ​​ apprendimento.

1. Più specificatamente l’i. a d. è una forma di istruzione in cui si ha: a) una quasi permanente separazione tra docente e discente, e questo la diversifica dall’i, tradizionale faccia a faccia; b) una organizzazione educativa che progetta e prepara i materiali didattici, che li fornisce sistematicamente agli studenti, che li assiste nel loro apprendimento con sistemi di accertamento delle loro acquisizioni, e questo la diversifica da uno studio personale e da programmi di auto-apprendimento; c) un uso integrato di sistemi di comunicazione (come posta, telefono, telematica) e di supporti vari (come stampa, audio, video, programmi informatici, programmi multimediali); d) una comunicazione a due vie tra studente e organizzazione didattica che attiva, anche se con modalità che implicano una separazione spaziale e temporale, una forma di dialogo didattico; e) una forma di i. individuale, che solo può implicare anche incontri, seminari e attività di apprendimento in gruppo. Negli ultimi anni è stata coniata l’espressione​​ ​​ e-learning​​ per indicare forme di apprendimento basate su collegamenti in rete tramite Internet e sull’uso di materiali di tipo digitale.

2. L’i. a d. ha avuto i suoi prodromi in varie forme di istruzione per corrispondenza. Si è sviluppato poi con la diffusione del sistema postale al fine di favorire lo studio e l’apprendimento di competenze professionali soprattutto dove le distanze e le condizioni soggettive impedivano la partecipazione ad attività di studio collettivo tradizionale. Oggi esso è assai diffuso in tutti i continenti, soprattutto nel campo universitario e della formazione professionale. In Italia si hanno alcune organizzazioni private e, più recentemente, sulla base anche di alcune iniziative universitarie, soprattutto nel campo dell’aggiornamento, sono state emanate norme per l’attivazione di corsi universitari a distanza. Sono presenti anche iniziative di formazione permanente basate su​​ e-learning.

Bibliografia

Sarramona J.,​​ Tecnología de la enseñanza a distancia,​​ Barcelona, CEAC,​​ 1975; Bertoldi F.,​​ Formazione a distanza. La seconda didattica,​​ Roma, Armando, 1980; Pellerey M., «Verso un sistema di orientamento e formazione a distanza», in ISFOL,​​ Quaderni di formazione,​​ 6, 1983, 21-228; Vertecchi B. (Ed.),​​ Insegnare a distanza,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1988; Keegan D.,​​ Principi di istruzione a distanza,​​ Ibid., 1994; Willis B. (Ed.),​​ Distance education: strategies and tools,​​ Englewood Cliffs, Educational Technology Publications, 1994; Trentin G.,​​ Dalla formazione a distanza all’apprendimento in rete, Milano, Angeli, 2004; De Vita A.,​​ E-learning: parole e concetti. Glossario ragionato della formazione e del lavoro in rete, Ibid., 2004; Crispiani P.,​​ E-learning. Formazione,​​ modelli,​​ proposte, Roma, Armando, 2006.

M. Pellerey




insegnamento della GEOGRAFIA

 

GEOGRAFIA: insegnamento della

La g. (etimologicamente: scrittura o descrizione della terra) è una disciplina complessa e in continuo divenire, non solo descrittiva ma anche esplicativa della terra vista in stretta relazione con l’uomo che è osservatore e attore, per cui il suo oggetto di studio riguarda il fatto antropofisico, l’habitat​​ umano, la biosfera, l’ecosistema, quindi la sinergia uomo-ambiente dalla scala locale a quella mondiale. Data la vastità del suo ambito di studio si parla della pluridimensionalità della scienza geografica, che esige un modo nuovo di affrontarla. Oggi l’insegnamento della g. non può non prendere in considerazione le cosiddette nuove scienze «sistemiche»: ecologia, scienze della terra, cosmologia.

1.​​ L’insegnamento della g. nella storia dell’educazione e della pedagogia.​​ La g. è strettamente collegata all’insegnamento della​​ ​​ storia, in quanto la collocazione dei fatti e degli avvenimenti va fatta nel luogo e nel tempo del loro accadimento. Proprio per questa sua funzione di localizzazione di genti e Paesi, l’insegnamento della g. è sempre esistito fin dall’antichità, sebbene in modo limitato e non scientifico, spesso subordinato alla storia. L’importanza dello studio della g. è stata rilevata in particolare da​​ ​​ Comenio,​​ ​​ Locke,​​ ​​ Rousseau e​​ ​​ Kant. Dal punto di vista didattico la g. ha cominciato ad avere un’attenta considerazione nella pedagogia contemporanea. La g. però è una delle materie di studio, che ha riscosso minor interesse per l’apprendimento, perché il suo insegnamento non raramente veniva limitato a un noioso inventario di nomenclature e di dati da studiare a memoria.

2.​​ Finalità e obiettivi dell’insegnamento della g.​​ La finalità ultima dell’insegnamento della g. consiste nel formare cittadini attivi e responsabili del mondo, che sappiano convivere armonicamente con il loro ambiente e modificarlo in modo creativo e responsabile guardando al futuro. Si tratta di dare all’uomo la coscienza della dimensione spaziale della sua esistenza, ossia una​​ coscienza geografica​​ che esprime la consapevolezza dei legami tra l’ambiente fisico e i sistemi soprattutto politico-economici, e delle conseguenti responsabilità dei gruppi umani e di ogni singolo cittadino nei confronti del territorio sia locale che mondiale. Perciò non solo è importante conoscere le caratteristiche di un territorio, ma anche e nello stesso tempo, sapere, servendosi degli approcci sia sincronici che diacronici, quando-come-perché si è arrivati ad una determinata configurazione territoriale così pure sapere perché, dove e in che misura è possibile modificare / riorganizzare un territorio, e con quale impegno e responsabilità. È una disciplina la cui rilevante valenza formativa si coglie oggi più che mai, proprio in questa considerazione metodologica: descrizione e ricerca delle cause immediate e remote del fatto antropofisico nonché dell’attuale biosfera.

3.​​ Contenuti e metodi dell’insegnamento della g.​​ Per tale insegnamento, come per la storia, bisogna trovare un adeguato dosaggio e combinazione circa i contenuti relativi ad alcune apparenti dicotomie: g. fisica e g. antropica, g. regionale e g. nazionale, g. nazionale e g. continentale, g. continentale e g. mondiale. Il criterio didattico è quello di partire dall’ambiente dell’alunno, dal vicino al lontano, in cerchi concentrici, in adeguamento alle diverse età degli alunni. Lo studio della g. deve essere un avviamento al metodo scientifico con un appropriato linguaggio della g. A tale scopo, attraverso l’osservazione diretta, la lettura delle carte, la consultazione di dati statistici ecc., bisogna sviluppare l’attitudine razionale alla ricerca delle cause, degli effetti e delle correlazioni esistenti fra i vari fatti e fenomeni, allo studio dei processi evolutivi, alla comparazione. È disponibile oggi un ampio ventaglio di​​ ​​ mezzi didattici per la g.: oltre ai classici strumenti materiali (carte geografiche, atlanti, cartelloni plastici, mappamondo, ecc.) c’è la possibilità di un continuo arricchimento grazie alla diffusione dei mass-media, ai viaggi sempre più facilitati (con possibilità di fotografare e di fare riprese dal vivo) e agli elaboratori elettronici.

Bibliografia

Baldacci O.,​​ Perché la g.,​​ Brescia, La Scuola, 1980; Haubrich H. (Ed.),​​ International focus on geographical education,​​ Braunschweig, Georg-Eckert-Institut für Internationale Schulbuchforschung, 1982;​​ Bordman D. (Ed.),​​ New directions in geographical education,​​ London, The Falmer Press, 1985; De Vecchis G. (Ed.),​​ The teaching of geography in a changing Europe,​​ Roma, Domograph, 1991; Souto González X.,​​ Didáctica de la geografía: problemas sociales y conocimiento del medio, Barcelona, Ediciones del Serbal, 1999.

H.-C.A. Chang​​ 




insegnamento della LINGUA MATERNA

 

LINGUA MATERNA:​​ insegnamento della

L’orientamento didattico che si offre oggi all’insegnante di l. rappresenta sostanzialmente il frutto di due diversi indirizzi: una mutata concezione della l., posta in evidenza specialmente dalla linguistica descrittiva, e una più sentita aderenza alle istanze psicologiche del processo di apprendimento. La prima esigenza, quella linguistica, ha certamente contribuito a destare nell’insegnante un vivo senso della mutabilità delle strutture della l. e insieme del valore primario, per l’insegnamento, della contemporaneità, ossia dei modelli linguistici offerti dai parlanti e dagli scrittori odierni. La seconda ha invece fatto sì che il metodo didattico si adeguasse più efficacemente a certi obiettivi pratici di educazione linguistica e a certi ritmi che sono peculiari del discente proprio nella sua graduale conquista dello strumento linguistico.

2. Rispetto al concetto tradizionale di fissità e trascendenza della norma grammaticale, la linguistica attuale, pur riconoscendo l’esistenza di una norma che governi l’uso della l., rifugge tuttavia dall’attribuire un valore assoluto alle leggi linguistiche. Anche la fonologia e la morfologia, che pure rappresentano le strutture più fortemente obiettivate del linguaggio, non sono tuttavia prive di una certa suscettibilità di variazione individuale e di evoluzione nel tempo. Tali norme linguistiche (fonologiche, morfologiche, lessicali, e soprattutto sintattiche e stilistiche), di conseguenza, non possono avere valore assoluto, ricavate come sono da una fase stabilizzata della l., per essere applicate ad atti espressivi mutevoli insieme ai sentimenti degli individui, alle esigenze dell’ambiente, allo svolgimento della cultura. In pratica, il problema si traduce nella difficoltà di determinare i canoni della correttezza linguistica, soprattutto sotto l’aspetto più cruciale della ortodossia grammaticale. Non c’è forse problema più scottante, oggi, nell’insegnamento della grammatica. In fondo, si tratta di scegliere tra una presunta «autorità», trascendente la l. stessa, e l’uso socialmente dominante. Da tutto ciò consegue per l’insegnante l’impreteribile necessità di aggiornarsi sui contributi della scienza linguistica sia per attingerne criteri di sano progressivismo, sia anche per evitare affrettate iconoclastie nei riguardi delle formule tradizionali. Accanto allo studio filologico, che nutrirà particolarmente la sua cultura letteraria, egli dovrà aprirsi non meno alle nuove visioni della linguistica sincronica, che lo rendano idoneo ad intendere e equamente valutare i contributi della l. contemporanea. In secondo luogo, va notato che l’accettazione dell’istanza psicologica da parte della didattica linguistica ha rivoluzionato le tradizionali concezioni metodologiche. Per cui l’orientamento attuale della didattica linguistica viene a presentare due evidenti contrassegni: a)​​ aderenza ai fattori psicologici dell’apprendimento​​ quale si verifica soprattutto nell’allievo giovane; b)​​ funzionalità di obiettivi,​​ per cui più non si concepisce un insegnamento tendente ad imbottire i cervelli di definizioni astratte e di nomenclature grammaticali, ma si vuole dare all’allievo l’immediata capacità di far buon​​ uso​​ della l. che gli si insegna.

3. Possiamo ridurre a due le finalità della l.m.: a) assicurare al giovane uno​​ strumento perfetto di autoespressione,​​ curando la capacità espressiva sia nel suo aspetto formale, e perciò assicurando le due doti della​​ sincerità​​ (adeguazione fra mente e parola, quindi rifuggente dalla retorica – espressione che supera il contenuto dell’esperienza personale – e dalla inespressione – forma inadeguata al contenuto –) e dell’originalità​​ (esistente qualora l’eloquio sia specchio fedele dell’animo individuale); sia nel suo aspetto materiale, curando quindi la​​ ricchezza​​ dell’eloquio (vocabolario sufficientemente nutrito) e la​​ consapevolezza​​ linguistica (possesso cosciente delle esigenze grammaticali); b) ad uno scopo di maggior perfezione linguistica e spirituale, si rende però necessario lo studio della​​ ​​ letteratura che deve trasmettere al giovane quei valori culturali e quella perfezione di sentire che sono incastonati nelle creazioni culturali del genio nazionale.

4. Ma perché tali finalità possano essere veramente raggiunte, oltre ad un solido contenuto di programma scolastico, si richiede l’applicazione di una​​ metodologia didattica​​ «razionale». La vera coscienza riflessa di un problema del «metodo» nell’insegnamento linguistico è di data recente: la riposizione critica del problema la troviamo in Comenio (​​ Komenský),​​ ​​ Rousseau,​​ ​​ Pestalozzi,​​ ​​ Fröbel, e poi soprattutto nei pedagogisti del sec. XIX e nei contemporanei. Un’impronta particolare è stata lasciata in questo campo da un maestro ginevrino del secolo scorso, il francescano p.​​ ​​ Girard, e da un didatta italiano del nostro secolo,​​ ​​ Lombardo-Radice. I risultati di questa revisione critica si possono riassumere in un solo principio: ritornare al​​ metodo «naturale»,​​ le cui leggi essenziali sono implicite nel metodo​​ materno​​ per la coltura del linguaggio infantile. Il metodo «naturale» – considerato come procedimento ideale – è un metodo​​ vivo,​​ ossia sostanziato di «parlare» e schivo dalle definizioni astratte e dalla fredda nomenclatura;​​ globale e concreto,​​ in quanto rispondente ai bisogni e agli interessi reali del giovane e fondato sull’intuizione o sulla percezione di entità globali (il discorso, la frase, totalità insomma aventi senso compiuto) e non sulla analisi di elementi semplici staccati dal tutto organico a cui appartengono;​​ graduale,​​ che cioè manuduce il giovane lungo le tappe progressive del suo sviluppo espressivo senza forzarlo.

5. Da un punto di vista​​ tecnico,​​ due sono sostanzialmente le garanzie di efficacia didattica nell’insegnamento delle l., e particolarmente di quella nazionale: a) creare un «ambiente linguistico» favorevole alla libera e corretta espressione; ciò richiede di far sorgere nella classe un ambiente di​​ spontaneità familiare,​​ misto quindi di confidenza e di serietà, che permetta agli allievi di parlare con moderata libertà per manifestare bisogni e interessi reali di vita (oralmente o per iscritto); e di assumere il parlare e lo scrivere spontaneo come​​ contenuto​​ del proprio insegnamento, che dovrà essere nella scuola primaria in gran parte spicciolo od occasionale; b) funzionalizzare il metodo per​​ tendere a perfezionare l’«uso» della l.​​ In pratica, ciò significa: orientare la grammatica, la conversazione, la lettura e il vocabolario al perfezionamento della composizione (orale e scritta). Pertanto, nel primo stadio dell’insegnamento linguistico tutto deve diventare​​ avviamento al comporre.​​ Soltanto in seguito, mediante un progredito studio della letteratura, si tenderà all’affidamento della coscienza linguistica​​ e all’assimilazione di valori culturali ed estetici.

Bibliografia

a) Natura della l.: Bloomfield L.,​​ Language,​​ London, Allen and Unwin, 1933; De​​ Saussure F.,​​ Cours de linguistique générale,​​ Paris, Payot, 1949 (trad. it.​​ Bari, Laterza, 1970); Devoto G., «Essenza della l.», in​​ La didattica della l. it.,​​ Genova, Centro Didattico Naz. per la Scuola Elem., 1955. b) Psicologia del linguaggio: Bruner J.,​​ Lo sviluppo del linguaggio nel bambino,​​ Roma, Armando, 1991; Freddi G.,​​ Il bambino e la l.,​​ Padova, Liviana, 1991; Vygotsky S. L.,​​ Pensiero e linguaggio,​​ Bari, Laterza, 1992; Titone R.,​​ La psicolinguistica ieri e oggi,​​ Roma, LAS, 1964 / 1993. c) Didattica della l.: Titone R.,​​ L’insegnamento delle materie linguistiche e artistiche,​​ Ibid., 1963; Tulasiewicz W. - A. Adams,​​ Teaching the mother tongue in a multilingual Europe, London, Continuum International Publishing Group,​​ 2005.

R. Titone




insegnamento della LINGUA STRANIERA

 

LINGUA STRANIERA:​​ insegnamento della

La questione didattica dipende molto dai presupposti teorici che si danno.

1. Gli ultimi sviluppi del concetto di didattica delle l. hanno posto in evidenza la necessità di una fondazione scientifica multi e inter-disciplinare. Le basi interdisciplinari di questa nuova scienza sono costituite da una varietà di saperi di natura linguistica, psicologica, sociologica, antropologica ed etnologica, pedagogica, cibernetica e informatica, e di metodologia della ricerca psicopedagogica, ma altresì da una visione storica dell’evoluzione dei metodi glottodidattici lungo i secoli. La visione storica è tuttavia il punto di partenza, in quanto permette di vagliare le esperienze e le concezioni in base alla loro efficacia a posteriori, e di formulare ipotesi fondate come guida a nuove esperienze e a nuove teorie. Oltre i documenti su antichissime tradizioni didattiche risalenti ai Sumeri e agli Egizi, ai Greci e ai Romani nell’ambito di una scuola plurilingue, nella storia ricorrono i nomi di grandi pionieri della teoria glottodidattica, come il celebre pedagogista boemo​​ ​​ Comenio (sec. XVII) e i maestri delle scuole di Port-Royal, fino alla rivoluzione della fine del sec. XIX e della prima metà del nostro sec.

2. Il primo problema posto dalla pedagogia interlinguistica e interculturale è quello della definizione delle finalità dell’apprendimento delle l., soprattutto nelle prospettive della società contemporanea, ma anche in funzione di uno sviluppo integrale dell’uomo fin dalla prima infanzia. Sul piano della componente linguistica in senso sistemico e sociale, si è proposto negli anni ’50 il problema dell’analisi comparativa e contrastiva (somiglianze e differenze) delle l. coinvolte nel processo di apprendimento; un confronto tra le caratteristiche strutturali della prima l. e della seconda l., in funzione di una prevenzione degli errori soprattutto di interferenza. Nella stessa prospettiva della linguistica descrittiva si sono posti vari problemi: quello del contatto tra l. e culture diverse (sociologia del biplurilinguismo), delle varietà dei codici intrasistemici (le microlingue, ossia l. per scopi e livelli diversi, livelli di apprendimento graduati secondo l’età e la scolarizzazione, usi professionali e scientifici, varietà linguistiche secondo i contesti sociali e comunicativi, ecc.), dell’apprendimento della grammatica​​ vs.​​ l’acquisizione di abilità automatizzate, ecc. Sul piano della psicologia (​​ psicolinguistica) dei processi di apprendimento di una seconda l., si sono studiati i fenomeni psicologici del​​ ​​ bilinguismo, nelle sue diverse forme individuali e sociali, e, più profondamente, i fattori governanti un’acquisizione ottimale di una seconda l. (di ordine senso-motorio, cognitivo, affettivo, sociale, culturale, morale). Su questo terreno si sono confrontate tendenze teoriche di diverso orientamento: dalla teoria comportamentistica a quella cognitivista, a quella affettivo-clinica, e finalmente al tentativo di un superamento delle unilateralità e dei riduzionismi grazie alla sussunzione di una visione integrale e integrata quale la teoria «umanistico-personalistica», postulante il coinvolgimento – sia a livello finalistico che causale – di tutte le componenti della personalità del discente (v. il Modello olodinamico di Titone, che postula la compresenza e convergenza di tre livelli essenziali della operatività umana: il livello tattico, strategico ed egodinamico).

3. Dalla deduzione da questi fondamenti scientifici di natura intersistemica, e dal risultato induttivo delle ricerche sperimentali e / o operative, si è giunti a definire la configurazione di orientamenti (approcci) e metodi (sistemi procedurali) validi e più efficaci che nel passato, destinati a conferire sicurezza di intervento da parte dell’insegnante e di partecipazione da parte dello studente. Due problemi derivati sono in corso di studio in molti Paesi: quello della scelta e della validazione di adeguate tecniche glottodidattiche (da quelle di natura verbale a quelle più recenti di natura iconica: audiovisive, cibernetiche / computazionali, drammatiche / teatrali); un secondo, ma non ultimo in importanza, è il problema dell’adeguata formazione dell’insegnante di l., sul piano della competenza linguistica e su quello della capacità professionale-didattica. Infine, nella prospettiva di una ottimale collocazione dell’apprendimento di una l2 sulla scala della scolarizzazione e dello sviluppo psico-sociale del discente, si vanno oggi tentando in molti Paesi esperienze di insegnamento della l2 a livelli precoci, dalla scuola materna alla scuola elementare (si vedano gli esperimenti anche italiani, fin dal 1960).

Bibliografia

Titone R.,​​ Glottodidattica: un profilo storico,​​ Bergamo, Minerva Italica, 1980; Id.,​​ Theoretical models and research methods in the study of second language acquisition,​​ Toronto, CISC, 1988; Id.,​​ Introduzione alla glottodidattica: le l.s.,​​ Torino, SEI, 1990; Serra Borneto C. (Ed.),​​ C’era una volta il metodo. Tendenze attuali nella didattica delle l.s., Roma, Carocci, 1998; Cangià C.,​​ L’altra glottodidattica.​​ Bambini e l.s. fra teatro e computer, Firenze, Giunti, 1998.

R. Titone