1

IDEALISMO PEDAGOGICO

 

IDEALISMO PEDAGOGICO

Con l’espressione i.p. si designa una particolare modalità di rapporto tra la filosofia e la pedagogia, perseguita, nell’Italia della prima metà del Novecento, da autori come​​ ​​ Gentile,​​ ​​ Lombardo Radice e in misura diversa, più contaminata da altri influssi, da professori come Gino Ferretti,​​ ​​ Codignola, Bernardino Varisco.

1. Mentre in tutte le grandi tradizioni filosofiche la pedagogia era di fatto uno sviluppo del confronto necessario tra premesse teoriche e la realtà depositaria dei dati dell’esperienza, così da configurarsi più come arte che come scienza, l’i.p. tende come suo dovere teorico e logico ad assorbire la pedagogia nella filosofia che diventa il luogo in cui si fondano tutte le scienze, quelle della natura come quelle dello spirito. L’i.p. si distingue perciò dal​​ ​​ positivismo pedagogico o dallo​​ ​​ storicismo pedagogico per la ricerca di un principio unitario che non solo vivifichi, ma fondi tutta l’esperienza umana. In realtà, più che di i. sarebbe opportuno parlare, nel caso italiano, di neoidealismo. Se infatti di una filosofia idealistica moderna si può parlare con riferimento a tutti i contesti europei, l’i. italiano, di matrice mista, rinascimentale e kantiana prima ancora che hegeliana, è molto particolare perché è stato generato oltre che da un intento speculativo, dal bisogno civile di ricondurre ad unità e razionalità l’impetuoso affacciarsi della società borghese alla vita dello Stato. Premessa della soluzione metafisica dell’attualismo gentiliano fu certamente l’appello crociano per una «rinascita dell’ideale», nei primi anni del secolo. Esso segnava il massimo tentativo di apertura della cultura nazionale e risorgimentale al confronto europeo e insieme il migliore contributo italiano alla rinascita della filosofia come problema fondamentale dell’uomo, come fondazione umanistica della metafisica o dell’antimetafisica. Ma mentre per Croce gli sviluppi furono contrassegnati da un sempre più marcato storicismo e in campo politico da un intransigente liberalismo, per una parte degli intellettuali italiani, riunitisi intorno alla figura di Gentile, la scoperta della possibilità teorica di far coincidere la pedagogia con la filosofia e per suo tramite con la didattica, aprì le porte di un impegno diretto nel campo della formazione e in particolare in quello della scuola, che portò a schierarsi dalla parte dell’autorità incarnata dallo Stato. Più che per ogni altra sua versione contemporanea vale pertanto per il neoidealismo italiano la definizione di «pedagogico», perché non esiste nessun sistema speculativo contemporaneo che con più forza di quello di Giovanni Gentile abbia legato il carattere autogenetico dello spirito alla pratica autoeducativa del conoscere-facendo e alla riforma dell’educazione e della scuola attraverso la riqualificazione e la rimotivazione degli insegnanti e dei maestri. La personalità è l’unità assoluta dell’uomo nel suo farsi e l’educazione – affermò Gentile a più riprese – non può assolutamente riferirsi all’uomo se non «immedesimandosi con il suo movimento radicale e perciò conformandosi interamente alla sua unità» (Gentile, 1920). Parallelamente però, anche la nazionalità di un popolo non consisteva – per il filosofo siciliano – semplicemente nel suo contenuto empirico o molteplice, «bensì nella​​ forma​​ che un certo contenuto della coscienza umana assume quando si ritenga costitutivo del carattere di un popolo».

2. Le posizioni avversarie dell’i.p. sono state fin dalle origini la psicologia e l’etica nella loro legittima pretesa di darsi uno statuto di scienze autonome parziali al servizio di un approccio pluralista al sapere e alla vita. Non a caso Gentile prese le mosse nel 1900 dalla critica allo​​ ​​ Herbart. La contrapposizione era prima ancora che sulle premesse di contenuto o sui fini, sul concetto del metodo della conoscenza che per l’i. non poteva essere che unico ed universale, fondato sul processo dell’autocoscienza. Perché tutto ciò che si poneva al di fuori e che resisteva alla dialettica dello spirito non era criticabile in quanto distinto, ma addirittura in quanto irreale. La molteplicità era il prodotto di un soggetto costantemente sollecitato a soggettivare il suo oggetto. E tuttavia non avrebbe potuto esistere un’autocoscienza astratta, che non si concretasse in una coscienza che non fosse sempre coscienza di qualche cosa. È in questo contesto che prese sempre più posto all’interno dell’i.p. l’affermazione gentiliana dell’educazione come sintesi a priori e dunque come possibile risoluzione della dualità tra maestro e allievo nell’unitarietà dell’atto educativo. Un atto educativo non determinato tanto dalla qualità psicologica del rapporto quanto dalla coincidenza dei momenti spirituali di educatore ed educando, che battono all’unisono pur procedendo distintamente a compiere il medesimo atto. Intorno a questo tipo di rapporto maestro-scolaro venne a ricostituirsi l’intera costellazione dei concetti e delle pratiche educative tradizionalmente esaminate come momenti successivi di un percorso empirico e quindi a fondarsi anche una particolare teoria della libertà basata sul riconoscimento interiore del dover essere della sostanza spirituale. Ed è in questa prospettiva di superamento di ogni dualismo empirico che poté essere enfatizzato il carattere «spirituale» della cultura come fondamento della società: «La cultura, la vita spirituale che per opera del maestro acquistiamo, non è solo qualche cosa di intimo a noi, ma noi stessi, nella vita in cui questo noi si realizza: più intimo a noi, direbbe G. Bruno, che noi non siamo a noi medesimi. Di modo che, se ogni incontro e contatto dell’uomo con l’uomo è una società, e quindi un’amicizia che richiede mutua fede e accordo di anime, la consuetudine dell’educatore e dell’educando è intrinsechezza spirituale, unità intima, amore» (Gentile, 1913).

3. Il problema dell’i.p., così come per ogni altra filosofia che pretenda di assorbire la pedagogia, è sempre stato quello di valutare se l’impianto speculativo di cui si era dotato, molto potente, soddisfacesse in realtà a tutte le esigenze della pedagogia, anche perché il valore di una teoria si misura sulla sua capacità di rispondere non soltanto ad un bisogno astratto di spiegazione, ma anche a domande specifiche di vita quotidiana e ad interrogativi nuovi. Il contributo di analisi e di esperienza vissuta di Lombardo Radice fu a tal fine decisivo. Se come teoria generale dell’educazione egli non avrebbe potuto spingersi oltre il suo maestro Gentile, come creatore di didattica ed autore di programmi scolastici – sono suoi quelli per la scuola elementare del 1924 – seppe arricchire il panorama pedagogico italiano con utilissime riflessioni sulla spontaneità e la libertà del fanciullo, ma soprattutto dimostrando che dalla medesima impostazione filosofica si potevano trarre indicazioni pedagogiche ed educative diverse e quindi riportando il rigido schematismo gentiliano a confrontarsi con metodi ed esperienze di scuola che valevano, prima ancora per la loro leggibilità in termini filosofici, per la loro straordinaria efficacia nel motivare, nell’interessare e nel far maturare i ragazzi.

Bibliografia

Gentile G.,​​ Sommario di pedagogia generale,​​ vol. I, Bari, Laterza, 1913; Id.,​​ La riforma dell’educazione,​​ Milano, Treves, 1920; Hessen S.,​​ L’i.p. in Italia. G. Gentile e G. Lombardo-Radice,​​ Roma, Armando, 1966; Braido P.,​​ Filosofia dell’educazione,​​ Zürich, PAS-Verlag, 1967; Piccioni L.,​​ I.​​ e filosofia del Neo-i. italiano,​​ Urbino, Università, 1983; Bobbio N.,​​ Profilo ideologico del Novecento italiano,​​ Torino, Einaudi, 1986.

G. Tognon




IDENTIFICAZIONE

 

IDENTIFICAZIONE

Per i. si intende l’insieme dei processi che portano un soggetto ad assumere sia gli aspetti della​​ ​​ personalità di un’altra persona presa come modello, che le sue caratteristiche e i​​ ​​ valori; essa comporta dunque una modificazione, una riorganizzazione di modi di fare, di pensare, di desideri, interessi, ecc., per assomigliare al modello. Questa i. può anche avvenire nei riguardi di gruppi sociali e di istituzioni. Il termine, usato per la prima volta da S.​​ ​​ Freud nel 1897 in una lettera a Fliess, fu in seguito da lui modificato e variamente specificato, nonché usato nelle sue opere successive con varie accezioni. Freud però intendeva riferirsi sempre ad un meccanismo fondamentale dell’evoluzione della persona, che contribuisce alla formazione della personalità, che plasma il carattere e forma l’identità personale. Dopo Freud è stato scritto molto sull’i., considerata sia un meccanismo di difesa che un processo evolutivo normale.

1. L’i. è vista dai teorici della personalità come uno stato a cui la persona giunge attraverso un processo di imitazione di un modello che, nei primi anni, è rappresentato dai genitori; successivamente il fanciullo si identifica con altre figure quali fratelli più grandi, amici, personaggi dello spettacolo ed altri. Facilita il processo di i. la presenza di una dimensione affettiva e la percezione di una somiglianza tra il soggetto ed il modello, nonché la consapevolezza del prestigio e della competenza del modello stesso. Non uno solo di questi fattori determina l’i., ma l’interazione di tutti e tre, anche se con peso diverso. Il processo, inoltre, è sempre presente, sia pure in varie forme, lungo tutto l’arco della vita della persona e può essere usato per affrontare meglio la separazione da oggetti d’amore. Sono state individuate diverse modalità di i. che hanno preso vari nomi. Ricordiamo così l’i. «anaclitica» che avvenendo nel primo periodo di vita del bambino ha come oggetto la madre e si presenta come uno stato di fusione con lei, con durata non prevedibile.

2. Un’altra forma, identificata da A.​​ ​​ Freud, è l’i. con l’«aggressore», che compare nel bambino verso i 15-18 mesi d’età, epoca in cui cominciano ad apparire in lui le prime spinte verso l’autonomia in contrasto con le regole imposte dalla madre. In questa situazione che il bambino percepisce come difficile per lui, egli introietta alcuni aspetti dell’onnipotenza attiva ed aggressiva che sente posseduti dalla madre al fine di ridurre l’​​ ​​ ansia. Verso i 3-6 anni ricompare nuovamente la spinta all’i., ma questa volta essa ha per oggetto il genitore del sesso opposto percepito troppo potente per venir attaccato direttamente, è interessante tener presente che a volte è possibile identificarsi non con l’aggressore, ma con l’aggressione subita o anche soltanto immaginata.

3. Vi sono poi dei tipi di i. che si basano su processi di esteriorizzazione, e fra questi ricordiamo l’i. «proiettiva», concetto moto dibattuto e su cui ci sono posizioni diverse; in generale essa consiste nel proiettare parti del Sé su di un oggetto esterno. Se la persona che riceve la proiezione è disposta ad accoglierla ed a restituirla al soggetto alleggerita e resa più sopportabile, accompagnandola con un atteggiamento affettuoso, l’esito di tale proiezione sarà positivo. Vi sarà al contrario un esito negativo se la proiezione viene respinta dalla persona ed anzi caricata di aspetti personali spiacevoli e cattivi. Ciò avviene, di solito, a causa dei problemi delle persone oggetto della proiezione. Sempre in questo settore ricordiamo quel tipo di i. che si può chiamare di «dipendenza» in quanto la persona sente di poter vivere solo in un rapporto di amore e di sicurezza offertole da un’altra persona a lei cara. Va tenuto presente che questa i. è diversa da quella chiamata «speculare» in quanto in questa il soggetto dà solo importanza alle somiglianze con sé individuate nell’altro e in cui considera l’altro come la copia di se stesso. Questo costituisce un pericolo in quanto, per la formazione di una corretta immagine di sé, è necessario che l’altro sia percepito come differente da se stesso. Pure basata su meccanismi di esteriorizzazione, è l’i. chiamata «imitativa» o «adesiva» che però è molto diversa dalle precedenti in quanto il soggetto si identifica solo con l’apparenza esterna ed il comportamento dell’altro senza che nella sua personalità si verifichino modificazioni profonde. Ma, se la modalità identificatoria non si ferma a questo, anche tale particolare tipo di i. può essere positiva in quanto permette di fare esperienze di successi o di sconfitte attraverso l’uso dell’onnipotenza e delle caratteristiche dell’altro, fino a giungere a saper dominare il mondo delle cose, a sapersi adattare alle situazioni, ad organizzarsi nelle azioni in maniera personale e creativa.

4. Da quanto esposto è facile individuare quante e quali siano le difficoltà insite nel processo di i. intrapreso da ogni persona poiché esso potrebbe anche avere un esito patologico qualora l’oggetto di i. non fosse empaticamente disponibile come modello. Si può individuare in questi ed in altri tipi di i. anche una caratteristica protettiva quando essi permettono alla persona di sottrarsi per qualche tempo a forze avverse che vorrebbero privarla con violenza della possibilità di crescere e di vivere la propria affettività, non consentendole così di costruire o conservare la propria identità; se grazie all’i. la persona può guadagnare del tempo per riorganizzare le proprie capacità di reazione agli eventi, si può cogliere la positività di tale funzione. Le varie i. hanno anche un ruolo positivo e di aiuto nella crescita quando, grazie all’i. con un modello positivo e gratificante, viene permessa l’interiorizzazione delle norme, la formazione della coscienza, e quella di atteggiamenti specifici del proprio sesso, nonché una soddisfacente​​ ​​ socializzazione.

Bibliografia

Freud S., «Minute teoriche per Wilhelm Fliess», in S. Freud,​​ Opere 1892-1897. Progetto di una psicologia ed altri scritti,​​ Torino, Bollati Boringhieri, 1968, 58-63; Schafer R.,​​ Aspetti dell’interiorizzazione,​​ Roma, Armando, 1972; Grinberg L.,​​ Teoria dell’i.,​​ Torino, Loescher, 1982; Erikson E. H.,​​ Gioventù e crisi di identità,​​ Roma, Armando, 1984; Sandler J.,​​ Proiezione,​​ i.,​​ i. proiettiva,​​ Torino, Bollati Boringhieri, 1988; D’Alessio C.,​​ Il fanciullo dotato. I. e ambiente educativo, Salerno, Edisud, 2002.

W. Visconti




IDENTITÀ

 

IDENTITÀ

Per lungo tempo il termine i. è stato onnicomprensivo e solo in un secondo momento sono state introdotte distinzioni tra i. personale, sessuale, di genere e sociale.

1.​​ Tipi di i.​​ Per i. personale si intende una struttura mentale, con proprietà sia cognitive che affettive, che comprende la percezione di sé come essere distinto e separato dagli altri, con un insieme di caratteristiche diverse, pur nella loro similarità, da quelle di ogni altro individuo. Essa consente una percezione ed una valutazione di sé come persona con una propria coerenza ed una continuità che persiste nel tempo, provocando così la sensazione di essere un individuo unico, con una propria realtà. L’i. sessuale è legata al modo in cui la persona si percepisce e si definisce in relazione al proprio corpo. Infatti alla nascita ogni individuo presenta delle caratteristiche sessuali specifiche che gli sono date dagli organi sessuali in base a cui lo si definisce come uomo o donna. Il sesso è quindi legato alle caratteristiche biologiche della persona a cui si accompagnano le attitudini che si sviluppano nel tempo in quanto legate all’essere predisposti come uomo o donna. Per i. di genere si intende il riconoscimento e la consapevolezza che ciascuno ha di sé come maschio o femmina, ed è, di conseguenza, una creazione culturale, legata a fenomeni socioculturali, che di solito si consolida nel​​ ​​ bambino in maniera specifica e stabile verso la fine dell’età prescolare. Da questo periodo in poi il modo in cui il​​ ​​ fanciullo si relaziona con i genitori si diversifica in rapporto alle caratteristiche sessuali. Nel periodo di età che va approssimativamente dai 6 ai 12 anni, nel fanciullo viene ad organizzarsi quella che si può chiamare i. sociale, poiché gli viene ormai assegnato un posto nella società, posto in parte mobile essendo legato al suo sviluppo, in parte potenziale, in quanto si può far riferimento a quella che sarà la sua futura professione, ed in parte permanente, come quando, ad es., ci si riferisce al suo credo religioso.

2.​​ L’elaborazione dell’i.​​ Ciascuna persona durante gli anni evolutivi elabora un proprio concetto di i. che comprende l’insieme dei ruoli e delle qualità che, a suo parere, la distinguono da ogni altra. In questo lavoro di selezione e di appropriazione di tratti, scopi, motivazioni, valori, ecc., agiscono elementi cognitivi, fattori inconsci e pressioni sociali. Tutto ciò avviene tra molte difficoltà. Infatti nella prima fanciullezza si trovano delle forme di i. che possono vedersi come immaginarie in quanto fanno riferimento a personaggi eroici, o sono un adeguamento ad i. volute o suggerite dagli educatori ed accettate sotto la spinta dell’affetto che lega il soggetto alle persone significative che gliele propongono. Sono i. che possono convivere insieme ed ignorarsi a vicenda. Ma proprio perché sono in larga misura forme di i. suggerite o solo una sintesi di ruoli e qualità che, a parere del giovane soggetto, possono differenziarlo dagli altri, cadono in crisi nel periodo adolescenziale. Infatti nell’​​ ​​ adolescenza il giovane attraversa una fase di vera e propria confusione di i., in quanto non riuscendo a vedere con chiarezza «chi è», tenta di sperimentare varie i. cambiando anche stile di vita e modalità di rapporto con cose e persone. Ciò gli permette di elaborare una i. che pur non cancellando completamente quella instaurata nel precedente periodo di età, risulti una rielaborazione delle nuove esperienze di vita ed un riadattamento alle stesse in accordo con il nuovo concetto di sé. Quello che dall’esterno può essere considerato come uno stato di incertezza e di insicurezza, rappresenta in realtà una lotta che la persona ingaggia con se stessa e con il mondo che lo circonda al fine di perfezionare la sua crescita emotiva, cognitiva ed esperienziale.

3.​​ L’evoluzione del senso d’i.​​ Continua anche da​​ ​​ adulti, nonché da​​ ​​ anziani. In ogni periodo agiscono sul proprio concetto di i. i molti eventi della vita che inducono la persona a fare il punto della propria situazione, a rimettersi in discussione ed a ridimensionare alcuni aspetti della propria personalità, nonché i modi di pensare e di provare l’affettività. Questa variazione del concetto della propria i. deve necessariamente avvenire affinché il soggetto sia in grado di riconoscersi e proseguire nei suoi compiti per non incorrere nel pericolo di cadere in una disorganizzazione della propria i. Per quel che riguarda il periodo della vecchiaia bisogna inoltre ricordare che l’i., contrariamente a quanto appare, non si cristallizza in una data forma fino alla fine della vita della persona, ma seguita a subire un’evoluzione anche se con ritmi molto più lenti di quelli delle età precedenti. Alla base dell’i., intesa in senso complessivo, sono individuabili tratti stabili che permettono alla persona di riconoscersi sempre, in ogni età ed in ogni situazione della vita, malgrado la molteplicità dei cambiamenti che sono avvenuti e che stanno avvenendo. È infine da tener presente che, se nella formazione dell’i., un fattore essenziale è rappresentato dall’esperienza di un amore sollecito ed attento, altrettanta importanza assume l’accettazione dell’esperienza della propria solitudine ontologica che, pur nel dolore che può portare con sé, permette di scoprire il proprio senso di continuità, di comprendere quanto sia importante il giungere a valorizzare se stessi indipendentemente dall’opinione degli altri e di fortificare la propria volontà per conseguire mete sempre più alte.

Bibliografia

Mussen P. H. - J. J. Conger,​​ Lo sviluppo del bambino e la personalità,​​ Bologna, Zanichelli, 1981; Guidano V. F.,​​ La complessità del Sé - un approccio sistemico-processuale alla psicopatologia e alla terapia cognitiva,​​ Torino, Bollati Boringhieri, 1988; Duveen G., «Asimmetria nello sviluppo dell’i. di genere», in C. Arcidiacono (Ed.),​​ I.,​​ genere,​​ differenza. Lo sviluppo psichico femminile nella psicologia e nella psicoanalisi,​​ Milano, Angeli, 1992; Oliverio Ferraris A.,​​ La ricerca dell’i. Come nasce,​​ come cresce,​​ come cambia l’idea di sé,​​ Firenze, Giunti, 2007.

W. Visconti




IDEOLOGIA

 

IDEOLOGIA

Insieme organico di idee, implicante una certa visione del mondo e della vita, con funzione regolativa e normativa della prassi, politica in particolare.

1. Gli illuministi francesi dell’Enciclopedia​​ e il loro epigono A. Destutt de Tracy (1754-1836), introduttore del termine, credevano necessaria per i loro tempi un’indagine critica sull’origine, la natura e il valore delle idee, in opposizione alle dottrine tradizionali. L’i. veniva così ad essere un aspetto della battaglia degli illuministi contro l’Ancien régime.​​ Pare sia stato Napoleone a bollarli come «ideologhi», cioè gente astratta, non concreta, segnando così il termine di una connotazione ironica e negativa, vicina a quella che le darà K. Marx (​​ Marxismo). Dopo di lui, l’i. è stata considerata come una razionalizzazione e giustificazione teorica del potere politico e dei privilegi economico-sociali delle classi dominanti, come uno strumento di conservazione dell’assetto sociale esistente e come dominazione «mentale» delle classi subalterne. In tal senso lo stesso Marx chiamò i. l’idealismo tedesco, in quanto espressione ideale degli interessi della «classe» prussiana al potere in Germania, e bollò lo stesso materialismo di L. Feuerbach come i. della borghesia illuministica. A partire dagli anni venti, con i cosiddetti sociologi della conoscenza (K. Mannheim, R. K. Merton, G. Gurvitch, P. A. Sorokin) e con neo-marxisti, come G. Lukács o​​ ​​ Gramsci, si mette in risalto un versante semantico più positivo di i., nel senso che, pur sorgendo come espressione e giustificazione di parte, può dar forza a ideali di liberazione e promozione umana, stimolare la costruzione di strategie operative, favorire teorizzazioni filosofiche, scientifiche e tecnologiche.

2. L’educazione e la formazione (e la scienza o le teorie pedagogiche) possono risultare «apparato ideologico» (come le disse L. Althusser) per la trasmissione, la riproduzione e l’interiorizzazione delle i. dei gruppi sociali dominanti. Negli anni ’80 si è parlato di «tramonto dell’i.», ad indicare la caduta del carattere assolutizzante ed egemonizzante di essa. Ma è venuta a cadere anche la sua funzione di mediazione culturale e di spinta ideale: specie nell’oggi, sempre più dominato dal «discreto fascino» dell’i. neo-capitalistica e dalla propaganda consumistica del mercato mondializzato. In tal senso la vigilanza critica, l’idealità umanistica, la responsabilità etica e la correttezza deontologica restano tratti imprescindibili del lavoro educativo e della ricerca pedagogica.

Bibliografia

Broccoli A.,​​ I.​​ e educazione,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1974; Rossi Landi F.,​​ I., Milano, ISEDI, 1977; Catalfamo G.,​​ L’i. e l’educazione,​​ Messina, Peloritana, 1980; Colletti L.,​​ Il​​ tramonto dell’i.,​​ Roma / Bari, Laterza, 1980; Antonucci M. C.,​​ I. e comunicazione. Costruzione di senso e nuove tecnologie, Milano, Angeli, 2006.

C. Nanni