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GESTALT

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GESTALT

Termine ted. che corrisponde al significato di «struttura unitaria», «configurazione armonica». Esso è legato a due correnti di ricerca, nate in periodi e con obiettivi diversi:​​ la psicologia della G.,​​ una scuola teorica tedesca che negli anni Venti ha studiato la percezione, e la​​ psicoterapia della G.,​​ una scuola clinica post-analitica, sviluppatasi negli Stati Uniti negli anni Cinquanta, nell’ambito delle psicoterapie umanistiche. Tuttavia, come vedremo, il fatto che queste due scuole siano accomunate dal nome G. non è casuale.

1.​​ La psicologia della G.​​ La​​ Gestaltpsychologie​​ o Scuola di Berlino si inserisce tra le scuole strutturaliste della percezione, di cui rappresenta sicuramente quella che ebbe il maggiore influsso sullo sviluppo della psicologia (Ronco, 1977, 41ss.). La nascita della psicologia della G. si fa risalire al 1912, quando M. Wertheimer scrisse un articolo in cui identificava un processo percettivo unitario – da lui chiamato fattore «phi» – grazie al quale i singoli stimoli verrebbero integrati, nel soggetto, in una forma dotata di continuità. Ciò significava che quello che prima era stato considerato un processo passivo – il percepire – veniva ad essere pensato come qualcosa di gran lunga più attivo, come un’attività subordinata a certi principi organizzativi generali. Wertheimer intuì che non sono gli stimoli elementari ad essere colti dall’organismo che percepisce ma piuttosto le stesse configurazioni unitarie. In altre parole, per l’organismo che percepisce, l’insieme significativo è lo stimolo (Wertheimer, 1959). Da qui la legge gestaltica per cui il tutto viene prima delle parti. Wertheimer individuò una serie quasi infinita di «leggi» sul funzionamento delle G. percettive, la più importante delle quali è la​​ legge della pregnanza:​​ ciò che viene percepito contiene una forma organizzata che è​​ la migliore possibile,​​ in date condizioni ambientali, ossia risponde ad un principio di economia dell’organizzazione (il massimo dell’informazione nella struttura più semplice). Gli psicologi della G. si impegnarono in ricerche approfondite che potessero validare le loro intuizioni sul processo percettivo e, in questo percorso, il loro modello si spostò verso una accentuazione dei fattori interni all’organismo nella formazione delle G., allontanandosi dalla prospettiva originaria di Wertheimer sulla possibilità di quantificare oggettivamente, nell’ambiente, le «buone G.». Il contributo di​​ ​​ Lewin portò la psicologia della G. fuori del laboratorio, nella realtà molto più complessa della vita quotidiana, che egli considerò come «il campo» in cui l’individuo si muove per raggiungere i propri obiettivi. Il campo percettivo è per Lewin una sorta di sfondo, di mappa mentale da cui emergono di volta in volta figure nuove, che poi ritornano nello sfondo per lasciare il posto ad altre figure, percepite dall’organismo come rilevanti per il raggiungimento dei propri scopi. Ciò implica che uno stesso oggetto può essere percepito con significati diversi a seconda degli obiettivi o del bisogno che l’individuo avverte in quel momento, così come essi interagiscono con il contesto situazionale in cui sono inseriti. In altre parole, per Lewin (1935)​​ il bisogno organizza il campo.​​ Queste intuizioni di Lewin diedero il via a una serie di ricerche sul​​ ​​ problem solving​​ (che diventava il paradigma di tutta l’attività cognitiva del soggetto) e sul concetto correlato di​​ insight​​ (Köhler, 1947), così importante per la psicoterapia, nonché sul «carattere di richiesta» delle situazioni incompiute (Zeigarnik, 1927). Un’ulteriore elaborazione della psicologia della G. dal punto di vista dello sviluppo di una teoria della personalità e della psicoterapia fu il contributo del neurologo K. Goldstein, del quale fu assistente di laboratorio per un breve periodo F. Perls, che poi avrebbe fondato la psicoterapia della G. Goldstein, come Lewin e Perls, fu al fronte durante la Prima Guerra Mondiale e molte delle sue ricerche furono condotte su ex-combattenti con danni cerebrali. Questi studi condussero Goldstein ad affermare che il comportamento è organizzato in modo da coinvolgere sempre l’intero organismo (Goldstein, 1939; 1940). L’unico impulso o istinto di cui si possa parlare nel comportamento umano è l’impulso a interagire con l’ambiente e a organizzare quella interazione in schemi. Goldstein affermò ciò con forza, opponendosi alla tendenza meccanicistica che caratterizzava alcuni studi psicologici, non ultimo il modello freudiano, e che vedevano nella riduzione della tensione il fine ultimo del comportamento umano. Goldstein chiamò​​ impulso all’auto-attualizzazione​​ questo unico vero impulso, che organizza tutti gli altri pseudo-impulsi e comportamenti dell’organismo in modo gerarchico.

2.​​ La psicoterapia della G.​​ La psicoterapia della G. si inserisce tra le terapie umanistiche. Nasce a New York, nel 1950 circa, dalle intuizioni di F. Perls, uno psicoanalista ebreo tedesco, emigrato negli anni Quaranta per motivi razziali in Sudafrica e poi negli Stati Uniti, e per opera di un gruppo di intellettuali statunitensi, profondi conoscitori della psicoanalisi, che elaborò le intuizioni di Perls. Questi, insoddisfatto della teoria freudiana dell’Io, intuì che l’introiezione termina il proprio compito evolutivo fondamentale molto prima di quanto avesse teorizzato​​ ​​ Freud e indicò nello sviluppo dei denti (fase dentale)​​ l’evidenza fisiologica di tutto ciò. La capacità di masticare e di mordere che nasce nell’organismo con lo sviluppo dentale dà assoluto rilievo all’aggressività in un momento evolutivo significativamente anteriore a quello teorizzato da Freud. Inoltre, l’aggressività stessa venne intesa da Perls in termini positivi, di sopravvivenza e di crescita fisica ed esistenziale dell’organismo. In questo senso il pensiero di Perls si poneva quale modalità di superamento del dualismo presente nella metapsicologia freudiana tra impulsi dell’individuo e necessità dell’organizzazione sociale. Infatti, dal momento che l’individuo è soggetto che destruttura e ristruttura, gli si apre la possibilità concreta di vivere nel proprio mondo con pienezza. Le tre parole-chiave del titolo del primo libro di Perls, scritto nel 1945, prima ancora della fondazione della psicoterapia della G. –​​ L’Io,​​ la fame,​​ l’aggressività​​ (Perls, 1995) – sintetizzano la sua critica alla teoria freudiana sulla natura umana: non aver dato il giusto e fondamentale rilievo alla capacità dell’Io di soddisfare i propri bisogni (la fame)​​ attraverso un’attività autoaffermativa (l’aggressività),​​ che gli consente di assimilare o rifiutare l’ambiente, a seconda che esso gli si presenti come nutriente o nocivo. L’Io, la fame, l’aggressività diventarono quindi gli elementi portanti di questo nuovo modello di psicoterapia, i cui fondamenti sono contenuti nell’opera di F. Perls, R. Hefferline e P. Goodman,​​ G. therapy: excitement and growth in the human personality​​ (1951). Alla base di esso c’è la convinzione che ogni esperienza non può che avvenire al confine del contatto tra un organismo animale umano (così si esprimevano, in termini organicistici, i fondatori della psicoterapia della G.) e il suo ambiente. È proprio ciò che avviene in questo confine che è disponibile all’osservazione scientifica e all’eventuale intervento terapeutico. Il processo di contatto tra l’organismo umano e il suo ambiente consente all’individuo di imparare ad orientarsi nel mondo e ad agire su di esso al fine autoconservativo di assimilare la novità​​ ​​ il diverso da sé​​ ​​ e di crescere. Il confine di contatto è pertanto il luogo in cui è possibile mettere insieme la​​ creatività​​ (che esprime l’unicità dell’individuo) con l’adattamento​​ (che esprime la reciprocità necessaria al vivere sociale). Il modo in cui l’individuo fa (o non fa) contatto con il proprio ambiente descrive la sua funzionalità psichica. All’adattamento creativo, inteso come meta dello sviluppo sano dell’individuo, possiamo ricondurre il concetto di maturità in psicoterapia della G. Esso non risponde a un modello univoco di salute (From, 1985), ma consente la modulazione individuale su parametri di autorealizzazione e di accoglienza della novità portata dall’ambiente / altro. I bisogni individuali e quelli comunitari vengono integrati senza il sacrificio «a priori» di nessuno (Perls et al. 1951, 456ss.). Nella psicoterapia della G., quindi, la crescita di una persona verso l’autonomia coincide con la sua capacità di decidersi per l’incontro con l’altro, con il Tu. A livello clinico, dall’intuizione di Perls conseguirono alcune sostanziali differenze nella prassi psicoterapica: si pensi per esempio alla ridefinizione positiva dell’aggressività del paziente, al valore di recupero della spontaneità organismica dato alla capacità di concentrazione, che Perls sostituì alle libere associazioni, alla geniale sostituzione del concetto di causa-effetto con quello di funzione (From, 1985).​​ 

3.​​ Gli sviluppi successivi della teoria e della prassi della psicoterapia della G.​​ sono stati caratterizzati da una varietà di scuole, che si diversificano per il rilievo dato alla teoria del sé in quanto processo di contatto, l’essenziale novità di questo approccio tra le terapie umanistiche. Esse possono essere raggruppate in tre indirizzi: 1) la scuola di New York, rimasta fedele alle intuizioni del gruppo fondatore, le ha sviluppate con contributi teorici e applicazioni cliniche in situazioni di gruppo; 2) il movimento cosiddetto «viscerale», sviluppatosi lungo la costa californiana degli Stati Uniti, in seguito alle dimostrazioni «miracolose» (non supportate da spiegazioni teoriche) fatte da Perls con gruppi di pazienti affascinati dall’uso della drammatizzazione nel setting terapeutico, individua nella consapevolezza lo strumento terapeutico e dà valore alla soggettività, al corpo e alle emozioni nella crescita della persona; 3) infine, la scuola di Cleveland, un orientamento più eclettico che si focalizza sulla creazione di un linguaggio comune anche ad altri approcci terapeutici e su applicazioni a vari campi del sociale, come la consulenza aziendale. Da un punto di vista critico, l’avere intuito l’apporto creativo e significante che la forza aggressiva dell’organismo dà alle relazioni umane ha sostenuto nei primi decenni un clima teorico improntato spesso a una ribellione fine a se stessa, che ha minato significativamente l’adesione unanime ai paradigmi originali che caratterizzano i fondamenti dell’approccio. Tale mancanza di unitarietà del corpo teorico e metodologico ha lasciato oggi il posto ad un comune interesse per uno sviluppo in chiave ermeneutica capace di dare risposte alle esigenze della attuale società.

Bibliografia

Zeigarnik B.,​​ Über das Behalten von erledigten und unerledigten Handlungen,​​ in «Psychologische Forschung»​​ 9 (1927) 1-85; Lewin K.,​​ A dynamic theory of personality,​​ New York, McGraw-Hill, 1935; Goldstein K.,​​ The organism,​​ Boston, American Book Company, 1939; Id.,​​ Human nature in the light of​​ psychopathology,​​ Cambridge, Harvard University Press, 1940; Köhler W.,​​ G. in psychology,​​ New York, Liveright, 1947; Perls F. - R. Hefferline - P. Goodman,​​ G. therapy: excitement and growth in the human personality,​​ New York, The Julian Press, 1951; Wertheimer M.,​​ Productive thinking,​​ New York, Harper & Row, 1959; Ronco A.,​​ Introduzione alla psicologia, vol. 2.​​ Conoscenza e apprendimento,​​ Roma, LAS, 1977; From I.,​​ Requiem for «G.»,​​ in «Quaderni di G.» 1 (1985) 22-32; Perls F.,​​ L’io,​​ la fame,​​ l’aggressività,​​ Milano, Angeli, 1995.

M. Spagnuolo Lobb




gestione delle RISORSE UMANE

 

RISORSE UMANE: gestione delle

R.u. è un termine composto, anzitutto legato alla parola​​ risorsa.​​ Questa​​ indica il mezzo o capacità disponibile, consistente in una riserva materiale o spirituale, o in un’attitudine a reagire adeguatamente alle difficoltà, da vocabolario (Devoto-Oli, 2007). Alla sottovoce r.u., specifica che si tratta, nel linguaggio burocratico delle aziende, del complesso dei lavoratori. La voce rimanda ancora al fr.​​ ressource, che deriva dal lat.​​ resurgere​​ (risorgere). R.u.​​ è quindi un’espressione usata nel linguaggio manageriale e nell’economia aziendale per designare il personale che lavora in un’azienda e, in particolar modo, il personale dipendente.

1.​​ R.u.,​​ aspetti specifici. Con questa terminologia si vuole evidenziare l’aspetto di valore o​​ capitale​​ insito nel personale, nella sua professionalità e nelle sue​​ competenze​​ e, quindi, di conseguenza che le spese per l’impiego e lo sviluppo di tali r. devono essere considerate investimenti. La locuzione è oggi utilizzata anche per designare una funzione aziendale (Gestione e Sviluppo delle r.u.), in passato denominata ufficio del personale, che presiede alla vita lavorativa di un individuo all’interno di un’organizzazione e prevede i seguenti processi: la Pianificazione, la Selezione, il Reclutamento, l’Inserimento, la Formazione e lo Sviluppo, la Valutazione, la Retribuzione, la Mobilità interna, la Carriera del personale – ossia si occupa dei vari aspetti di un particolare sistema operativo aziendale – e le Relazioni Sindacali (Costa, 1997; Auteri, 1998). A questi processi va ultimamente aggiunto quello dell’Outplacement, ovvero della fuoriuscita delle persone dall’organizzazione e del loro eventuale re-impiego in un’altra struttura. Si tratta di un ufficio, di solito unito o quantomeno strettamente integrato, almeno nelle organizzazioni medio-grandi, alla funzione di Direzione. La gestione delle r.u. è ancora un’area teorica, divenuta oramai una disciplina, che raggruppa gli strumenti e le metodologie per gestire gli individui all’interno delle organizzazioni dal loro ingresso alla loro fuoriuscita.

2.​​ Cenni storici. Varie teorie organizzative hanno influenzato la Gestione del personale dentro le organizzazioni. Vediamone, molto sinteticamente, alcune tra le più importanti che secondo una suddivisione di De Masi (cit. in Avallone, 1994), si dividono in due filoni: il primo quello della teoria della divisone del lavoro, tra i cui autori ricordiamo, Taylor, Fayol, Dricker (cit. in Avallone, 1994). Il secondo, quello delle relazioni umane e dei sistemi, a cui appartengono rispettivamente Mayo, Likert, Herzberg e von Bertalanffy, Emery, (1994). Uno dei primi, in ordine di tempo, ad occuparsi della gestione delle r.u. nelle organizzazioni fu F. Taylor (1911) il quale, con l’intento d’introdurre ed applicare il metodo scientifico alla conduzione delle r.u. in azienda, diede vita al modello manageriale conosciuto come​​ Scientific Management.​​ Esso è un modello ispirato ad una forte razionalità che usa i principi del metodo scientifico per la gestione delle persone; secondo l’A. una precisa distribuzione dei ruoli e dei compiti al più capace renderebbe efficace ed efficiente un’organizzazione. La spersonalizzazione di questo modello, la disaffezione al lavoro che cominciava ad essere sempre più registrata nei contesti occidentali, creò le condizioni per le ricerche di E. Mayo, incaricato, nell’anno 1924, di condurre una ricerca presso la General Electric a Chicago, volta a comprendere il problema delle produzione e dell’efficienza nel contesto lavorativo. I risultati di tale sperimentazione inaugurarono un serie di studi e ricerche che diedero vita, successivamente, alla Scuola delle Relazioni Umane ad opera anche dei contributi di D. Mc Gregor e F. Herzberg. Successivamente, siamo intorno al 1970, è la Scuola Sistemica (Lawrence - Lorsch, 1967), che introduce i concetti di scambio con l’ambiente e di omoestasi, dove l’individuo, al pari dell’organizzazione, è un sistema che apprende dal contesto, con cui scambia informazioni e al quale tenta di adattarsi. Tutte le teorie organizzative esposte, individuano, ciascuna, un preciso modello di gestione delle r.u. che vanno lungo un continuum che vede l’oggettività, la standardizzazione e la razionalità da un parte​​ versus​​ un approccio dove la soggettività, la motivazione e la complessità individuale e di sistema giocano un ruolo primario.

3.​​ Attualità.​​ La Gestione delle r.u., prendendo in considerazione il contesto italiano, ha attraversato varie fasi, a seconda delle epoche che prendiamo in considerazione. Nello specifico, e sinteticamente, abbiamo: a) Fase normativo / giuridica (anni ’50 del sec. scorso): la funzione del personale è amministrare il rapporto di lavoro dal punto di vista amministrativo (retribuzione) e giuridico (ferie, contrattualistica). b) Fase delle relazioni Umane (anni ’50):​​ siamo nelle fase successiva agli esperimenti di E. Mayo, dove vi è una maggiore attenzione all’individuo, alle buone relazioni umane ed al clima che si respira nei contesti organizzativi. c) Fase della Gestione delle R. (anni ’60):​​ si diffondono le idee di​​ ​​ Maslow e di McGregor (Isfol, 2001): l’uomo è una r. che può crescere se l’organizzazione glielo consente. Gli strumenti di gestione delle r.u. sono: Orientamento professionale e mobilità, Formazione sia tecnico-specialistica che direttivo-gestionale, Valutazione delle prestazioni lavorative e del potenziale umano, Gestione meritocratica delle retribuzioni e l’Ampliamento della delega. d) Fase dello Sviluppo delle r.u. (dal ’69 al ’75):​​ la funzione r.u. diviene la variabile critica delle organizzazioni. Il paradigma della complessità sistemica entra a far parte della lettura delle organizzazioni e pertanto gli strumenti di gestione delle r.u. si concentrano sullo sviluppo delle potenzialità, prevedendo le seguenti modalità: 1) Ampliamento e arricchimento delle mansioni, 2) Analisi organizzativa, 3) Direzione per obiettivi, 4) Valutazione del potenziale insito in ogni persona, 5) Piani di sviluppo e percorsi di carriera, 6) Attenzione ai bisogni di crescita e sviluppo dell’individuo e delle organizzazioni. e) Fase dello Sviluppo Organizzativo (fine anni ’70 e inizi anni ’80):​​ si diffondono le teorie della Scuola Socio-tecnica a seguito dei contributi di F. E. Emery e E. L. Trist (Isfol, 2001), con i concetti di sviluppo organizzativo. L’azienda è vista come un sistema aperto. Il conflitto intraorganizzativo viene inquadrato come una r. e, al contempo, una variabile da gestire. f) Fase della Direzione e Sviluppo delle r.u. (fine anni ’90 ad oggi): è la fase in cui la funzione r.u. svolge una attività di tipo strategico-sistemica volte a trovare compatibilità e coerenza tra scelte aziendali (politiche organizzative) e politiche del personale. Possiamo sicuramente affermare che la gestione delle r.u. è oggi giunta alla sua maturazione, tant’è che sempre più fa parte dei processi strategici di ogni organizzazione, nel senso che il Direttore del Personale partecipa sin dai primi momenti alle importanti e strategiche decisioni aziendali (Costa, 1997).

4.​​ Sviluppi. La gestione delle r.u., le sue tecniche e metodologie, possono essere applicate a qualsiasi contesto organizzativo. Negli ultimi tempi, si assiste ad un interesse per questa disciplina anche da organizzazioni legate al terzo settore, quali le organizzazioni​​ no​​ profit​​ (senza fini di lucro). Tra queste, J. M. La Porte (2003), include le organizzazioni professionali come le scuole, le università, gli ospedali, il sistema sanitario, le associazioni, le cooperative sociali. Si tratta in gran parte di società di servizi, che sono di solito volte alla creazione di benessere negli individui e nell’ambiente e la cui caratteristica intrinseca, strutturale, è quella di essere intangibili e difficilmente misurabili. Sono organizzazioni che dal punto di vista funzionale si reggono sulla motivazione e sulla reciproca fiducia dei membri che ne fanno parte. Questa dimensione aggregativa e gestionale sta oggi lasciando il posto, o meglio, sta avvenendo una transizione da un modello spontaneistico di gestione, verso la ricerca di uno schema più formalizzato che consenta di affrontare i problemi di coordinazione e conduzione derivanti da una crescita organizzativa di questi enti sempre più consistente. Certamente questa transizione verso l’adozione di modelli manageriali a forte razionalità per la gestione del proprio personale, pone alcuni problemi d’integrazione poiché l’innesto di sistemi formalizzati in culture organizzative caratterizzate da una certa indeterminatezza della base materiale e della tecnologia operativa non è semplice e diretto. Questa indefinitezza, lungi dall’essere una debolezza del sistema (si parla infatti di organizzazioni a legame debole), ne contraddistingue le sue peculiarità e specificità che consentono a questi sistemi una più rapida adesione al contesto di riferimento e una più rapida risposta ai cambiamenti. Tuttavia, l’introduzione di strumenti e tecniche derivanti dal corpus teorico delle r.u. è quindi motivata, da parte di questi organismi dal voler adottare sistemi di gestione più razionali e certi, nell’intento di ovviare ad alcune disfunzioni organizzative incluse ad es., quelle del reclutamento del personale, dell’organizzazione dei compiti e della formalizzazione del raggiungimento degli obiettivi organizzativi che, sovente, in queste strutture organizzative possono risentire del tempo e della incerta formalizzazione degli scopi operativi e dalla credenza che così si operi un rafforzamento surrettizio di questi legami deboli. Con il rischio, all’orizzonte, di un possibile rigetto di sistema conseguente ad un mancato adattamento critico di questi strumenti alle specificità del contesto di riferimento.

Bibliografia

Avallone F.,​​ Psicologia del lavoro. Storia,​​ modelli,​​ applicazioni, Roma, Carocci, 1994; Costa G.,​​ Economia e direzione delle r.u., Torino, UTET, 1997; Auteri E.,​​ Management delle r.u., Milano, Guerini e Associati, 1998; Grimaldi A. (Ed.),​​ Area occupazionale-gestione delle r.u. - Repertorio delle professioni, Roma, ISFOL, 2001; La Porte J. M.,​​ Comunicazione interna e management del no-profit, Milano, Angeli, 2003.

E. Riccioli




GESUITI

 

GESUITI

Membri della Compagnia di Gesù, ordine religioso di chierici regolari fondato da s. Ignazio di​​ ​​ Loyola, approvato da Paolo III (1540).

1.​​ Finalità e mezzi.​​ Nacquero come un gruppo di presbiteri che desideravano prima di tutto​​ servire sotto il vessillo della Croce solamente il Signore Gesù,​​ e la sua sposa la Santa Chiesa sotto il Romano Pontefice,​​ dedicandosi intensamente alla salvezza e santificazione delle proprie anime nel servire quelle del prossimo. La loro spiritualità si fonda nella «conoscenza intima» della Persona di Gesù Cristo, contemplato, amato e seguito; nella preghiera personale, e nel servizio ecclesiale per la difesa e propagazione della fede. Per realizzare questo obiettivo, essi si servono di quei mezzi che​​ maggiormente​​ ad esso conducano: predicazione della Parola, insegnamento,​​ Esercizi spirituali,​​ catechesi, sacramenti, missioni estere, opere assistenziali, promozione umana e della giustizia sociale, mezzi di comunicazione, ecc. I g. si distinguono per il loro particolare voto di obbedienza al Papa circa le missioni che egli dovesse loro affidare. La loro struttura di governo è molto gerarchica: il preposito generale è eletto a vita dalla Congregazione Generale della Compagnia (formata dai superiori provinciali e da altri eletti nelle congregazioni provinciali). La​​ Formula dell’Istituto​​ è la loro Regola fondamentale, sviluppata nelle​​ Costituzioni,​​ redatte da s. Ignazio (con l’aiuto speciale del p. Polanco) tra gli anni 1539-53.

2.​​ Storia.​​ Il motto dell’Ordine (A maggior gloria di Dio)​​ è stato messo in pratica dalle loro prime attività nel sec. XVI, sia in Europa, nella difesa e propagazione della fede, sia nei territori cristiani, sia nei Paesi «di Missione», attraverso i diversi ministeri e servizi apostolici: dal lavoro catechetico alla ricerca scientifica, dall’attenzione spirituale ai malati alle opere di civiltà delle Riduzioni americane, dalle opere d’insegnamento alle riviste ed altri mezzi di comunicazione. Erano 10 i primi compagni (Favre, Xavier, Laínez, Salmerón, Rodríguez, Bobadilla, Jayo, Broet, Coduri e Ignazio) che fissarono il loro centro di attività a Roma. L’8 aprile 1541 Ignazio fu eletto a preposito generale, ed i compagni presenti a Roma fecero la professione solenne il 22 dello stesso mese nella basilica di san Paolo fuori le mura. I primi collegi per esterni furono estensione o apertura ai laici dei collegi fondati anzitutto per la formazione dei futuri g. A Gandía (Spagna) aprirono un collegio per studenti della Compagnia con accesso anche ai figli dei «moreschi» (1546); similmente fecero a Messina (1548), per altri studenti esterni; il Collegio Romano – origine dell’Università Gregoriana – fu fondato nel 1551 ed in esso si sarebbero formati i futuri g., i seminaristi diocesani e perfino cattolici secolari molto impegnati. A partire dal 1553 nei collegi dei g. si cominciarono ad impartire anche lezioni di Filosofia e Teologia. I collegi gesuitici divennero anche centri cittadini di assistenza sociale e spirituale. Quando Ignazio morì (1556) i g. erano più di un migliaio, e i loro collegi erano 39, sparsi in 7 nazioni europee; nel 1580, i collegi erano 140; nel 1600 erano 245; e nel 1626 giunsero a 444. A questi bisogna aggiungere 56 seminari, oltre alle istituzioni universitarie per gli studenti g. L’insegnamento era gratuito, perché era ritenuto ministero apostolico. Per questo, quando era creato un collegio, si cercava sempre che avesse una «fondazione» (rendite o donazioni che assicurassero il suo mantenimento). Mediante tale strumento i g. incidevano nelle strutture della società. Si dedicarono pure alla predicazione, come avevano fatto ai loro inizi, a Siena e a Parma, mandati da Paolo III. Altri furono inviati ad espletare missioni diplomatiche in favore della Santa Sede (Broet e Salmerón furono nunzi apostolici in Irlanda, 1541). A richiesta di Paolo III, Ignazio inviò al Concilio di Trento Laínez e Salmerón (1546). P. Favre, uno dei più fedeli amici di Ignazio, accompagnò in Germania il dr. Pedro Ortiz, diplomatico, il quale partecipò alle dispute religiose tra cattolici e protestanti a Worms e Regensburg. Tutta questa attività era accompagnata, fin dai primordi della Compagnia, dalla predicazione al popolo e dagli​​ Esercizi spirituali​​ dati alle singole persone.​​ Salmerón si distinse per i suoi sermoni, Favre guadagnò la simpatia di molti in Italia, in Germania e in Spagna, e scrisse un​​ Memoriale​​ che i g. considerano come emblematico. Nel sec. XVI si consolidò il metodo d’insegnamento fino alla formazione della​​ ​​ Ratio studiorum,​​ che servirà da guida ai g. nell’educazione ispirata all’umanesimo cristiano. Agli inizi del Seicento, essendo preposito generale il p. Acquaviva, si realizzò la definitiva separazione fra i centri di formazione dediti esclusivamente ai g. e gli altri centri (collegi e università) indirizzati ai non g. La Compagnia trovò difficoltà nel suo apostolato a causa del regime assolutista degli Stati, opposto alla centralizzazione romana rappresentata dai g. Si svilupparono, però le​​ missioni popolari​​ e gli​​ Esercizi.​​ La Compagnia fu espulsa da alcuni Stati monarchici sotto l’influsso di ministri «filosofi» (Pombal nel Portogallo, Choiseul in Francia, Tanucci a Napoli, Aranda in Spagna); in seguito, Clemente XIV firmò il breve​​ Dominus ac Redemptor​​ (1773) mediante il quale la Compagnia era soppressa in tutta la Chiesa. Una delle ragioni per cui i g. furono sistematicamente perseguitati dai membri della cultura laicista ed illuminista (enciclopedisti e massoni inclusi) fu l’universale rilevanza che aveva acquistato il modello pedagogico gesuitico, che rendeva la Compagnia decisiva per la cultura religiosa e la civiltà cattolica. Pio VII, tramite la bolla​​ Sollicitudo omnium ecclesiarum​​ (1814) ripristinò la Compagnia, mirando particolarmente al servizio reso dai g. nel campo dell’insegnamento. La​​ nuova​​ Compagnia, nell’Ottocento, diede alcuni segni di intransigenza, conseguenza delle persecuzioni precedenti, e del desiderio di consolidare le sue radici. I 600 g. del 1814 giunsero, nel 1960, a 36.038, e crebbero soprattutto durante i generalati dei pp. Ledóchowski (1915-42) e Janssens (1946-64). Nel 2007 erano 19.554, e preparavano la Congregazione Generale per gennaio 2008, in cui, tramite permesso esplicito del Papa, sarebbe stato scelto il nuovo Generale, dopo le dimissioni di P. Kolvenbach. Durante il sec. XIX i collegi e le università dei g. negli U.S.A. raggiunsero notevole sviluppo, influendo (assieme all’attività di molti altri istituti religiosi dediti all’insegnamento) sulla crescita del numero dei cattolici nell’America del Nord. Tra i più noti studenti dei g. sono da ricordare s. Giovanni della Croce, Cartesio, s. Francesco di Sales, ecc.

Bibliografia

García Villoslada R.,​​ Manual de historia de la Compañía de Jesús,​​ Madrid, Aldecoa, 1941; Martini A.,​​ La Compagnia di Gesù e la sua storia,​​ Chieri, La Civiltà Cattolica, 1951; Thomas J.,​​ Il segreto dei g.: Gli Esercizi spirituali,​​ Casale Monferrato (AL), Piemme,​​ 21988; Bangert W. V.,​​ Storia della Compagnia di Gesù,​​ Roma, Marietti, 1990; Guibert J. de,​​ La spiritualità della Compagnia di Gesù. Saggio storico,​​ Roma, Città Nuova, 1992; De​​ Rosa G.,​​ I​​ G., Leumann (TO), Elle Di Ci / La Civiltà Cattolica, 2006.

F.-J. de Lasala