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GABELLI Aristide

 

GABELLI Aristide

n. a Belluno nel 1830 - m. a Padova nel 1891, pedagogista italiano.

1. Dopo i primi studi a Venezia e aver partecipato nella Guardia nazionale alla difesa della repubblica veneziana di Manin (1848-1849), segue studi di giurisprudenza a Padova, interrompendoli per esigenze familiari e ottenendo una semplice «assolutoria» nel 1854. Comincia allora a far praticantato presso il tribunale e poi a lavorare in uno studio di avvocato, iniziando la collaborazione a periodici giuridici, come «L’Eco dei Tribunali», la «Gazzetta dei Tribunali» e il «Monitore dei Tribunali» da lui fondato. Per sfuggire al servizio militare sotto l’Austria si avvale di un posto di perfezionamento all’Università di Vienna, ricavandone un forte entusiasmo per la riforma protestante, ed è quindi costretto a farsi esule, trasferendosi a Firenze, a Torino, poi a Milano. Divenuto direttore di una scuola tecnica e nel 1865 direttore del Convitto Longone di Milano, si occupa nel 1866 di problemi dell’educazione sul «Politecnico», poi soprattutto sulla «Nuova Antologia» e su «Il Risveglio Educativo». Nominato Provveditore centrale a Firenze nel 1869, Provveditore a Roma dal 1874 al 1881.

2. G. prende parte, con viva attenzione per le scuole straniere, a numerose indagini, inchieste e commissioni ministeriali, preparando nel 1888 gli importanti programmi della scuola elementare, ispirati alla promozione dello «strumento testa» e alla capacità concreta di valorizzazione dei sensi e dell’osservazione. Nel 1886 e poi nel 1891 è eletto deputato della Destra in posizioni socialmente conservatrici, ma rimane sempre in posizioni avanzate in campo culturale, civile e pedagogico. Nel 1869 G. pubblica​​ L’uomo e le scienze morali​​ (Milano, Brigola), opera filosofica divulgativa di stampo empiristico e utilitaristico che propone lo sviluppo del motivo dell’«amor di sé» in quello dell’amore dell’umanità e dell’etica universale, esaltando lo spirito scientifico e il collegamento delle scienze morali, utilizzando la statistica e collegando e società, nell’ispirazione sperimentalistica di un galileismo applicato alle scienze morali stesse.

3. G. è un positivista «metodologico» o «temperato» che si collega alle posizioni di Cattaneo e dell’amico Villari, con ascendenze illuministiche. Al centro è il suo metodo critico e antiaprioristico d’indagine e d’insegnamento, ben distinto dall’impostazione naturalistica e metafisica del pretenzioso positivismo sistematico di fine Ottocento, come è ben lumeggiato nel suo fondamentale saggio​​ Il positivismo naturalistico in filosofia​​ (in «Nuova Antologia», febbraio 1891). In analogia col​​ ​​ Dewey (certo di ben maggiore forza teoretica), G. propone un metodo d’insegnamento critico, sperimentale, antidogmatico di grande modernità, e tutto questo in uno stile chiaro, aperto e divulgativo, che fa dello studioso veneto il maggiore scrittore italiano di cose pedagogiche e scolastiche della seconda metà del secolo scorso, con particolare competenza nel settore della scuola primaria.

4. Apprezzato nel suo tempo, è stato esaltato dagli idealisti, da Gentile in poi, che vedevano in lui un inconsapevole precorritore dell’idealismo, anziché il positivista critico che era realmente. È dopo la seconda guerra mondiale che G. è stato apprezzato nella sua peculiarità di rilevante positivista metodologico, in una ricerca che è tuttora aperta.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ G.A.,​​ Il metodo d’insegnamento nelle scuole elementari d’Italia,​​ Relazione per l’XI Congresso pedagogico italiano, Roma, 1880, Torino, Paravia, 1880 (più volte riedito: cfr. ad es. di recente, a cura di G. Genovesi, Firenze, La Nuova Italia, 1992);​​ L’istruzione in Italia,​​ con introd. di P. Villari, 2 voll., Bologna, Zanichelli, 1891. b)​​ Studi:​​ Lombardi F. V.,​​ G.,​​ Brescia, La Scuola, 1964; Tomasi T.,​​ Società e scuola in A.G.,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1965; Bonetta G. (Ed.),​​ A.G. e il metodo critico in educazione,​​ L’Aquila, Japadre Editore, 1994; Cives G.,​​ La pedagogia scomoda. Da Pasquale Villari a Maria Montessori,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1994; De Vivo F. - P. Zamperlin (Edd.),​​ Nuovi contributi allo studio di A.G.,​​ Padova, Alfa 60 Editrice / Università degli Studi di Padova / Dip. di Scienze dell’Educazione, [1995].

G. Cives




GALATEO

 

GALATEO

Nel linguaggio comune il termine evoca il complesso di buone maniere che regolano le relazioni interpersonali e sociali. In tal senso è sinonimo di buona creanza, di garbo, di urbanità, di civiltà, di cortesia, di buona educazione, di proprietà, di correttezza, di gentilezza o, come si dice, di «bon ton» relazionale.​​ 

1. Il termine deriva dalla nota opera di mons. Giovanni Della Casa, intitolata appunto​​ G.,​​ ovvero de’ costumi​​ e uscita postuma nel 1558, dove, ad un giovane «all’inizio del viaggio della vita» si indica «cosa convenga di fare [...] in comunicando ed in usando con le genti». Il titolo, latinizzazione di Galeazzo (Galateus),​​ dice probabilmente la destinazione del libro al giovane Galeazzo Florimonte, vescovo di Sessa. A motivo di questa referenza letteraria, il termine g. è applicato anche ad ogni libro che contenga norme di buona educazione e condotta.

2. La contestazione giovanile e progressista della fine degli anni sessanta del sec. XX, ha stigmatizzato il g. come formalismo vuoto, «bon ton» piccolo borghese, falsità istituzionalizzata, ipocrisia e doppiezza in guanti bianchi; o, nella migliore ipotesi, l’ha visto come gentilezza di facciata, distanza vellutata, distinzione sofistica, senso di superiorità sprezzante. Ma il logorarsi delle procedure del sistema sociale e il manifestarsi vistoso delle patologie di esso, il montare del disagio diffuso e l’allargarsi delle forme di violenza verbale e della volgarità aggressiva, il bullismo giovanile telematizzato, sembrano in questi ultimi anni aver reso cospicua una riemergente e diffusa «voglia di gentilezza» come pure il desiderio di una vita e di una convivenza sociale umanamente serena e dignitosa. La proprietà del linguaggio e la civiltà del comportamento, la ricerca di modi gentili e delicati di essere con sé e con gli altri, sono ricompresi da parte di molti come segno di un vasto bisogno di difesa e di promozione della dignità personale o anche come una forma di rispetto dell’alterità personale e sociale; o ancora come una concreta strategia per modi di essere cittadini all’insegna della correttezza, della trasparenza e della democrazia.

3. In sede propriamente educativa il g. potrebbe non solo aiutare lo sviluppo delle capacità di​​ ​​ comunicazione interpersonale e di efficacia comportamentale nella vita sociale, ma potrebbe dare nuovo senso all’autodisciplina di mente, di cuore e di volontà che una vasta tradizione pedagogica crede di poter indicare come mèta educativa e come strategia alternativa ad una disciplina eteronoma, autoritaria e costrittiva. Un’azione educativa in proposito avrà da dispiegarsi nella direzione dell’istruzione, della motivazione e dell’addestramento, in modo da coniugare l’informazione con la significatività e il «tirocinio» pratico di qualcosa che si mostra come desiderabile ed umanamente degno. Un efficace rinforzo e stimolo potrà venire dalla chiara e significativa testimonianza delle figure educative, dei gruppi sociali e della collettività nella sua globalità. Peraltro l’amara costatazione di prassi contrarie in proposito insinua come tutta la questione assuma una sua dimensione etica, diventi cioè un aspetto di quella «questione morale» che si pone in maniera forte alla convivenza civile del nostro tempo.

Bibliografia

a) Per il testo di G. Della Casa:​​ G.,​​ Torino, Einaudi, 2006. b) Studi: Sotis L.,​​ Bon ton. Il nuovo dizionario delle buone maniere,​​ Milano, Mondadori, 1989; Lerario A.,​​ G. 2000. Garbo,​​ cortesia e buone maniere nella società moderna,​​ Cinisello Balsamo (MI), Paoline, 1991; Cremonese A.,​​ Il​​ libro della buona creanza,​​ Milano, Rizzoli, 1992; Cremaschi M.,​​ Sì grazie,​​ no grazie. Il g. oggi, Milano, Xenia, 1997; Bellinzaghi R.,​​ Il g. oggi, La Spezia, De Vecchi, 2005.​​ 

C. Nanni




GALTON Francis

 

GALTON Francis

n. nel 1822 a Duddeston - m. ad Haslemere nel 1911, scienziato, naturalista e statistico inglese.

1. Opponendosi all’associazionismo di​​ ​​ Locke e Mill e reagendo a​​ ​​ Wundt (interessato a stabilire le leggi psicologiche universalmente valide), G. dà origine alla psicologia differenziale; fonda un laboratorio antropometrico operando un certo numero di misure su migliaia di soggetti e stabilendo dei rapporti fra tali variabili. Nella rilevazione dei dati G. è estremamente preciso e preferisce la valutazione quantitativa dei fenomeni rispetto a quella qualitativa («Whenever you can, count»). Elabora il primo questionario della​​ ​​ personalità per rilevare le abitudini quotidiane e le preferenze della gente.

2. Adottando la teoria evoluzionistica del cugino Darwin, fonda la genetica comportamentale. Si rende conto del forte peso dei fattori genetici nello sviluppo e nella formazione della personalità come anche della stabilità culturale. Un viaggio in Africa lo convince della superiorità della razza bianca su quella di colore e nota il lento progresso culturale dei diversi popoli. Nello stesso tempo osserva l’interazione tra «natura e cultura», optando però per una maggiore efficacia dei fattori genetici rispetto a quelli ambientali. Su queste osservazioni fonda il suo determinismo biologico. Trova la conferma della sua teoria nella continuità delle caratteristiche straordinarie degli uomini geniali, documentandola con gli «alberi genealogici» di varie famiglie (come quella di Bach). Confrontando le varie caratteristiche dei gemelli mono- e di-zigoti e quelle dei loro fratelli e notando la maggiore somiglianza tra i primi trae ulteriore conferma alle sue ipotesi. In base alla supposta predominanza dei fattori genetici propende per l’eugenetica positiva: scoprire giovani dotati, farli sposare e far procreare loro dei figli ancora più dotati. Su tale proposta Darwin si è mostrato critico in quanto la teoria gli appariva in contrasto con la selezione naturale. G., con il determinismo biologico e con le sue osservazioni sulle persone geniali riportate nell’opera​​ Hereditary genius​​ inculca nell’opinione pubblica la convinzione che l’​​ ​​ intelligenza sia determinata geneticamente e che quindi sia fissa per tutta l’esistenza. In collaborazione con K. Pearson elabora il metodo correlazionale e il metodo della regressione multipla (​​ statistica), mentre per poter confrontare i dati delle molteplici variabili ottenute in misure differenti (chili, centimetri) inventa con lo stesso Pearson i​​ punti z.

3. G., bambino prodigio (a tre anni legge, scrive e studia lat. e fr.), da adulto riesce a liberarsi dai condizionamenti del suo tempo, fonda nuove aree di ricerca e promuove nuovi metodi di indagine; molte sue proposte teoriche sono attuali ancora oggi: si pensi al complesso e tanto discusso rapporto tra natura e cultura (Rogers, 1995).

Bibliografia

G.F.,​​ Hereditary genius: an inquiry into its laws and consequences,​​ London, Collins, 1868 / 1962; in sp.:​​ Herencia y eugenesia, trad., introducción y notas de R. Álvarez Peláez, Madrid,​​ Alianza, 1988; Rogers T. B.,​​ The psychological testing enterprise: an introduction,​​ Pacific Grove, Brooks / Cole, 1995.

K. Poláček




GANDHI Mohandas Karamchand

 

GANDHI Mohandas Karamchand

n. nel 1869 a Porbandar - m. assassinato nel 1948 a Nuova Delhi, uomo politico, filosofo, educatore indiano.

1.​​ Vita e opera.​​ G. nacque in una famiglia indù della casta​​ Vaisya.​​ A​​ 13 anni si sposò; nel 1891 si laureò in giurisprudenza a Londra; andò nel 1893 in Sudafrica in cerca di lavoro. Vedendo la discriminazione razziale, fondò il Congresso Indiano del Natal nel 1894; sfidò la legge discriminativa del governo sudafricano e diede vita al movimento​​ Satyagraha​​ (lotta di non violenza). Al suo ritorno in India nel 1915 fondò la sua​​ Satyagraha Ashram​​ presso Ahmedabad; organizzò lotte politiche non violente contro il governo britannico in India; nel 1919 fondò il settimanale «Young India». Già dal 1920 G. venne chiamato​​ Mahatma​​ (Grande Anima). Tra il 1922 e il 1947, fu coinvolto attivamente nella lotta politica e nella riforma sociale, per creare unità e pace tra i musulmani e indù, e si impegnò per l’abolizione della casta degli​​ intoccabili.

2.​​ Teoria e pratica dell’educazione.​​ Lo scopo ultimo dell’esistenza è l’autorealizzazione, che consiste nel raggiungere la Verità (Dio) o​​ moksha.​​ Per G. non violenza o​​ ahimsa,​​ che non significa mera passività ma forza morale e spirituale, è l’unica via per trovare la Verità. L’ambizione di G. era creare un ordine sociale attraverso le​​ Sarvodaya Samaj,​​ cioè delle comunità di servizio caratterizzate dalla semplicità, rinuncia, uguaglianza, libertà, servizio e sacrifici: una società senza classi e senza stato. Per la realizzazione di questo nuovo ordine G. indicò alcuni programmi concreti, tra cui​​ The Hindustani Talimi Sangh​​ (associazione per l’educazione) considerata la più importante in quanto l’educazione è il mezzo più potente e indispensabile per la creazione del nuovo ordine sociale. Per G. educazione è la formazione totale (del corpo, mente e spirito) dell’educando. L’educazione gandhiana si basa su tre H:​​ Hand​​ - mano,​​ Heart​​ - cuore,​​ Head​​ - testa. Il lavoro manuale, anche il più umile, fa parte essenziale del processo educativo, insegna la dignità di ogni tipo di lavoro, mette lo studente in rapporto diretto col mondo, lo aiuta ad imparare un mestiere per il futuro e a diventare un buon cittadino. A questo riguardo G. era il primo a dare l’esempio facendo egli stesso ogni tipo di lavoro manuale. G. propose un’«educazione di base», obbligatoria, fra i sette e i quattordici anni. Questo schema di «educazione di base» fu accettato e messo in pratica dal Congresso nazionale indiano dal 1938. Alcuni punti salienti di questo schema sono: coeducazione, lavoro manuale obbligatorio per tutti, conoscenza generale che deve precedere l’educazione letteraria; lo studente inoltre deve conoscere le motivazioni di ogni studio e imparare a leggere prima di sapere scrivere. Il gioco ha un ruolo essenziale nel processo di apprendimento e l’istruzione deve essere impartita nella lingua materna, mentre ogni studente deve imparare la lingua nazionale (Hindi);​​ l’educazione religiosa è ritenuta necessaria; ognuno dev’essere aiutato e incoraggiato a vivere nella sua propria religione; lo studente deve imparare un mestiere per la vita futura e gli insegnanti debbono essere animati da uno spirito di servizio e amore. G. considerò il suo schema come l’ultimo e il migliore dono alla nazione; egli fu un vero maestro dell’uomo, di ogni classe o fede, casta o colore, sesso o razza; il suo messaggio educativo ha un valore perenne e universale.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ G. M. K.,​​ Basic education, Ahmedabad, Navajivan Publishing House, 1951;​​ Id.,​​ Towards new education,​​ Ibid., 1953.​​ b)​​ Studi: Patel M. S.,​​ The educational philosophy of M.G., Ibid., 1953; Capitini A., «Introduzione alla pedagogia di G.», in​​ Educazione aperta,​​ vol.​​ I, Firenze, La Nuova Italia, 1967, 171-184; Piatti M.,​​ G. e l’educazione,​​ Bologna, EMI, 1983.

S. Thuruthiyil