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GIROLAMO

 

GIROLAMO

n. a Stridone nel 347 ca. - m. a Betlemme nel 419 / 420, monaco e scrittore latino, santo.

1. G., compiuti brillantemente gli studi letterari, a Roma si convertì al cristianesimo, si dedicò alla vita monastica e seppe infondere entusiasmo per gli ideali della vita ascetica e per lo studio biblico a nobildonne romane del IV sec. Da Roma, ove era segretario di papa Damaso (382-385), si recò poi a Betlemme e per circa trent’anni continuò a svolgere un’intensa attività come formatore di anime e insegnante di fanciulli, per educarli al cristianesimo e alla cultura classica. Mise al servizio della Chiesa la sua vasta cultura, scrivendo varie opere esegetiche, dogmatico-polemiche (contro gli eretici del tempo), storiche e agiografiche, un vasto epistolario (uno fra i migliori della letteratura latina e testimonianza preziosa delle sue vicende personali e della società a lui contemporanea) e diverse opere di revisione e traduzione, soprattutto di testi biblici (la​​ Volgata)​​ e di autori greci.

2. Il pensiero pedagogico di G. è espresso principalmente nelle​​ Lettere​​ 107 e 128, piccoli gioielli di pedagogia pratica. Trattano della formazione di ragazze cristiane e sono scritte con intensità espressiva, con conoscenza della psicologia dell’animo femminile e dell’età evolutiva. Le principali idee si possono così sintetizzare: a) Educazione integrale della persona umana, tenendo conto dei vari aspetti che concorrono alla formazione del fanciullo: la preghiera, lo studio, il lavoro manuale, il gioco. b) Particolare sottolineatura della dimensione e dei valori religiosi, mettendo al centro la Parola di Dio e proponendo modelli di santità cristiana. c) Apertura alla dimensione culturale, pur con un prudente atteggiamento verso la cultura pagana. d) Clima di serenità e di fiducia, di ottimismo e di incoraggiamento, di apertura ai valori culturali, ma anche prevenzione dalle occasioni peccaminose ed esclusione di compagnie equivoche (G. si rivolge ad una fanciulla già consacrata a Cristo). e) Il ruolo insostituibile e fondamentale dei genitori, i quali riusciranno ad «educare più con l’esempio che con le parole» (Ep.​​ 107,9) e dovranno scegliere come maestri e precettori persone fidate moralmente e culturalmente.

3. Sono particolarmente significativi e innovativi i seguenti orientamenti e intuizioni pedagogiche: a) L’importanza data all’educazione fin dalla prima infanzia, creando un ambiente favorevole per lo sviluppo armonico del bambino. b) Il valore dell’educazione della donna (per lo più disatteso nell’antichità), riconoscendole il diritto di avere una formazione completa in tutti i campi e di potersi dedicare all’attività intellettuale. c) Conciliazione tra l’insegnamento tradizionale romano (​​ Quintiliano) e la novità cristiana: valorizzazione della cultura classica, con l’innesto però del cristianesimo.​​ 

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ Labourt J.,​​ Les lettres de S. Jérôme,​​ 8 voll., Paris, Les Belles Lettres,​​ 1949-1963 (trad. it.: Cola S.,​​ S.G. Le Lettere,​​ 4 voll., Roma, Città Nuova, 1962-64. b)​​ Studi:​​ Mincione G.,​​ La pedagogia dell’infanzia e della fanciullezza nelle lettere 107 e 128 di S.G.,​​ in «Pedagogia e Vita» 47 (1985 / 86) 309-321; Lanfranchi R.,​​ San G. e l’educazione della donna, in J. M. Prellezo e R. Lanfranchi,​​ Educazione e pedagogia nei solchi della storia, vol. I., Torino, SEI, 1996, 184-191; Maritano M., «La cura del corpo nelle “lettere pedagogiche” di G.​​ (Epp. 107. 128)», in E. dal Covolo - I. Giannetto (Edd.),​​ Cultura e promozione umana. La cura del corpo e dello spirito nell’antichità classica e nei primi secoli cristiani. Un magistero ancora attuale?,​​ Troina, Oasi, 1998, 309-339; Milazzo V.,​​ Educare una vergine. Precetti e modelli in Ambrogio e G., Catania, Tip. Universitaria, 2002.

M. Maritano




GIUSSANI Luigi

 

GIUSSANI Luigi

n. a Desio (Milano) nel 1922 - m. a Milano nel 2005, sacerdote, educatore, fondatore del movimento Comunione e Liberazione (CL).​​ 

1. Presso la Facoltà Teologica di Venegono Inferiore G. riceve una solida formazione culturale e teologica. Allo studio si accompagnano l’amore per la letteratura (in particolare per la poesia di Leopardi), l’arte e la musica; la conferma della ragionevolezza e della verità dell’educazione cristiana ricevuta in famiglia; la scoperta del Cristianesimo come avvenimento di grazia che risponde all’inquietudine religiosa dell’uomo. Di fronte ai primi segni della secolarizzazione, G. decide di dedicarsi all’insegnamento della religione e alla presenza cristiana fra i giovani. Nel 1954 dà vita a Gioventù Studentesca (GS), primo nucleo di CL. Dopo un decennio di insegnamento nel Liceo classico «Berchet» di Milano, nel 1964 passa alla cattedra di Introduzione alla Teologia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. Svolge un’intensa attività educativa e pubblicistica, dimostrando fin dai primi tempi un’esplicita attenzione per le questioni educative come documentano articoli e saggi di varia mole, fra cui le voci «Educazione» per l’Enciclopedia cattolica​​ e «Adolescente, famiglia, scuola» per l’Enciclopedia dell’adolescenza. Si tratta di testi nati non a tavolino e con approccio pedagogico, bensì basati sull’esperienza di presenza e di testimonianza cristiana, vissuta insieme agli studenti e agli adulti che, col passare degli anni, si legano a lui, formando comunità cristiane progressivamente sparse in tutta Italia. Nel 1972 esse assumono il nome di CL. Nel 1977 G. sistematizza la propria visione educativa nel volume​​ Il rischio educativo​​ (successive ed.: 1995 e 2005). La trilogia denominata​​ Percorso, nata dalle lezioni a scuola e in università –​​ Il senso religioso,​​ All’origine della pretesa cristiana,​​ Perché la Chiesa​​ – conosce larga diffusione e viene tradotta in diverse lingue. Nel 1993 fonda la collana «I libri dello spirito cristiano» (Rizzoli) e nel 1997 la collana discografica «Spirito gentil». Muore nel febbraio 2005.​​ 

2. La riflessione religiosa e educativa di G. si svolge intorno ad un doppio baricentro: la coltivazione del senso religioso e la sfida / accettazione del rischio implicito nell’esercizio della libertà e della volontà. Ogni uomo, per il fatto stesso di esistere, afferma nella sua vita, anche inconsciamente, un significato per cui vale la pena di vivere. È questo il «senso religioso» intrinseco ad ogni esperienza umana: è la condizione stessa dell’uomo che mette in moto gli interrogativi ultimi sul significato. Se il senso religioso è così comune, perché gli uomini incontrano tanta difficoltà nell’identificare nell’esistenza del Mistero l’esistenza di Dio e cioè del significato che è «oltre l’uomo»? La risposta è semplice: l’uomo non è disposto ad accettare la categoria del «rischio», presumendo di essere in grado egli stesso e da solo di trovare tutte le risposte necessarie per dare il senso alla vita. Con l’espressione «rischio» G. intende un duplice atteggiamento: il rischio come la capacità dell’uomo di sfuggire alla doppia tentazione dell’arroganza razionalistica e dello scetticismo sistematico e, per un altro verso, il rischio come disponibilità ad accettare di «mettersi in gioco» e cioè di lasciarsi pervadere da ciò che potrebbe sconvolgere la vita ordinaria. Il rischio si configura, in altre parole, come la metafora dell’uomo che accetta di provarsi e di congiungere nella propria vita ragione e volontà (non solo l’intuizione del senso religioso, ma anche la volontà di esplorarlo e approfondirlo), che esercita la propria libertà non per ampliare la presunzione del proprio dominio, ma per conquistare un livello più profondo di conoscenza del Mistero e cioè di Dio (la libertà come liberazione dai vincoli che condizionano l’uomo, aprendogli una conoscenza più profonda). L’esperienza religiosa e l’avventura educativa passano attraverso la piena dedizione di sé, dal momento che il principio di obbedienza (da non confondere con l’atteggiamento di subordinazione o di sottomissione) racchiude in sé la volontà di accettare che Dio sia, in ogni cosa, il riferimento decisivo, l’unità di misura e il criterio ideale della propria vita. Per G. educare è perciò «aiutare l’animo dell’uomo a entrare nella totalità della realtà» (la realtà come esperienza quotidiana e realtà come Mistero che ci trascende), accettando la funzione orientatrice di un’autorità (non opprimente, ma liberante in quanto fondata sulla parola di Dio) e sperimentando la dimensione del rischio e l’esercizio della libertà. È attraverso questa duplice esperienza che la persona si scopre parte del progetto di Dio. L’educazione è perciò «la proposta di una risposta» da vivere come evento personale nel quale interagiscono intelligenza, affettività, intersoggettività (comunione con gli altri), apertura al trascendente.

Bibliografia

a)​​ Fonti: L.G.,​​ Opere. 1966-1992, Milano, Jaca Book, 1994;​​ Il cammino al vero è un’esperienza, Torino, SEI, 1995;​​ Realtà e giovinezza. La sfida, Ibid., 1995;​​ Primi scritti, a cura di E. Buzzi, Genova, Marietti, 1997;​​ Avvenimento di libertà, Ibid., 2002. b)​​ Studi: su G. limitatamente agli aspetti di carattere più specificamente educativo: numerosi riferimenti in Camisasca M.,​​ Comunione e Liberazione, 3 voll., Cinisello Balsamo (MI), San Paolo, 2001-2006; Chiosso G.,​​ Teorie dell’educazione e della formazione, Milano, Mondadori-Università, 2003; Scola A.,​​ Un pensiero sorgivo. Sugli scritti di L.G., Genova, Marietti, 2004; Id.,​​ Il rischio educativo di L.G., in «Atlandide» (2006) 53-61.

G. Chiosso




GLOBALITÀ DIDATTICA

 

GLOBALITÀ DIDATTICA

È un principio didattico connesso con quelli della​​ ​​ gradualità, dell’unitarietà e dell’integralità.

1. Nella storia della didattica il termine g. (da «globale» = complessivo, totale, intero) è stato usato per esprimere un concetto psicologico e gnoseologico secondo cui l’intuizione del tutto è anteriore alla cognizione delle parti e all’integrazione, concetto riferito soprattutto alla caratteristica della percezione infantile, ma non solo (già s.​​ ​​ Tommaso scriveva come la prima percezione di un oggetto è necessariamente​​ sub confusione quadam).​​ Titone (1975), ad es., riconoscendo che la nostra conoscenza ogni qualvolta si presenti come iniziale è confusa e globale, ossia imperfetta, parla del «principio della g. dell’apprendimento iniziale» attribuendovi un significato di «indubbia universalità». I termini «globalizzazione» e «globalismo» vengono utilizzati in genere per indicare la traduzione didattica di tale concetto psicologico e gnoseologico, come lo è il cosiddetto «metodo globale» proposto da​​ ​​ Decroly (1929) ed utilizzato in particolare nell’insegnamento della lettura e della scrittura.

2. L’iter didattico metodologico che si adegua a tale principio prevede i seguenti passaggi rispondenti al principio della gradualità: a) il momento​​ globale e sincretico,​​ che è caratterizzato dalla conoscenza sommaria, intuitiva o indistinta delle strutture globali; b) il momento della​​ differenziazione​​ o momento​​ analitico,​​ caratterizzato dall’individuazione e dall’approfondimento dei diversi aspetti; c) il momento​​ dell’integrazione​​ o momento​​ sintetico,​​ caratterizzato dalla ricostruzione organica e dalla ristrutturazione consapevole degli elementi in una nuova totalità significativa. Seguire questi passaggi comporta, in pratica, la necessità di tener presenti, come punto di partenza, l’esperienza vitale dell’alunno, il suo vissuto e il suo contatto diretto con la realtà, le sue conoscenze pregresse e i suoi interessi.

3. La regola didattica «dal globale all’analitico», applicata anche all’organizzazione scolastica in generale, è presente già in​​ ​​ Comenio; è denominata​​ «procedimento ciclico e a spirale»​​ e consiste nel mantenere ad ogni livello scolastico l’intero orizzonte scientifico culturale, progredendovi per approfondimenti e specializzazioni.

4. Si è discusso circa la validità del criterio della «globalizzazione» nell’organizzazione didattica curricolare. Si è concordi che la globalizzazione costituisce solo il punto di partenza e che non tutto l’apprendimento può essere globalizzato. Come ha suggerito​​ ​​ Hessen, di una completa globalizzazione didattica si può parlare soltanto in riferimento alla prima classe elementare in cui non ci sono vere e proprie materie, ma diverse attività. Oggi, la g.d. ha un significato molto più ampio di quello iniziale, che evidenzia cioè l’esigenza sia dell’integralità,​​ sia dell’unitarietà​​ dell’educazione. L’apprendimento, infatti, investe l’intera personalità ed è inserito sempre nel processo globale e totale dello sviluppo, pertanto ogni atto didattico deve interessare tutta la persona. La g.d. sottolinea pure l’esigenza dell’integrazione​​ tra scuola ed extrascuola, da un lato, e della​​ dimensione mondiale​​ da tener presente nell’educazione e nell’insegnamento, dall’altro. Il che esige di ridefinire i compiti della scuola e di rivedere i suoi contenuti didattici.

Bibliografia

Decroly O.,​​ La fonction de globalisation et l’enseignement,​​ Bruxelles, Lamertin,​​ 1929; Comenio G. A.,​​ Didattica magna​​ [1657], Firenze, Sansoni, 1936, 215-216; Hessen S.,​​ Struttura e contenuto della scuola moderna,​​ Roma, Armando, 1955; Smeriglio L., «Il globalismo», in L. Volpicelli (Ed.),​​ La pedagogia,​​ vol. 10, Milano, Vallardi, 1972, 127-196; Mencarelli M.,​​ Metodologia didattica e creatività,​​ Brescia, La Scuola, 1974, 102-112; Titone R.,​​ Metodologia didattica,​​ Roma, LAS,​​ 31975; Pérez G. - A.​​ Aguado,​​ Bases didácticas del proyecto 5 / 8,​​ Madrid, Narcea,​​ 21981.

H.-C. A. Chang




GLOBALIZZAZIONE E EDUCAZIONE

 

GLOBALIZZAZIONE​​ E EDUCAZIONE

Col termine g. si indica un dinamismo di dimensioni planetarie, che sta trasformando, nel nostro tempo, tutto il vissuto umano, a partire dal campo dell’economia, ma coinvolgendo l’assetto politico e sociale, la cultura e perfino l’orientamento ideologico e il vissuto religioso, in tutti i Paesi del mondo. Esso influisce quindi anche sulla realtà educativa, coinvolgendo l’educazione nella​​ ​​ famiglia e nella scuola, e l’influsso educativo dei mezzi di​​ ​​ comunicazione sociale.

1. Dal punto di vista economico, essa è costituita essenzialmente da un processo di progressiva unificazione di tutto il mondo, in un unico grande mercato, dominato da una competizione e da una selezione spietata, estesa e radicale. Da questo punto di vista, la g. è il punto di arrivo di una lunga marcia iniziata con la rivoluzione industriale e con il progresso tecnologico e l’accumulazione capitalistica. Oggi questo dinamismo è diventato così imponente da costituire qualcosa di assolutamente inedito nella storia dell’uomo e si impone all’attenzione universale come causa di problemi, timori, e speranze di vastità e gravità finora impensabili. La g. comporta una esasperata competizione economica mondiale, che coinvolge tutte le nazioni e tende a produrre quella specifica forma di insicurezza economica, che ne rappresenta l’aspetto più temuto. In questa lotta non ci sono più posti al sicuro per i primi arrivati, quali che siano i loro meriti storici e le posizioni già conquistate. Questo mette spesso in pericolo quella «sicurezza sociale», che è la conquista più preziosa dei Paesi industrializzati. Ma questi svantaggi colpiscono in modo molto più grave i Paesi poveri, gravati da forti debiti pubblici, da bassi livelli di istruzione, da apparati amministrativi poco efficienti anche se autoritari. Uno degli effetti perversi della g. è l’influsso, tendenzialmente negativo, che essa può esercitare sull’espletamento dei compiti educativi della famiglia. La precarietà del lavoro e l’insicurezza economica che spesso l’accompagnano possono provocare nei genitori sentimenti di insignificanza e di impotenza e perciò anche di delegittimazione educativa, rendendo più fragile il loro influsso educativo sui figli. Si tratta di tendenze che, già presenti nella normale evoluzione delle società industriali, trovano una ulteriore spinta nel generale clima di insicurezza favorito dalla g.​​ 

2. Ma la g. non è soltanto un fatto economico: lo sviluppo della scienza e della tecnica ha dotato l’umanità di strumenti artificiali di comunicazione, in grado di moltiplicare quasi indefinitamente le possibilità comunicative del linguaggio umano: di qui la cosiddetta​​ g. comunicativa​​ che rappresenta qualcosa di assolutamente inedito nella storia dell’umanità. Si direbbe che essa stia lentamente creando una «nuova coscienza», cioè un modo nuovo di pensare, di agire, di essere uomini. Lo studio di questo fenomeno rivela meglio l’uomo a se stesso: le scienze della comunicazione (semiotica, linguistica strutturale, ecc.) rappresentano oggi forme importanti di accesso alla conoscenza della specificità umana dell’uomo che la pedagogia non può ignorare. Purtroppo la comunicazione massmediale non si svolge nello spazio asettico di una società innocente. Sottoposta anch’essa alla competizione globale, è costretta a perseguire obiettivi di​​ audience, prescindendo da qualsiasi preoccupazione educativa. Questo vale evidentemente in modo particolare per la TV: essa non si serve, se non in misura marginale, della mediazione, più tipicamente spirituale, della parola; il suo​​ ​​ linguaggio è quello, estremamente immediato e, in un certo senso elementare, delle immagini; da qui il suo influsso nell’educazione, nel bene e nel male. Naturalmente una valutazione serena ed oggettiva della comunicazione di massa deve prendere in considerazione anche quegli aspetti che sono, almeno potenzialmente positivi, in funzione di un intervento attivo, che mobiliti e potenzi il suo influsso educativo. Si impone quindi la necessità di una educazione alla gestione e alla fruizione della comunicazione di massa che sia funzionale allo sviluppo equilibrato della​​ ​​ personalità.​​ 

3. La g. coinvolge profondamente anche le forme della convivenza umana. Essa tende a mettere sempre più in crisi le forme tradizionali della convivenza, largamente fondate su un certo​​ localismo spontaneo, cioè su una forma di socialità di breve raggio, legata al fatto, per sé puramente fisico e casuale, del vicinato. Il vicinato generava, quasi per tendenza spontanea, il sentimento della appartenenza a un popolo, dotato di tradizioni, di una lingua e di una sua specifica cultura, che entrava a costituire l’identità dei soggetti, generando sicurezza interiore, forme di solidarietà e senso sociale e fornendo un potente sostegno ai compiti educativi della famiglia. Tutto questo viene in qualche modo sommerso dal potere aggregante della​​ g. della convivenza; l’appartenenza si estende all’intero mondo, ma diluendosi ed indebolendosi, spesso in misura più che proporzionale. Viene meno nei giovani quell’apprendistato della vita sociale che era offerto in passato dalle convivenze di breve raggio, di loro natura più responsabilizzanti. L’anonimato sostituisce la forza coesiva del vicinato: il giovane appartiene al mondo, ma in una maniera diluita e impersonale che non mette minimamente in questione il fondamentale individualismo che, del resto, impregna tutta la cultura del mondo in cui vive. Si può dire che qualcosa di simile coinvolga anche l’educazione religiosa, che ha bisogno di convinzioni profonde e di esempi convincenti.

4. Non è dato ancora sapere verso quale futuro stia muovendosi il mondo globalizzato. Ma è certo che la g. carica di responsabilità nuove gli operatori dell’educazione; ma non si può ignorare che essa offre loro anche nuove occasioni ed opportunità educative globali che è loro compito non lasciar cadere.​​ 

Bibliografia

Mantovani M.,​​ Quale g., Roma, LAS, 2000; Bauman Z.,​​ Dentro la g. Le conseguenze sulle persone, Roma / Bari, Laterza, 2001; Zamagni S., «Una lettura socio-economica della g.», in​​ G.,​​ comunicazione,​​ tradizione. Progetto di ricerca interdisciplinare. Quaderni della Segreteria Generale CEI, Roma, CEI, 2002, 177-200.​​ 

G. Gatti




GLOTTODIDATTICA

 

GLOTTODIDATTICA

Ambito pedagogico-didattico relativo all’insegnamento delle lingue.

1.​​ Storia e concetto della g.​​ La g. (il termine è stato introdotto in Italia da R. Titone negli anni ’60, ma già esisteva alcuni anni prima come titolo di una rivista polacca, «Glottodidactica»); solo da pochi decenni è assurta al ruolo di scienza nell’ambito delle scienze pedagogiche. Essa rappresenta un settore delle cosiddette «didattiche speciali», ossia delle metodologie d’insegnamento delle varie discipline scolastiche (didattica della storia, della geografia, della matematica, delle scienze, ecc.). Il suo oggetto specifico è lo studio teorico e la definizione metodologica dei procedimenti di insegnamento delle lingue (lingua prima e lingue seconde: queste intese in senso stretto come qualsiasi lingua usata come codice ufficiale nel medesimo ambiente sociopolitico, o in senso largo come le lingue straniere, ossia parlate al di fuori dei confini nazionali). La storia della g. risale a tempi remotissimi, addirittura a cinque millenni fa, con i Sumeri, gli Egizi e altri popoli dell’Asia Minore. Gli studi storici documentano l’evoluzione dei metodi di insegnamento linguistico da quelli «diretti» a quelli fondati sulla «grammatica e traduzione», a quelli più scientifici recenti, come i metodi «strutturali» o «audio-orali», ai metodi di tipo «funzionale-comunicativo». Ma i tentativi di definizione della struttura scientifica della g. sono assai recenti: essi risalgono alla fine degli anni ’50 e inizio degli anni ’60, in Italia, ad opera di R. Titone, seguito da G. Freddi e G. Porcelli.

2.​​ Dimensioni scientifiche della g.​​ La g. ha avuto inizio dal momento che si è fatto appello alle scienze della comunicazione come fonti di chiarimento dei processi di acquisizione della prima e delle seconde lingue. In particolare, l’accostamento multi e interdisciplinare ha utilizzato i dati delle teorie, dei modelli e dei dati di ricerca della linguistica (teorica, descrittiva e applicata), della psicologia (psicologia sociale, psicolinguistica, psicopedagogia), della sociologia (sociolinguistica, antropolinguistica, etnolinguistica), della cibernetica e della scienza informazionale, della metodologia della ricerca sperimentale e operativa, ecc. Ovviamente, alla radice delle teorie scientifiche ha dovuto collocarsi una filosofia del linguaggio, capace soprattutto di spiegare la profondità e la ricchezza «umana» del linguaggio: donde il superamento delle teorie riduzionistiche del comportamentismo, ma anche del cognitivismo, in una visione integrale e integrata di orientamento «umanistico-personalistico» (​​ Stefanini, Titone). Infine, la g. come scienza metodologica speciale, per assumere una valida funzionalità all’interno delle scienze dell’educazione, ha dovuto inserirsi nell’ambito del processo di formazione totale della personalità dell’educando, e mirare non soltanto all’acquisizione di abilità o competenze linguistico-comunicative, ma soprattutto a uno sviluppo delle potenzialità profondamente «umane» del parlante-discente (da quelle cognitive, a quelle affettive, senso-motorie, interazionali, morali).

Bibliografia

Titone R.,​​ G.: un profilo storico,​​ Bergamo, Minerva Italica, 1980; Id.,​​ Orizzonti della g.,​​ Perugia, Guerra, 1990; Id.,​​ Avamposti della g. contemporanea,​​ Ibid., 1991; Freddi G.,​​ G. Fondamenti,​​ metodi e tecniche,​​ Torino, UTET, 1994; Porcelli G.,​​ Principi di g.,​​ Brescia, La Scuola, 1994; Cangià C.,​​ L’altra g., Firenze, Giunti, 1998; Balboni P. E.,​​ Dizionario di g., Perugia, Guerra, 1999.

R. Titone




GRACIÁN Baltasar

 

GRACIÁN Baltasar

n. a Belmonte de Calatayud (Saragozza) nel 1601 - m. a Tarazona nel 1658, scrittore, pensatore e pedagogista gesuita spagnolo.

1. G. attualizza e rielabora la​​ ​​ Ratio studiorum​​ in funzione delle coordinate ideologiche ed estetiche della sua generazione. Gli ideali pedagogici dell’umanesimo rinascimentale che furono incorporati nella​​ Ratio,​​ a distanza di un sec., secondo G., dovevano essere rivisti. Era necessario introdurre in essa i vocaboli tipicamente barocchi di acume, ingegno e concetto. Dopo aver seguito i paradigmi proposti nell’insegnamento gesuitico, bisognava superarli e andare più in là, raggiungendo l’acutezza, l’ingegnoso, l’esemplare e l’espressione scelta; in altre parole, bisognava raggiungere l’originalità. La maggioranza delle opere di G. persegue questo scopo.​​ El héroe​​ (1637) espone le caratteristiche del gigante, dell’uomo sagace, bellicoso, filosofo, politico e cortigiano. Tre anni dopo G. pubblica​​ El político,​​ di cui, a suo parere, Ferdinando il Cattolico, il «non plus ultra degli eroici re d’Aragona» incarnò le virtù. Nel​​ El discreto​​ analizza attentamente concetti pedagogici importanti come genio, ingegno, esercizio, atteggiamento, cultura, ritmo di apprendimento, ecc. L’antico «conosci te stesso» socratico viene attualizzato da G., che ritiene che «il primo passo del conoscere è conoscersi». L’Oráculo manual y​​ arte de prudencia​​ (1647) è una raccolta di aforismi, che riassumono il suo pensiero tipicamente ignaziano: «Cerca di esercitare i mezzi umani come se non avessi quelli divini e quelli divini come se non avessi quelli umani» (aforisma 251). L’aforisma 300, l’ultimo, riassume in poche parole il suo ideale pedagogico: l’uomo santo, che rende l’uomo «prudente, attento, sagace, giudizioso, saggio, valoroso, moderato, completo, felice, credibile, veritiero e universale eroe. Tre​​ s​​ rendono felice: santo, sano e saggio».

2. Opera somma della riflessione pedagogica di G. è​​ El criticón,​​ che apparve in più tempi (1651, 1653 e 1657). I suoi protagonisti simboleggiano la vita dell’uomo naturale (Andrenio) che si lascia condurre dai suoi istinti ed impulsi e la vita dell’uomo educato e giudizioso (Critilo) che pensa prima di agire. È un’opera importante della pedagogia universale che ricorda la novella del​​ filosofo autodidatta​​ arabo-spagnolo Ibn Tufail e che precorre di oltre un sec. le idee di​​ ​​ Rousseau. Andrenio è il figlio della natura che agisce spontaneamente, è attratto dall’apparenza e si lascia trasportare dai piaceri della vita. Critilo è più cauto e non si fida delle apparenze; la sua guida è la diffidenza, la prudenza e la riflessione.​​ El Criticón​​ è il fustigatore universale della società di G., che si identifica con l’atteggiamento pessimista di Quevedo, di Cervantes, di Calderón, di Valdés e di quanti ritengono che il mondo è pura apparenza, puro inganno. L’unica cosa vera e resistente è la virtù, frutto di un’educazione accurata, l’unica cosa che resta dopo che è calato il sipario del grande teatro del mondo.

Bibliografia

Coster A.,​​ B.G.,​​ Zaragoza, 1947; Batllori M.,​​ G. y el barroco,​​ Roma, 1958; Correa Calderón E.,​​ B.G.: su vida y su obra,​​ Madrid, 1961; Batllori M. - C. Peralta,​​ B.G. en su vida y en sus obras,​​ Zaragoza, 1969; García Gibert J.,​​ B.G., Madrid, Síntesis, 2002;​​ B.G. IV Centenario (1601-2001), Zaragoza, Instituto Estudios Altoaragoneses, 2003.

B. Delgado




GRADUALITÀ

 

GRADUALITÀ

La g. (dal lat.​​ gradus:​​ passo, scalino, grado) in pedagogia indica uno dei principi metodologici dell’educazione e dell’insegnamento riconosciuto fin dall’antichità, soprattutto a partire da​​ ​​ Comenio che, con la nota formula​​ «natura non facit saltus»,​​ la considerò come uno degli aspetti più essenziali del metodo secondo natura.

1. Tale sottolineatura fu ripresa in particolare da​​ ​​ Rousseau in polemica con le forme didattiche adultistiche, sostenendo che ogni età ha la sua educazione. Tale principio afferma l’esigenza di rispettare il processo naturale e cognitivo, «iuxta propria principia», quindi di procedere secondo i seguenti criteri: a) dal semplice al complesso; b) dal globale indifferenziato all’analitico differenziato: dal tutto alle parti (criterio importante nell’insegnamento della lingua sia materna che straniera, in particolare in quello della lettura e della scrittura;​​ ​​ globalismo didattico); c) dal noto all’ignoto; d) dal vicino al lontano (è un criterio applicato soprattutto nell’insegnamento storico e geografico); e) dal facile al difficile; f) dall’episodico e occasionale al sistematico; g) un procedimento ciclico e a spirale (utilizzato nell’organizzazione dei piani di studi per diversi gradi scolastici).

2. Una particolare accezione della g. è stata data da​​ ​​ Herbart e dai suoi discepoli con la teoria dei «gradi formali» (Formal-stufen),​​ ossia la​​ chiarezza​​ (che esige la concentrazione), l’associazione​​ (comparazione), il​​ sistema​​ e il​​ metodo.​​ Ziller scompone la​​ chiarezza​​ in​​ analisi​​ e​​ sintesi;​​ Rein, invece, in​​ preparazione​​ e​​ presentazione.​​ ​​ Willmann nella sua opera​​ Didattica come teoria della cultura​​ (1882-1889) approfondì il significato di questo principio che egli chiama «principio della graduazione», riferito soprattutto all’organizzazione del contenuto didattico, che deve rispettare sia l’aspetto / ordine storico sia quello psicologico delle discipline di studio. Con​​ ​​ Vygotskij e Bruner si afferma l’esigenza di una g. a spirale che consiste nello sviluppare le conoscenze in estensione e profondità.

Bibliografia

Willmann O.,​​ Didattica come teoria della cultura,​​ Brescia, La Scuola, 1962; Titone R.,​​ Metodologia didattica,​​ Roma, LAS,​​ 31975.

H.-C. A. Chang




GRAMMATICA

 

GRAMMATICA

Il termine g. viene utilizzato con significati diversi: l’arte di scrivere correttamente una lingua e il libro con cui la si insegna; la scienza che studia la forma e la struttura di una lingua definendone e descrivendone gli elementi costitutivi.

1. I greci mostrarono un grande interesse per la g., considerata strumento necessario per un uso appropriato della lingua. Nelle scuole ellenistiche lo studio della g. si impartiva a tre livelli: a livello primario, da parte del​​ grammatistés,​​ secondario da parte del​​ grammatikós​​ e superiore da parte del​​ sophistés​​ o retore. La g. assunse grande importanza presso gli alessandrini e rese possibile la traduzione dell’A. T.​​ in gr. (versione dei Settanta) oltre che la continuità delle antiche opere classiche greche e lo sviluppo delle tecniche di critica testuale e dei criteri di autenticità e di completezza.

2. In questo clima, esteso alle diverse città ellenistiche, lavorò Dionisio di Tracia, maestro di Rodi, autore della prima g. greca o manuale (téchne),​​ che si diffuse con successo in tutte le scuole. Per la prima volta vengono analizzate le diverse parti del discorso e si identificano le vocali, le consonanti, le sillabe, i dittonghi, i nomi, i verbi, gli articoli, ecc. I latini ellenizzati ereditarono la g. di Dionisio e l’applicarono allo studio del lat. nelle scuole. Nel Basso Impero eccelsero i contributi di Donato con la sua​​ Ars grammatica​​ e le​​ Institutiones grammaticae​​ di Prisciano. Alla semplice g. analitica del maestro di Rodi si aggiunsero la sintassi, lo studio dei casi delle preposizioni latine, gli idiotismi, i barbarismi, l’ortografia, la dizione, la metrica, ecc. La g. di Prisciano (m. nel 526), professore che insegnava lat. a Costantinopoli a studenti greci, fu utilizzata come testo scolastico nel​​ ​​ Medioevo da Boezio, s. Benedetto, Cassiodoro,​​ ​​ Isidoro di Siviglia e da Beda il Venerabile, che l’integrarono nei loro testi pedagogici come una parte importante.

3. La considerazione per la g. continuò durante il Rinascimento e fino al sec. XVII, periodo in cui il lat. fu a poco a poco abbandonato nelle scuole popolari a favore delle g. delle lingue nazionali utilizzate sia nelle scuole di​​ ​​ La Salle, sia in quelle di​​ Port-Royal.​​ Nel sec. XIX si insegnò in tutte le scuole europee la g. della lingua nazionale.

Bibliografia

Chomsky N.,​​ Aspects of the theory of syntax,​​ Cambridge, Mit Press,​​ 1965; Riché P.,​​ Les écoles et l’enseignement dans l’Occident chrétien de la fin du Ve​​ siècle au milieu du XIe​​ siècle,​​ Paris, Montaigne, 1979; Marrou H. I.,​​ Storia dell’educazione nell’antichità,​​ Roma, Studium, 1984;​​ Mourelle de Lema M.,​​ Elio A. de Nebrija y la génesis de una gramática vulgar, Madrid, Grugalma, 2006.

B. Delgado




GRAMSCI Antonio

 

GRAMSCI Antonio

n. ad Ales (OR) nel 1891 - m. a Roma nel 1937, intellettuale e uomo politico italiano.

1.​​ Vita e opere.​​ Di famiglia impiegatizia, con una borsa di studio frequenta la facoltà di lettere di Torino (1911). Non termina il curricolo, si avvicina ai socialisti e si dedica pienamente alla politica. Fonda, con amici, il settimanale (poi quotidiano) «L’Ordine Nuovo» (1919) e nel 1921 partecipa alla fondazione del partito comunista, di cui diviene uno dei dirigenti. Nel 1922 va a Mosca in rappresentanza del partito presso il comitato esecutivo della II Internazionale. Viene eletto deputato (1924), ma, in seguito ai provvedimenti speciali, viene confinato e nel 1928 è condannato a più di 20 anni e destinato a Turi. In carcere legge, riflette e scrive le​​ Lettere​​ e i​​ Quaderni dal carcere.​​ Nel 1934 chiede un periodo di libertà vigilata, che gli è concesso, ma nell’aprile del 1937 peggiora e si ricovera a Roma, dove muore il 27, per emorragia cerebrale.

2.​​ Il​​ pensiero pedagogico.​​ Premesso che l’impegno principale di G. era di ordine politico, la sua pedagogia, se così si può dire, si regge e si nutre, fino a identificarsi, di quella politicità. Infatti, mentre per il marxismo classico erano determinanti i rapporti di produzione e la struttura economica, per lui diventa risolutiva un’unità organica, dinamica, anzi dialettica e operativa di struttura e sovrastruttura, costituente il​​ «blocco storico».​​ Ogni struttura storica concreta è animata da una sovrastruttura e, quando essa è dominante, esercita un’egemonia.​​ Finora questa è stata nelle mani della classe-padrona, soprattutto in Italia, dove non ci sono stati eventi storici rivoluzionari e innovativi. Occorre un ribaltamento, per cui l’«egemonia» passi nelle mani della classe lavoratrice (operaia e contadina), dando il via a una società democratica. Ciò non è possibile tuttavia, se il proletariato non si impadronisce della cultura, che poi dovrà imporre, e a tal fine diventa insostituibile l’opera dell’educazione, che richiede l’intervento di​​ «intellettuali organici»,​​ inseriti cioè nella massa per farsene interpreti e promotori, in un rapporto di reciprocità dialettica. Infatti l’uomo è​​ «prodotto storico»​​ dei rapporti sociali animati da una volontà di intervento, e tale prodotto è portatore di una cultura, che per diventare egemone ha da essere autonoma, organica, omogenea e criticamente rapportata alle altre. In questa linea si opera una​​ «formazione storica»​​ che, libera da ogni determinismo e innatismo, darà luogo all’uomo nuovo e alla società nuova, all’insegna di una libertà disciplinata, contrapposta a ogni forma di spontaneismo libertario («sgomitolamento»). La disciplina infatti «limita l’arbitrio e l’impulsività», ma «non annulla la personalità e la libertà»; cosicché un «pizzico di coercizione» è di fatto indispensabile per la vita sociale, che richiede un conformismo dinamico, non imposto, ma proposto e accettato. Su queste basi si articolano le sue proposte per la​​ scuola,​​ prima funzionale alla subalternità della classe proletaria, che dovrà essere​​ unitaria,​​ al di sopra della contrapposizione tra cultura tecnica e umanistica, consentendo a tutti l’accesso a un ulteriore sviluppo culturale, al contrario della «riforma Gentile», classista e borghese. La scuola dell’obbligo deve essere fondamentalmente umanistica, nel senso di un nuovo umanesimo, prassico (ideale = «moderno Leonardo da Vinci»), e, al tempo stesso, disinteressata e formativa. In questo sta l’avvio della nuova società, guidata dal «nuovo principe», il partito, non dirigistico e impositivo, ma collaborativo e dialettico, teso all’elevazione della classe operaia. Le stesse tesi sono fondamentalmente riprese nelle sue​​ Lettere,​​ mirate, in particolare, all’educazione dei suoi figli.

3.​​ Valutazione.​​ G., da anni studiato e apprezzato anche all’estero, offre una reinterpretazione del marxismo (discussa specie in Italia), che identifica con la​​ «filosofia della prassi»,​​ accentuandone il carattere storicistico e dunque dialettico, di concretezza e relatività alle differenti situazioni. In tale prospettiva acquista più pregnanza anche la dimensione pedagogica (​​ marxismo pedagogico), non autonoma, ma inscindibilmente correlata alla sua lettura del reale umano-storico.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ le​​ Opere giovanili​​ di G. sono raccolte in 5 voll., Torino, Einaudi 1954-1971; le​​ Lettere dal carcere,​​ Ibid., 1947;​​ Quaderni dal carcere,​​ l’ediz. critica a cura di V. Gerratana, 4 voll., Ibid., 1975. b)​​ Studi:​​ fino al 1967, la bibliografia è raccolta in:​​ G. e la cultura contemporanea,​​ 2 voll., Roma, Editori Riuniti, 1970, vol. II, 477-544; Cammett J. M.,​​ Bibliografia gramsciana 1922-1988, Ibid., 1991. Quanto alla pedagogia: Lombardi F.,​​ Idee pedagogiche di A.G.,​​ Brescia, La Scuola, 1969; Manacorda M. A.,​​ Il principio educativo in G.: americanismo e conformismo,​​ Roma, Armando, 1970; Ragazzini D.,​​ Leonardo nella società di massa - Teoria della personalità in G., Bergamo, Moretti Honegger, 2002; Baratta G.,​​ Le rose e i quaderni. Il pensiero dialogico di A.G., Roma, Carocci, 2003.

B. A. Bellerate




GRECIA educazione

 

GRECIA: educazione

L’apparizione della cultura greca segna un vero salto di qualità dopo le grandi culture orientali mesopotamiche ed egiziana. Essa costituisce la culla di tutta la tradizione occidentale; in essa ancora ci riconosciamo per gli aspetti essenziali della nostra attuale civiltà.

1.​​ Gli inizi.​​ Il primo autore a cui possiamo fare riferimento è il poeta​​ ​​ Omero, ma i contenuti dei poemi omerici e la loro elaborazione ci rimandano a un periodo anteriore, il cosiddetto Medioevo greco. Dobbiamo risalire al IX sec. a.C. per le origini della cultura greca, che si estese nel bacino in cui era fiorita la precedente cultura micenea. Nella sua formazione e nel suo sviluppo influiscono le tre stirpi greche, portatrici di indoli e caratteristiche culturali diverse, pur convergenti nello spirito ellenico: gli Ioni, i Dori e gli Eoli. Creatori di questa cultura sono via via i poeti, i filosofi, i politici.

2. La centralità dell’uomo.​​ L’elemento differenziante la cultura greca dalle culture pre-elleniche è la centralità dell’uomo, per cui possiamo dire che la G. è all’origine di una vera cultura umanistica; si è perciò potuto chiamare il popolo greco il popolo antropoplasta per eccellenza (Jaeger, 1991). Vi possiamo evidenziare la​​ scoperta​​ (l’intuizione) dell’intima natura e dignità dell’uomo, cantata già dai primi poeti con la suggestività del mito e la forza dell’epica, e approfondita successivamente dalla speculazione filosofica; la​​ celebrazione​​ dell’uomo nelle varie espressioni della letteratura e dell’arte, come pure nelle celebrazioni panelleniche, ricche di sport e di cultura; la creazione della​​ città dell’uomo​​ nelle​​ poleis​​ greche (tipica l’Atene di Pericle nel V sec.) e nella graduale affermazione della democrazia;​​ la formazione​​ dell’uomo, in quella​​ ​​ paideia​​ (formazione dell’uomo greco, appunto) che ha concretizzato nelle sue varie fasi e ha tramandato quella stessa cultura. La​​ paideia​​ è inscindibile dalle varie espressioni e dai vari contenuti di quella cultura, come pure dall’evoluzione della sua storia. In questo senso poeti, filosofi e politici sono gli educatori della G. In questa storia distinguiamo​​ un periodo arcaico​​ (non solo nel senso di​​ antico,​​ ma anche in quello di​​ arché​​ come principio generatore di quei paradigmi di umanità che resteranno fondamentali per tutta la storia greca);​​ un periodo aureo​​ nella creatività del V e IV sec. a.C.; e un periodo di diffusione e consolidamento,​​ il periodo ellenistico,​​ dopo la perdita dell’indipendenza delle città greche con l’occupazione macedone alla fine del IV sec. a.C.

3.​​ La formazione dell’uomo greco.​​ La formazione dell’uomo greco mira alla sua completezza: tutto l’uomo in tutte le sue potenzialità, in un intento di armonia, che è già presente nell’ideale dell’Eroe cantato da Omero, ma che si andrà perfezionando, superando fasi di predominio di alcuni aspetti, come quello militare e quello ginnico sportivo. Questa totalità è espressa in alcuni binomi cari alla tradizione della​​ paideia​​ greca. Il primo è​​ «ginnastica e musica».​​ Con​​ ginnastica​​ si indica la cultura del corpo, che caratterizza la formazione greca in tutte le sue fasi, anche se con diverse accentuazioni; la ginnastica ha come maestro il​​ pedotriba.​​ Con​​ musica,​​ oltre al culto della musica in senso stretto, si indica tutto l’ambito della cultura, cioè delle discipline protette dalle muse; nella scuola ha come maestri il citarista, il​​ grammatico (didàskalos) e il retore. Un secondo binomio tocca più intimamente la portata della​​ paideia,​​ con due termini che qualificano l’idealità formativa greca: il​​ «bello»​​ e il​​ «buono»,​​ rispettivamente​​ kalòs​​ e​​ agathòs. «Buono»​​ indica la realizzazione di quel​​ valore​​ dell’uomo che i Greci fin dall’antichità omerica chiamavano​​ areté,​​ e che formava l’anèr agathòs.​​ In un primo momento si ritenne che il vero valore umano si potesse realizzare solo nell’aristocrazia (àristos,​​ superlativo di​​ agathòs),​​ ma con l’affermazione della democrazia e con l’apporto caratteristico dei​​ ​​ Sofisti nel V sec. a.C., si estende gradualmente a tutti i cittadini greci, superando quella che è stata chiamata la polemica sulla​​ insegnabilità dell’areté,​​ cioè sulla possibilità di conseguire​​ areté​​ per via di educazione​​ «Bello»​​ – concetto così caratteristico del senso estetico e dell’arte e della letteratura greca – indica in primo luogo la bellezza fisica nella cura del corpo e nel culto della corporeità, pur nella ricerca della completezza della formazione; ma raggiunge, particolarmente nell’apporto dei filosofi, quel valore di interiorità che lo rende inscindibile e in parte quasi sinonimo del valore umano espresso dal termine​​ agathòs.​​ Perciò i due termini vengono fusi in quello più comprensivo di​​ kalokagathìa​​ (unione di​​ kalòs​​ e​​ agathòs).​​ Come si vede, il greco guarda all’ideale​​ di uomo (in certo senso all’idea); ciò porta a una minore attenzione alla realtà del bambino e alla processualità del fatto educativo, con la conseguente caratteristica di​​ ​​ adultismo​​ della pedagogia greca. Altra conseguenza è il considerare elementi di​​ paideia​​ solo gli aspetti​​ liberali​​ della vita (lo sport, le lettere, la musica, la filosofia, la politica) non le pur fiorenti attività produttive e commerciali. Di questa​​ paideia della kalokagathìa​​ la città di Atene resta la capitale e la maestra, anche quando la rivale dorica Sparta, dalla seconda metà del VI sec. a.C., si chiude in un rigido militarismo e si emargina dall’evoluzione democratica della​​ paideia.

4.​​ Paradigmi ideali di paideia.​​ Si è accennato a una sostanziale unitarietà dell’ideale greco. In essa si deve però rilevare la diversità delle realizzazioni, sia per l’evolvere stesso della cultura greca, sia per l’originalità dell’apporto dei vari poeti e pensatori. Si può così cogliere la varietà di​​ paradigmi,​​ che interpretano e arricchiscono il quadro della​​ paideia:​​ diversi modi di attuare l’ideale dell’anèr agathòs,​​ sia diacronicamente, sia sincronicamente, con l’accentuazione o anche la contrapposizione di diversi elementi dell’ideale greco, nella diversa ricerca dell’armonia della formazione. Dal loro insieme si ha la visione complessa e ricca della​​ paideia.​​ Un rapido accenno ci porta ad evidenziare i seguenti​​ paradigmi ideali:​​ a) quello dell’Eroe​​ cantato da Omero (sec. VIII-VII), che rimane paradigma fontale per tutta la storia della​​ paideia;​​ b) quello del​​ contadino,​​ cantato da​​ ​​ Esiodo (sec. VII), con intento educativo, ma con applicazione diversa da quella di Omero: l’areté​​ del lavoro; c) quello del​​ soldato,​​ cantato nel sec. VII da Tirteo a Sparta e da Callino a Efeso; d) quello dello sportivo, cantato nel sec. V da Pindaro; e) quello del​​ cittadino:​​ ideale comune e prioritario, con accentuazioni diverse, a tutte le correnti di​​ paideia,​​ a cominciare dal politico / poeta Solone (Arconte ad Atene nel 594 a.C.); f) quello del​​ retore,​​ forgiato dai Sofisti del V sec. e perfezionato da​​ ​​ Isocrate (V-IV sec.); g) quello del​​ filosofo,​​ che ha avuto in​​ ​​ Platone la sua espressione più elevata. Nell’ideale retorico e in quello filosofico si affermano nel IV sec. le due scuole, in parte contrapposte, che raccolgono l’apporto di tutta l’evoluzione della​​ paideia​​ e ne tramandano l’eredità ai secoli successivi.

5.​​ La scuola.​​ Nell’attuazione dell’educazione greca, in particolare con il suo allargamento popolare all’affermarsi della democrazia, una parte importante ha l’istituzione della scuola.​​ Essa inizia alla fine del V sec. e ha la sua più compiuta organizzazione nel periodo ellenistico, nei tre gradi: la scuola primaria (o scuola del​​ didàskalos);​​ la scuola secondaria (o scuola del​​ grammatikòs);​​ la scuola (superiore) di retorica. A queste scuole, più comuni, se ne aggiungono altre di tipo più elitario, in particolare le scuole di filosofia e quelle di medicina. Attraverso la diffusione della scuola, la cultura greca raggiunge la massima espansione, anche con l’appoggio dell’universalismo di Roma, conquistata essa stessa da quella cultura (​​ storia della scuola). Nel clima culturale della​​ paideia​​ appare il​​ ​​ Cristianesimo, che in essa ha la prima​​ ​​ inculturazione, accogliendone molti aspetti positivi e dandovi un proprio apporto per una più completa formazione dell’uomo in quella che S. Clemente Romano chiama​​ en Christò paideia.

Bibliografia

Galino M. A.,​​ Historia de la educación. Edades antigua y media,​​ Madrid, Gredos,​​ 1988; Golden M.,​​ Children and childhood in classical Athens,​​ Baltimore, Maryland, John Hopkins University Press, 1990; Jaeger W.,​​ Paideia.​​ La formazione​​ dell’uomo greco,​​ Scandicci (FI), La Nuova Italia, 1991; Marrou H. I.,​​ Storia dell’educazione nell’antichità,​​ trad. it. di U. Massi, Roma, Studium, 1994; Prellezo J. M. - R. Lanfranchi,​​ Educazione e pedagogia nei solchi della storia,​​ vol. 1:​​ Dall’educazione antica alle soglie dell’Umanesimo,​​ Torino, SEI, 2004.

M. Simoncelli​​