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GESUITI

 

GESUITI

Membri della Compagnia di Gesù, ordine religioso di chierici regolari fondato da s. Ignazio di​​ ​​ Loyola, approvato da Paolo III (1540).

1.​​ Finalità e mezzi.​​ Nacquero come un gruppo di presbiteri che desideravano prima di tutto​​ servire sotto il vessillo della Croce solamente il Signore Gesù,​​ e la sua sposa la Santa Chiesa sotto il Romano Pontefice,​​ dedicandosi intensamente alla salvezza e santificazione delle proprie anime nel servire quelle del prossimo. La loro spiritualità si fonda nella «conoscenza intima» della Persona di Gesù Cristo, contemplato, amato e seguito; nella preghiera personale, e nel servizio ecclesiale per la difesa e propagazione della fede. Per realizzare questo obiettivo, essi si servono di quei mezzi che​​ maggiormente​​ ad esso conducano: predicazione della Parola, insegnamento,​​ Esercizi spirituali,​​ catechesi, sacramenti, missioni estere, opere assistenziali, promozione umana e della giustizia sociale, mezzi di comunicazione, ecc. I g. si distinguono per il loro particolare voto di obbedienza al Papa circa le missioni che egli dovesse loro affidare. La loro struttura di governo è molto gerarchica: il preposito generale è eletto a vita dalla Congregazione Generale della Compagnia (formata dai superiori provinciali e da altri eletti nelle congregazioni provinciali). La​​ Formula dell’Istituto​​ è la loro Regola fondamentale, sviluppata nelle​​ Costituzioni,​​ redatte da s. Ignazio (con l’aiuto speciale del p. Polanco) tra gli anni 1539-53.

2.​​ Storia.​​ Il motto dell’Ordine (A maggior gloria di Dio)​​ è stato messo in pratica dalle loro prime attività nel sec. XVI, sia in Europa, nella difesa e propagazione della fede, sia nei territori cristiani, sia nei Paesi «di Missione», attraverso i diversi ministeri e servizi apostolici: dal lavoro catechetico alla ricerca scientifica, dall’attenzione spirituale ai malati alle opere di civiltà delle Riduzioni americane, dalle opere d’insegnamento alle riviste ed altri mezzi di comunicazione. Erano 10 i primi compagni (Favre, Xavier, Laínez, Salmerón, Rodríguez, Bobadilla, Jayo, Broet, Coduri e Ignazio) che fissarono il loro centro di attività a Roma. L’8 aprile 1541 Ignazio fu eletto a preposito generale, ed i compagni presenti a Roma fecero la professione solenne il 22 dello stesso mese nella basilica di san Paolo fuori le mura. I primi collegi per esterni furono estensione o apertura ai laici dei collegi fondati anzitutto per la formazione dei futuri g. A Gandía (Spagna) aprirono un collegio per studenti della Compagnia con accesso anche ai figli dei «moreschi» (1546); similmente fecero a Messina (1548), per altri studenti esterni; il Collegio Romano – origine dell’Università Gregoriana – fu fondato nel 1551 ed in esso si sarebbero formati i futuri g., i seminaristi diocesani e perfino cattolici secolari molto impegnati. A partire dal 1553 nei collegi dei g. si cominciarono ad impartire anche lezioni di Filosofia e Teologia. I collegi gesuitici divennero anche centri cittadini di assistenza sociale e spirituale. Quando Ignazio morì (1556) i g. erano più di un migliaio, e i loro collegi erano 39, sparsi in 7 nazioni europee; nel 1580, i collegi erano 140; nel 1600 erano 245; e nel 1626 giunsero a 444. A questi bisogna aggiungere 56 seminari, oltre alle istituzioni universitarie per gli studenti g. L’insegnamento era gratuito, perché era ritenuto ministero apostolico. Per questo, quando era creato un collegio, si cercava sempre che avesse una «fondazione» (rendite o donazioni che assicurassero il suo mantenimento). Mediante tale strumento i g. incidevano nelle strutture della società. Si dedicarono pure alla predicazione, come avevano fatto ai loro inizi, a Siena e a Parma, mandati da Paolo III. Altri furono inviati ad espletare missioni diplomatiche in favore della Santa Sede (Broet e Salmerón furono nunzi apostolici in Irlanda, 1541). A richiesta di Paolo III, Ignazio inviò al Concilio di Trento Laínez e Salmerón (1546). P. Favre, uno dei più fedeli amici di Ignazio, accompagnò in Germania il dr. Pedro Ortiz, diplomatico, il quale partecipò alle dispute religiose tra cattolici e protestanti a Worms e Regensburg. Tutta questa attività era accompagnata, fin dai primordi della Compagnia, dalla predicazione al popolo e dagli​​ Esercizi spirituali​​ dati alle singole persone.​​ Salmerón si distinse per i suoi sermoni, Favre guadagnò la simpatia di molti in Italia, in Germania e in Spagna, e scrisse un​​ Memoriale​​ che i g. considerano come emblematico. Nel sec. XVI si consolidò il metodo d’insegnamento fino alla formazione della​​ ​​ Ratio studiorum,​​ che servirà da guida ai g. nell’educazione ispirata all’umanesimo cristiano. Agli inizi del Seicento, essendo preposito generale il p. Acquaviva, si realizzò la definitiva separazione fra i centri di formazione dediti esclusivamente ai g. e gli altri centri (collegi e università) indirizzati ai non g. La Compagnia trovò difficoltà nel suo apostolato a causa del regime assolutista degli Stati, opposto alla centralizzazione romana rappresentata dai g. Si svilupparono, però le​​ missioni popolari​​ e gli​​ Esercizi.​​ La Compagnia fu espulsa da alcuni Stati monarchici sotto l’influsso di ministri «filosofi» (Pombal nel Portogallo, Choiseul in Francia, Tanucci a Napoli, Aranda in Spagna); in seguito, Clemente XIV firmò il breve​​ Dominus ac Redemptor​​ (1773) mediante il quale la Compagnia era soppressa in tutta la Chiesa. Una delle ragioni per cui i g. furono sistematicamente perseguitati dai membri della cultura laicista ed illuminista (enciclopedisti e massoni inclusi) fu l’universale rilevanza che aveva acquistato il modello pedagogico gesuitico, che rendeva la Compagnia decisiva per la cultura religiosa e la civiltà cattolica. Pio VII, tramite la bolla​​ Sollicitudo omnium ecclesiarum​​ (1814) ripristinò la Compagnia, mirando particolarmente al servizio reso dai g. nel campo dell’insegnamento. La​​ nuova​​ Compagnia, nell’Ottocento, diede alcuni segni di intransigenza, conseguenza delle persecuzioni precedenti, e del desiderio di consolidare le sue radici. I 600 g. del 1814 giunsero, nel 1960, a 36.038, e crebbero soprattutto durante i generalati dei pp. Ledóchowski (1915-42) e Janssens (1946-64). Nel 2007 erano 19.554, e preparavano la Congregazione Generale per gennaio 2008, in cui, tramite permesso esplicito del Papa, sarebbe stato scelto il nuovo Generale, dopo le dimissioni di P. Kolvenbach. Durante il sec. XIX i collegi e le università dei g. negli U.S.A. raggiunsero notevole sviluppo, influendo (assieme all’attività di molti altri istituti religiosi dediti all’insegnamento) sulla crescita del numero dei cattolici nell’America del Nord. Tra i più noti studenti dei g. sono da ricordare s. Giovanni della Croce, Cartesio, s. Francesco di Sales, ecc.

Bibliografia

García Villoslada R.,​​ Manual de historia de la Compañía de Jesús,​​ Madrid, Aldecoa, 1941; Martini A.,​​ La Compagnia di Gesù e la sua storia,​​ Chieri, La Civiltà Cattolica, 1951; Thomas J.,​​ Il segreto dei g.: Gli Esercizi spirituali,​​ Casale Monferrato (AL), Piemme,​​ 21988; Bangert W. V.,​​ Storia della Compagnia di Gesù,​​ Roma, Marietti, 1990; Guibert J. de,​​ La spiritualità della Compagnia di Gesù. Saggio storico,​​ Roma, Città Nuova, 1992; De​​ Rosa G.,​​ I​​ G., Leumann (TO), Elle Di Ci / La Civiltà Cattolica, 2006.

F.-J. de Lasala




GIAMMANCHERI Enzo

 

GIAMMANCHERI Enzo

n. a Brescia il 19.7.27 m. ivi il 4.11.05, sacerdote, intellettuale e promotore di iniziative culturali.

1. Licenziato in Teologia a Venegono (1953) e laureato in Filosofia all’Università Cattolica di Milano (1958), dopo l’ingresso nel Comitato di Redazione de La Scuola (1955), dal 1958 fece parte del Consiglio di Amministrazione, divenendo – con il passare del tempo – la figura di riferimento dell’Editrice bresciana. Qui diresse collane e promosse iniziative culturali fino alla morte (tra l’altro, fu segretario di Scholè, 1978-05; direttore di «La Famigliaۛ», 1966-71, e «Pedagogia e Vita», 1970-88; condirettore di «Scuola Italiana Moderna», 1981-98). A Brescia insegnò Filosofia nel Seminario (1951-56 e 1969-02) e all’Istituto «Arici» (1956-69), e Pedagogia all’Università Cattolica (1966-76). Fu inoltre vicario episcopale per la cultura, 1976-80; delegato vescovile per le istituzioni culturali, 1980-99; consultore della Congregazione per l’educazione cattolica, 1999-05.​​ 

2. Studioso di ampio respiro, ha coltivato la passione per l’educazione e la scuola essendo convinto che la fede cristiana sa ispirare cultura (tra i suoi interventi spiccano quelli sul movimento cattolico e in favore dell’IRC concordatario e della scuola cattolica) e che l’appartenenza ecclesiale – in schietta e intelligente obbedienza al Magistero – offre un’identità che sa dialogare con tutti. Formatosi nella Neoscolastica milanese (tra i suoi maestri, era solito annoverare Gustavo Bontadini, Mario Casotti e Sofia Vanni Rovighi), si confrontò lealmente con le diverse tendenze culturali – a cominciare dal marxismo – essendo guidato dalla fiducia nella indefettibilità della verità e nell’accordo di ragione e fede. Ai suoi molteplici interessi – che lo resero attento critico della cultura e dei costumi – corrisponde un’ampia rete di rapporti personali e istituzionali: le sue carte, conservate presso l’Archivio storico de La Scuola, sono in fase di riordino nel Fondo G.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ G.E.,​​ Educazione e senso della vita, Brescia, La Scuola, 2000; Id.,​​ Pensieri sulla guerra, Brescia, La Quadra, 2002; Id.,​​ Alla scuola di Paolo VI. Appunti, Brescia, La Scuola, 2003. b)​​ Studi:​​ Mons. E.G., Ibid., 2006;​​ E.G.: fede,​​ cultura,​​ educazione, Ibid., 2007.

G. Mari




GIANSENISMO

 

GIANSENISMO

Il G. trae il nome da Cornelio Giansenio (Cornelius Jansen, 1585-1638), vescovo d’Ypres, autore di una voluminosa opera dal titolo​​ Augustinus​​ (1a​​ ediz. 1640) relativa al problema allora vivamente dibattuto della libertà dell’uomo e della grazia divina. Giansenisti erano detti coloro che, nonostante le condanne ecclesiastiche, difendevano l’Augustinus​​ come una fedele silloge del pensiero di sant’​​ ​​ Agostino d’Ippona o comunque sostenevano dottrine che sembravano riproporre quelle di Giansenio.

1. L’esperienza pedagogica giansenista nel corso del ’600 e del ’700 non ha precisi riferimenti alla trattazione teologica del vescovo d’Ypres. Suoi modelli ideali sono Port-Royal, i suoi​​ Messieurs,​​ il loro pensiero e la loro attitudine morale, le loro​​ ​​ Petites Écoles​​ e i loro libri. Per quanto mutino i condizionamenti storici e culturali nel corso di due secoli, identica è nel complesso la visione religiosa e l’attitudine di fondo che i giansenisti nutrono nei confronti di coloro ai quali è destinata la loro opera educativa. Le​​ Petites Écoles​​ non sopravvissero alla campagna repressiva che si scatenò contro i giansenisti e contro Port-Royal. Saint-Cyran (1581-1643), considerato dal card. Richelieu come un capofila di opposizione alla linea politica della monarchia, fu trattenuto a lungo in prigione; i «solitari» di Port-Royal des Champs vennero dispersi e perseguiti; il più battagliero, Antoine Arnauld (1612-1694), fu costretto alla clandestinità e all’esilio; il drappello di allievi venne disperso e dissolto attorno al 1660-61; le monache dei due monasteri, di Port-Royal de Paris e di Port-Royal des Champs, furono vessate perché non sottoscrivevano il formulario di adesione alla condanna delle cinque proposizioni estratte dall’Augustinus​​ e condannate da Innocenzo X nel 1653 (bolla​​ Cum occasione).​​ Nel 1710-13 il monastero di Port-Royal des Champs fu demolito per ordine del re.

2. In queste congiunture l’attività educativa del G. si espande nelle direzioni più varie facendo proprie certe iniziative che nel ’600 si erano sviluppate sull’onda delle istanze umanistiche, della riforma religiosa e di una migliore preparazione delle classi alte della società. Nel sud della Francia ad Alet e a Pamiers i due vescovi locali, impegnati nei programmi di riforma tridentina, ma sostenitori ardenti dell’ortodossia di Giansenio, organizzarono gruppi di donne che in qualità di «reggenti» s’incaricavano di promuovere l’istruzione catechistica nell’intera diocesi. Entrambi i gruppi furono dissolti alla morte dei due prelati. Sorte analoga toccò in quegli anni all’Institut de l’Enfance, congregazione religiosa femminile con scopi di istruzione e di assistenza fondata a Toulouse da un amico del vescovo di Alet. In modo precario, tra sospetti e persecuzioni, svolsero la loro attività di educatori in collegi, in seminari e in scuole private vari personaggi che tra ’600 e primo ’700 rifiutarono di sottoscrivere il formulario relativo alle cinque proposizioni condannate di Giansenio e che inoltre, anziché accettare la bolla​​ Unigenitus​​ (1713) che condannava cento e una proposizioni estratte dalle​​ Réflexions morales​​ di Pasquier Quesnel, fecero appello al concilio ecumenico. Tra questi si distinsero come educatori, insegnanti e scrittori Ch.​​ Huré (1639-1717), A. Paccory (1649-1730), E. Gaudron (1672-1732), J.-B. Roussel (1686-1740), M. Tissart (1669-1745), F.-Ph.​​ Mésenguy (1677-1763). Sono da ricordare inoltre vari membri dell’Oratorio di Francia, interdetti in genere dall’accedere agli ordini sacri e allontanati dall’insegnamento che svolgevano presso collegi in diocesi rette da vescovi dichiaratamente antigiansenisti. Diversa fu la sorte di una comunità di educatori costituita da semplici laici e fondata dal prete Charles Tabourin. Il primo nucleo di maestri iniziò nel 1709 e a partire dal 1713 costituì una rete di piccole «scuole di carità» maschili nel faubourg Saint-Antoine a Parigi affiancata da scuole femminili tenute dalle Soeurs de Sainte-Marthe. Nonostante le traversie del fondatore, ch’era giansenista e appellante, le «scuole Tabourin» si diffusero anche altrove in Francia (Orléans, Auxerre, Normandia). Soppresse nel 1793 dalla Convenzione, poterono riaprire a Parigi nel 1802 e dedicarsi all’educazione di ragazzi della piccola borghesia in un pensionato che poté durare fino al 1887 coltivando la memoria di Port-Royal e proseguendone i metodi di formazione al rigore morale.

3. È soprattutto la produzione catechistica a prolungare del G. originario la visione fondamentalmente pessimista della natura umana, bisognosa della grazia in ordine al bene da discernere e da perseguire. Tra i numerosi catechismi giansenisti (tutti in genere sull’onda di quello composto da Saint-Cyran per i bambini delle​​ Petites Écoles)​​ ebbero particolare fortuna quello di mons. Colbert (1667-1738), vescovo di Montpellier, e gli altri del Mésenguy e di P.-E. Gourlin (1695-1775). Vasto influsso esercitarono nel ’700 e nel primo ’800 gli​​ Essais de morale​​ di P. Nicole (1625-1695).​​ 

4. La necessità di coltivare la buona formazione fin dalla prima infanzia è una istanza che caratterizza la riflessione pedagogica originaria di Port-Royal. Tra gli scritti che insistettero su tale tema sono da ricordare:​​ De l’éducation chrétienne des enfants​​ (1661) di A. Varet (1632-1676),​​ Avis salutaires aux pères et aux mères qui veulent se sauver par l’éducation chrétienne qu’ils doivent à leurs enfants​​ (1719) di A. Paccory e​​ Les règles de l’éducation des enfants​​ di P. Coustel​​ (1621-1704). Sul solco della precettistica destinata ai sovrani si collocano lo scritto​​ De l’éducation d’un prince​​ (1670) di P. Nicole e la​​ Institution d’un prince​​ (1739) di J.-J. Duguet (1649-1733). Il saggio di Nicole documenta l’attenzione che i portorealisti dedicano alle qualità morali e alla capacità di giudizio. L’ampio trattato di Duguet respira già i preludi del riformismo illuminato e prospetta un quadro di conoscenze che include anche lo studio dell’agricoltura e del commercio. Di vasto successo furono anche le opere pedagogiche e didattiche di Rollin, vicino allo spirito di Port-Royal.

5. Tra fine ’700 e primo ’800 si distinse come esponente del tardo G. francese H. Grégoire (1750-1831). Nel 1793-94 in sintonia con il giacobinismo politico si fece promotore di progetti radicali per la unificazione linguistica che avrebbe comportato in Francia l’abbandono dei linguaggi e dei dialetti regionali. Tra riformismo illuminato e restaurazione emerge in Italia la figura di P. Tamburini (1737-1827), combattivo nel sostenere i temi teologici dell’agostinismo, polemico portavoce del «partito» che non era opposto ai sovrani riformatori ma al cattolicesimo «ultramontano» imperniato sulla fedeltà alle tendenze politiche del papato. Tamburini affronta i temi dell’educazione in epoca rivoluzionaria nelle lezioni di filosofia morale tenute all’università di Pavia. In termini positivi vi prospetta le risorse naturali dell’uomo (sottacendo il tema dell’intrinseca debolezza della natura, bisognosa dalla grazia risanatrice di Cristo) e perora a favore di un insegnamento meno legato all’apprendimento del lat., più abilitante alle scienze sperimentali e più in ordine alla formazione civile.

6. I libri del G. più a lungo adoperati nell’insegnamento scolastico in Francia e altrove furono​​ La logica o l’arte di pensare​​ di Arnauld e Lancelot, il​​ Nuovo metodo per apprendere agevolmente la lingua lat.​​ e quello​​ per apprendere facilmente la lingua gr.,​​ entrambi dello stesso Lancelot. Un​​ Compendio del nuovo metodo per apprendere la lingua lat.​​ fu in uso nelle regie scuole del Piemonte nel periodo della restaurazione. F. De Sanctis (1817-1883) ricordava che a Napoli aveva imparato il lat. sul «Portoreale». Il​​ Nuovo metodo​​ fu ancora ristampato a Napoli nel 1848 e il​​ Compendio​​ nel 1853. Perdurarono insomma quei testi nei quali era netto il carattere innovativo in campo didattico, era meno esplicita l’ispirazione profondamente religiosa del G. e più agevole la trasposizione entro i quadri di una cultura laica moderna, potenzialmente post-cristiana.

Bibliografia

Gazier A.,​​ Histoire générale du mouvement janséniste des origines jusqu’à nos jours,​​ 2​​ voll., Paris, Champion, 1922; Cognet L.,​​ Le jansénisme,​​ Paris, PUF,​​ 1968; Zovatto P.,​​ Introduzione al G. italiano (Appunti dottrinali e critico-bibliografici),​​ Trieste, Facoltà di Magistero, 1970; Stella P.,​​ Il​​ G. in Italia. Piccola antologia di fonti,​​ Bari, Adriatica, 1972;​​ Taveneaux R.,​​ La vie quotidienne des jansénistes aux XVIIe​​ et XVIIIe​​ siècles,​​ Paris, Hachette, 1973; Martianais C.-M.,​​ Un pédagogue méconnu. Le diacre Ambroise Paccory (1649-1730),​​ Rome, Maison St. J.-B. de La Salle, 1976; Hildesheimer F.,​​ Le jansénisme en France aux XVIIe​​ et XVIIIe​​ siècles,​​ Paris, Publisud,​​ 1991; Hildesheimer F. - M. Pieroni Francini,​​ Il​​ G.,​​ Cinisello Balsamo (MI), Paoline, 1994; Stella P.,​​ Il​​ G. in Italia, 3 voll., Roma, Storia e Letteratura, 2006.

P. Stella




GINER DE LOS RÍOS Francisco

 

GINER DE LOS RÍOS Francisco

n. a Ronda nel 1839 - m. a Madrid nel 1915, filosofo, pedagogista e educatore spagnolo.

1. Compiuti gli studi secondari nella città natale, inizia quelli giuridici a Barcellona (1852), dove riceve l’influsso del pensatore hamiltoniano Llorens i Barba. Nell’università di Granada ha i primi contatti con il «panenteismo»del filosofo tedesco K. Krause (​​ Krausismo). Allontanato dalla cattedra universitaria dal governo conservatore, G. fonda a Madrid, con altri professori krausisti, la​​ Institución Libre de Enseñanza​​ (1876), centro superiore di studi e d’insegnamento secondario, che dirige fino alla morte. Tra gli scritti più noti:​​ Instrucción y educación​​ (1879),​​ El espíritu de la educación en la Institución Libre de Enseñanza​​ (1880),​​ Educación y enseñanza​​ (1889),​​ La enseñanza individual y la escuela​​ (1895),​​ Pedagogía universitaria​​ (1905). Nei suoi saggi filosofici e giuridici sono anche presenti i problemi educativi.

2. Il pensiero pedagogico di G. si innesta in una concezione antropologica di matrice krausista: G. definisce l’uomo come un «essere di unione», composto organico di due sfere (corpo e spirito) in intima connessione e azione reciproca. Attraverso lo strumento del corpo, l’uomo entra in contatto con le altre realtà finite; poiché l’uomo (essere in relazione) è membro dell’«universale organismo nel quale tutti gli esseri convivono». Nei primi scritti G. concepisce l’educazione come un fatto di dimensioni cosmiche. È compito dell’uomo fare in modo che tutti gli esseri dispieghino le loro forze in «unità proporzione e armonia», in cui si fonda la perfezione di ogni sfera del mondo. Tale impegno esige, anzitutto, dall’uomo stesso la propria realizzazione, cioè l’educazione per antonomasia, il cui fine è «formare l’uomo come tale, in armonia e unità di tutte le sue forze». Per G. l’impegno educativo non ha un limite definito, non si riduce a un periodo determinato della vita, ma coincide con essa e «dura fino a quando essa dura». In questo contesto si profila la funzione educativa della scuola, concepita da G. come un «laboratorio di ricerca personale», dove l’impostazione memoristica e autoritaria cede il posto ai metodi «intuitivi e socratici», «personali e attivi».

3. La concezione religiosa gineriana – vicina al​​ panenteismo​​ krausista – e alcune sue tesi, come la​​ ​​ coeducazione e la scuola neutra, provocarono forti riserve negli ambienti cattolici spagnoli. In Italia è stata messa molto in risalto la risonanza della sua opera: «il rinnovamento in senso europeo della università e della cultura spagnola dell’Ottocento fu, in gran parte, merito del movimento krausista e dell’Institución»​​ (Mazzetti, 1966, 78).

Bibliografia

Mazzetti R.,​​ Educazione e scuola nella Spagna contemporanea,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1966; Prellezo J. M.,​​ F.G. de los R. y la​​ Institución Libre de Enseñanza.​​ Bibliografía (1876-1976), Roma / Madrid, LAS / CCS / , 1976;​​ Id.,​​ Rinnovamento della scuola. Proposta di F.G. de los R.,​​ in «Orientamenti Pedagogici»​​ 26 (1979) 939-953; Álvarez P. - E. M. Ureña (Edd.),​​ La actualidad del krausismo en su contexto europeo, Madrid, Universidad Comillas, 1999; Díaz E. et al.,​​ Educación y universidad, Madrid, C. Estudios R. Areces, 2005

J. M. Prellezo




GINNASIO

 

GINNASIO

Dal gr.​​ gymnásion,​​ era originariamente il luogo dove i giovani si esercitavano nudi (gymnói)​​ in attività atletiche. In seguito il termine assunse il significato più ampio e complesso di luogo di istruzione ed educazione, di centro di ritrovo delle comunità greche, con una differenziazione fra ginnasi per fanciulli, per efebi e per adulti.

1. Vi si impartiva, soprattutto ai giovani, oltre l’educazione fisica, l’istruzione letteraria e musicale, da parte di grammatici, filosofi, retori, filologi e citaristi. In età ellenistica le città dell’Oriente conservarono i g. come simbolo di grecità, mentre a Roma essi trovarono scarso sviluppo, dovuto forse ad una certa avversione per la ginnastica. Nel periodo imperiale la funzione dei g. si può ritenere sia stata ripresa a Roma dalle terme, edifici pubblici per bagni, con annessi luoghi di riunione, palestre e biblioteche. Si fa menzione solo di g. privati, il primo dei quali è attribuito a Nerone.

2. Nell’accezione di luogo di istruzione, il termine g. figura negli ordinamenti scolastici di diversi Paesi europei, a partire dal sec. XIX. In Italia, con la legge Casati coincideva con i primi tre anni della scuola secondaria classico-umanistica (g. inferiore) e con il biennio della scuola secondaria superiore (g. superiore), che proseguiva con il triennio del​​ ​​ liceo classico. Tale struttura rimase invariata nella riforma​​ ​​ Gentile (1923), fino alla legge Bottai (1939), che abolì il g. inferiore per istituire una parvenza di scuola media unica (accanto alla scuola di avviamento professionale), in cui confluirono i corsi inferiori delle scuole di secondo grado (liceo classico, liceo scientifico, istituto magistrale, istituti tecnici). Ancora oggi sopravvivono in Italia i due anni del g. superiore (quarto e quinto), in attesa di una ristrutturazione di tutta la scuola secondaria di secondo grado. La tradizione dei g. è attestata anche in Germania (Gymnasien),​​ oggi a caratteri differenziati (linguistico-moderno, matematico-scientifico, classico) e articolati in tre anni di scuola secondaria inferiore e in tre anni di secondaria superiore. In Danimarca i tre anni di​​ Gymnasium,​​ ad indirizzo classico e ad indirizzo matematico, costituiscono il corso di scuola secondaria superiore. In Olanda l’istruzione secondaria che prevede uno sbocco universitario è articolata in tre tipi di scuola:​​ Atheneum,​​ Gymnasium​​ (con latino e greco obbligatori) e​​ Lyceum.​​ Anche in Grecia figura il​​ Gymnasio,​​ come scuola secondaria inferiore, cui segue il​​ Lykeio, i cui diversi indirizzi sono stati unificati con la riforma del 1997-98. Non in tutti Paesi di Europa la scuola secondaria porta la denominazione di g. In Francia, per es., la secondaria inferiore è chiamata​​ Collège​​ e quella superiore​​ Lycée;​​ in Inghilterra vi corrispondono più tipi di scuola secondaria;​​ in Spagna una​​ Enseñanza Básica,​​ cui seguono il​​ Bachillerato​​ e la​​ Formación profesional.

Bibliografia

Marrou H. I.,​​ Storia dell’educazione nell’antichità,​​ Roma, Studium, 1950; Cives G. (Ed.),​​ La scuola italiana dall’Unità ai nostri giorni,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1990; Caron J. C., «I giovani a scuola: collegiali e liceali» (fine XVIII - fine XIX sec.), in G. Levi - J. C. Schmitt (Edd.),​​ Storia dei giovani,​​ vol. 2:​​ L’età contemporanea,​​ Bari, Laterza, 1994, 161-232;​​ www.eurydice.org / portal / page / portal / Eurydice /​​ DB_Eurybase_Home.

G. Proverbio




GINNASTICA

 

GINNASTICA

Rappresenta quella parte dell’educazione fisica che definisce, precisa e si interessa di far eseguire con armonia ed esattezza i movimenti fisici, a corpo libero o con attrezzi.

1. La g. ha avuto un ruolo assai importante lungo la storia a partire dalle civiltà greca e romana. Secondo molti studiosi il termine deriva infatti dal gr.​​ gymnós​​ (nudo), poiché nell’antica Grecia la g. veniva considerata un’arte del movimento fisico a servizio della grazia e della bellezza del corpo che, appunto, era nudo al momento degli esercizi ginnici. I romani spogliarono il concetto greco di g. di quelle qualità estetico-valoriali che lo caratterizzavano, limitandosi piuttosto alla formazione di un corpo sano e robusto, atto a sopportare le fatiche della lotta e della guerra. Nelle successive fasi della storia l’attività ginnica è rimasta a lungo trascurata; solo nel XVIII sec. è tornata in vigore, grazie soprattutto ai «concorsi sportivi» introdotti tra le attività organizzate in occasione di grandi celebrazioni nazionali (prima in Germania e successivamente in altri Stati europei).

2. Da allora la g. si è diffusa poco alla volta in tutto il mondo, fino ad entrare a far parte dei Giochi Olimpici (nel 1896 la g. maschile e nel 1928 quella femminile). Ancora oggi le gare vengono disputate separatamente da maschi e femmine, ma negli esercizi si continua a dare particolare importanza alla grazia e alla fluidità dei movimenti, recuperando almeno in parte l’antico concetto greco che univa la forza fisica espressa nell’esercizio a quella estetica ed armonica delle forme. Attualmente la g. trova applicazione non soltanto nell’attività sportiva ma anche in altre attività ludiche, militari (o paramilitari), dello spettacolo, della salute. Tutto questo ha permesso di fare una distinzione tra g. olimpica e quella militare, coreografica, respiratoria, ritmica, preventiva, correttiva..., ognuna secondo quegli scopi e quelle finalità che fanno capo ai differenti destinatari ed alle variegate forme, luoghi e momenti d’applicazione.

Bibliografia

Zaccà O.,​​ Enciclopedia sportiva,​​ Catania, Zaccà-Sport, 1960; Enrile E. (Ed.),​​ Dizionario dello sport,​​ Alba, Paoline, 1977; Wright G. (Ed.),​​ Illustrated handbook of sporting terms,​​ s.l., Hampton House Production Ltd., 1978; Petiot G. (Ed.),​​ Le Robert des sports. Dictionnaire de la langue des sports,​​ Paris, Le Robert,​​ 1982; Magnanimi A.,​​ Il corpo fra g. e igiene: aspetti dell’educazione popolare nell’Italia di fine Ottocento, Roma, Aracne, 2005.

V. Pieroni




GIOCO

 

GIOCO

Tutti gli studiosi sono concordi nell’attribuire al g. un ruolo fondamentale nello sviluppo dell’uomo, in quanto porta a far emergere le sue peculiari qualità potenziali: correre, saltare, lanciare, mettere alla prova il proprio corpo di fronte ad ostacoli di varia natura sono caratteristiche spontanee e naturali che appartengono all’«homo ludens». È questo il motivo per cui l’attività ludica è stata da sempre considerata una componente fondamentale del processo evolutivo che va dall’infanzia all’età adulta, quale veicolo di particolari valori portanti come la gratuità, la libertà di espressione, la creatività, la gioia, la festa, la vitalità, l’apprendimento polivalente, la cooperazione. Dal canto suo Huizinga definisce il g. un’attività libera, volontaria e del tutto gratuita, compiuta entro certi limiti di tempo e di spazio, seguendo regole liberamente accettate, provvista di un fine in sé e accompagnata da un sentimento di tensione e di gioia. Al g. spesso si accompagna e / o ne è una indispensabile componente il giocattolo, fin dall’antichità considerato nelle sue multiformi versioni creative, tutte comunque accomunate da un unico principio, funzionale allo sviluppo delle facoltà creative, immaginative ed intellettuali del soggetto ludico; semmai la messa in discussione di tale principio afferisce alla sua perfettibilità (per​​ ​​ Montessori deve avere una struttura perfezionata) o meno (per​​ ​​ Dewey deve rimanere allo stato grezzo).

1.​​ Le teorie sul g.​​ Fin dall’antichità filosofia e pedagogia e, più recentemente, psicologia, sociologia e antropologia si sono interessate di volta in volta al g. cercando di rispondere, ognuna dal proprio punto di vista, a due principali quesiti: che cosa è il g., perché l’«homo ludens» gioca.​​ ​​ Platone ed​​ ​​ Aristotele avevano attribuito al g. la funzione di «esercizio» che prepara alla vita, ma è soprattutto all’inizio di questo sec. che sono nate varie teorie sul g. Per K. Gross il g. è un pre-esercizio di attività future, serve cioè ad esercitare le più importanti abilità e funzioni necessarie per un buon adattamento dell’individuo all’ambiente. D. W.​​ ​​ Winnicott ha contribuito con varie opere allo studio del g. sui bambini ricostruendone lo scenario motivazionale sotteso: egli sostiene che il g. più che un’attività distinta dalle altre è una dimensione propria di qualsiasi attività umana in quanto creativa. L. E. Peller ha individuato 4 fasi nel g. del bambino: narcisistica, pre-edipica, edipica, post-edipica. R. Callois dal canto suo ha proposto una classificazione dei g., suddividendoli in 4 categorie: di competizione, d’azzardo, d’imitazione (o rappresentazione di un ruolo), di stimolo di stati emotivi. E. H.​​ ​​ Erikson distingue tre tipi di g.: quelli che si svolgono nell’autosfera (esplorazione del proprio corpo), quelli nella microsfera (riguardano l’ambiente circostante / vicino) e quelli nella macrosfera (coinvolgono l’ambiente sociale più allargato). E. A. Plaut suddivide il g. in 8 stadi, ciascuno rispondente ad una diversa fase della vita: scoperta del g. (prima infanzia), differenziazione del g. (seconda infanzia), g. simbolico (età pre-scolare), g. con ruoli (età scolare), giocosità con confini (adolescenza), g. integrato (giovinezza), g. generativo (età adulta), g. creativo (età matura).​​ ​​ Piaget e​​ ​​ Klein sono tra coloro che hanno studiato più a fondo l’attività ludica in rapporto alle varie tappe evolutive della vita del bambino. Il primo, pur non avendo formulato una vera e propria teoria sul g., ne ha approfondito tuttavia lo studio nel trattare lo sviluppo dell’attività intellettuale e della maturazione del bambino. Ne è scaturita così una classificazione secondo la quale il g. può essere suddiviso in tre categorie: di immaginazione o simbolico, di esercizio o funzionale, di regole. In sostanza l’A. distingue il simbolo ludico, in cui la rappresentazione è adattata a qualcosa di eterogeneo (g. simbolico), dall’intelligenza, in cui l’immagine è adeguata all’oggetto o all’esperienza reale e produce un’azione che opera sul concreto (g. di regole). A livello di ricerca sperimentale quest’ultimo si è dimostrato un prezioso strumento per stimolare l’evoluzione del bambino sul piano della partecipazione, della creatività, dell’accettazione e del rispetto delle regole, della costruzione di rapporti stabili e collaborativi nel gruppo, di democratizzazione della vita di gruppo. L’interpretazione dell’inconscio attraverso la tecnica del g. è l’obiettivo primario che si propone M. Klein, la quale parte dall’inconscio per arrivare gradualmente all’«Io» del bambino utilizzando il g. come fattore catartico. Secondo tale A. il linguaggio del g. è lo stesso di quello dei sogni e va trattato non solo analizzandolo simbolicamente ma studiando anche le associazioni fra i vari significati simbolici presenti in esso. Si tratterà perciò di fare attenzione al soggetto dei g., al tipo di g., al motivo del passaggio da un g. all’altro. Tra l’interpretazione del g. di Piaget e quella freudiana di Klein si riscontrano analogie e differenze. Per entrambi il g. mobilita tutte le potenze della psiche, dall’intelligenza all’emotività, e si radica nel profondo della stessa. La principale differenza tra i due consiste nel fatto che Piaget auspica che si realizzi un equilibrio tra «assimilazione» ed «accomodamento»; in tal senso le funzioni della creatività ludica sono integrate in quelle delle condotte intelligenti. Viceversa, per la teoria kleiniana l’ispirazione del g. è di ordine emotivo e non intellettuale; pur appoggiandosi al reale, lo trascende in virtù del potere trasfigurativo del simbolismo presente in esso, inteso quale generatore di rappresentazioni. Dall’insieme delle analisi riportate, i molteplici studi sulla natura e funzione dell’attività ludica possono essere ricondotti a tre principali filoni interpretativi: quello​​ funzionalista,​​ che cerca di stabilire quale sia la funzione del g. per perseguire un dato scopo; quello​​ cognitivista,​​ che vede il g. come metodo di apprendimento sia ai fini dello sviluppo dell’intelligenza, sia a scopo riabilitativo; quello della​​ psicologia dinamica,​​ che arricchisce l’attività ludica di significati e funzioni fino a farla divenire il mezzo attraverso cui il bambino arriva a conoscere e ad accettare i desideri più inconsci.

2.​​ «A che g. giochiamo?».​​ Anche lo​​ ​​ sport è g. e, viceversa, il g. può diventare sport. Cos’è quindi ciò che distingue il g. dallo sport e che cosa invece li accomuna? Come lo sport, il g. è un mezzo ideale per lo sviluppo della socialità, in quanto coinvolge le persone in un processo di azione e reazione dove la presenza delle «regole» fa da «collante» per la realizzazione di tale attività. La differenza, sostanziale, consiste nel fatto che lo scopo del g. non è necessariamente quello di consentire all’individuo di affermare la propria superiorità sugli altri, pur facendo salva quell’attività agonistica di base secondo la quale «senza avversario non c’è g.». Nel g., di rimando, vengono attesi e salvaguardati alcuni valori che nello sport non sono prioritari (quando non vengono del tutto disattesi), quali l’amicizia con l’altro, la scoperta dello spirito comunitario, il manifestarsi del senso di fiducia e di sicurezza che proviene dal giocare assieme, il senso di «gruppo». In sostanza, il g. dà importanza alla solidarietà più che all’ostilità, alla cooperazione più che all’opposizione, alla​​ ​​ socializzazione più che alla competizione (senza peraltro escludere la componente agonistica); favorisce le attività motorie di ogni tipo e luogo senza restrizioni di spazio, di tempo e di età; valorizza le situazioni in cui l’impatto affettivo ha una profonda risonanza sulla personalità di chi lo esercita; moltiplica le esperienze relazionali con persone e gruppi sociali diversi. Dal versante funzionale l’accento si sposta quindi sulla dimensione socio-comportamentale. I g., in particolare i g. con regole, rappresentano di conseguenza degli ottimi strumenti di maturazione della personalità in quanto permettono di passare da una socializzazione di tipo affettivo a una di carattere cooperativistico, da una visione egocentrica dei rapporti a quella che tiene conto anche del punto di vista dell’altro, da un approccio istintivo ad un maturo ed equilibrato confronto su base competitivo-agonistica. In sintesi, il g. svolge una funzione che è in grado di coinvolgere l’intera personalità dell’«homo ludens».

Bibliografia

Huizinga H.,​​ Homo ludens,Torino, Einaudi, 1968; Piaget J.,​​ La costruzione del reale nel bambino,​​ Firenze, La Nuova Italia,1973; Winnicott D.W.,​​ G. e realtà,​​ Roma, Armando, 1974; Callois R.,​​ I g. e gli uomini,​​ Milano, Bompiani, 1981; Polisportive Giovanili Salesiane,​​ A che g. giochiamo?,​​ Roma, Juvenilia, 1991; D’Andretta P.,​​ Il g. nella didattica interculturale, Bologna, EMI, 1999; Kaiser A.,​​ Genius ludi: il g. nella formazione umana, Roma, Armando, 2001; Lucchini E.,​​ Giocattoli e bambini dall’antichità al 2000, Lanciano, Ed. Carabba, 2003.

V. Pieroni




GIORNALE

 

GIORNALE

Per g. si intende una pubblicazione stampata giornalmente, settimanalmente o, comunque, a intervalli frequenti, contenente notizie e pubblicità.

1. L’espansione di questo strumento di comunicazione è segnata dalle invenzioni e innovazioni della tecnologia grafica, che hanno caratterizzato la storia della stampa dalla sua origine e in questo secolo in particolare. È stato infatti il​​ logotype,​​ un sistema di composizione a mano inventato nel 1682 e basato sulla fusione di un gruppo di lettere in blocco, a permettere la realizzazione rapida di stampati e quindi la nascita dei primi fogli quotidiani. Allo stesso modo che le innovazioni tipografiche di John Bell (1745-1832), stampatore inglese e fondatore del «Morning Post», resero possibile con l’introduzione della spaziatura la lettura rapida delle notizie.

2. Il procedimento litografico inventato nel 1796 consentì la graduale introduzione delle immagini e subito della caricatura politica. Il primo foglio con periodicità giornaliera, nato a Lipsia nel 1660, fu «Leipziger Zeitung» mentre il primo g. londinese fu il«Daily Courant» nel 1702. Entrambi i g. sono legati alla realizzazione in questi Paesi del servizio postale. Anche nel resto dell’Europa vedono la luce numerose «gazzette», per lo più legate al mondo della letteratura e dell’economia. In Italia la maggior parte dei g. moderni sono nati fra l’Otto e il Novecento. La diffusione e il moltiplicarsi dell’editoria giornalistica sono legati alla scolarizzazione di massa e a sempre nuove invenzioni tecnologiche che rendono il g. commercialmente fruibile. L’invenzione della radio prima e della televisione successivamente, ha imposto cambiamenti redazionali non indifferenti. Hubert Beuve-Méry, direttore e fondatore del g. francese «Le Monde», ha così sintetizzato le differenze: la radio lancia la notizia, la TV la fa vedere, il g. la spiega. I nuovi sistemi informatici ed elettronici hanno oggi trasformato le redazioni dei g. in centrali informative, internazionalmente collegate e dalla fruizione immediata.

3. Il mondo educativo e scolastico ha avuto relazioni con i g. in duplice direzione. Il g. viene considerato come oggetto e fonte di studio da un lato e dall’altro diventa esso stesso strumento di formazione e di sperimentazione. Gli stessi produttori di g., con iniziative tipo «Il quotidiano in classe», mirano a formare i loro futuri clienti e lettori. L’uso del​​ desktop publishing​​ dal 1985 ha rilanciato la pubblicazione dei g. studenteschi che sembravano soccombere di fronte al diffondersi di radio e televisione all’interno dei​​ campus​​ e dei​​ college​​ universitari e nelle scuole in genere. Molte scuole producono g. in proprio con iniziative che, negli Stati Uniti, spesso escono dall’ambito prettamente scolastico per irraggiarsi nell’intera comunità civile in una simbiosi fatta di informazione e​​ ​​ comunicazione.

Bibliografia

D’Amico N. - L. Della Seta,​​ Il​​ quotidiano di classe,​​ 2​​ voll., Bologna, Zanichelli, 1981; Lazzaroto F. (Ed.),​​ Giornalini giornaletti,​​ Roma, Nuove Edizioni Romane, 1990;​​ Chernevez O.,​​ Faire son journal au lycée et au collège,​​ Paris, Centre de Formation et de Perfectionnement des Journalistes,​​ 1991; Cervellati M. - G. Farini,​​ G. e didattica,​​ Teramo, Giunti e Lisciani, 1992;​​ Spirlet J. P.,​​ Utiliser la presse à l’école de la maternelle à la 6e,​​ Paris, Centre de Formation et de Perfectionnement des Journalistes, 1995; Hodgson H. V.,​​ Giornalismo in pratica,​​ Torino, SEI, 1996; Murialdi P.,​​ Storia del giornalismo italiano,​​ Bologna, Il Mulino, 1996; Salemi G.,​​ L’Europa di carta. Guida alla stampa estera, Milano, Angeli, 2002; Hallin D. - P. Mancini,​​ Modelli di giornalismo, Bari, Laterza, 2004; Costa G. - F. Zangrilli,​​ Giornalismo e letteratura, Caltanissetta, Sciascia, 2005; Basso S. - P. L. Vercesi,​​ Storia del giornalismo americano, Milano, Mondadori, 2005; Costa G. - A. Paoluzi,​​ Giornalismo. Teoria e pratica,​​ Roma, LAS, 2006.​​ 

G. Costa




GIOVANI

 

GIOVANI

Soggetti umani particolarmente interessanti per l’educazione e la pedagogia, a motivo della loro condizione vitale al termine dell’età evolutiva e delle preoccupazioni sociali per il loro attivo e positivo inserimento nel mondo adulto.

1.​​ Il​​ disagio interpretativo.​​ Rispetto ad appena vent’anni fa oggi disponiamo di un quadro assai articolato di riflessioni teoretiche e di una vasta collezione di ricerche empiriche sui g. (Mion, 1985). Eppure l’accumulo di dati e di considerazioni non è privo di aspetti problematici. Tra questi: la molteplicità delle prospettive adottate non rende i dati immediatamente componibili in un quadro sinottico; l’accresciuto pluralismo di approcci e di metodi, l’eccedenza di prospettive, i complessi problemi metodologici rendono difficile una sintesi unitaria ingenerando smarrimenti o appiattimenti riduttivi della ricchezza degli sforzi iniziali.

2. Il​​ concetto di gioventù.​​ Sia nel linguaggio comune che nel lessico delle scienze sociali regna una certa confusione in merito al contenuto, cui si fa riferimento quando si utilizzano le parole «g.», «gioventù» o «giovinezza».​​ Nel linguaggio comune​​ questi termini indicano in genere una fase di transizione interposta tra l’infanzia e l’età adulta. Assai spesso essi sono marcati di accentuazioni valutative sia positive che negative, di potenziale forza rivoluzionaria o di immatura generazione «bohémienne». Neppure​​ nell’ambito delle scienze sociali​​ la terminologia è consolidata. Vi è incertezza in particolare sui significati di «​​ ​​ adolescenza» e di «gioventù» e sui confini tra le realtà corrispondenti alle varie fasi di vita. Alcuni autori usano di fatto i termini come sinonimi, gli psicologi dell’età evolutiva tendono a parlare di «adolescenza», mentre il termine «gioventù» è usato prevalentemente dai sociologi, assieme a quello di «condizione giovanile» che ne esprime specialmente la sua valenza strutturale sociopolitica. Adottando la prospettiva secondo cui adolescenza e giovinezza sono due fasi diverse della vita, tale distinzione risulta abbastanza facile se si sottolinea l’importanza delle trasformazioni biosomatiche. Se invece si evidenziano quelle biopsichiche il problema si complica, e ciò in misura molto maggiore se si prendono in considerazione anche i mutamenti sia politici che economici e culturali della società. Ulteriori fattori di complessificazione sono dati dai processi di anticipazione individuale che in alcuni ambiti si stanno verificando per effetto dell’accelerazione del cambio sociale e dell’innovazione tecnologica. In sintesi una corretta impostazione dello studio della cultura giovanile dovrà tener conto in modo complementare di una​​ duplice linea di lettura:​​ descrittiva (presentazione dei dati) e interpretativa (ricerca delle cause, dei fattori intervenienti e delle ragioni esplicative), e di​​ un duplice livello di analisi:​​ strutturale (relativo alle condizioni obiettive esterne di tipo socio-politico ed economico) e culturale (relativo ai valori, stili di vita, risposte esistenziali e comportamentali che i g. nella loro soggettività elaborano in rapporto ai processi a cui sono sottoposti nelle strutture). Si dovrà inoltre prendere in considerazione una​​ pluralità di approcci,​​ che secondo una prospettiva educativa privilegiano nello studio della condizione giovanile certe dimensioni particolari e specifiche. Essi sono: gli approcci biofisiologico, psico-evolutivo, demografico (espansione e / o contrazione delle fasce giovanili), storico, etno-antropologico, pedagogico (interventi educativi scanditi da fini, obiettivi e strategie metodologiche), politico (interventi strutturali organizzati della società politica), sociologico (la cultura giovanile come sottosistema organico nel più vasto sistema sociale).​​ In una prospettiva socio-pedagogica,​​ come è la nostra, si può risolvere il problema terminologico rinviandolo alla definizione del​​ terminus ad quem,​​ considerando cioè g. tutti coloro che, se da un lato hanno superato la soglia dell’infanzia, dall’altro non hanno ancora raggiunto appieno lo status della persona adulta: si tratta di quanti sono impegnati nel compito di diventare adulti. Questa definizione non è del tutto soddisfacente, perché dice poco sulle caratteristiche della gioventù e insiste solo su quelle che ai g. mancano per essere adulti. È un’ulteriore conferma della difficoltà di fissare i confini dell’età giovanile che perciò risultano assai incerti.

3.​​ Nelle società della rivoluzione industriale,​​ la condizione giovanile si trasforma radicalmente rispetto alla storia del passato.​​ Nelle campagne​​ con il diffondersi dell’industria agricola domestica, aumentano le opportunità per i g. di rendersi economicamente indipendenti dalla famiglia patriarcale o anche di emigrare verso le città.​​ Nelle città,​​ l’apprendistato entra in crisi per la presenza di una classe permanente di lavoratori salariati e perché anche l’apprendista si stabilizza nella condizione di lavoratore salariato dipendente. Nello stesso tempo è difficile parlare di fase giovanile del ciclo di vita per quegli adolescenti che vanno ad ingrossare le file del proletariato industriale nelle fabbriche, in cui entrano, appena lasciata la sponda dell’infanzia.​​ Nei ceti urbani benestanti,​​ la gioventù vive una fase prolungata di preparazione e di attesa. I figli dei nobili si preparano per le carriere militari e burocratiche; i figli della borghesia professionale si orientano a seguire le carriere dei padri; i figli della borghesia industriale e commerciale sono in attesa di ereditare le imprese familiari.​​ Nelle istituzioni educative,​​ i g. sono tenuti per lungo tempo a stretto contatto con i coetanei dello stesso sesso, e ciò dà luogo alla formazione di gruppi solidaristici di carattere ludico, religioso, intellettuale e politico, sulla cui base si sviluppano assai spesso stili di vita, correnti culturali e movimenti politici, che si contrappongono all’ordine morale, sociale e politico della società adulta.​​ Verso la fine del sec. XIX​​ quando ormai il periodo di​​ «moratoria»​​ dell’istruzione secondaria e superiore coinvolge una quota crescente di figli dei ceti medio-alti, i gruppi giovanili assumono più spesso una connotazione ideologica che si rivolge sia verso​​ i​​ movimenti​​ nazionalistici sia verso quelli radicali e socialisti. In questo stesso periodo si accentua l’interesse per i g. anche da parte dello​​ Stato,​​ soprattutto in vista della formazione dei grandi eserciti territoriali. La «militarizzazione» della gioventù, che troverà il proprio fondamento nella coscrizione obbligatoria al servizio militare, raggiungerà il culmine nelle grandi organizzazioni giovanili di massa dei regimi totalitari di stampo sia nazionalistico (la​​ Hitlerjugend​​ in Germania, la​​ GIL​​ in Italia), che comunistico (i​​ Komsomol​​ in Russia).

4.​​ Nelle società avanzate contemporanee.​​ I confini tra le varie età del ciclo di vita appaiono sempre più sfumati. Non vi sono più veri e propri riti di passaggio per l’ingresso nell’età adulta, anche se come tali vengono ritenute le seguenti cinque soglie: la conclusione degli studi e / o del percorso formativo, l’entrata nel mondo del lavoro, l’uscita dalla casa paterna, il matrimonio, le responsabilità della maternità e della paternità. Negli ultimi venti anni vi è stato un cambiamento radicale nei modi in cui queste cinque soglie sono attraversate: vi è la tendenza a dilazionare ognuno di questi passaggi, a non seguire l’ordine con cui sono segnati, a dilatare le distanze tra il tempo della prima e dell’ultima. La dilatazione e la moratoria psicosociale cresce con l’elevarsi della classe sociale di appartenenza. È possibile individuare di fatto​​ quattro modelli​​ di «moratoria psicosociale della gioventù»: – il modello​​ mediterraneo​​ caratterizzato da un aumento degli anni di studio, dalla precarietà lavorativa e dal prolungamento della coabitazione con i genitori, anche quando si è raggiunta l’indipendenza economica; – il modello​​ nordico,​​ in cui i g. precocemente abbandonano la casa, vivono o da soli o in convivenze, che non preludono al matrimonio, mentre questo viene ritardato così come la decisione di avere figli; – il modello​​ francese​​ che ha in comune con quello mediterraneo la tendenza al prolungamento degli studi, e con quello nordico una più lunga moratoria tra abbandono della casa e matrimonio; – il modello​​ britannico​​ in cui la gioventù precocemente termina gli studi, entra nel mercato del lavoro e si sposa, ma ritarda invece ad avere figli. La generalizzazione dell’istruzione e l’allungamento dei percorsi formativi sono processi che hanno portato​​ alla diffusività della condizione di studente.​​ E ciò per diversi fattori: la domanda di lavoro sempre più qualificato richiede tempi lunghi di formazione, i g. sono sollecitati a proseguire gli studi nell’attesa che ciò garantisca loro maggiori opportunità di mobilità sociale, infine l’istruzione e la cultura sono diventati valori non più limitati a qualche élite particolare. Il prolungamento della fase giovanile diventa quindi una conseguenza anche del processo di scolarizzazione di massa. La conclusione dei cicli formativi non significa più​​ ingresso​​ automatico​​ in un ruolo lavorativo stabile​​ sia perché oggi è difficile stabilire la fine della fase di formazione, sia perché si inseriscono sempre più ampi periodi di disoccupazione e di lavoro precario, anche vari anni dopo la conclusione degli studi. Ciò significa un prolungamento dei rapporti di dipendenza economica, e soprattutto psicologica, dalla famiglia di origine. La prolungata transizione dalla​​ ​​ scuola al​​ ​​ lavoro determina inoltre la dilatazione dei tempi di uscita dalla​​ ​​ famiglia di origine e di formazione di una nuova famiglia. Anche nella sola Europa occidentale il fenomeno della de-coabitazione varia molto da Paese a Paese, e secondo i modelli già indicati: quello «mediterraneo» (più dipendente anche nelle norme morali) e quello «nordeuropeo» (più indipendente e permissivo). Col prolungarsi della coabitazione con i genitori mutano anche i rapporti fra le generazioni. Infatti da un’ambivalenza adolescenziale, che si muove tra dipendenza e indipendenza, questi rapporti tendono a diventare nella famiglia «lunga» (Scabini e Donati, 1988) meno asimmetrici. Ciò è determinato proprio dagli stili di esercizio dell’autorità parentale, che in queste condizioni concede ai figli di godere gradi di libertà e di autonomia crescenti, senza eccessive differenze tra maschi e femmine.

5.​​ La cultura giovanile.​​ Le dilatazioni dei tempi di ingresso nella vita adulta e i fenomeni collaterali costituiscono la base sulla quale oggi si sviluppano valori, orientamenti, stili di vita e atteggiamenti particolari che sono comunemente designati col termine di «cultura giovanile». Essi condizionano anche i processi di formazione dell’identità personale, caratterizzata da quella che è stata definita «l’incertezza biografica». Per cui più che un processo teso al raggiungimento dello status adulto l’adolescenza sembra diventare quasi una «condizione», certo non permanente, ma tuttavia abbastanza consistente, proprio per il prolungamento della moratoria psicosociale, così da dar vita a forme di cultura proprie delle fasce di età coinvolte. Tratti salienti della cultura giovanile possono in conclusione essere identificati nei seguenti: – accentuata valorizzazione del «sé» e dell’autorealizzazione nell’eccedenza delle opportunità di scelte molteplici per definire il proprio futuro (valori «post-materialistici»; «neo-individualismo» e «cultura del narcisismo»); – cura preferenziale dell’autoesplorazione attraverso la comunicazione e la relazione con gli altri; – attenzione al tempo concentrata prevalentemente sul presente in una «sindrome di destrutturazione temporale» (Cavalli, 1985); – desiderio di non restringere con scelte troppo precoci l’orizzonte dei futuri possibili; – molteplicità di appartenenze che si fanno sempre più deboli e provvisorie, in considerazione dei benefici ottenibili; – insistente domanda di protagonismo e di soggettività; – tendenza alla reversibilità delle decisioni, alla relativizzazione degli assoluti e dei riferimenti fondamentali, all’accettazione acritica del pluralismo, all’indifferenza religiosa; – disponibilità sempre più ampia di quote del tempo libero da programmare; – proliferazione delle attività espressive in particolare di quelle musicali secondo una forte tendenza all’omologazione dei gusti anche a livello internazionale; – elevato grado di esposizione ai​​ ​​ mezzi di comunicazione di massa; – accurato e selettivo conformismo nell’abbigliamento, nella foggia dei capelli, nel linguaggio e nei segni esteriori di appartenenza, in adesione a identità provvisorie ma collettive; – cura difensiva dell’immagine e delle mode giovanili rispetto alle imitazioni e contraffazioni degli adulti. Infine un’attenzione particolare va data all’emergere di comportamenti collettivi che negli ultimi trent’anni hanno costellato l’orizzonte giovanile nei diversi​​ ​​ movimenti di protesta politica. Alla fine degli anni ’60 in America e in Europa sono sorti movimenti giovanili con un profilo ideologico-politico di stampo contestatore e rivoluzionario che hanno trovato visibilità nelle​​ ​​ università. Successivamente nella metà degli anni ’70, in un clima generale di «riflusso nel privato» questi movimenti hanno assunto tratti diversi, meno politicizzati, ma non meno espressivi, secondo un duplice orientamento, quello radicale della violenza contro lo Stato (Brigate Rosse) e quello dai toni più morbidi, ironici ed espressivi degli «indiani metropolitani». Ormai però lo stile dell’aggregazione movimentistica studentesca si era affermato e si organizzava nelle diverse occasioni, specialmente nelle «marce della pace» e nelle contestazioni contro la scuola: «il movimento del ’77», «i ragazzi dell’85», «la pantera nera del ’90», per quanto riguarda specificamente l’Italia. Compaiono nel frattempo anche altri fenomeni collettivi del tutto diversi e di segno contrastante: da un lato le manifestazioni musicali (concerti rock, live), che aggregano pacificamente decine di migliaia di g. e dall’altro episodi, legati per lo più al tifo sportivo, che vedono gruppi di g. in scontri anche violenti ed in azioni vandaliche. La frequenza di tali episodi è andata crescendo negli anni ’80 e in tutti i Paesi europei. Anche se coinvolge solo minoranze di g., segnala tuttavia l’esistenza di un potenziale aggressivo che trova modo di esprimersi solo in comportamenti distruttivi. In generale tuttavia la cultura giovanile non è per definizione conflittuale rispetto a quella adulta; più spesso esprime non tanto il conflitto, quanto lo «scarto» generazionale che si produce fisiologicamente in società soggette a rapidi e profondi processi di mutamento, quasi assumendo i caratteri di una subcultura. In ogni caso le rappresentazioni sociali, che della gioventù sono venute maturando lungo la storia, possono essere sinteticamente indicate in alcune metafore relative al modo con cui la società da sempre ha guardato ai g.: come soggetti da educare e da formare, come energia da incanalare, come capitale sociale da incentivare, come pericoloso problema sociale da controllare. Sulla maggiore o minore predominanza di queste immagini si sono poi nei secoli innestati gli interventi delle più benemerite istituzioni educative, religiose e laiche fino agli attuali progetti educativi delle varie amministrazioni locali («Progetti G.») oltre alle differenziate politiche sociali nazionali ed oggi anche europee.​​ 

Bibliografia

Mion R.,​​ Rassegna storico-bibliografica delle più importanti ricerche in sociologia della gioventù: 1945-1985,​​ in «Orientamenti Pedagogici» 32 (1985) 985-1034; Id.,​​ Domanda di valori e di religione nei g. dell’Europa dell’Est e dell’Ovest,​​ in «Salesianum» 57 (1995) 305-357; Scabini E. - P. Donati (Edd.),​​ La famiglia in una società multietnica, Milano, Vita e Pensiero, 1993; Merico M. (Ed.),​​ G. come. Per una sociologia della condizione giovanile in Italia,​​ Napoli, Liguori, 2002; Buzzi C. - A. Cavalli - A. De Lillo (Edd.),​​ G. del nuovo secolo. Quinto Rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia, Bologna, Il Mulino, 2002; Sorcinelli P. - A. Varni (Edd.),​​ Il secolo dei g. Le nuove generazioni e la storia del Novecento, Roma, Donzelli, 2004; Prandini R. - S. Melli (Edd.),​​ I g. capitale sociale della nuova Europa. Politiche di promozione della gioventù in un welfare societario plurale,​​ Milano, Angeli, 2004; Barro M.,​​ I g. e l’Europa. Rappresentazioni sociali a confronto, Ibid., 2004; Secondulfo D.,​​ La bella età. G. e valori nel nord-est di un’Italia che cambia, Ibid., 2005; Semisa D.,​​ Under 18. Leggere il presente,​​ pensare il futuro, Ibid., 2005; Granieri G.,​​ Blog generation, Roma / Bari, Laterza, 2005; Cesareo V. (Ed.),​​ Ricomporre la vita. Gli adulti g. in Italia, Roma, Carocci, 2005; Eurispes, 7° Rapporto nazionale sulla condizione dell’infanzia e dell’adolescenza,​​ Roma, EURISPES, 2006; Mion R.,​​ Evoluzione della domanda educativa dei g., in «Orientamenti Pedagogici» 54 (2007) 227-248.

R. Mion​​ 




GIRARD Grégoire

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GIRARD Grégoire

n. a Friburgo nel 1765 - m. ivi nel 1850, educatore e pedagogista svizzero.

Membro di una famiglia numerosa e benestante, riceve un positivo influsso dalla madre e dall’ambiente familiare. Terminati gli studi superiori (1781) si fa francescano e nel 1788 è sacerdote. Nel 1798 partecipa al concorso indetto dalla Repubblica Elvetica per riorganizzare cultura e scuola: lo vince presentando il​​ Progetto di educazione pubblica.​​ Nel 1804 è prefetto delle scuole francesi a Friburgo e organizza le scuole popolari. Nel 1809 è scelto come membro della commissione ispettiva all’Istituto di Yverdon e nel 1810 ne presenta la​​ Relazione,​​ che risulta il miglior scritto sul metodo di​​ ​​ Pestalozzi avendone colto e compreso i principi ispiratori. Conosciuto il metodo di​​ ​​ mutuo insegnamento, nel 1816 lo introduce nelle sue scuole con alcune modifiche (insegnamento misto). Scrive​​ Grammatica per le scuole rurali​​ (1821). Nel clima della restaurazione il metodo da lui usato è visto con sospetto. Il Consiglio municipale di Friburgo delibera l’abolizione del mutuo insegnamento: G. si dimette insieme ai suoi maestri. Si ritira a Lucerna, dove inizia a scrivere il​​ Corso di lingua,​​ organizza la scuola locale dei poveri e quella nei cantoni di montagna. Nel 1827 pubblica​​ Guida di Friburgo​​ giudicata un’esemplare lezione attiva di geografia, di storia e studio dell’ambiente. Nel 1840 riceve la nomina a Cavaliere della Legion d’Onore francese per le sue opere pedagogiche e nel 1844 il premio Monthyon dell’Accademia Francese per l’opera​​ Insegnamento regolare della lingua materna.​​ Molti pedagogisti europei visitano le sue scuole. Notevole l’influsso di G. sulle scuole popolari del Risorgimento italiano.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ le opere di G. sono edite a cura della​​ Société Fribourgeoise d’Éducation, Édition du Centenaire, Fribourg, S. Paul,​​ 1948. b)​​ Studi: Petrini E.,​​ L’opera e il pensiero di padre G.,​​ Brescia, La Scuola, 1960;​​ Weisskopf T., «Pater G.G. aus protestantischer Sicht», in​​ Bildungspolitik im schweizerischen Föderalismus, Bern, Haupt Verlag, 1985, 175-186.

R. Lanfranchi