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FRANCKE August Hermann

 

FRANCKE August Hermann

n. a Lubecca nel 1663 - m. a Halle nel 1727, professore universitario, teologo e pedagogista del​​ ​​ pietismo.

1. Accostatosi a P. J. Spener e contrastato dai luterani ortodossi, trovò la sua strada, nel 1687, fondando una scuola per poveri ad Amburgo. Nel 1691 ottenne una cattedra a Halle, ove si trasferì, creando molteplici istituzioni: una scuola per poveri, un orfanotrofio, una scuola per la borghesia (divenuta, con la prima,​​ Deutsche Schule),​​ un internato per nobili (Paedagogium),​​ un semiconvitto per professori e alunni e un seminario per maestri. Il complesso, tuttora esistente, prevedeva altri istituti e comprendeva una farmacia, una stamperia e una biblioteca. Tra gli scritti di pedagogia:​​ Kurtzen und einfältigen Unterricht​​ (Insegnamento breve e semplice) del 1702 e​​ Der grosse Aufsatz​​ (Il grande saggio), edito solo nel 1962.​​ 

2. F., stimolato dal pietismo, che interiorizzò dopo una fase intellettualistica, sottolinea l’apporto dell’esperienza, in quanto derivata dal cuore, dall’intelletto e dall’azione. Fine ultimo di tutto era, da un lato, l’onore e gloria di Dio​​ e, dall’altro, l’acquisizione e promozione di una saggezza pratica​​ («Klugheit»):​​ un insieme di sapere e di esperienza, che richiama idee di Alsted e di​​ ​​ Comenio. Voleva un’impostazione severa degli studi e della disciplina, con castighi anche corporali, eliminando vacanze e ricreazioni. Esigeva precisione, pur con l’aiuto di adeguati sussidi, dando centralità alla Bibbia, rispetto alle scienze e alla matematica. Nel seminario per maestri puntava a una formazione sia teorica che pratica e per le ragazze richiedeva un avviamento ai lavori casalinghi.

3. Le istituzioni di F., più che gli scritti, intrisi di utopia, ebbero un grande influsso, sebbene ne sia stata attenuata l’impostazione religiosa e siano stati accentuati gli obiettivi didattico-educativi.

Bibliografia

Menck P.,​​ Die Erziehung der Jugend zur Ehre Gottes und zur Nützen der Nächsten,​​ Wüppertal, A. Henn, 1969.

B. A. Bellerate




FRANKL Viktor Emil

 

FRANKL Viktor Emil

n. a Vienna nel 1905 - ivi morto nel 1997, psichiatra austriaco, fondatore della logoterapia e analisi esistenziale.

1. Figlio di un impiegato ministeriale, F. fin dal liceo fu in relazione epistolare con​​ ​​ S. Freud, che incontrò nel 1924 e che nello stesso anno ne pubblicò un saggio nell’Internationale Zeitschrift für Psychoanalyse. Come membro della Società di Psicologia Individuale di​​ ​​ A. Adler, F. tenne conferenze a studenti e operai su tematiche esistenziali e nel 1927 fondò e diresse la rivista​​ Der Mensch im Alltag,​​ in cui propugnò la fondazione di Centri di Consulenza per giovani bisognosi di aiuto psichico e morale. Laureato in medicina nel 1930 e specializzato in neurologia e psichiatria, dal 1939 al 1942 diresse il reparto di neurologia del​​ Rotschildspital, riservato a pazienti ebrei.

2. Deportato nel 1942 a Theresienstadt (Böhmen), F. fu nel 1944 prima ad Auschwitz e poi a Kaufering III e a Türkheim (filiali di Dachau). Liberato il 27 aprile 1945, fece ritorno a Vienna, dove ricevette la notizia della morte della moglie e della mamma. Nominato primario del Policlinico neurologico, ruolo che svolse per 25 anni, F. nel 1946 diede alle stampe prima​​ Ärztliche Seelsorge​​ e poi​​ Ein Psychologe erlebt das Konzentrationslager, in cui descrisse con fine sensibilità le impressioni e le esperienze dei tre anni trascorsi nei Lager e testimoniò che solo coloro che percepivano di avere un compito da portare a termine superavano le più degradanti situazioni.​​ 

3. Membro onorario di società mediche e psicoterapeutiche, dottore​​ honoris causa​​ in decine di Università, alpinista provetto, F. ha affrontato scottanti problematiche esistenziali, convinto che tutti sono in grado di dire sì alla vita, nonostante tutto. Nel 1992 personalità del mondo accademico internazionale (H. Hunger, G. Guttmann, F. Vesely, E. Fizzotti) hanno fondato il​​ V.-F.-Institut, che cura la bibliografia internazionale e pubblica testi inediti, assieme a testi editi, nelle​​ Gesammelte Werke, presso l’editrice Böhlau di Vienna, a cura di A. Batthyany, K. Biller e E. Fizzotti. In Italia, presso l’Università Salesiana di Roma, l’Associazione di Logoterapia e Analisi Esistenziale Frankliana (A.L.Æ.F.) organizza seminari, convegni, corsi di formazione e laboratori, e pubblica la rivista quadrimestrale​​ Ricerca di senso, alla quale collaborano i migliori specialisti in logoterapia sia italiani che esteri.

Bibliografia

Opere di F.V.E. in it.:​​ Le radici della logoterapia. Scritti giovanili 1923-1942, Roma, LAS, 2000;​​ Teoria e terapia delle nevrosi, Brescia, Morcelliana,​​ 32001;​​ Dio nell’inconscio. Psicoterapia e religione, Ibid.,​​ 52002;​​ Alla ricerca di un significato della vita, Milano, Mursia,​​ 42005;​​ La sfida del significato. Analisi esistenziale e ricerca di senso, Trento, Erickson, 2005;​​ Logoterapia e analisi esistenziale, Brescia, Morcelliana,​​ 62005;​​ Uno psicologo nei lager, Milano, Ares,​​ 172005;​​ Homo patiens. Soffrire con dignità, Brescia, Queriniana,​​ 32007; F.V.E. - P. Lapide,​​ Ricerca di Dio e domanda di senso. Dialogo tra un teologo e uno psicologo, Torino, Claudiana, 2006.

E. Fizzotti




FRANTA Herbert

 

FRANTA Herbert

n. a Tuschkau (Cecoslovacchia) nel 1936 - m. a Benediktbeuern (Germania) nel 1995, psicologo tedesco.

1. Professore di psicologia all’Università Pontificia Salesiana (UPS) di Roma e alla​​ Philosophisch-Theologische Hochschule der Salesianer Don Boscos a Benediktbeuern​​ (Germania). Costretta a lasciare il Paese (1945), la famiglia F. si trasferisce a​​ Scheinfeld-Germania (1949). Completata la scuola superiore, diviene salesiano (1957) e sacerdote (1966), lavorando poi per alcuni anni in Brasile. Consegue nel 1970, presso il Pontificio Ateneo Salesiano (Roma), la licenza in Filosofia-Pedagogia; nel 1971, il diploma di qualificazione professionale in Psicologia e nel 1972 il dottorato in Filosofia-Pedagogia con indirizzo psicologico. Frequenta a Bonn (Germania) i seminari di Hans Thomae, al cui metodo psicobiografico dedicherà il suo dottorato. Dal 1973 approfondisce il campo della psicoterapia.​​ 

2. I suoi interessi scientifici sono rivolti primariamente a quella che amava chiamare la​​ psicologia applicata, ossia una psicologia finalizzata a trasmettere, tra le persone comuni, concetti e strumenti propri della psicologia, con lo scopo di sviluppare capacità e competenze idonee ad affrontare i problemi della vita. Sostenitore di molti aspetti della visione adleriana dell’uomo e della funzionalità psichica, ribadisce non solo negli scritti, ma anche nei suoi insegnamenti, l’importanza del decentramento dall’Io, dell’interesse sociale, dell’incoraggiamento. Dal punto di vista più strettamente terapeutico si orienta soprattutto nell’ultimo periodo della sua vita verso l’approccio cognitivo-comportamentale del quale apprezza la scientificità e il rigore metodologico. Le sue idee al riguardo hanno dato vita al programma della Scuola Superiore di Specializzazione in Psicologia Clinica dell’UPS, all’ideazione e all’attuazione della quale ha attivamente collaborato. Si deve menzionare, infine, il suo interesse per la prevenzione e, in tempi più recenti, per la psicologia della salute. Il pericolo del​​ ​​ relativismo etico, dell’immanentismo, della visione epicurea che possono permeare in modo più implicito che esplicito alcune prassi psicoterapiche costituiscono per F. un aspetto di notevole importanza non sufficientemente approfondito e problematizzato. Tuttavia, le sue idee al riguardo, che non fa in tempo a pubblicare (a causa della prematura morte), rimangono come viva testimonianza, tra gli allievi, che hanno avuto il privilegio dei suoi insegnamenti.​​ 

Bibliografia

Tra le opere principali di H. F.:​​ Psicologia della personalità. Individualità e formazione integrale, Roma, LAS, 1982;​​ Atteggiamenti dell’educatore,​​ Ibid., 1988;​​ Relazioni sociali nella scuola,​​ Torino, SEI, 1988;​​ Comunicazione interpersonale,​​ Roma, LAS, 1990;​​ L’arte dell’incoraggiamento,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1991.

A. R. Colasanti




FRATELLI DELLE SCUOLE CRISTIANE

 

FRATELLI DELLE SCUOLE​​ CRISTIANE

Congregazione insegnante composta esclusivamente di religiosi laici, che vivono canonicamente in comunità e operano professionalmente «in associazione» con gli educatori che collaborano nelle loro istituzioni. Fondata in Francia alla fine del Seicento da s. Jean-Baptiste de​​ ​​ La Salle, la congregazione si è estesa a livello internazionale specialmente durante il XIX sec. e gli inizi del XX.​​ 

1. L’intuizione originaria del fondatore è che l’educazione è un vero e proprio​​ ministero evangelico​​ non «ordinato»,​​ che esige: a) un uomo «completo» (di qui la scelta dello stato religioso laicale, libero da incombenze pastorali tipiche della vita clericale); b) una persona indivisa tra impegno educativo-secolare e tensione ascetico-religiosa («non fate differenza tra i vostri compiti professionali e la ricerca della perfezione», ingiunge il La Salle ai suoi religiosi); c) un educatore formato spiritualmente e preparato professionalmente, capace di dedicarsi di preferenza agli alunni poveri, dotato di robuste qualità umane come: «contegno, semplicità, ponderazione, saggezza, pazienza, equanimità, zelo, vigilanza, pietà, generosità».

2. Mediante le loro istituzioni scolastiche – spesso innovative nei programmi e nei metodi oltre che attente alla centralità della persona dell’alunno – i f. hanno dapprima (sec. XVIII) anticipato lo Stato moderno nel fornire ai ceti meno abbienti i rudimenti della cultura popolare; poi (sec. XIX) hanno piuttosto assecondato lo Stato borghese nel suo sforzo di democratizzare la scuola e di orientarla verso le nuove professioni indotte dalla crescente industrializzazione; oggi, si orientano in prevalenza verso l’​​ ​​ alfabetizzazione nelle aree critiche del terzo mondo, verso iniziative socio-educative a favore di giovani a rischio, o verso creazioni scolastiche e post-scolastiche di tipo alternativo. Attenzioni prioritarie della congregazione fin dall’origine sono state quella della formazione dei maestri (​​ «scuole normali» o istituti magistrali), della sussidiazione didattica (​​ editoria scolastica,​​ ​​ riviste pedagogiche), e ultimamente anche della​​ ​​ ricerca e sperimentazione educativa a livello di insegnamento primario, secondario e superiore (​​ congregazioni insegnanti maschili).

Bibliografia

Rigault G.,​​ Histoire générale de l’Institut des Frères des écoles chrétiennes,​​ 9 voll., Paris, Plon, 1938-1954;​​ Gil P. M.,​​ Tres siglos de identidad lasaliana,​​ Roma, Études Lasalliennes, 1994; Bédel H.,​​ Initiation à l’histoire de l’Institut des FSC,​​ 3 voll., Ibid., 2001-2007.

F. Pajer




FREINET Célestin

 

FREINET Célestin

n. a Gars nel 1896 - m. a Vence nel 1966, educatore francese.

1.​​ Vita e opere.​​ Fin da piccolo F. aiuta i genitori nel lavoro dei campi. Nel 1915 si diploma maestro elementare e subito dopo partecipa alla prima guerra mondiale. Nel 1916 viene ferito ad un polmone, ma preferisce rinunciare alla massima pensione di invalidità per insegnare nella scuola elementare e, insoddisfatto della metodologia tradizionale, apre la scuola alla «vita», collegando la cultura con le esperienze dei fanciulli. Per rendere più interessante l’apprendimento mette a punto le tecniche didattiche che lo renderanno famoso:​​ il testo libero,​​ la tipografia,​​ la corrispondenza interscolastica e lo schedario.​​ Decide di esplorare con la scolaresca la campagna e di visitare le botteghe degli artigiani, dando agli alunni la possibilità di scrivere i «testi liberi» sulle cose osservate e sui sentimenti provati. I «testi» vengono successivamente stampati con un complesso tipografico molto semplice. L’insieme dei testi costituisce il «libro della vita», strumento didattico alternativo ai libri di testo ufficiali che F. rifiuta di adottare, perché espressioni del​​ ​​ capitalismo. Attraverso il rinnovamento scolastico egli intende cambiare la società in senso marxista. Avvertendo il limite dell’innovazione isolata, si fa promotore di un​​ Movimento Cooperativistico,​​ nel quale coinvolge molti insegnanti, che simpatizzano per le sue idee politiche e per le sue tecniche didattiche. Dopo aver dato le dimissioni dalla scuola pubblica per contrasti con le autorità scolastiche, si stabilisce con la famiglia a Vence, dove fonda una scuola sperimentale, attiva ancora oggi. Con altri insegnanti istituisce a​​ Cannes l’Institut Cooperatif de l’École Moderne​​ per produrre i sussidi didattici collegati con le tecniche, che si diffondono anche in Italia e nel mondo.

2.​​ Il pensiero pedagogico.​​ F. oppone il carattere «pratico» della sua pedagogia «popolare», rivolta ai lavoratori sfruttati dal capitalismo, all’astrattezza di certe pedagogie «senza basi sufficientemente solide» (L’éducation du travail,​​ Gap, Ophyris, 1949, 88-89). È esemplare il suo impegno nell’attuazione di una scuola attiva (​​ Scuole Nuove), che superi la «scuola-caserma» e la «classe-tempio», a vantaggio della «scuola-comunità» e della «classe-laboratorio». La pedagogia freinetiana presenta un carattere cooperativistico, poiché è l’espressione del Movimento degli insegnanti. Assume insieme, nella pratica educativa, un carattere sperimentale e un ancoraggio alla saggezza popolare.

3.​​ Bilancio critico.​​ F. è uno dei rappresentanti più significativi dell’attivismo pedagogico francese. Egli ha avuto il merito di aver dimostrato che l’azione educativa non può essere affidata al caso, né svolgersi in modo isolato rispetto alla famiglia e alla comunità. La sua proposta pedagogica ci sembra inconsistente sul piano teorico, perché procede su basi molto semplicistiche a causa della preoccupazione di aderire al «buon senso popolare» per evitare ogni forma di astrattismo. Il suo contributo più originale e ancora oggi molto attuale è costituito dalle tecniche didattiche che vengono usate al di là della ideologia e della stretta sequenzialità da lui voluta.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ principali opere di F.:​​ L’école moderne française,​​ Gap, Ophyris, 1946;​​ Les dits de Mathieu. Une pédagogie moderne de bon sens,​​ Cannes, B.E.N.P., 1949;​​ Les techniques F. de l’École Moderne,​​ Paris, Bourrelier, 1964. b)​​ Studi:​​ Eynard R.,​​ C.F. e le tecniche cooperativistiche,​​ Roma, Armando, 1968; Caporale V.,​​ La scuola attiva. F.,​​ Bari, Cacucci, 2006.​​ 

V. Caporale




FREIRE Paulo

 

FREIRE Paulo

n. a Recife il 19 settembre 1921 - m. a São Paulo il 2 maggio 1997, educatore e pedagogista brasiliano, massimo esponente della pedagogia della liberazione.

1. Figlio di un ufficiale di polizia e di una maestra e cattolica praticante, imparò da essi il dialogo. Laureato in Diritto, fu sensibilizzato alla pedagogia dalla moglie Costa Oliveira, maestra elementare e direttrice didattica. Nel 1961 fonda a Recife il Movimento di Cultura Popolare per l’educazione degli adulti. Il colpo di stato militare del 1964 lo costrinse all’esilio in Cile e negli Stati Uniti. Il Consiglio Mondiale delle Chiese, lo inviò in Guinea Bissau. Ritornato definitivamente in Brasile nel 1985, promosse la scuola pubblica dello Stato di São Paulo.​​ 

2. Partita come alfabetizzazione coscientizzante delle popolazioni adulte rurali brasiliane, la pedagogia freireana arriva a una impostazione pedagogica globale. Azione educativa e liberazione socio-politica sono congiunte. L’utilizzo dell’approccio marxista gli costò l’accusa di comunismo. La prospettiva è quella dell’umanesimo cristiano di E.​​ ​​ Mounier e J.​​ ​​ Maritain e della linguistica generativa di N. Chomsky. La condizione di oppressione è letta con la categoria dialettica hegeliana di oppressi e oppressori: gli oppressori non possono essere tali senza la dominazione «oggettiva» degli oppressi; questi, a loro volta, espropriati della loro coscienza e della loro parola, pensano come l’oppressore avendone introiettato l’ideologia e leggono fatalisticamente la loro condizione. Convinto che «nessuno libera nessuno, nessuno è liberato da nessuno, ma ci si libera insieme», oppone a una educazione «depositaria» o «bancaria» (in cui l’educando è come un deposito bancario di nozioni e tecniche) una educazione «problematizzante». Il fine di essa è stimolare a prendere coscienza della propria situazione e coglierne i «temi generatori» e le «prospettive inedite di azione», attraverso il dialogo comunitario, nella prospettiva di una civiltà dell’amore. Nell’ultimo periodo ha proposto come integrazione una «pedagogia dell’autonomia» e una «pedagogia della speranza».

3. Oltre le critiche antitetiche di comunismo (da parte della destra liberal-conservatrice) e di borghesismo (da parte della sinistra popolar-rivoluzionaria) o di scarsa attenzione all’emergenza della donna e all’innovazione comunicativa dei mass-media (e dei new media), fatte a F. negli ultimi suoi anni di vita, permangono interrogativi circa l’adeguatezza del metodo freireano a fronte della complessificazione e globalizzazione dell’esistenza sociale attuale e dell’educazione contemporanea; e, più specificamente, circa la consistenza teorica intrinseca del modello e la composizione organica dei riferimenti di cui fa uso.

Bibliografia

a) Principali opere di F.:​​ La pedagogia degli oppressi, Torino, EGA,​​ 22002 (orig.: 1970);​​ Pedagogia dell’autonomia, Ibid., 2004;​​ Pedagogia da esperança, Rio de Janeiro, Paz e Terra,​​ 1992. b)​​ Studi: Gadotti M.,​​ Leggendo P.F., Torino, SEI, 1995; Nanni C.,​​ Coscientizzazione,​​ liberazione,​​ democratizzazione. L’azione educativa e la pedagogia di P.F., in «Orientamenti Pedagogici» 45 (1998) 210-225.

C. Nanni​​ 




FREUD Anna

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FREUD Anna

n. a Vienna nel 1895 - m. a Londra nel 1981, psicoanalista austriaca.

1. Ritenuta uno dei precursori e dei fautori più entusiasti della psicoanalisi dei bambini, alla quale ha dato un notevole impulso, F.A. nasce a Vienna nel dicembre del 1895. Ultimogenita dei sei figli di S.​​ ​​ Freud, diviene membro della Società Psicoanalitica di Vienna nel 1922, dopo aver completato gli studi magistrali e l’addestramento psicoanalitico. Nel 1938 si trasferisce a Londra. La sua opera ha ampiamente influenzato la teoria, la tecnica e la ricerca psicoanalitiche.

2. Il suo contributo teorico più significativo, che costituisce una lettura d’obbligo per chiunque si accosti alla psicoanalisi, è rappresentata dallo scritto​​ L’Io e i meccanismi di difesa​​ (1936). Esso prende avvio dal lavoro di S. Freud (1926)​​ Inibizione,​​ sintomo e angoscia​​ in cui l’angoscia viene concepita non più come la trasformazione di energia libidica non scaricata, come voleva la teoria tossicologica precedente, ma come reazione dell’Io allo stato di pericolo, assumendo il carattere di un segnale con cui si invoca difesa. Ne​​ L’Io​​ e i meccanismi di difesa​​ F.A. riprende il paradigma teorizzato dal padre dell’Io-conflitto-difesa, incentrando lo studio dell’Io ancora essenzialmente sulla funzione difensiva di tale istanza, tuttavia lascia intravedere in esso i prodromi della nozione dell’Io-adattamento. Tale scritto rappresenta, quindi, un ponte dallo studio della patologia allo studio della normalità e, storicamente, l’anello di congiunzione tra l’Io teorizzato dall’ultimo Freud e quello delineato dalla più recente psicologia dell’Io. Dopo​​ L’Io e i meccanismi di difesa​​ la maggior parte degli scritti di F.A. appaiono più clinici e pratici che teorici; gran parte del suo lavoro è dedicato a mantenere la peculiarità dell’approccio psicoanalitico, pur integrandolo con i progressi ottenuti nel campo della psicologia dell’Io e con le scoperte derivanti dalla psicoanalisi e dall’osservazione diretta dei bambini. Come lei stessa afferma (1966, 985s), nel suo lavoro ha avuto «l’opportunità di mantenere uno stretto collegamento fra teoria e pratica, di verificare costantemente le idee teoriche con l’applicazione pratica e di ampliare l’operare pratico e le misure pratiche con la crescita delle conoscenze teoriche». La possibilità di questa proficua interazione teoria-prassi è offerta in prima istanza dalle attività svolte presso la Clinica Hampstead di terapia infantile che lei stessa fonda a Londra, dopo la prima guerra mondiale, assumendone la direzione.

3. La determinazione del tipo di sofferenza che ogni singolo bambino subisce, richiede considerazioni diagnostiche alle quali F.A. (1965) dedica gran parte del suo secondo scritto fondamentale:​​ Normalità e patologia nell’età infantile.​​ In esso spiega l’impossibilità di assumere i parametri della patologia mentale degli adulti per lo studio della patologia infantile e propone tre modalità per valutare il grado di normalità o patologia presenti in un bambino, basati rispettivamente sullo sviluppo delle pulsioni, dell’Io e del Super Io, sul tipo di angoscia e di conflitto e su alcune caratteristiche generali dell’Io ritenute fattori di stabilità. Introduce, inoltre, il profilo diagnostico in cui i dati raccolti secondo le tre modalità vengono organizzati sinteticamente tenendo presenti gli aspetti dinamici, genetici, economici, strutturali e adattivi della personalità.

4. Un altro contributo particolarmente significativo è offerto dal concetto di linee evolutive lungo le quali si organizza progressivamente la personalità del bambino. Rappresentano le sequenze interattive tra Es, Io e Ambiente che tracciano l’intero cammino percorso dal bambino dall’immaturità alla maturità. Rivestono un alto valore pratico, in quanto forniscono la base indispensabile per ogni valutazione della maturità o immaturità emotiva del bambino, dando inoltre la possibilità di stabilire in quali circostanze evolutive egli è pronto per affrontare determinate esperienze. Per questo trovano immediata applicabilità in campo educativo, costituendo uno dei maggiori apporti di F.A. alla teoria psicoanalitica dello sviluppo.

Bibliografia

Lustman S. L.,​​ The scientific leadership of A.F.,​​ in «Journal of American Psychoanal.​​ Ass.» 15 (1967) 810-827; Kris E., «Recensione di: A.F., “L’Io e i meccanismi di difesa”», in E. Kris,​​ Scritti di psicoanalisi,​​ Torino, Bollati Boringhieri, 1977, 281-291; F.A.,​​ Opere,​​ 3 voll., Ibid., 1978; Freud S.,​​ Opere,​​ vol. 10, Ibid., 1978, 231-317; F. A.,​​ Conferenze per insegnanti e genitori, Ibid., 1986; Id.,​​ L’aiuto al bambino malato, Ibid., 1987; Peltzman B. R.,​​ A. F.: A guide to research, New York, Garland, 1990; F.A.,​​ Lezioni ad Harvard.​​ Il bambino malato,​​ il suo ambiente,​​ il suo sviluppo, Milano, Cortina, 1991; Young-Bruehl E.,​​ A.F.: una bibliografia, Milano, Bompiani, 1993; F. A.,​​ Normalità e patologia del bambino. Valutazione dello sviluppo, Milano, Feltrinelli, 2003.

A. R. Colasanti




FREUD Sigmund

 

FREUD Sigmund

n. a Freiberg (Moravia) nel 1856 - m. a Londra nel 1939, medico e psicoanalista austriaco.

1.​​ Vita e opere.​​ Nato da una famiglia ebraica, dopo gli studi secondari si iscrive nel 1873 alla Facoltà di medicina di Vienna. Frequenta il laboratorio di anatomia comparata diretto da C. Claus e successivamente l’istituto di fisiologia di Ernest von Brücke, dove entra in contatto con Breuer, già noto per le sue ricerche neurofisiologiche e che avrà una parte rilevante nella nascita della psicoanalisi. Conseguita nel 1881 la laurea in medicina, pressato da esigenze economiche, abbandona la carriera di ricercatore e inizia a esercitare privatamente la medicina. Ottenuta nel 1885 la nomina a​​ Privatdozent,​​ si reca per 6 mesi a Parigi dove, alla Salpètrière segue le lezioni di​​ ​​ Charcot sull’isteria e le malattie del sistema nervoso. Colpito dalla sua personalità e dalle sue teorie, riprende l’attività e dirige il reparto neurologico dell’Istituto Pediatrico di Vienna. Nel settembre del 1886 sposa Marta Bernays. Nel 1895, pubblica, in collaborazione con J. Breuer,​​ Gli studi sull’isteria,​​ considerato il punto di partenza della psicoanalisi. In questo stesso anno, subito dopo la rottura con Breuer, si immerge nella stesura de​​ Il progetto di una psicologia,​​ saggio rimasto incompiuto e pubblicato postumo solo nel 1950. Pur dedicandosi all’attività privata, continua ad essere attratto dalla ricerca e nel 1884 pubblica un articolo sulle proprietà analgesiche della cocaina. Nel 1896, dopo la morte del padre, concentra sempre di più il proprio interesse sul problema della etiologia dell’isteria e delle nevrosi in genere. Negli anni successivi, in diversi saggi, F. sostiene l’applicabilità del modello proposto ne​​ L’interpretazione dei sogni​​ alla spiegazione di diverse manifestazioni psichiche della vita normale (Psicopatologia della vita quotidiana,​​ 1901;​​ Il metodo psicoanalitico freudiano,​​ 1903). Con i​​ Tre saggi sulla teoria sessuale​​ (1905) alcuni concetti ricevono una formulazione più dettagliata, in particolare per quanto riguarda il rapporto tra sessualità infantile e adulta. Ottiene intanto, nel 1902 il titolo di professore straordinario titolare all’Università di Vienna e in diversi scritti ribadisce l’importanza centrale della sessualità (Le mie opinioni sul ruolo della sessualità nell’etiologia delle nevrosi,​​ 1905). Dopo il 1906, con il primo gruppo di allievi, pone le basi del movimento psicoanalitico. Nel 1909 viene invitato negli Stati Uniti da S. Hall. Nel 1920 F. è nominato professore ordinario dell’Università di Vienna e pubblica​​ Al di là del principio del piacere,​​ saggio in cui introducendo il concetto di pulsione di morte propone un’ulteriore riformulazione della sua teoria. Nel 1923 gli viene diagnosticato un cancro al palato e alla mascella. Nonostante la malattia e la perdita della figlia Sophie e del nipote H. Halberstadt, a cui era particolarmente legato, F. continua a lavorare:​​ L’Io e l’Es​​ (1923),​​ Il problema dell’analisi condotta da non medici​​ (1926). Nel 1927 pubblica​​ L’avvenire di un’illusione​​ e nel 1929​​ Il disagio della civiltà​​ che, assieme a​​ Totem e tabù​​ (1913), e a​​ Psicologia delle masse e analisi dell’Io​​ (1921) possono essere considerati come un tassello fondamentale nella costruzione della visione antropologica freudiana, visione essenzialmente pessimistica e riassumibile nell’ipotesi della stretta relazione fra una parziale rinuncia al soddisfacimento degli istinti e la nascita della civiltà. Gli ultimi anni della vita di F. sono dedicati a definire lo statuto epistemologico della psicoanalisi (Costruzione nell’analisi,​​ 1937). Nel 1938, in seguito alle persecuzioni antiebraiche, è costretto a rifugiarsi a Londra. Poco prima della sua morte viene eletto membro della Royal Society.

2.​​ F. e la psicoanalisi.​​ Il termine psicoanalisi compare negli scritti freudiani nel 1896 (Nuove osservazioni sulle neuropsicosi da difesa)​​ e sostituisce i termini precedentemente usati di «analisi psichica» e «analisi psicologica». Sulla base della definizione data nel 1922 dallo stesso F. si possono identificare nella psicoanalisi tre livelli strettamente interrelati. La psicoanalisi può cioè essere considerata: «1) un procedimento per l’indagine di processi psichici cui altrimenti sarebbe praticamente impossibile accedere; 2) un metodo terapeutico basato su tale indagine per il trattamento dei disturbi nevrotici; 3) una serie di conoscenze psicologiche acquisite per questa via che gradualmente si assommano e convergono in una nuova disciplina scientifica» (Psicoanalisi,​​ 1922). Nella costruzione della teoria psicoanalitica, sono schematicamente individuabili tre fasi.​​ La prima fase​​ (1887-1897), segnata dalla collaborazione e dal successivo distacco di F. da Breuer, trova il suo momento conclusivo nella scoperta che il ricordo delle esperienze traumatiche non rappresenta il ricordo di avvenimenti reali ma di fantasie che soddisfanno un desiderio infantile. A partire dalla collaborazione con J. Breuer e dalla riflessione sul caso di Anna O. – che costituirà il primo dei casi clinici presentati negli​​ Studi sull’isteria​​ (1895) – F. giunge progressivamente ad elaborare, grazie anche all’abbandono dell’ipnosi, un nuovo metodo, il metodo delle libere associazioni, basato sul postulato del determinismo psichico e atto a sottolineare l’importanza della vita sessuale del paziente nonché l’esistenza di avvenimenti traumatici, sempre di natura sessuale, verificatisi durante l’infanzia. Nel periodo compreso tra il 1897-1923 vengono elaborati i concetti fondamentali della psicoanalisi. Questa​​ seconda fase​​ è caratterizzata dalla progressiva accentuazione dell’importanza attribuita al modo in cui l’apparato psichico affronta esigenze ed impulsi interni e al modo in cui li rappresenta. Sulla base dell’autoanalisi e del lavoro clinico con i pazienti, F. era giunto, nel 1897, a considerare erronea la teoria del trauma sessuale infantile (La sessualità nell’origine delle nevrosi,​​ 1898) e a ipotizzare che i ricordi di traumi sessuali, che così di frequente affioravano nelle libere associazioni dei suoi pazienti non si riferissero ad avvenimenti passati realmente accaduti ma esprimessero piuttosto fantasie derivanti da desideri di natura sessuale. Ne​​ L’interpretazione dei sogni​​ (da lui considerata come una delle pietre miliari della psicoanalisi, come «la via maestra alla conoscenza della vita mentale inconscia») F. formula non solo un’originale teoria del sogno ma pone le basi di una nuova psicologia, presentando uno specifico modello della mente e utilizzando una serie di concetti – quali inconscio, processo primario e secondario, complesso edipico, rimozione, difesa, conflitto dinamico – che occuperanno sempre una posizione centrale nella elaborazione della teoria psicoanalitica adulta. Il funzionamento mentale viene descritto nei termini dei rapporti tra il sistema PC (percezione-coscienza), Prec (preconscio) e Inc (inconscio) separati fra loro da barriere che modulano l’accesso dei diversi contenuti mentali. Grazie al sogno, considerato la «via regia per l’inconscio», diviene, secondo F., possibile studiare le caratteristiche distintive dell’Inconscio e dei suoi rapporti con il pensiero cosciente. La rimozione costituisce a questo punto della teoria freudiana il meccanismo fondamentale responsabile da un lato della selezione del materiale che avrà accesso alla coscienza e dall’altro della formazione del sintomo, del sogno e di altre manifestazioni della psicopatologia della vita quotidiana. Nel 1905, nei​​ Tre saggi,​​ F. identifica inoltre l’elemento motivazionale fondamentale della vita psichica nella pulsione, considerata come strettamente ancorata al terreno biologico e concettualizzata in termini energetici, e propone un modello di sviluppo psicosessuale di tipo chiaramente evoluzionistico, che trova il suo punto centrale nel complesso edipico. Nell’interpretazione del transfert viene identificato lo strumento fondamentale della tecnica psicoanalitica e vengono inoltre postulati due principi di funzionamento della vita psichica, il processo primario, operante nell’inconscio, e il processo secondario, caratterizzato dal contatto con la realtà e dalla possibilità di differire il soddisfacimento di esigenze pulsionali. Un ulteriore sviluppo in questa fase è dato dalla formulazione del concetto di narcisismo (1914) e dalla edificazione, negli scritti metapsicologici (1915-1917), della struttura teorica della psicoanalisi. La formulazione del concetto di pulsione di morte, che compare nel 1920 nello scritto​​ Al di là del principio di piacere​​ chiude questa fase intermedia.​​ La terza fase,​​ che prende inizio dalla pubblicazione, nel 1923, di​​ L’Io e l’Es,​​ trova il suo punto centrale nella formulazione della teoria strutturale che sostituendosi al modello topico, presentato nel 1900 nell’Interpretazione dei sogni,​​ riconduce il funzionamento mentale ai rapporti fra tre strutture psichiche dell’Io, dell’Es e del Super-io. L’Es rappresenta il polo pulsionale della personalità, il Super-io, costituito dalla introiezione delle figure genitoriali, così come sono state vissute dal bambino, veicola gli ideali e i divieti delle figure genitoriali, e l’Io, istanza mediatrice tra l’Es, i divieti del Super-io e le esigenze di realtà, costituisce «il rappresentante degli interessi della persona nella sua totalità». All’Io spetta dunque il compito di modificare la realtà esterna in funzione delle esigenze pulsionali, mediante il controllo degli apparati che presiedono alla percezione, memoria e motilità, nonché di controllare, mediante il ricorso a specifici meccanismi di difesa, le richieste provenienti dall’Es. La dinamica della vita psichica è ricondotta ad una molteplicità di conflitti: tra le pulsioni di vita e le pulsioni di morte, tra le esigenze provenienti da diverse istanze, tra le diverse parti componenti ciascuna istanza. Dalla nuova riconcettualizzazione dell’apparato psichico F. estenderà da un lato l’indagine psicoanalitica a realtà extracliniche (psicologia delle masse, l’origine e il senso della religione, dell’organizzazione sociale e della civiltà) e dall’altra ritematizzerà il campo di applicazione clinica proponendo una classificazione della psicopatologia in termini di meccanismi di difesa e di dinamiche conflittuali. Di conseguenza vengono introdotte delle modifiche sostanziali nella tecnica terapeutica il cui strumento fondamentale, l’interpretazione, deve mettere l’Io in condizione di reintegrare quelle parti della vita psichica che la rimozione aveva reso non più disponibili.

3.​​ Psicoanalisi ed educazione.​​ Fin dal 1898 F. aveva messo in rilievo il peso delle pratiche educative nei confronti della sessualità. Nel 1905 nei​​ Tre saggi sulla teoria sessuale​​ se da un lato sostiene che l’educazione «deve limitarsi a favorire ciò che è organicamente predeterminato» – e cioè lo sviluppo del disgusto, del pudore, di ideali estetici, considerati una sorta di argine della pulsione sessuale – dall’altro punta il dito contro pratiche educative fortemente repressive della sessualità e il ricorso a punizioni corporali. Ancora nel 1908, nel​​ Caso clinico del piccolo Hans,​​ F. sottolinea come l’educazione possa esercitare un profondo influsso a favore o a sfavore della predisposizione alla malattia e come quindi le pratiche educative dovrebbero tendere non alla repressione delle pulsioni sessuali ma piuttosto a rendere «l’individuo atto alla civiltà e utile membro del consorzio umano». Da questa prospettiva, sostiene F., la psicoanalisi è in grado di offrire preziosi contributi alla messa a punto di adeguati metodi pedagogici. Nel 1910 ritorna sull’importanza di opportune misure educative in grado di guidare un armonioso sviluppo del bambino nonché sull’inadeguatezza della pedagogia dell’epoca. Nel 1911 ne​​ I​​ due principi dell’accadere psichico,​​ scritto di notevole importanza teorica, l’educazione viene definita come «un incitamento a superare il principio di piacere e a sostituirlo con il principio di realtà»: gli interventi educativi vengono dunque considerati, in questa prospettiva, come un «ausilio al processo evolutivo che riguarda l’Io». Nel 1913 in​​ L’interesse per la psicoanalisi​​ F. stigmatizza nuovamente il ruolo delle pratiche educative nella «repressione violenta dei moti pulsionali socialmente inutilizzati o perversi», che è all’origine di una «rimozione che instaura una successiva malattia nevrotica». L’educazione dovrebbe quindi «guardarsi dal seppellire i moti pulsionali», limitandosi piuttosto «ad incoraggiare i processi attraverso i quali queste energie possono venire indirizzate su una buona strada». In questo senso «le rivoluzionarie recenti scoperte della psicoanalisi attinenti alla vita psichica del bambino» si rivelano preziose per la messa a punto di una moderna pedagogia che voglia porsi l’obiettivo di prevenire la nevrosi e la perversione. Sempre nel 1913, nella sua prefazione a​​ Il​​ metodo psicoanalitico,​​ di O. Pfeister – che può essere considerato uno dei primi tentativi di coniugare psicoanalisi e pedagogia – F., pur sottolineando come la psicoanalisi «rimanga in un rapporto di esteriorità rispetto al lavoro educativo», ribadisce il valore preventivo dell’azione educativa orientata psicoanaliticamente, attribuendole il compito di «vigilare affinché certe disposizioni e tendenze del bambino non rechino alcun danno al singolo e alla società». Pur ritenendo ancora valida questa prospettiva, nel 1915, in​​ Considerazioni attuali sulla vita e sulla morte,​​ F. pone l’accento sull’importanza della «costrizione esterna esercitata dall’educazione, ritenuta essenziale per la costruzione della civiltà, che trova il proprio fondamento nella rinuncia al soddisfacimento pulsionale. L’educazione psicoanaliticamente orientata svolgerebbe così una funzione preziosa nella trasformazione della vita pulsionale, orientandola verso il bene e verso la conversione dell’egoismo nell’altruismo». Queste posizioni rimarranno sostanzialmente invariate. Su di esse ritorna ancora in​​ L’avvenire di un’illusione​​ (1927) e in​​ Introduzione alla psicoanalisi​​ (1932). Nel 1925, nella sua introduzione a​​ Gioventù traviata​​ di August Aichorn, un pedagogista che si era specializzato nel trattamento di giovani con tendenze antisociali, ribadisce la distinzione fra opera educativa e psicoanalisi. Pur considerando la terapia psicoanalitica una sorta di «rieducazione», F. mette in guardia dalla tentazione di sostituire la psicoanalisi alla pedagogia e sostiene che «le ricerche psicoanalitiche possono giovare alle attività educative intese a guidare [il bambino] alla conquista di una propria personale maturazione, ad aiutarlo nella crescita e a salvaguardarlo da eventuali errori [...] e che dunque se la psicoanalisi può essere molto utile all’educazione non è tuttavia idonea a prenderne il posto». Nella seconda serie di lezioni dell’Introduzione alla psicoanalisi,​​ a cui si è già fatto cenno, mette in particolare rilievo la problematicità degli interventi pedagogici. Secondo F.: «l’educazione [...] deve cercare una via tra Scilla del lasciar fare e Cariddi del divieto frustrante, compito se non insolubile particolarmente complesso». Ed è proprio sulla base delle difficoltà di trovare l’optimum​​ educativo che F. vede nell’analisi degli insegnanti e degli educatori un’auspicabile misura preventiva. Ancora nel 1937, in​​ Analisi terminabile e interminabile,​​ mette in guardia contro le ambizioni terapeutiche ed educative, identifica nella professione dell’educatore una delle tre professioni impossibili e prospetta l’educazione come una serie di interventi volti ad aiutare l’Io «a spostare lo scenario del conflitto dall’esterno all’interno, a dominare il pericolo interno prima che si sia trasformato in pericolo esterno». Tali idee sull’educazione saranno riprese ed esplicitate dalla figlia A. Freud.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ le opere complete di F. sono state pubblicate in tre diverse edizioni: l’ediz. ted.​​ (Gesammelte Werke,​​ 1940-52, 18 voll.) è curata da A. Freud et al.; l’ediz. ingl. (Standard Edition,​​ 1953-74, 24 voll.) è curata da J. Strachey e l’ediz. it. (Opere,​​ 1966-1980, 12 voll.) è curata da C. L. Musatti. b)​​ Studi:​​ Sulloway F.,​​ F. biologo della psiche,​​ Milano, Feltrinelli, 1982; Gay P.,​​ F.,​​ una vita per i nostri tempi,​​ Milano, Bompiani, 1988; Kaufmann P. (Ed.),​​ L’apporto freudiano. Elementi per un’enciclopedia della psicoanalisi,​​ Roma, Borla, 1996; Quinodoz J.-M.,​​ Leggere F. Scoperta cronologica dell’opera di F., Ibid., 2005.

F. Ortu - N. Dazzi​​ 




FRÖBEL Friedrich Wilhelm August

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FRÖBEL Friedrich Wilhelm August​​ 

n. a Oberweissbach (Turingia) il 21 aprile 1782 - m. nel castello di Marienthal, Turingia, il 21 giugno 1852, pedagogista e educatore tedesco.

1.​​ Vita. La madre di F. morì l’anno seguente la sua nascita e il padre, pastore protestante, lo affidò alle cure dei cinque fratelli maggiori e di persone estranee, per cui l’infanzia di F. è stata particolarmente infelice. Nel 1799 si iscrisse ai corsi di filosofia nell’università di Jena, ma li abbandonò dopo due anni per ristrettezze economiche. Nel 1805 F. accettò l’invito di Gruner, allievo di​​ ​​ Pestalozzi, ad insegnare nella sua scuola di Francoforte. Precettore, poi, dei tre figli della famiglia Holzhausen, li portò a Yverdon, la scuola di Pestalozzi, ove lui stesso fu docente e alunno (1808-1810). Rientrato in Germania, si iscrisse prima all’università di Gottinga (1811) e poi a quella di Berlino (1813) per seguire i corsi di mineralogia del Weiss e di filosofia dello Schleiermacher. Divenuto assistente di Weiss e vice direttore del Museo mineralogico di Berlino, abbandonò l’impiego nel 1816, dopo la morte del fratello Cristoforo, per prendersi cura dei tre nipoti a Griesheim, ai quali si aggiunsero i due nipoti del fratello Cristiano. Nel 1817 F. si trasferì a Keilhau, ove fondò: «L’Istituto universale tedesco di educazione di Keilhau»; nel 1826 scrisse la sua opera pedagogica​​ L’educazione dell’uomo; tra il 1831 ed il 1836 fondò e diresse tre istituti in Svizzera: Wartensee, Willisau e Burgdorf. Ritornato in Germania, F. fondò «L’Istituto per l’educazione dell’impulso all’attività di bambini e giovani» (1837) a Blankeburg, ove aprì il suo primo «Kindergarten» (1840), che si diffuse in altre città. Nel 1851 il governo prussiano ordinò a F. di chiudere i Giardini d’infanzia, accusati di diffondere orientamenti sovversivi nei riguardi della religione e della politica. Nel 1860 l’ordine fu revocato, ma F. era morto nel 1852.

2.​​ L’educazione dell’uomo​​ (1826). L’opera, pensata da F. come un’analisi del processo educativo lungo tutta la vita umana, tratta soltanto delle prime due età: l’infanzia e la fanciullezza. Il pensiero di F. è stato influenzato dalla poesia romantica e dalla filosofia idealistica di Novalis, Schiller, Ficthe, Schelling, Schleiermacher, ma si specifica soprattutto come un «panenteismo» alla maniera di Karl Christian F. Krause (1781-1832), secondo il quale tutto è scaturito da Dio e tutto da Dio è condizionato; e, in particolare, l’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, crea, opera ed agisce in modo simile a Dio. Tuttavia, l’uomo non ha coscienza di ciò, ed è opera essenziale dell’educazione portarlo a questa consapevolezza mediante la gradualità delle forme attraverso le quali Dio si manifesta e soprattutto agisce, perché tutto è attività. Attività che ci appare in Dio come creazione, nell’uomo come lavoro, nel fanciullo come​​ ​​ gioco. Il divenire e l’attività, data l’identità assoluta di Dio con l’uomo e la natura, si esplicano anche come Dio che gioca nel fanciullo, lavora nell’uomo e crea nella sua trascendentalità. Gioco, lavoro e creatività sono tre momenti necessari di un unico processo di sviluppo immanente all’umanità: lo sviluppo del divino che è nell’uomo, per cui l’educazione è essenzialmente auto educazione, attività spontanea, fino alla consapevolezza del divino che è in ciascuno di noi e alla sua libera realizzazione. Sviluppo ed educazione sono sempre completi in ciascuna età, e in ognuna l’educazione deve ispirarsi alla vita circostante contemporanea. Nella scuola, in cui deve dominare l’attività spontanea del fanciullo che è il gioco, ci si educa e ci si istruisce vivendo: nulla si apprende in teoria, ma attuando il vero, il bene e il bello e operando in proprio e in collaborazione con i compagni. Durante l’infanzia (fino ai 2 o 3 anni), la seconda infanzia (3-6 anni) e la fanciullezza (fino ai 10 o 12 anni) si devono sviluppare e consolidare in modo opportuno tre forze: religione, laboriosità e temperanza. F. indica, come ambiente particolarmente adatto all’educazione, la famiglia per la prima infanzia, il giardino per la seconda e la scuola per la fanciullezza, con una figura dominante in ciascuno di essi: la madre, la maestra-giardiniera e l’insegnante. Nella seconda parte dell’Educazione dell’uomo​​ F., che ha legato il suo nome al Kindergarten, parla dell’istruzione degli alunni delle scuole elementari, che dovrebbe essere perseguita mediante attività di gioco e di lavoro.

3.​​ Il Kindergarten. L’interesse di F. per l’istituzione prescolare è nato gradualmente e sotto una molteplicità di influssi, in particolare quelli di Krause, che, tra l’altro, gli fece conoscere un opuscolo di​​ ​​ Comenio sul problema (la​​ Schola infantiae), e di Pestalozzi. F. non usa il nome di «Giardino» solo per romantica similitudine, si fonda, invece, su un concetto più profondo: allo stesso modo che nel giardino i fiori si schiudono da sé, così nel Kindergarten i bimbi si sarebbero potuti liberamente esplicare e svolgere da sé, in spontaneità, «germogliando» e «fiorendo» dal loro intimo, nella serenità del gioco e della vita di natura. Oltre i giochi spontanei, quelli preparatori al futuro lavoro produttivo e le occupazioni, F. propone anche dei giochi detti «doni», derivanti da una concezione metafisica della realtà che si esprime in forme geometriche, che sono offerti come materiale di osservazione e di azione, mezzi del conoscere, del fare da sé, del costruire. I «doni» sono i seguenti: La​​ palla elastica​​ e le​​ palle di lana​​ di diverso colore, peso e grandezza; il bambino, giocando e divertendosi, apprende le idee di unità e di pluralità e impara a conoscere le proprietà fondamentali dei corpi. La​​ sfera, il​​ cubo​​ e il​​ cilindro: la sfera rappresenta la massima mobilità, il cubo la stabilità, il cilindro la situazione intermedia. Il cubo scomponibile, inoltre, soddisfa un tipico istinto infantile, quello di rompere una cosa per vedere com’è fatta e ciò che c’è dentro. Il compito educativo delle maestre era agevolato da una serie di tavole esplicative, che accompagnavano ogni dono. Nonostante il didatticismo formale di molti fröbeliani, per i quali i «doni» divennero degli schemi senza vita, resta il loro profondo valore pedagogico.

4.​​ Valutazione. Il valore del gioco per l’educazione del fanciullo era già stato sottolineato, tra gli altri, da Quintiliano, Vittorino, Locke, Fénelon, Rousseau, Pestalozzi, ma solo F. ha formulato con chiarezza il principio che il gioco è tutta l’attività del fanciullo. Mentre prima di F. i bambini erano affidati a delle sale di custodia e ad asili con finalità assistenziali o con attività precoci di istruzione come quello di Aporti, con F. si afferma una nuova istituzione educativa, il Kindergarten, nella quale ci si prende cura dello sviluppo del fanciullo e della sua personalità attraverso la sua attività spontanea: il gioco. Con F., infine, si è incentivato anche l’ambito progettuale dei materiali didattici per la scuola dell’infanzia, al quale si sono ispirate per analoghe iniziative le sorelle​​ ​​ Agazzi e la​​ ​​ Montessori.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ F.F.,​​ Ausgewählte pädagogische Schriften,​​ Paderborn, Schöning,​​ 1965; F.F.,​​ L’educazione dell’uomo, a cura di G. Flores d’Arcais, Scandicci (FI), La Nuova Italia, 1993;​​ b)​​ Studi:​​ Blättner F.,​​ Storia della pedagogia, Roma, Armando,​​ 61972; Gasparini D., «F.F.», in​​ Nuove questioni di storia della pedagogia, II, Brescia, La Scuola, 1977, 431-471; Id.,​​ «F.», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica, vol. III, Ibid., 1989, 5156-5167; Bucci S.,​​ Educazione dell’infanzia e pedagogia scientifica.​​ Da F. a Montessori, Roma, Bulzoni, 1990;​​ Grazzini M.,​​ Il grande F. delle opere minori, Brescia, Istituto di Mompiano, 1999; D’alessandro C.,​​ Problemi pedagogici nelle teorizzazioni e nelle pratiche educative dell’età romantica, Napoli, Liguori, 2003; «F.», in​​ Enciclopedia filosofica, vol. V, Milano, Bompiani, 2006, 4494-4496.

F. Casella




FROMM Erich

 

FROMM Erich

n. a Francoforte nel 1900 - m. a Muralto (Locarno) nel 1980, sociologo e psicoanalista tedesco.

1. Nato in ambiente ebraico osservante, compì la sua formazione a Heidelberg, seguendo gli insegnamenti dei maestri del pensiero sociologico moderno. Affascinato dalle tesi di​​ ​​ Weber, costruì su di esse la sua psicologia sociale. Dopo aver conseguito nel 1922 la laurea con una tesi sulla sociologia della diaspora, si dedicò esclusivamente agli studi di psicologia e di psicoanalisi, specializzandosi a Berlino alla scuola dei primi allievi tedeschi di​​ ​​ Freud. Emigrato negli Stati Uniti a seguito della persecuzione nazista, insegnò in diverse università americane e fu direttore del Dipartimento di Psicologia dell’Università Nazionale del Messico. Nei suoi scritti ha manifestato una profonda corrispondenza al quadro culturale della contestazione radicale degli anni ’60.

2. Il libro che viene tutt’ora considerato una delle sue migliori produzioni è​​ Fuga dalla libertà​​ in cui non solo analizza il nazismo dal punto di vista psicoanalitico, ma offre una chiave di lettura di una nuova visione antropologica. Tesi centrale del suo pensiero è che l’uomo, mentre matura l’esigenza della​​ ​​ libertà e dell’indipendenza, si sente sempre più solo, nel suo rapporto con la realtà esterna, perché minacciato nelle sue forze, preso da un sentimento di impotenza e di ansietà dinanzi agli aspetti soverchianti e pericolosi del mondo esterno. In una tale situazione si impongono tre meccanismi di fuga dalla libertà: l’autoritarismo, la distruttività e il conformismo, ai quali è possibile far fronte con il ricorso alla​​ ​​ religione. Approfondendo tale tesi in​​ Avere o essere?, F. individua una duplice modalità di esistenza. Da una parte c’è​​ l’avere,​​ ossia l’impulso alla sopravvivenza che, centrato sull’acquisto e sul dominio di proprietà private e di possessi non materiali, come il proprio io, le altre persone, la reputazione, la conoscenza, alimenta avidità, inimicizia e violenza. Dall’altra c’è​​ l’essere​​ che, avendo come caratteristica principale l’attività libera e finalizzata, implica autotrascendenza, crescita, interesse per gli altri, amore.​​ 

3. In tale contesto, la religione, da lui analizzata principalmente nell’opera​​ Psicoanalisi e religione, viene ad assumere un duplice volto: quello dell’autoritarismo e quello dell’umanesimo, con conseguenti risvolti educativi. Nella religione autoritaria, in cui è centrale l’abbandono nelle braccia di un potere trascendente, l’uomo concepisce se stesso come creatura inetta e meschina, considera Dio come un essere dispotico e terribile, e si sente dominato da un sistematico senso di colpa; nella religione umanistica, invece, vengono poste in risalto le capacità insopprimibili dell’uomo, Dio viene delineato come misericordioso e comprensivo, emerge con forza la dimensione positiva della ricerca appassionata e faticosa del senso della propria esistenza.

Bibliografia

a)​​ Fonti: opere di F.E. trad. in it.,​​ Avere o essere?, Milano, Mondadori, 1977;​​ Fuga dalla libertà, Ibid., 1987;​​ Psicoanalisi e religione, Ibid., 1987;​​ Io difendo l’uomo, Milano, Bompiani, 2004;​​ Il coraggio di essere, Bellinzona, Casagrande, 2006; b)​​ Studi: Punturi G.,​​ Progetto uomo: è possibile? Interrogativi di E.F.,​​ Roma, Templari,​​ 21980; Eletti P. L. (Ed.),​​ Incontro con E.F.,​​ Firenze, Medicea, 1988; Funk R. (Ed.),​​ Il​​ meglio di E.F.,​​ Milano, Mondadori, 1990; Fizzotti E. - M. Salustri,​​ E.F., in Idd.,​​ Psicologia della religione con antologia dei testi fondamentali,​​ Roma, Città Nuova, 2001, 153-179.

E. Fizzotti