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FORMATORE

 

FORMATORE

Operatore che svolge precisa attività di formazione nei confronti di altre persone nell’ambito extrascolastico, al fine di far pervenire l’utente al possesso di diverse abilità nei vari campi di attività in cui opera.

1. Etimologicamente il termine deriva dal lat.​​ formare​​ (dare forma, plasmare), e richiama la duplice idea di una sostanza cedevole, plasmabile, ed al contempo l’idea che l’essere umano possieda un patrimonio innato da estrarre e sviluppare. Le aree di attività affini sono l’educazione, l’istruzione e l’insegnamento (educatore, insegnante). L’attività del f. (​​ formazione) si esercita in un contesto strutturato, composto di reti formali e informali di diversi operatori, quasi sempre in équipe. Insieme all’Istituzione presso cui opera esprime un progetto formativo condiviso in obiettivi, contenuti, metodi e strumenti, tipi di verifica, che attua autonomamente in funzione dell’utenza e dell’organizzazione stessa. Il f. consulente tende così ad avere una propria struttura permanente e a rivendicare uno spazio istituzionale tra committenza e utenza, formalizzando prestazioni e processi. Si intende la formazione come​​ pratica sociale,​​ nel senso di una attività educativa riguardante adulti in situazione di transizione sociale; sul piano metodologico si intende come processo trasformativo intenzionale avente influenza sociale globale.

2. Lo stato professionale di questo operatore è eterogeneo e diverso da Paese a Paese, e pertanto è difficile una definizione univoca, anche a causa della mancanza di uno statuto e inquadramento professionale omogeneo. Diverse sono le accezioni in cui il termine è usato: docente, istruttore, tutor, maestro di apprendistato, animatore,​​ job trainer.​​ Tali accezioni appartengono al campo economico, socio-culturale e socio-professionale e differiscono all’interno di questi a seconda che pertengano a sistemi di​​ ​​ formazione professionale o a sistemi di formazione continua. Il riferimento comune di tali termini è il momento erogativo della formazione, il corso o​​ stage.

3 Esistono diverse categorizzazioni del f., a seconda degli obiettivi del tipo di intervento:​​ professionali,​​ interventi di primo inserimento, di riconversione, di perfezionamento, di promozione in rapporto a soggetti in situazione lavorativa;​​ personali,​​ interventi rivolti allo sviluppo dell’espressione individuale di ogni singola persona;​​ sociali,​​ interventi riguardanti la vita non professionale, familiare, associativa ecc. I settori di intervento sono in sintesi quello pubblico, delle politiche formative, del lavoro e politiche sociali; quello privato legato alle richieste aziendali, consulenze tecnologico-organizzative o domande individuali extraprofessionali; quello autogestito, basato sull’autoorganizzazione degli interventi, la cooperazione, il​​ ​​ volontariato.

4. Le tipologie più recenti del f. considerano diverse variabili, quali la natura concorrenziale o no degli organismi che lo impiegano, le funzioni o i ruoli effettivamente ricoperti, le caratteristiche del rapporto di lavoro, se permanente o occasionale. Si avranno pertanto le figure del responsabile della formazione, con funzione di gestione, amministrazione, direzione, ricerca e formazione dei f.; dell’esperto (​​ insegnante, specialista); dell’​​ ​​ animatore; del consulente esterno all’intervento con funzione di informazione, documentazione, orientamento. Le competenze richieste al f. sono insieme organizzative ed educative, dunque tecniche ma anche relazionali e valoriali.​​ 

5. Il​​ tipo​​ di f. è strettamente dipendente dalla filosofia della formazione nelle diverse culture organizzative. Se la formazione è intesa come trasmissione di conoscenze e informazioni – normalmente ciò avviene in culture organizzative normativo-burocratiche – il f. si presenterà come​​ istruttore;​​ nelle culture tecnocratiche, che intendono la formazione come sviluppo delle capacità professionali e / o relazionali del soggetto, sarà​​ conduttore​​ di processi di comunicazione; nelle culture di tipo permissivo-individualista la formazione è intesa come animazione dell’espressività e il f. sarà​​ animatore;​​ nelle culture dove la formazione è intesa come cura della crescita personale, generalmente culture di tipo familistico, il f. sarà da intendersi come​​ terapeuta.

Bibliografia

Quaglino G. P.,​​ Fare formazione,​​ Bologna, Il Mulino, 1985; Bellotto M. - G. Trentini (Edd.),​​ Culture organizzative e formazione,​​ Milano, Angeli, 1990; Maggi B. (Ed.),​​ La formazione: concezioni a confronto,​​ Milano, Etas, 1991; Pardilla A.,​​ Il f. e la formatrice testimoni di Cristo, Roma, Claretianum, 1999.

M. Groppo - L. Righi




FORMAZIONE

 

FORMAZIONE

Il termine f. ha avuto molti usi ed ancora oggi è inteso in molti sensi. Nel linguaggio comune e nella letteratura pedagogica il termine è sinonimo di educazione, di​​ ​​ apprendimento, di​​ ​​ istruzione, di​​ ​​ addestramento ed in un certo senso li coinvolge tutti.

1.​​ F. come attività plasmatrice.​​ Un primo significato, che si riscontra ancora nel linguaggio comune, viene dal concepire il «formare» nel senso di «dar forma», di configurare, di plasmare, di foggiare e forgiare, come fa lo scultore con il marmo, come fa il vasaio con la creta, o il musicista e il pittore con la propria ideazione artistica. Questo significato rimane anche per l’opera educativa, intesa come plasmazione umana. F. sta per attività (e risultato della attività) che la generazione adulta (e per essa in primo luogo i​​ ​​ genitori, gli insegnanti, i maestri, e gli educatori in genere) mette in atto per dare configurazione armonica e composta all’umanità del bambino, costituzionalmente informe, disorganica, incompleta, carente, ma insieme plastica, flessibile, aperta a miglioramenti e perfezionamenti. Ciò viene attuato mediante la interiorizzazione di un quadro di idee, valori e norme precostituite, a cui occorre essere socialmente uniformati o conformati o omologati o assimilati o comunque integrati; attraverso l’esercizio e la pratica di modelli di comportamento socialmente approvati: l’esito atteso è il conseguimento di abitudini di vita, di pensiero e d’azione umanamente degni e socialmente efficaci. In particolare il termine f. veniva e viene usato in relazione alla strutturazione e al rafforzamento delle disposizioni temperamentali personali, come è nell’espressione «f. del​​ ​​ carattere». La coscienza pedagogica contemporanea tende a distanziarsi da questa concezione di f. in quanto sembra trattare la personalità del fanciullo come fosse una materia inanimata o un oggetto di produzione degli adulti, e quindi sostanzialmente passiva rispetto all’attività formativa degli educatori. In questa linea si spiegano il sospetto e la critica di coloro che vedono nell’educazione e nella f. la riproduzione degli assetti sociali e culturali dominanti; e dal punto di vista psicologico l’imposizione e la riproposizione ai giovani da parte del mondo adulto degli antichi divieti e degli antichi pesi ad esso già accollati. A fronte di ciò nel corso della storia dell’educazione si sono avute ricorrenti forme di contestazione (​​ descolarizzazione), in nome ed in difesa di una libera e spontanea espansione vitale.

2.​​ F. come prender forma umanamente degna.​​ È pur vero che nella tradizione culturale occidentale oltre il significato fisico di forma (in gr.​​ morfé),​​ che sta per figura, configurazione e delineazione di qualcosa, ci sono altri due significati: quello di esemplare di un’opera o di modello da imitare; ed in senso traslato quello di immagine di un essere con tutte le caratteristiche proprie alla sua specie (significato variamente collegabile alla tradizione filosofica dell’ilemorfismo aristotelico). Questi altri significati di forma non sembrano aver avuto molta fortuna in sede pedagogica, e tuttavia non paiono del tutto assenti. Così, secondo le antiche versioni latine della Bibbia e i Padri della Chiesa, Cristo è la «forma», cioè modello delle virtù. Parimenti «forma» è talvolta sinonimo di «norma», sia nell’antichità che nel medioevo. In questa linea l’ideale cristiano era visto come «imitazione di Cristo». In modo simile il significato filosofico di forma si può scorgere nell’idea di f. vista come impegno personale per l’acquisizione della propria misura di umanità (auto-f.); oppure, in una prospettiva per così dire aristotelica, come attuazione delle potenzialità immanenti dell’essere umano di ciascuno, in quanto sua causa finale e causa che provoca il movimento verso l’attuazione: nell’orizzonte del conseguimento di quel «mestiere di essere uomini» che sintetizza i diversi ruoli personali e dà loro consistenza e unitarietà. O ancora, diventa sinonimo di ricerca della totalità relazionale, sana ed organica, come sembra essere nella psicoterapia contemporanea, che si rifà alla teoria della​​ ​​ Gestalt (in tedesco «forma», «configurazione totale e completa»). Anche questo significato di f. è oggi esposto alla critica di coloro che negano che si dia una totalità organizzata di senso che orienti e legittimi i processi e gli interventi formativi, in quanto sarebbe rimaner vittime di un pensiero assoluto e rozzamente metafisico. Costoro negano un’intenzionalità finalistica in quella che nativamente si pone come «formatività umana», vale a dire la caratteristica dell’essere umano che rispetto agli altri esseri pone maggiormente in evidenza l’esigenza di maturazione e di determinazione organica e la disponibilità ad aprirsi al mondo e agli altri al fine di una completezza umana individuata e singolarmente caratterizzata. Si vede qui subito come nel concetto di f. vengano a confluire questioni filosofiche più vaste sia riguardanti la realtà in generale che il conoscere umano sia più direttamente l’immagine dell’uomo e del suo destino.

3.​​ F. come processo integrativo dello sviluppo personale.​​ L’idea di f. ha preso consistenza pedagogica nell’età moderna in connessione con l’accentuazione dell’immagine moderna dell’uomo costruttore di sé e con l’affermarsi dell’idea di progresso e di sviluppo segnato dall’intervento della razionalità e delle capacità operative e tecniche umane. In questa linea f. è venuta a significare ed essere la risultanza del processo (e il processo stesso), in cui la persona umana porta a maturazione le potenzialità soggettive, apprende ciò di cui è carente, consolida le proprie capacità, si abilita a vivere la vita personale e relazionale. Ciò avviene nell’interazione con l’ambiente e le sue concrete possibilità storiche, culturali, materiali e di umanizzazione; e con la mediazione e il sostegno di figure (genitori, educatori, maestri, insegnanti, istitutori, animatori, assistenti, ecc.), istituzioni (famiglia, scuola, chiese, gruppi, associazioni, mass-media, ecc.), attività individuali e sociali più o meno appositamente intraprese a questo scopo (​​ prevenzione, cura, assistenza, addestramento, socializzazione, inculturazione, insegnamento, istruzione, educazione, catechesi, animazione, ecc.). In questo senso​​ ​​ Rousseau, nel primo cap. dell’Émile,​​ afferma che «ciascuno di noi è formato da tre specie di maestri»: la natura («lo sviluppo interno delle facoltà e degli organi»); gli uomini («l’uso che ci viene insegnato a fare di questo sviluppo»); e le cose («acquisto dell’esperienza personale relativa agli oggetti»). In termini simili oggi si parla di educazione diffusa o informale (=le influenze dell’ambiente e delle dinamiche della comunicazione sociale), di educazione non-formale (iniziative od occasioni istituzionali o contestuali con vasta risonanza formativa, come quelle che vengono dall’organizzazione dello sport, dal mondo del divertimento o dall’associazionismo o dall’ambiente familiare); e di educazione formale, appositamente messa in atto da quello che viene detto il sistema sociale di f. La necessità della integrazione e della coerenza tra questi molteplici​​ fattori​​ della f. è indispensabile per il successo e la positività dell’intero processo. In vista di ciò la pedagogia moderna e contemporanea ha discusso sul peso che i singoli fattori hanno nella f. umana, come ad es. è stato tra nativisti (che esaltano il ruolo del patrimonio genetico, ereditario e congenito) ed empiristi (che invece esaltano il ruolo dell’ambiente e delle possibilità di esperienza); o si son dati da fare per trovare i metodi e le strategie migliori: a cominciare dallo stesso Rousseau che per il periodo che va dalla nascita alla pre-adolescenza credeva che la cosa migliore fosse lasciare il massimo della spontaneità, senza intervenire (educazione negativa​​ opposta ad​​ educazione positiva,​​ fatta di interventi, consigli, castighi, premi, ecc.). Gli studi psicologici hanno aiutato a cogliere le dinamiche profonde, e spesso inconsce, presenti nel processo formativo, ma anche la parte attiva, ricostruttiva ed operativa che il soggetto normalmente ha, nella dialettica tipica del processo formativo tra mondo tendenziale soggettivo, stimolazioni ambientali ed intenzionalità sociali.

4.​​ F. tra Bildung e abilitazione a ruoli professionali o sociali.​​ Etimologicamente il significato di f. come processo di integrale sviluppo personale può essere riferito al termine tedesco «Bildung»​​ (che dice insieme l’immagine umana ideale, la cultura che umanizza e l’azione di umanizzazione attraverso tale cultura). Nel mondo dell’illuminismo e romanticismo tedeschi f. venne a significare «coltivazione di sé», «cultura dello spirito» (nel significato tedesco di «spirito», «der Geist»,​​ che implica intellettualità, esteticità, eticità, religiosità, cultura e la loro armonica composizione personale). Questo ideale di umanità armonica ed equilibrata resta nella tradizione umanistica di ogni tempo; mentre l’accento sull’autocostruttività ne dice la modernità. Tuttavia in tempi più vicini a noi, soprattutto nell’immediato dopoguerra, la rilevanza della ricostruzione civile e l’impulso della ripresa economico-produttiva (e fors’anche un certo spirito pragmatistico e tecnologico) hanno portato a pensare la f. quasi esclusivamente in termini di apprendimento e di abilitazione a ruoli lavorativi, professionali, sociali (come nel termine ingl.​​ training​​ e nelle espressioni: f. degli insegnanti, dei genitori, dei lavoratori, dei formatori, degli animatori, del personale, dei quadri, ecc.). L’accento è posto sull’acquisizione di competenze comportamentali e relazionali (legato all’apprendimento di un congruo sapere, saper fare e saper essere e operare con gli altri, congiunti ad un adeguato tirocinio d’iniziazione pratica).

5.​​ F. come funzione dell’evoluzione umana.​​ Negli ultimi tempi il significato di f. va dilatandosi. Essa è ritenuta questione centrale e risorsa imprescindibile nelle politiche nazionali ed internazionali da parte degli organismi governativi (come la CEE o il Consiglio d’Europa o l’Unesco) e non governativi (come le diverse associazioni comunitarie ed internazionali di ricerca e di cooperazione operativa, di tutela e di promozione dei diritti umani di tutti e specialmente delle minoranze e delle fasce sociali tradizionalmente emarginate). A livello mondiale, è invocata (e sostenuta economicamente nei concreti progetti di intervento) come termostato dell’equilibrio mondiale e come fattore di sostegno per lo sviluppo dei popoli. La mancata effettività del diritto alla piena alfabetizzazione e il diffuso analfabetismo culturale, rischiano infatti di non permettere a quote sempre più estese della popolazione di «leggere» i sofisticati alfabeti e decifrare i codici procedurali, attraverso cui si esprime o che impone la società industriale e post-industriale, sia a livello di produzione che di esistenza. In tal senso il problema della f. viene strettamente connesso con gli altri grandi nodi dello sviluppo, quali l’economia, la salute, l’ambiente, la popolazione, la democrazia interna e internazionale. La f. non riguarda quindi solo competenze specifiche di ruolo o di status sociale, ma più largamente esistenziali, globali, di vita. Parimenti non viene pensata solo per l’età evolutiva ma per l’intero arco dell’esistenza (come è nelle espressioni: f. degli adulti, continua, iniziale,​​ in process,​​ permanente, universitaria, ecc.). La costruzione e la qualificazione della vita personale individuale e comunitaria è vista come qualcosa di costante, pervasivo e perdurante per tutta l’esistenza. Parallelamente si viene a mettere in evidenza una diversa immagine dell’età adulta, anch’essa non completa, ma bisognosa di integrazione e di continua cura della buona qualità della vita rispetto alle novità e ai mutamenti che intervengono nel corso delle diverse età e alle occasioni offerte dai nuovi mezzi della comunicazione sociale o agli stimoli del mercato mondializzato e della globalizzazione della vita e della cultura. In questo senso la f. viene ad essere una modalità tipica della vita personale e sociale, una funzione che caratterizza l’evoluzione umana, lo sviluppo storico e il futuro civile dell’umanità intera; un punto fermo nella logica delle trasformazioni e del mutamento socio-culturale (​​ educazione degli adulti; educazione interculturale).

Bibliografia

Beretta A. - M. S. Barbieri,​​ Il​​ centauro e l’eroe,​​ Bologna, Il Mulino, 1974;​​ Boutin A,​​ Formation et développement, Bruxelles, Mardaga, 1983; Fabre M.,​​ Penser la formation,​​ Paris, PUF,​​ 1994; Dalle Fratte G.,​​ Pedagogia e f., Roma, Armando, 2004; Alessandrini G. (Ed.),​​ Pedagogia e f. nella società della conoscenza, Milano, Angeli, 2005; Margiotta U.,​​ Pensare la f. Strutture esplicative,​​ trame concettuali,​​ modelli di organizzazione, Milano, Mondadori, 2007; Muzi M. (Ed.),​​ Nuovi soggetti della f. e strategie della differenza, Milano, Unicopli, 2007.​​ 

C. Nanni




FORMAZIONE DEGLI INSEGNANTI

 

FORMAZIONE​​ DEGLI INSEGNANTI

Il termine f.d.i. si usa prevalentemente come sinonimo di​​ preparazione all’insegnamento​​ – nel senso di «f. di base»​​ (basic training) –,​​ ma progressivamente sono entrate nell’uso espressioni come «f. in servizio»​​ (in-service training)​​ e​​ «f.​​ permanente»​​ (continuing education),​​ fino a costituire l’idea di un​​ sistema unitario e coordinato di f.​​ che accompagna il soggetto lungo i cicli distinti della sua biografia professionale, dall’orientamento, alla iniziazione, fino all’esercizio diretto dell’insegnamento ed ai passaggi di carriera in rapporto alla differenziazione funzionale dei compiti all’interno dell’istituzione scolastica.

1.​​ La f. in servizio.​​ Essa ha presentato, in questo dopoguerra, nei Paesi occidentali, due approcci divergenti. Il primo prende il nome dalla strategia principale, «Ricerca & Sviluppo»:​​ lungo una articolata progressione, si succedono le fasi di​​ ideazione,​​ produzione​​ (dai prototipi di laboratorio fino alla prova sul campo) e​​ valutazione,​​ fino all’implementazione​​ ed alla​​ disseminazione,​​ con diffusione a regime. Mentre le operazioni indicate sono affidate a​​ task-forces​​ composte da epistemologi, disciplinaristi e psicologi, cui è affidata la gestione dell’intero circuito, gli insegnanti vengono identificati come destinatari di pacchetti didattici​​ prêt à former.​​ Questo schema di massima ha conosciuto stagioni differenti, ordinabili a seconda dello stile relazionale adottato nei confronti degli insegnanti:​​ a dominanza tecnologica,​​ con l’accento posto sulla riduzione degli aspetti ripetitivi della gestione di aula, mediante​​ teaching machines​​ e​​ software​​ d’istruzione programmata; a dominanza disciplinare, quando la competizione internazionale denunciò i ritardi inaccettabili della scuola rispetto agli avanzamenti della ricerca scientifica ed impose la presenza degli studiosi delle materie da insegnare nella progettazione dei curricoli;​​ a dominanza antropologica,​​ quando gli insuccessi ripetuti delle tattiche precedenti indussero a riconoscere nell’insegnante il nucleo duro della resistenza all’innovazione, suggerendo di sollecitare l’emergenza di​​ leadership​​ interne alla categoria – i cosiddetti​​ agenti di cambiamento​​ ​​ oppure la variante «analisi dei bisogni» in cui il punto d’attacco è l’indagine sui problemi pratici incontrati sul terreno (comunque mirate a far apprezzare le potenzialità risolutive dei materiali predisposti dagli esperti). Il secondo filone prende le mosse dalle esperienze di​​ ​​ Lewin e punta dichiaratamente sulla​​ centralità del soggetto-insegnante​​ e sul​​ contesto sociale,​​ culturale e tecnico della sua azione professionale,​​ visto come «campo di forze» da far evolvere costruttivamente verso il​​ ​​ problem posing​​ ed il​​ problem solving.​​ In questo orientamento, la strategia principale è designata come «Ricerca-Azione»,​​ che si caratterizza per la prossimità alla sede del cambiamento atteso, l’interazione tra fasi esplorative e fasi operative nel quadro di una collaborazione intensiva fra ricercatori ed insegnanti. Le varianti hanno potuto riguardare una diversa combinatoria dei momenti di conoscenza e di intervento, che solo eccezionalmente sono riuscite ad evitare il «modello del deficit», con l’operatore confermato nel ruolo di tributario, ma anche con il ricercatore emarginato nel ruolo di semplice animatore se non con una funzione riduttivamente strumentale (Barbier). Recentemente, nel tentativo di superare gli equivoci della Ricerca-Azione, si è sviluppato il movimento degli «insegnanti-ricercatori» (Novoa). In tutti questi casi, la​​ «f.»​​ si presenta come una terza componente​​ della coppia «ricerca» e «azione», vista come comunicazione «a-due-vie», in grado di sensibilizzare i due soggetti alle istanze – diverse ma convergenti, del rigore e dell’efficacia – di cui il partner è portatore. Nel caso italiano, in particolare, dove la f. in servizio è denominata con la formula più riduttiva di «aggiornamento» (da «aggiornare», riportare alla luce o attualizzare competenze già note), il centralismo del sistema scolastico ha comportato un monopolio pressoché esclusivo da parte dell’amministrazione nelle attività di f. in servizio (Carli et al.). L’esperienza decentrata degli​​ Istituti Regionali per la Ricerca,​​ Sperimentazione e Aggiornamento Educativi​​ (IRRSAE), poi trasformati in IRRE (Istituti Regionali per la Ricerca Educativa), hanno confermato, nei loro esiti, potenzialità non del tutto espresse e limiti noti dei modelli internazionali (Teacher’s Centre) cui si erano ispirati.

2. La f. iniziale.​​ Per rappresentare in termini essenziali l’ampiezza e la profondità del dibattito ci concentreremo sulle proposte di f. iniziale di livello accademico (o equipollenti), articolando l’esposizione in base a quelli che possono essere considerati gli elementi costitutivi dell’insegnamento: a)​​ la materia da insegnare;​​ b)​​ la conoscenza dell’alunno;​​ c)​​ l’azione di insegnare.​​ Difatti, si può affermare che la f. iniziale si definisce sia attraverso la sequenza che li dispone – in progressione – lungo il corso degli studi universitari (modello consecutivo), oppure la varia combinatoria mediante la quale li alterna fin dall’inizio del curricolo formativo (modello integrato). È appena il caso di ricordare che il «modello consecutivo» è il più diffuso e insieme il più criticato, mentre il «modello integrato» è quello che promette la migliore professionalizzazione, ma non riesce ad affermarsi a ragione delle resistenze – culturali e pratiche – che gli si oppongono. Le maggiori difficoltà di concezione e di realizzazione riguardano le funzioni distinte e connesse del Laboratorio e del Tirocinio, le due strutture formative in grado di correggere e superare il «modello consecutivo». Il Laboratorio è un dispositivo che si è definito nelle sue peculiarità in relazione al Tirocinio ed alla sua evoluzione. Negli USA il Tirocinio si era venuto affermando – in un contesto di libero mercato formativo – come una modalità di professionalizzazione alternativa rispetto a quella universitaria. All’inizio si trattò – in una congiuntura (anni ’80) di penuria d’insegnanti – come un tipo di reclutamento e inquadramento che si realizzava mediante l’offerta alle scuole di un «mentore»​​ o di uno staff di formatori (per 5-6 corsi), ma ben presto si affermò come via preferenziale capace di migliorare la qualità della f., scavalcando le istituzioni universitarie, sulla base di un giudizio severo sulla professionalizzazione accademica. Un’evoluzione analoga, per molti versi esemplare, ha avuto la f. iniziale degli insegnanti in un Paese pioniere al riguardo come l’Inghilterra (Bourdoncle). In Canada era stata addirittura una università (Ottawa) ad ideare – sulla base dei medesimi presupposti critici – una f.d.i. (del grado primario) già sperimentata nella f. di altre professioni:​​ f. sul terreno,​​ collaborazione degli insegnanti in servizio,​​ concertazione intensiva con le scuole. Del resto, la valutazione negativa della professionalizzazione universitaria era condivisa dai famosi Rapporti degli anni ’80, elaborati in ambienti sensibili alla competizione economica globale (Carnegie Task Force,​​ Holmes Group), poco teneri verso la «corporazione» dei formatori accademici ma molto decisi circa l’opportunità di fare della f.d.i. il problema centrale dell’intero sistema universitario; fino all’ipotesi di creare un​​ Centro di Pedagogia​​ presso i campus universitari per coordinare la molteplicità delle strutture esistenti (Goodlad). Questa strategia prevedeva inoltre di offrire un modello professionale di insegnante capace di accentuare la dimensione pratica, promuovendo una collaborazione stretta con gli insegnanti sul campo (con scuole e insegnanti associati, scuole-laboratorio...) e incrementando in numero e misura – nei programmi di f. iniziale – il Tirocinio. È in questo contesto che comincia ad emergere, in Nord-America, il Laboratorio nella sua specificità rispetto al Tirocinio. Nel corso degli anni ’70, infatti, l’insuccesso dell’approccio alla f.d.i. in termini di competenze attese – mediante griglie​​ jobs-skills’ ispirate al comportamentismo – aveva generato una serie d’inventari perlomeno disorientanti, ma anche rischi sempre più evidenti di omologazione dei comportamenti (quando non, ambiguamente, del controllo sulle pratiche professionali degli insegnanti che contraddicevano le istanze per uno statuto autonomistico della professione docente). Ma, quel che più conta, in quella stessa prospettiva di incremento delle abilità tecniche, i cambiamenti apparivano (a dir poco) modesti. La diffusa insoddisfazione per questi risultati cominciò, fin dai primi anni ’80, ad affermare un riorientamento del paradigma «applicazionista» e a far emergere un approccio «umanistico» alla professione, insieme ad una preoccupazione per la portata morale dell’insegnamento (Goodlad, Soder, Sirotnik). Quando, a partire da una tesi deweyana (1904), ripresa e sviluppata da Argyris e Schoen, si venne affermando il modello dell’insegnante «professionista riflessivo» che avrebbe trovato una eccezionale varietà di svolgimenti, non soltanto negli States, si mise in evidenza la centralità del Laboratorio, come cerniera capace di saldare i tempi della preparazione «formale» e della preparazione «pratica» attraverso l’analisi, la progettazione e la riflessione sull’insegnamento-azione. La identificazione del Laboratorio come spazio protetto fra Università e Scuola, ottenne di generare l’idea di un sistema formativo coordinato fra Corsi accademici, Laboratori e Tirocinio, superando i limiti della linearità e della giustapposizione, per assumere i caratteri dell’alternanza. Quale che sia il ritmo temporale – la sequenza di segmenti alterni (Corsi-Laboratorio-Tirocinio) o addirittura il rovesciamento della sequenza tradizionale (Tirocinio-Laboratorio-Corsi) – il Laboratorio risulta collocato con una palese funzione d’interfaccia fra teoria e pratica. Questa costante delle differenti modalità di esecuzione comporta comunque due opzioni metodologiche «regolari»: (a)​​ non si dà Tirocinio senza Laboratorio, a titolo di progettazione e di riflessione («decontestualizzazione» dell’esperienza); (b)​​ non si dà Laboratorio senza riferimenti al Tirocinio e ai Corsi​​ («contestualizzazione» della teoria).

3.​​ Un problema aperto: il nesso teoria-pratica.​​ Non è difficile riconoscere come il dibattito pedagogico sulla f.d.i. ed i conseguenti approcci e modelli relativi alla f. in servizio ed alla f. iniziale si siano dovuti misurare con il tema del rapporto fra teoria e pratica, il vero nodo da sciogliere. Non pare che ci siano, nelle scienze dell’educazione, altri argomenti che abbiano fatto colare tanto inchiostro: ma la letteratura di ricerca – non di retorica – è decisamente scarsa (v. gli​​ Handbooks​​ dedicati, quello curato da Houston nel 1990 e da Sikula, Buttery and Guyton nel 1997, dall’Associazione dei formatori degli insegnanti, statunitense ma con un’estensione geoculturale mondiale, Cina e Giappone compresi), le diagnosi non mancano, ma quelle che latitano sono le proposte. Non c’è da sorprendersi, però: la ragione risiede nel fatto che la f. è il punto critico dove si condensa tutta la problematica della ricerca sull’​​ ​​ insegnante, ancora oggi l’oggetto inesausto della ricerca educativa.​​ 

Bibliografia

Argyris C. - D. A. Schoen,​​ Theory in practice: Increasing professional effectiveness, San Francisco, Jossey-Bass, 1974; Carli R. et al.,​​ L’aggiornamento degli insegnanti: una proposta di intervento psicosociale,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1980; Lanier J. E. - J. W. Little, «Research on teacher education», in M. C. Wittrock (Ed.),​​ Handbook of research on teaching, 3, Macmillan, New York, 1986, 527-569; Scurati C.,​​ Una nazione s’interroga, in «Pedagogia e Vita» (l986) 6, 565-578; Goodlad J. I., «School-University partnership for educational renewal», in J. I. Goodlad - K. A. Sirotnik,​​ School-University partnership in action: concepts,​​ cases and concern, New York, Teachers College Press, 1988, 3-31; Houston W. R. - M. Haberman - J. Sikula (Edd.),​​ Handbook of research on teacher education, New York, Macmillan, 1990;​​ Bourdoncle R.,​​ L’évolution des sciences de l’éducation dans la formation initiale des enseignants en Angleterre, in «Revue des Sciences de l’Education» (l993) 1, 133-152;​​ McBride R. (Ed.),​​ Teacher education policy, London, The Falmer Press, l996; Sikula J. - T. Buttery - E. Guyton (Edd.),​​ Handbook of research on teacher education, New York, MacMillan, 1997;​​ Il tirocinio nella f. iniziale degli insegnanti.​​ Esperienze straniere, in G. Dalle Fratte,​​ La scuola e l’università nella f. primaria degli insegnanti. Il tirocinio e il laboratorio, Milano, Angeli, l998, 137-145;​​ Luzzatto G.,​​ Insegnare ad insegnare, Roma, Carocci, 1999; Damiano E.,​​ L’insegnante. Identificazione di una professione, Brescia, La Scuola, 2004.​​ 

E. Damiano




FORMAZIONE DEI FORMATORI

 

FORMAZIONE DEI FORMATORI

1.​​ F.d.f.: una moda o una grande opportunità?​​ Da circa un quarantennio, intorno agli anni ’60 del sec. scorso, siamo entrati in un periodo di trasformazione radicale della nostra civiltà. La rivoluzione industriale aveva inaugurato l’era del cambiamento e, si può dire, intorno a questa data, si era ormai pronti ad adattarsi ad esso. Tuttavia questo quarantennio ci ha introdotti nella fase di un cambiamento accelerato, a cui è difficile stare al passo. Un cambiamento spartiacque che, proprio intorno agli anni ’60, ha dovuto prendere atto che ogni sistema organizzativo, da quelli più semplici a quelli più complessi, non può più configurarsi come un modello chiuso (centrato quasi esclusivamente sulle caratteristiche interne dell’organizzazione) ma deve cedere il sopravvento al modello aperto, centrato sull’importanza dei rapporti con l’ambiente e con la società. Uno spartiacque analogo è stato segnato per la chiesa e per le chiese dal Concilio Vaticano II; esso ha davvero aperto porte e finestre ed ha permesso che entrasse aria nuova fra le comunità cristiane ed ha inaugurato un vero cambio di paradigma per ogni realtà personale ed istituzionale della vita cristiana. Tutto questo ha portato alla necessità di una ridefinizione della natura e del significato di una persona educata e formata. La definizione tradizionale a sistema chiuso esaltava il valore preminente della conoscenza e l’educazione come una trasmissione di contenuti cognitivi, per cui la persona formata era la persona istruita. Invece oggi il bisogno di formare è mutato: non è più visto come una mancanza da colmare ma come una richiesta di risposte per il proprio ed altrui benessere e funzionalità, per evitare l’obsolescenza, che pone continuamente davanti lo scacco matto di venire estromessi dal gioco del cammino della storia. È interessante notare che, contemporaneamente con lo spartiacque fra i sistemi chiusi e sistemi aperti, proprio intorno agli anni ’60 si è configurata ed è stata lanciata l’educazione degli adulti, in quello che si potrebbe definire il manifesto di Montreal (1960) dal titolo:​​ L’educazione degli adulti in un mondo in trasformazione; educazione non come un servizio di recupero ma come un diritto del riconoscimento e del valore della persona, che deve possedere i mezzi per esprimersi adeguatamente lungo l’intero arco della sua esistenza. Spinte sociali ed esigenze personali hanno mosso, almeno teoricamente, gli intenti a promuovere una politica culturale ed educativa intesa a costruire una società a «immagine della educazione permanente», come sentenziava il Consiglio di Europa nel 1973. Tutto ciò aiutava ad affrontare lo​​ choc​​ culturale del cambio epocale, imparando a riconciliarsi col proprio tempo; a pensare in modo complesso in una continua ricerca in mezzo al dispiegarsi del nuovo; ad apprendere ed affrontare il cambiamento; a riappropriarsi della propria soggettività, costruendo delle relazioni significative con gli altri, conciliando le esigenze di apprendimento dei singoli con quelle di sviluppo della comunità di cui si è parte. Anche la Chiesa si è mossa dopo il Concilio con queste preoccupazioni ed intenzioni. Ne sono testimoni due testi importanti: la​​ Ratio Institutionis Sacerdotalis​​ del 1970 e la​​ Pastores dabo vobis​​ del 1992. In esse viene sottolineata particolarmente la f. integrale umana e cristiana dei candidati. A questo scopo si insiste su una particolare preparazione dei formatori e sulla f. permanente, che, in questo ultimo decennio, viene assunta a paradigma di tutta la f. Di qui si sono moltiplicate con una fecondità impressionante scuole di f., di aggiornamento e di riqualificazione sia nel campo aziendale dell’impegno lavorativo, sia nell’ambito delle professionalità e dei servizi sociali, sia nel campo strettamente educativo e formativo. Per servire questa utenza e questa abbondante domanda si sono parallelamente moltiplicate scuole e corsi per formatori a tutti i livelli, che, oltre una preparazione base professionale e di ruolo, curano abilitazioni specifiche per compiti di f. specializzata in settori e strutture particolari. Anche per quanto riguarda la f.d.f. dei Seminari e degli Istituti religiosi abbiamo avuto in questi 40 anni un progressivo aumento di domanda e di numero di corsi e scuole istituite precisamente allo scopo. Ora, a distanza di 40 anni, è opportuno fare un primo doveroso bilancio: che cosa viene veramente formato nelle persone e come viene gestita questa f.d.f.? La f. umana è un’arte antica quanto il mondo ma, forse, mai come oggi, è messa in discussione dall’aggressivo predominio della tecnica. In linea con questa tendenza culturale, stuoli di educatori, formatori e pedagogisti si sono rivolti alle varie tecnologie dell’istruzione «cosificando» l’educazione e la f., col rischio concreto di banalizzare la persona. E ciò con la scusa che la f. cambia perché cambiano le metodologie, la tecnologia dell’apprendimento, l’imporsi di tecniche e linguaggi nuovi e con la convinzione che un ruolo, per essere ben giocato, deve fare affidamento su risorse professionali di formatori con una loro ampia risorsa «tecnica» di strumenti di intervento. La verità elementare, risultata valida sempre, è che solo un uomo forma un altro uomo, accompagnandolo lungo sentieri che contemplano la progressiva acquisizione dell’autonomia e, nello stesso tempo, l’assunzione della responsabilità verso di sé, gli altri ed il creato. Per fare una buona f. occorre, coltivare, come dono prezioso, la simpatia di tutto ciò che è autenticamente umano e dare una forma profonda ed armoniosa allo sviluppo umano. Occorre dunque passare da una f. centrata sui prodotti (un tempo il bagaglio di istruzione, oggi il bagaglio delle tecniche), ad una f. centrata sui processi di generatività della persona tra il suo passato ed il suo futuro, perché possa alfine diventare pienamente se stessa. Occorre costituire un processo continuo di f. dell’intero essere umano, per imparare ad imparare per tutta la vita: imparare a vivere insieme; imparare a conoscere; imparare a fare; imparare ad essere.​​ 

2.​​ Nuovi scultori di uomini.​​ Occorre dunque una nuova linea ed un nuovo stile di f., che deve partire proprio ed innanzi tutto dai​​ leaders​​ formatori (promotori, gestori, docenti, animatori dei numerosi corsi e scuole per formatori), visto il ruolo che tali scuole stanno esercitando sull’educazione a tutti i livelli. Non è qui il caso di specificare un curricolo di f.d.f. nei dettagli. La cosa più conveniente è invece offrire le grandi linee portanti che devono stare alla base e nella​​ mens​​ di una vera f.d.f., al fine di sbloccare gli inceppamenti della nostra società ed assicurare che lo sviluppo della dimensione della coscienza raggiunga quella del potere tecnico dominante. La f. attuale manca per lo più dello spirito di sintesi e le conseguenze sono una rilevante debolezza, che si manifesta particolarmente nel rifiuto dello sforzo e dell’impegno e nella durezza del cuore. L’avventura umana avrà ristabilito il suo equilibrio e potrà progredire al massimo, in tutti i sensi, se farà camminare insieme la crescita delle conoscenze, quella dell’azione e quella della coscienza o della vita interiore. Sapersi inserire e posizionare nella realtà con il senso della misura, della proporzionalità, senza cui non è possibile esprimere un giudizio e formulare un discernimento. Tutto questo va ben oltre uno scopo immediato, che troppo sovente occupa la mente ed il cuore anche dei formatori contemporanei.​​ 

3.​​ Qualche direzione di cammino.​​ Riflettere e capire; progettare e costruire. Ma in quali direzioni? Ne proponiamo tre, che sembrano fondamentali ed urgenti, nella linea dei nuovi scultori di uomini, attraverso 3 specie di arricchimenti, fondamentali per la f.d.f.:

3.1.​​ Arricchimento della conoscenza.​​ Dal momento che ogni insegnamento si trova sempre all’incrocio dell’azione e della riflessione e ogni azione è tanto più efficace quanto più è stata lungamente meditata, occorre favorire la pluralità dei punti di vista e formare dei formatori che sappiano agire come uomini di pensiero e sappiano pensare come uomini di azione fra una continua polarità dialettica degli elementi nella ricerca di una sintesi sapienziale, con una buona immaginazione creativa, sempre protesi in avanti, scrutando il movimento della costellazione del futuro. Per la f. dei sacerdoti e dei consacrati questa visuale aperta e protesa in avanti diventa oltremodo importante.

3.2.​​ Arricchimento dell’azione.​​ Fra attivismo e relativismo si celebra oggi la sconfitta del mito di Prometeo, il simbolo di un’umanità che si fa da se stessa nell’illusione di un progresso illimitato. Il predominio del narcisismo della persona rinchiusa nel presente ed isolata in se stessa è la domanda angosciosa di redimere un’azione senza prospettive. C’è bisogno di ridare vita all’azione attraverso la riscoperta della reciprocità vicendevole. La relazione infatti è il fondamento di ogni crescita. Formare alla reciprocità diventa allora una preziosissima carta da giocare per il futuro. Certo, una f. di questo genere dona ai formatori una più grande apertura di spirito, porta a sentirsi responsabili degli altri, a combinare insieme sforzo di donazione e motivazioni di amore con equilibrio, serenità e grande possibilità di adattamento. La f.d.f. di consacrati e di sacerdoti gioca nella fondazione di un nuovo stile di relazionalità​​ ad intra​​ e​​ ad extra​​ delle strutture ecclesiali una delle carte più necessarie del suo futuro.

3.3.​​ Arricchimento della vita interiore.​​ Il senso della spiritualità è in definitiva l’energia nascosta di ogni educazione profonda e di ogni cultura ed oggi manca un insegnamento spirituale, che tenga a freno il potere scientifico dell’uomo. È il mondo delle aspirazioni intime, della coscienza, del senso del sacro, della relazione con l’Infinito. Tutto ciò si esprimerà nella f. del carattere, nella sensibilità all’estetica, nell’incoraggiamento alla pratica della creatività, nell’iniziazione ad una sana relazione con sé, con gli altri, con l’Altro, nel senso del sacro e delle forze spirituali. Per i formatori della vita consacrata e sacerdotale tutto questo confluirà nella persona del Cristo come​​ alfa​​ e​​ omega​​ di ogni realtà, punto di partenza e di arrivo del senso della vocazione e della f. a questi particolari stati di vita, baricentro equilibratore e sintesi vitale di biologia, psicologia e grazia della persona; f. dunque alla fede, alla sequela e alla testimonianza.

Bibliografia

Alessandrini G.,​​ Manuale per l’esperto dei processi formativi, Roma, Carocci, 1998;​​ Basile J.,​​ Des nouveaux sculpteurs d’hommes. Un enseignement pour débloquer notre société, Bruxelles, La Renaissance du Livre, 1977; Tacconi G.,​​ Alla ricerca di nuove identità, Leumann (TO), Elle Di Ci, 2001; Delors J. (Ed.),​​ Nell’educazione un tesoro, Roma, Armando,​​ 62003; Meloni E.,​​ Accompagnare la f. Il sé,​​ gli altri,​​ l’Altro, Bologna, EDB, 2005.

G. Roggia




FORMAZIONE PROFESSIONALE

 

FORMAZIONE PROFESSIONALE

Con una certa approssimazione per f.p. si potrebbe intendere un processo attraverso il quale delle persone possono acquisire, aggiornare o anche solo migliorare le proprie conoscenze e capacità in vista di un esercizio più produttivo e responsabile di un’attività professionale.

1.​​ Il​​ termine e i suoi significati.​​ Il significato di f.p. si presenta con sfumature diverse. In alcuni ambienti è sinonimo di intervento formativo rivolto a giovani per avviarli velocemente al lavoro, un​​ ​​ addestramento breve per un inserimento rapido nel mondo produttivo. In altri, invece, acquista un significato più ricco legato all’acquisizione di conoscenze e competenze finalizzate ad una professione indipendentemente dall’età degli allievi. Si parla anche di​​ prima f.p.,​​ intendendo con tale denominazione tutti quegli interventi rivolti normalmente a giovani che per la prima volta affrontano il problema di una preparazione sistematica al mondo del lavoro, e di una​​ seconda​​ e​​ terza f.p.​​ se l’intervento viene rivolto a persone che hanno già acquisito un qualche tipo di professionalità o attraverso una preparazione precedente o anche solo con una f. sul lavoro. In quest’ottica la f.p. viene considerata come un momento intensivo di approfondimento e di sviluppo sia professionale che umano, in una visione di f. permanente; un momento di preparazione ad un​​ ruolo professionale.​​ Attualmente si fa sempre più strada un concetto di f.p. più attento alla situazione concreta di un mondo in rapida evoluzione tecnologica, dove è necessario rispondere alle esigenze formative di una società in continuo cambiamento e progettare quindi una f.p. flessibile, facilmente modificabile, che entri in una realtà dinamica. La f.p. si presenta come un insieme di azioni finalizzate alla preparazione di giovani e adulti ad un’attività lavorativa dipendente o indipendente sia per un inserimento nel mondo produttivo in generale, sia per assumere un compito specifico in un settore ben definito di esso. Richiede un processo attraverso il quale le persone, generalmente dopo una preparazione di base, possono acquisire o anche solo migliorare conoscenze e capacità per l’esercizio di un’attività professionale adeguata ai mutamenti della situazione socioeconomica in continuo cambiamento.

2.​​ F.p. e concezione del lavoro.​​ Il significato di f.p. dipende molto dalla visione globale della società nel suo insieme ed in particolare dalla visione che si ha circa l’articolazione del mondo del lavoro. Si può sentire parlare di f.p. come di un momento in cui progettare e gestire interventi mirati alla riqualificazione del personale, all’acquisizione di capacità manageriali nelle aziende, allo sviluppo delle motivazioni; ma si parla di f.p. anche come di una modalità di addestramento utilizzata nella preparazione del personale per i reparti produttivi delle aziende assumendo ruoli di tipo esecutivo. Nel definire la f.p. è necessario tenere continuamente presente tutto ciò che riguarda il mondo del lavoro e la sua organizzazione, in quanto, direttamente o indirettamente, esso contribuisce a dare un significato alla f.p. e alla progettazione di interventi formativi ad essa legati. Se si vuole, ad es., preparare delle persone per ruoli esclusivamente esecutivi, capaci di operare in un ambito molto ristretto svolgendo mansioni molto definite e circoscritte con scarsa o nulla autonomia decisionale, allora per f.p. si intenderà un momento molto addestrativo, di breve durata e comunque orientato all’acquisizione di competenze molto specifiche. Non faranno parte di tale momento altri elementi non strettamente necessari per un immediato inserimento nel contesto produttivo ma molto importanti per una crescita professionale e una reale possibilità di riqualificazione nel futuro. Se invece si vuole vedere la f.p. come un momento di maturazione non solo professionale ma anche umana, etico-sociale, politico-sindacale, allora per f.p. si intenderà qualcosa di più articolato e complesso.

3.​​ Evoluzione storica.​​ Per altro la concezione della f.p. dipende anche dall’evoluzione storica della produzione del lavoro. Certamente il significato che diamo oggi al termine f.p. è alquanto diverso da quello dato al tempo dell’impero romano o nel sec. XI e per molti aspetti anche da quello che veniva dato solo qualche decina di anni or sono. È difficile fare dei confronti e dei paragoni, in quanto troppo diversi erano l’ambiente sociale in cui ci si trovava ad operare e i fini che si volevano perseguire. Ci sono certamente elementi di grande interesse e notevoli somiglianze che ci permettono di capire meglio alcune impostazioni attuali, ma non si vede più una grande validità per una forma di f.p. fatta attraverso un apprendistato più o meno diversificato, un addestramento e un apprendimento del​​ mestiere​​ quasi in un’ottica familiare​​ attraverso l’imitazione, l’attenta osservazione e la ripetizione di operazioni singole sino ad acquisirne destrezza ed abilità, come poteva avvenire in modo generalizzato in tempi non lontanissimi. Modalità simili si presentavano già allora con dei limiti particolarmente quando si trattava di costruire attrezzature sofisticate ed era necessario imparare a lavorare i diversi materiali con tecniche nuove, avere conoscenze sul tipo appropriato di utensili necessari alla produzione dei nuovi manufatti. Sono dovuti però passare diversi anni per accorgersi che era sempre più necessario avere una f. sistematica e flessibile per riuscire a soddisfare quanto veniva richiesto dalle nuove professioni emergenti. Il processo che fece concretizzare la necessità di preparare le persone in modo più organico e con una professionalità arricchita anche da una base teorica fu lento e contrastato. È necessario attendere il periodo delle grandi scoperte e della rivoluzione industriale per assistere a cambiamenti consistenti sul modo di fare f.p. Le esigenze delle nascenti industrie obbligarono in qualche modo a ripensare seriamente le modalità di formare il personale per il mondo produttivo sempre più concorrenziale ed esigente. La stessa organizzazione del lavoro si era trasformata rapidamente, passando da un sistema in cui era il lavoro a raggiungere il lavoratore, ad un sistema in cui il lavoratore doveva spostarsi presso le grandi industrie ed ivi lavorare. Di conseguenza anche la f.p. ha dovuto modificarsi notevolmente e preparare il personale per un mondo non più solo artigianale, ma industriale che operava grosse concentrazioni e monopoli. In un primo momento, quando l’industria si organizzò in modo da avere bisogno di​​ pochi tecnici ben preparati​​ capaci di mettere a punto l’intero ciclo produttivo gestendolo nel tempo e di​​ molti operai poco preparati​​ chiamati a svolgere mansioni elementari, nella f.p. si offriva una preparazione molto qualificata per alcune poche persone e una semplice, rapida, relativamente dequalificata per la maggioranza delle altre. In Francia nel 1794 fu fondata un’Accademia di Arti e Mestieri; alla fine del 1700 sorsero diverse «scuole domenicali di arti e mestieri», prima in Germania e poi in altre nazioni, legate nella maggioranza dei casi ad ambienti religiosi. L’Inghilterra, con una serie di interventi legislativi intorno al 1850, istituì scuole diurne e serali per la classe operaia. Gli imprenditori stessi iniziarono corsi di istruzione per i loro dipendenti. Nei secoli XVIII-XIX si ebbero poi tentativi in diversi Paesi, particolarmente in campo cattolico, attraverso l’istituzione di Centri di f.p. strutturati secondo esigenze locali, in particolare nelle periferie delle grandi metropoli. All’inizio del sec. XX il problema venne affrontato in modo più sistematico, con interventi diretti da parte dello Stato e la problematica sulla f.p., si delineò meglio nei primi decenni in particolare nel mondo tedesco, dove si prese a criticare una f.p. troppo legata alla sola acquisizione di capacità manuali e venne suggerito di collegare competenza operativa ad una buona sensibilità civica. Si prospettò una «scuola del lavoro», che avrebbe dovuto comprendere contemporaneamente una f. di base per preparare all’inserimento immediato nel mondo produttivo e una f. più generale maggiormente aperta ai valori. Si volle infine una f.p. che inserisse nei suoi programmi interessi più ampi rispetto a quelli strettamente professionali anche in vista di un completamento della f. in momenti successivi. Nel periodo precedente alla prima guerra mondiale molti governi, spinti anche da necessità belliche, potenziarono notevolmente la preparazione professionale delle persone in modo più o meno strutturato, prendendo normalmente come riferimento, diretto o indiretto, i sistemi scolastici. Dal secondo dopoguerra sino ad oggi l’interesse verso articolazioni innovative e flessibili della f.p. è aumentato anche da parte di organismi nazionali e internazionali. L’attenzione si è spostata molto​​ dal mestiere e dal posto di lavoro,​​ al ruolo e alla persona che dovrà occupare tale posto.

4.​​ Modalità di intervento nella f.p.​​ Le modalità con cui si organizzano gli interventi di f.p., capaci di dare la preparazione richiesta variano da nazione a nazione. Nei Paesi industrializzati si nota comunque una crescente attenzione ad una f.p. orientata verso una globalità di interessi e ad una polivalenza professionale che renda più agevole l’assunzione nel contesto produttivo di un ruolo aperto a sviluppi futuri, facilitando così sia la mobilità orizzontale che quella verticale. Proprio l’esigenza di acquisire anche una certa disponibilità al cambiamento spinge la f.p. verso un’articolazione flessibile e capace di rinnovarsi sistematicamente. A livello mondiale particolarmente significative sono le raccomandazioni di organismi come l’Unesco dove si sottolinea molto l’interesse per il «destinatario» dell’intervento di f.p.: «l’uomo» con una pluralità di interessi che superano la sola acquisizione di capacità specifiche inerenti la professione e dove si evidenzia con forza il carattere evolutivo della f.p. In ambienti a noi più vicini, ad es. in Europa occidentale e particolarmente nella Comunità Europea, si insiste molto sulla necessità di dare alla f.p. un carattere polivalente, globale, attento alle esigenze della persona e ai suoi mondi vitali. Certamente, pur potendo evidenziare ancora molti aspetti problematici, si può affermare che nei Paesi industrializzati è stato fatto un salto di qualità nel modo d’intervenire nella f.p. Se si confrontano anche solo gli anni del secondo dopoguerra con il momento attuale, si constata facilmente che si è avuta una maturazione della società in genere per quanto riguarda il problema formativo, una evoluzione tecnologica molto rapida e uno sviluppo della capacità di confronto globale sul problema del mondo del lavoro tra imprenditori e forze politiche, sociali, sindacali. Tutto ciò ha portato ad una nuova attenzione alla f.p. per cercare di ricucire quello strappo insanabile di un sistema socio-produttivo messo fuori equilibrio dalle nuove tecnologie. Il senso del termine ha perciò una valenza dinamica con sfumature che variano nel tempo pur conservando il significato fondamentale di momento preparatorio al mondo del lavoro.

Bibliografia

Malizia​​ G. et al.,​​ Le parole chiave della f.p.,​​ Roma, CNOS-FAP, 2004;​​ Franchini R.,​​ Per una istruzione e f.p. di eccellenza, Milano, Angeli, 2005;​​ De Vita A.,​​ L’e-learning nella f.p. Strategie,​​ modelli e metodi,​​ Trento, Erickson, 2007;​​ Prellezo J. M.,​​ Le scuole professionali salesiane (1880-1922), in J. G. González et. al.,​​ L’educazione salesiana dal 1880 al 1922, vol. 1, Roma, LAS, 2007, 53-94;​​ Negri M. P. -​​ M. Castoldi (Edd.),​​ Professionalità e f. Empowerment per le scuole,​​ Milano, Angeli, 2007.​​ 

N. Zanni




FORMAZIONE VOCAZIONALE

 

FORMAZIONE VOCAZIONALE

Il termine può indicare due modi di sviluppo personale, uno più generale e uno più specifico (e con caratteristiche particolari in ambito cristiano).

1.​​ In generale.​​ In rapporto a persone adulte il termine f.v. indica il processo attraverso il quale la​​ ​​ persona si impegna liberamente nell’organizzare e unificare la sua vita, dentro le sue possibilità e in interazione con la comunità umana, in funzione di una vita di valore anche mediante una​​ ​​ professionalità conseguente (come è soprattutto in ambito anglofono dove​​ vocational​​ è riferito al tipo di carriera professionale a cui si aspira e a cui ci si prepara con la formazione professionale). In rapporto a persone in età evolutiva la f. aiuta il soggetto ad entrare nella vita adulta secondo un itinerario che le permette di affrontare il problema della propria​​ ​​ identità personale e del suo integrale sviluppo in relazione con gli altri e con la società. Lungo questo percorso la persona in crescita acquista la capacità di autodefinirsi, di affrontare il senso della propria unicità personale, di apprezzare la propria persona, d’impegnarsi spinta dai valori, di prendere posto nel proprio ambiente, d’integrare la forza vitale dell’amore, di riconoscersi nella propria singolarità e di perseverare nel proprio impegno. L’attività di​​ ​​ orientamento trova qui una sua significativa funzione. Allo stesso modo la presenza di un formatore è di primaria importanza. Con l’esempio ispiratore della sua vita, le conoscenze professionali e il valore delle realizzazioni, questi può aiutare il giovane a riflettere e ad approfondire, con libertà interiore, le opzioni, che lo conducono a discernere il proprio progetto di vita. Queste tuttavia dovranno essere assunte nel progetto formativo in maniera tale che il formando possa incorporare nel suo campo di responsabilità la visione integrale della persona. La f.v. è ben riuscita, stabile e positiva, solo quando la persona giunge ad armonizzare e integrare i vari aspetti della sua personalità con il senso della propria esistenza. La f. non è mai solo quello che si riceve, ma ciò al cui contatto si cresce reagendo personalmente, con responsabilità e intelligenza.

2.​​ Identità personale e vocazione cristiana.​​ In questo senso specifico (e cristiano in particolare) f.v. sta a significare un processo risultante dalla relazione tra le forze vitali della propria persona (l’io attuale,​​ ossia ciò che specifica la persona nel suo essere e nel suo agire abituale) e il rapporto, assolutamente originale e fondante, con la chiamata di Dio a collaborare allo sviluppo organico della comunità ecclesiale con differenti funzioni, ministeri, carismi (l’io ideale,​​ ossia ciò che l’uomo è chiamato ad essere con il suo progetto di vita). La f.v., a livello cristiano, si colloca, perciò, nel contesto della vocazione e missione della​​ ​​ Chiesa. Essa è un processo verso una nuova configurazione e rappresentazione di sé, attraverso cui le inclinazioni e le doti naturali della persona, sollecitate dalla chiamata di Dio e con l’aiuto del formatore e del sistema di f., giungono a maturazione per lo svolgimento di una missione.

3. Elementi educativi processuali.​​ La f.v. è un processo di promozione dello sviluppo integrale di: 1)​​ tutto l’​​ ​​ uomo con tutte le risorse personali​​ liberamente donato a Dio, coinvolto con la propria storia (l’ambiente, la cultura e la mediazione di figure e di strutture di sostegno come la famiglia, la scuola, la comunità sociale ed ecclesiale), in una peculiarità differente di funzioni, ministeri e carismi; 2)​​ in continua consolidazione​​ della carica ideale del progetto di vita, mai del tutto pienamente posseduto e attuato; 3)​​ in cammino progressivo di consolidamento della propria identità vocazionale.​​ Per giungere a scoprirla e realizzarla, «il formando» s’impegna liberamente in un processo in cui si rende cosciente dei propri valori di fondo e dell’orizzonte lungo il quale dove portare avanti la ricerca; si dimostra capace di integrare i differenti aspetti della propria personalità in funzione della natura del progetto vocazionale; acquista sufficiente autonomia psichica per prendere decisioni stabili in accordo al senso che ha dato alla propria vita e al progetto da costruire; 4)​​ in un impegno personale​​ di disponibilità incondizionata e di abbandono illimitato della propria esistenza a Qualcuno o a qualcosa di significativo. Nella nostra visuale è essenzialmente Cristo, a cui consegnare incondizionatamente la propria vita, perché ne disponga come vuole; 5)​​ coadiuvato da una guida​​ che conosce le potenzialità e i limiti della persona e presta il suo aiuto temporaneo, perché questa possa discernere in sé l’azione di Dio e prendere una decisione vocazionale con tutta libertà e responsabilità.

Bibliografia

Szentmartoni M,​​ Identità personale. Un concetto ambiguo,​​ in «Orientamenti Pedagogici» 35 (1988) 440-448; Cencini A. - A. Manenti,​​ Psicologia e f. Strutture e dinamismi,​​ Bologna, Dehoniane, 1992; Alday J. M.,​​ La f. alla vita consacrata nel magistero della Chiesa. Dal Concilio Vaticano II ad oggi,​​ Roma, Rogate, 1993; Cencini A.,​​ I sentimenti del Figlio. Il cammino formativo nella vita consacrata, Bologna, EDB, 1998; Imoda F.,​​ Sviluppo umano,​​ psicologia e mistero, Ibid., 2005.

V. Gambino




FÖRSTER Friedrich Wilhelm

 

FÖRSTER Friedrich Wilhelm

n. a Berlino nel 1869 - m. a Zurigo nel 1966, educatore, pedagogista e moralista tedesco.

1. Suo padre, Wilhelm, era astronomo e professore universitario. Dopo il ginnasio, F. studia economia e filosofia, laureandosi con una tesi su​​ Lo sviluppo dell’etica kantiana​​ (1893). Prende parte alla​​ Società per la cultura etica,​​ divenendo direttore del periodico «Ethische Kultur» (1895-1904). Condannato «per lesa maestà», a causa delle critiche rivolte a Guglielmo II, va in esilio a Zurigo (1897), nella cui università diviene libero docente. Giunto alla convinzione della debolezza di una morale fondata unicamente sulla ragione, F. lascia la​​ Ligue Morale Internationale,​​ aderendo al cristianesimo. All’interesse per la morale si associa una sempre maggiore attenzione all’educazione. Tra gli scritti più noti:​​ Jugendlehre​​ (1904),​​ Lebenskunde​​ (1905),​​ Schule und Charakter​​ (1907),​​ Autorität und Selbsterziehung​​ (1917),​​ Religion und Charakterbildung​​ (1925),​​ Alte und Neue Erziehung​​ (1935),​​ Politische Ethik und Politische Pädagogik​​ (1953). Rientrato in patria, nel 1913, deve andare di nuovo in esilio a causa della sua opposizione al nazismo. Soggiorna in Svizzera, Francia e negli USA.

2. F. ha affrontato con realismo, in prospettiva cristiana, importanti questioni pedagogiche, ancora attuali: educazione in comune dei sessi, pedagogia sessuale, la scuola e l’alcolismo, i suicidi degli scolari, psicanalisi e pedagogia morale, educazione femminile. Considerando la pedagogia «non solo come scienza dell’educazione dei fanciulli, ma come scienza ausiliare di tutte le professioni dell’uomo», F. allarga le sue riflessioni al movimento operaio, alla vita politica, all’umanizzazione dell’economia, convinto che, senza una vera educazione morale, il progresso e il potere sulle forze della natura rischiano di essere utilizzati per «il più tremendo annientamento della vita umana». Attraverso numerosi scritti, editi più volte e tradotti in molte lingue, F. ha esercitato un forte influsso sugli educatori cristiani.

Bibliografia

F.W.F.,​​ Scuola e carattere. Problemi pedagogico-morali della vita scolastica; a cura di A. Agazzi, Brescia, La Scuola, 1970; Modugno G.,​​ F.W.F. e la crisi dell’anima contemporanea,​​ Bari, Laterza, 1946; Laeng M.,​​ F.W.F.,​​ Brescia, La Scuola, 1970; Id., «F.F.W», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica, vol. II, Ibid., 1989, 4990-4991.

J. M. Prellezo




FORZE SOCIALI

 

FORZE SOCIALI

Sono considerate f.s. tutti quei soggetti che hanno potere sociale e politico all’interno dei sistemi sociali, così da influenzarne i comportamenti e gli orientamenti collettivi.

1. Oltre alle f.s. tipiche della struttura sociale, come le istituzioni classiche e le agenzie di socializzazione tradizionali (​​ famiglia, scuola e Chiesa) oggi stanno emergendo con una loro precisa identità le diverse organizzazioni del sistema politico come i partiti, le assemblee politiche, le varie formazioni corporative e i numerosi movimenti sindacali. Ma anche il​​ sistema di produzione economica​​ sta costituendo e organizzando le proprie f. produttive (gli imprenditori) in ordine ad una maggior efficienza delle sue strategie e della stessa politica economica. Ciò si realizza attraverso i vari soggetti emergenti, nuove f.s., come le aziende contadine e artigiane, le organizzazioni di cooperative, le piccole e medie imprese di tipo industriale, le multinazionali, le borse e la rete amplissima delle banche.

2. Due fenomeni in particolare stanno influenzando la strutturazione delle f.s. con effetti notevoli sulla vita politica, economica e culturale dei vari Paesi. Innanzitutto il processo della​​ differenziazione e specializzazione sociale​​ proprio delle società complesse che, stimolando alla visibilità ed al protagonismo, ha incentivato il sorgere e l’affermarsi di una pluralità di​​ movimenti sociali​​ in tutti i settori della vita pubblica. In secondo luogo il processo della​​ globalizzazione​​ che, reso possibile dai progressi della tecnologia e della comunicazione, sta creando un sistema di interdipendenza a livello mondiale tra le varie società nel quale si affermano f.s. di carattere​​ sovra- o transnazionale​​ quali le varie​​ ​​ Organizzazioni Internazionali identificate da una miriade di sigle che costituiscono il panorama variegato dell’attuale «sistema-mondo».

Bibliografia

Scidà G.,​​ Globalizzazione e culture,​​ Milano, Jaca Book, 1991; Giddens A.,​​ Le conseguenze della modernità,​​ Bologna, Il Mulino, 1994; Gallino L. et al.,​​ Manuale di sociologia,​​ Torino, UTET, 1997; Biorcio R.,​​ Sociologia politica. Partiti,​​ movimenti sociali e partecipazione, Bologna, Il Mulino, 2003; Vasapollo E.,​​ Competizione globale. Imperialismi e movimenti di resistenza, Milano, Jaca Book, 2004; Martinelli A.,​​ La democrazia globale. Mercati,​​ movimenti,​​ governi, Milano, Bocconi, 2004; De Nardis F.,​​ Cittadini globali. Origine e identità dei nuovi movimenti, Roma, Carocci, 2005.

R. Mion