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FILANTROPISMO / FILANTROPINISMO

 

FILANTROPISMO /​​ FILANTROPINISMO

Movimento educativo dell’illuminismo tedesco, legato – soprattutto per le implicazioni scolastiche – alla figura ed all’opera di J. B. Basedow (1724-1790). Laicità ed utilitarismo caratterizzarono il f., nel quale è evidente il richiamo a​​ ​​ Comenio e​​ ​​ Rousseau per il naturalismo e al La Chalotais per l’organizzazione scolastica.

1.​​ La figura e l’opera di J. B. Basedow.​​ Basedow, precettore del figlio del consigliere von Qualen di Borghorst, dal 1749, sperimenta, per un triennio, con l’allievo la validità di un metodo educativo oggetto di una dissertazione,​​ Inusitata et optima honestioris iuventutis erudiendae methodus​​ (1752), in cui è evidente l’influsso dell’Orbis pictus​​ comeniano. Vi si afferma l’importanza dell’istruire giocando, del valore della conversazione, della necessità di una solida preparazione dell’insegnante. Fallita la carriera accademica anche per certi atteggiamenti eterodossi, lascia l’interesse per la filosofia e la teologia, e torna al problema educativo-scolastico. Nel 1768 pubblica le​​ Relazioni ai filantropi ed ai benestanti circa le scuole,​​ gli studi e la loro influenza sul benessere pubblico,​​ opera di enorme successo. Qui e in lavori successivi si ispira, per la vagheggiata riforma scolastica, alle tesi del La Chalotais. Basedow tratteggia un sistema scolastico diretto da un Consiglio Supremo di controllo della Pubblica Istruzione, responsabile di tutto quello che riguarda l’educazione (scuole, libri, teatri). Le scuole dovevano essere:​​ speciali​​ per il popolo,​​ ordinarie​​ per i ragazzi delle classi elevate, destinati a frequentare il ginnasio dai 15 ai 20 anni. Ogni settarismo doveva essere bandito. Nel ’70 pubblica il​​ Trattato dei metodi pei padri e le madri delle famiglie e dei popoli.​​ Al suo appello per ottenere fondi per le pubblicazioni rispondono in molti: ecco il​​ Libro elementare,​​ uscito in una prima edizione nel 1770, e in edizione completa, riveduta ed ampliata in 4 volumi, nel 1774, corredato da un atlante con 100 illustrazioni.​​ C’era un po’ di tutto, una sorta di enciclopedia, nella quale si parlava di scienze umane e naturali da lui giudicate utili per gli alunni. Ma dove applicare le sue teorie? Ecco un nuovo appello per la raccolta di fondi, ma questa volta la risposta è piuttosto fredda. Ciononostante il giovane principe di Anhalt-Dessau, lo chiama a Dessau, e qui egli può dar vita ad un istituto organizzato secondo le sue idee, il​​ Philantropinum.​​ Diciamo tra parentesi che in uno dei viaggi compiuti per la raccolta dei fondi Basedow ha come compagno Goethe, che ci dà una interessante (anche se non molto elogiativa) descrizione della sua figura. A proposito della validità del suo metodo d’insegnamento delle lingue, si potrebbero citare i risultati ottenuti con sua figlia, Emilia (in ricordo di Rousseau?), che a tre anni e mezzo era in grado di cogliere gli errori di chi parlava in francese e in tedesco, e che a nove anni traduceva direttamente in tedesco gli autori latini. Il Basedow pubblicava pure una sua rivista, «Archivio Filantropico», nella quale presentava i risultati ottenuti nel suo istituto, e sollecitava i genitori ad iscrivervi i loro figli, magnificando gli ideali ai quali si ispirava e la somma apertura, perché – diceva – «noi siamo filantropi o cosmopoliti», in quanto «scopo dell’educazione deve essere quello di formare un europeo, la cui vita possa essere così onesta, utile al pubblico e lieta, come l’educazione la può rendere». A volte certe lezioni facevano scalpore, quale quella (descritta, per conoscenza diretta, dal prof. Schummel di Lipsia) dedicata a tutte le fasi del parto. Gli allievi del​​ Philantropinum​​ vestivano in divisa, si curava molto l’ordine e la pulizia personale; notevole importanza avevano, oltre gli esercizi tesi a rafforzare il fisico, l’equitazione e il ballo. Pur mirando a creare un clima di superamento delle differenze, si attribuiva valore alla​​ ​​ emulazione, con conseguenti premiazioni. Ma Basedow, uomo innegabilmente di grandi idee, era tutt’altro che un organizzatore, per cui la sua istituzione – nella quale pur operavano valenti collaboratori ed assistenti – rapidamente decadde. Il fondatore lasciava ad altri la responsabilità della conduzione nel 1784, ma nessuno riuscì a riorganizzare il​​ Philantropinum,​​ che si chiudeva nel 1793.

2.​​ La diffusione del f.​​ Tuttavia, malgrado il fallimento, le idee si erano diffuse, e sorgevano istituzioni che al​​ Philantropinum​​ si ispiravano, anche perché le iniziative furono dovute a uomini che avevano vissuto l’esperienza di Dessau e / o che erano convinti sostenitori della necessità di un radicale mutamento nel sistema scolastico. A titolo di esempio si potrebbe citare il caso di J. H. Campe (1746-1812), che dirigeva una scuola filantropica a Brunswich e divenne consigliere per l’educazione. Non essendo riuscito a dar vita ad un sistema scolastico dichiaratamente laico, si unì ad altri filantropisti, ed espose in un’opera in 16 volumi,​​ Revisione generale del sistema scolastico e dell’educazione​​ (1785-1791), quegli aspetti del movimento filantropinico che – sgombrato il terreno dalle utopie di Basedow – avrebbero potuto essere realizzati per la bontà dei principi ispiratori. Così i principi si vennero affermando anche se le istituzioni non sempre ebbero fortuna. Oltre all’istituto di Campe, può essere ricordato quello di Trapp, e soprattutto quello fondato a Schnepfenthal da C. G. Salzmann (1744-1781), già collaboratore di Basedow, che aveva lasciato Dessau (dove era stato insegnante di religione). Ottenne l’appoggio di Ernesto II di Saxe-Gotha, e proprio nei pressi di Gotha fondò un istituto che avrebbe avuto vita assai più lunga e assai meno tormentata del​​ Philantropinum​​ di Dessau. Anch’egli si ispira al Rousseau relativamente alla visione della bontà della natura ed alla corruzione della società, e proprio all’interno di tale concezione mira a condurre l’esperienza scolastica della sua istituzione. Riafferma nei suoi scritti il valore della conoscenza diretta della natura in tutti i suoi aspetti, e sollecita l’educatore a servirsi di tutto quello che la natura stessa può offrirgli, onde compensare l’eventuale mancanza di attrezzature​​ ad hoc.​​ Ma proprio per il valore che egli attribuiva alla funzione dell’​​ ​​ educatore (che doveva possedere «ingegno, tatto, abilità per trattare razionalmente gli allievi e cattivarsene la fiducia») delinea un «Progetto di educazione dell’educatore». Innegabilmente la sua concezione era utopistica: egli vagheggiava la presenza di molti studiosi dotti nelle varie discipline, sia nel campo della pedagogia, sia in quelli delle varie scienze (dall’anatomia all’igiene); non doveva mancare una ricca biblioteca e persino un’emeroteca; pensava all’esistenza di una sala teatrale, assai utile agli educatori per insegnare «a modulare la voce, a comporre la fisionomia, le movenze e le pose». Ma il Salzmann stesso pare, ad un certo punto, accorgersi della grandiosità del suo progetto, ed allora scrive: «L’attuazione di questo piano importerebbe certo spese ingenti: ma non è l’educazione l’ufficio più importante di uno Stato [...]?». Si vede allora costretto a ridurre di molto i suoi sogni: «Rinunzio quindi a questo disegno bello a leggersi, difficile a tradursi in pratica, a chi si dedica all’educazione ne presento uno più semplice che si compendia in tre parole:​​ educa te stesso».​​ Ma non si creda che la constatazione delle difficoltà e la conseguente riduzione delle aspirazioni abbia impedito a Salzmann di operare proficuamente. Ecco il «Collegio-famiglia» in campagna a Schnepfenthal. Della cinquantina di allievi presenti ben 15 sono figli del fondatore, ai quali si uniscono orfani di amici. Egli vive direttamente la sua esperienza e, vedendo nel gioco una componente essenziale del processo educativo, scrive: «Rinunzi ad educare chi non sa giocare con i bambini». Ma in genere tutta la vita del collegio è vista come vita di comunità, in buona parte esente da certe esagerazioni e da certe contraddizioni presenti a Dessau. Il collegio continuò la sua attività sino ai primi dell’Ottocento.

3.​​ La valutazione del f.​​ Essa non è stata univoca, ma il movimento ha lasciato per certi aspetti una traccia profonda. Ebbe un atteggiamento di favore il barone von Zedlitz, ministro di Federico il Grande dal 1771 al 1798. Ad Halle veniva istituita la prima cattedra di pedagogia, affidata al Frapp (già assistente di Basedow). Kant fu all’inizio favorevole, anche se in un secondo tempo non mancò di esprimere qualche critica. Nettamente ostile l’atteggiamento di Herder e dei sostenitori del neoumanesimo classico.

Bibliografia

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F. De Vivo​​ 




FILOSOFIA DELLEDUCAZIONE

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FILOSOFIA DELL’EDUCAZIONE

Approccio, e secondo alcuni disciplina, che studia l’​​ ​​ educazione, lo​​ ​​ sviluppo e la​​ ​​ formazione dal punto di vista filosofico.

1.​​ Due modi di fare f.d.e.​​ Nella tradizione occidentale la problematica educativa è stata fatta spesso oggetto di indagine da parte della riflessione filosofica, specialmente nell’ambito della f. classificata come «pratica», vale a dire volta a trovare le ragioni dell’agire sociale umano, politico e morale (al cui interno si poneva l’agire educativo). Ma oltre questa via più antica, nella f. moderna si è venuta ad avere anche un’altra via di filosofeggiare attorno all’educazione, quella che parte dalla problematica educativa e da essa arriva a tematizzare filosoficamente i problemi teorici presenti in essa. Questo secondo modo di procedere si riscontra in ambienti anglosassoni, già dalla fine del secolo scorso. È noto come​​ ​​ Dewey dettò vari corsi intitolati «f.d.e.» al Teachers College della Columbia University di New York. Ed è anche nota la sua concezione della f.d.e. come «teoria generale dell’educazione», con funzione di sintesi prospettica, rispetto agli altri contributi di cui si dovrebbe nutrire una scienza dell’educazione. Ma forse un apporto maggiormente significativo al sorgere di un’autonoma disciplina filosofica dell’educazione viene dagli sviluppi di quella che è stata chiamata la Scuola di Londra, guidata fino al 1983 da R. S. Peters. Essa si è mossa nella linea dell’analisi del linguaggio scientifico e non scientifico sull’educazione, visto nelle sue connessioni con l’agire morale e sociale: l’educare, l’educazione, l’essere educatori, l’insegnare, il fare scuola, la cultura educativa. Parallelamente, negli ambienti di lingua inglese, fioriscono società scientifiche e riviste espressamente di f.d.e. Recentemente è dato notare un certo avvicinamento tra questi indirizzi «analitici» di ricerca e quelli fenomenologico-ermeneutici «continentali», relativi all’azione umana storico-sociale e la sua qualificazione etica.​​ 

2.​​ La ricerca teorico-pedagogica italiana e le sue stagioni.​​ Nel trentennio seguito alla seconda guerra mondiale la pedagogia italiana ha cercato di guadagnare una sua dignità scientifica, in reazione alla stagione «neoidealistica» del periodo fascista, troppo sbilanciata sul riferimento filosofico. E tuttavia la politica educativa e scolastica è stata sostenuta da saggi di natura teorica o comunque da convincimenti teorici di fondo, che, in riferimento ai grandi schieramenti politico-culturali del cosiddetto «arco costituzionale», si raggruppavano in tre principali indirizzi: l’indirizzo​​ personalista,​​ vicino alle forze politiche cristiano-democratiche (ispirato al personalismo di Mounier e di​​ ​​ Stefanini o alla f. di​​ ​​ Maritain); l’indirizzo cosiddetto​​ laico,​​ vicino al variegato settore delle forze liberal-socialiste (ispirato al pragmatismo di Dewey o alla f. liberal-democratica di Calogero o al problematicismo di Banfi); l’indirizzo​​ marxista,​​ vicino alle forze politiche social-comuniste (e fondamentalmente ispirate al marxismo di​​ ​​ Gramsci). Nel corso degli anni settanta, a seguito del forte movimento di critica che ha coinvolto l’intera cultura e che ha scosso profondamente la fiducia accordata alle scienze umane, si è riproposta l’esigenza di una «via filosofica» all’educazione ed alla pedagogia. Essa era motivata dalla volontà di evitare impostazioni settoriali, assolutizzazioni unilaterali, dogmatismi ideologici (tanto più pericolosi quanto più nascosti o travestiti di scientificità o di conclamata aderenza ai fatti). Dopo questa prima stagione focalizzata principalmente sull’analisi critica del linguaggio e delle idee educative e sulla ricomposizione pedagogica dei «dati» provenienti dalle scienze umane, la ricerca teorico-pedagogica si è concretamente mossa lungo tre fondamentali percorsi: uno, qualificabile sostanzialmente come epistemologia pedagogica (che privilegia il rapporto con la pedagogia); l’altro, come analisi e interpretazione teoretica diretta dell’esperienza educativa (e che privilegia piuttosto il rapporto con l’educazione). Negli ultimi tempi, in un clima preoccupato per la globale problematicità della temperie culturale, per le sorti della democrazia e per un futuro di civiltà, anche l’approccio teorico-pedagogico è stato chiamato a riconsiderare globalmente l’educazione, la formazione ed il sapere ad esse relativo (privilegiando il rapporto con la cultura formativa e la cultura in genere).

3.​​ F. implicita e pedagogia come f. applicata.​​ Una visione generale del mondo e della vita, un certo quadro di​​ ​​ valori, una concezione della conoscenza ed in particolare della scienza, sono soggiacenti alle affermazioni pedagogiche che si dicono scientifiche o che sono frutto di ricerca empirica. Spesso queste concezioni di fondo non sono esplicite o sono assunte acriticamente. In molti casi sono mescolate ad altri contenuti culturali pre-scientifici di provenienza esperienziale, tradizionale, politica. A motivo di ciò si corre facilmente il rischio di riversare sulla ricerca scientifica (da fare o fatta) pregiudizi intellettuali, riduttivismi antropologici, intenzioni profonde, soggettive o di parte (e quindi ideologiche nel senso peggiore del termine). Appartiene piuttosto al passato anche la posizione che considera tutta la pedagogia come una f. applicata. È evidente in questa posizione il rischio di una subordinazione della intera pedagogia alla f., misconoscendo le altre fonti della ricerca pedagogica (esperienza, indagine storica, analisi sociologica e psicologica, rilevazione antropologico-culturale, ecc.). Fissando lo sguardo sui principi si può arrivare a perdere di vista l’irriducibile originalità del momento pratico. E forse si verrebbe a misconoscere pure un dato tipico della tradizione: quello che vuole non solo che la pratica educativa sia illuminata dalla riflessione filosofica, ma anche che essa stessa diventi una fonte e uno stimolo di prim’ordine per fare f. e per valutare lo spessore conoscitivo dei principi filosofici. D’altra parte, a suo modo, questa posizione viene a ribadire l’importanza dell’attenzione teoretica ai problemi educativi.

4.​​ La f.d.e. come atteggiamento particolare di fronte ai problemi educativi e come attenzione epistemologico-pedagogica.​​ Per ciò che riguarda lo statuto epistemologico, secondo alcuni l’approccio filosofico all’educazione più che una disciplina specifica starebbe ad indicare un atteggiamento e un modo particolare di affrontare i problemi educativi, specialmente per ciò che riguarda il fine e il senso dell’educazione, il rapporto tra educazione e valori o il riferimento a questioni quali l’uomo e la natura, la sua libertà, il suo futuro, ecc. Per chi la f. è irrimediabilmente ideologia, qualora pretendesse di proporre una qualche visione del mondo e della vita, l’unica possibilità di essere di una f.d.e. è quella di porsi come indagine sulle scienze e cioè come epistemologia o come metateoria. In questo caso, più che parlare di f.d.e. (considerata nel migliore dei casi come trascrizione pedagogica di una qualche ideologia), si dovrebbe più correttamente parlare di f. delle scienze educative o di epistemologia pedagogica o di metateoria dell’educazione. Suoi compiti sarebbero ad es. individuare i rapporti tra ideologia e ricerca scientifico-educativa; studiare le condizioni essenziali del costituirsi del sapere scientifico sull’educazione, la sua specificità, i suoi compiti, i suoi limiti, i suoi contributi; vagliare la logicità intrinseca ed estrinseca del «congegno pedagogico», vale a dire del complesso dei metodi, dei modelli, delle procedure, delle strategie e degli interventi che si propongono; o infine ricercare lo «specifico» della pedagogia rispetto alle altre scienze dell’educazione. Ma per il conseguimento di questi obiettivi generalmente non si crede necessaria una disciplina specifica. Si crede sufficiente una vigilanza critica nella ricerca educativa e nelle affermazioni pedagogiche. Ad evitare residui neopositivistici, è ascoltata da molti la lezione del razionalismo critico popperiano e quella della critica dei post-popperiani al neopositivismo ed al feticismo dei metodi. E quindi si ammette che un’indagine di tipo filosofico possa chiarire problemi, smascherare miti e pregiudizi pedagogici o avanzare ipotesi, o prospettare nuovi modi di vedere e di pensare l’educazione e di agire educativamente. In tal senso la f.d.e. sarebbe come l’«aurora» della scienza o delle scienze dell’educazione. Ma di solito non ci si spinge alla problematizzazione radicale dei principi, dei «fondamenti» ultimi e della «ontologia / metafìsica» che sta sullo «sfondo» della ricerca scientifica o della riflessione su di essa.

5.​​ La f.d.e. tra le scienze dell’educazione.​​ C’è invece chi vede possibile una f.d.e. non solo come una delle fonti per una scienza dell’educazione, ma come disciplina autonoma all’interno del plesso disciplinare che affronta la problematica educativa (e che globalmente può essere denominato​​ ​​ scienze dell’educazione in senso largo). Ad essa si verrebbe ad affidare il compito generale d’investigare sui problemi teorici dell’educazione secondo le modalità proprie dell’approccio filosofico. Rispetto alle altre discipline, la f.d.e. si porrebbe tra quelle che privilegiano il momento analitico-interpretativo del conoscere; e quindi troverebbe a monte di se stessa le discipline a prevalente carattere rilevativo (biologia, psicologia, antropologia e sociologia, storia dell’educazione e della pedagogia, ecc.) e prim’ancora l’intero complesso delle scienze umane e sociali, in vista di una chiara fenomenologia dell’educazione. Nell’espletamento della sua funzione critico-prospettica la f.d.e. contribuirebbe a mettere in luce le linee di tendenza, gli orientamenti innovativi nei confronti dell’intervento educativo, le conseguenze di certe decisioni e strategie educative. E quindi si porrebbe come momento previo o valutativo rispetto alle discipline a carattere metodologico-progettuale (metodologia, didattica, docimologia, tecnologie educative, ecc.). Essa troverebbe la sua punta di diamante nella ricerca di una visione generale che permetta di cogliere il senso e i significati dell’educazione. In ambito cristiano si crede che in tale compito la f.d.e. è affiancata e può interagire proficuamente con la​​ ​​ teologia dell’educazione. In ciò si mostrerebbe chiaramente come l’autonomia disciplinare si aprirebbe all’interdisciplinarità, vale a dire all’incontro, all’interazione e alla coordinazione con le altre discipline pedagogiche e con altri tipi di ricerca educativa, nell’orizzonte ultimo di una risposta più adeguata e attendibile ai problemi dell’educazione e della cultura formativa. L’approccio filosofico verrebbe a porsi come organo dell’intero, dell’universalità e dell’apprensione comprensiva e significativa degli «oggetti»: nel caso specifico, dell’educazione e del sapere pedagogico. Ciò, evidentemente, non è senza la coscienza del rischio di produrre costrutti concettuali assolutizzanti e grettamente ideologici, nel senso che possono risultare poco aderenti alla realtà concreta o addirittura che possono coartarla e manipolarla concettualmente e linguisticamente ai fini di interessi particolaristici, magari non sempre intenzionalmente voluti. Dovendosi basare solo sulla razionalità e la forza argomentativa di quanto si viene affermando, appare abbastanza chiaro che in tale materia non è facile giungere ad affermazioni apodittiche e chiaramente incontrovertibili. Ma si può ragionevolmente pensare che esse siano attendibili nella misura in cui sono tali da resistere ai tentativi di criticabilità nei loro confronti. Ciò va rilevato come condizione previa, soprattutto in questo nostro tempo segnato dal rifiuto delle «grandi narrazioni» o dei saperi sistematici (​​ postmoderno / postmodernità) e dalla elevata coscienza del pluralismo culturale contemporaneo. È appena da notare come questa impostazione presuppone un concetto largo di scienza (vista come sapere rigoroso e giustificato, non totalmente circoscrivibile alle scienze empirico-logiche). A sua volta, come ogni altra forma storica di far f., anche questo modo specifico di filosofare sull’educazione e sulla formazione (e / o sul sapere ad esse relativo) si esprimerà in forme, metodi ed esiti diversificati e pluralistici, in rapporto alle urgenze storico-ambientali, al contemporaneo e comunitario sentire, alla personale comprensione ed esperienza di vita e di fede. Per tal motivo, più che di un’univoca f.d.e. sarebbe più corretto parlare di concrete f.d.e., che realizzano in modo analogo lo stesso e specifico compito.

Bibliografia

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C. Nanni




FILOSOFIA insegnamento della

 

FILOSOFIA: insegnamento della

L’insoddisfazione per la quasi secolare e spesso disattesa riforma gentiliana della scuola in Italia ha suscitato anche nell’insegnamento della f. molte sperimentazioni didattiche riassumibili nella contrapposizione tra metodo storico e metodo problematico.

1.​​ Lo «status quaestionis».​​ Negli anni ‘90 del sec. scorso i «programmi Brocca» della scuola secondaria, in questo recepiti anche dalle riforme successive, per conciliare l’esigenza di contestualità tipica del metodo storico con l’esigenza di criticità tipica del metodo analitico o per problemi e insieme cercare di evitare sia il pericolo di una rassegna di opinioni che genera scetticismo sia il pericolo di un indottrinamento ideologico nell’analisi dei problemi, hanno indicato come metodo proprio dell’insegnamento della f. l’impostazione storico-problematica, con una scansione cronologica per anno, alcuni grandi autori da trattare obbligatoriamente e una serie di nuclei tematici per ogni anno fra i quali operare una scelta. Nel contesto interculturale odierno, per evitare contrapposizioni drammatiche o nuove dittature ideologiche, è necessario accrescere la criticità per un dialogo sereno. L’antitesi tra soggettivo e oggettivo, soggettivo potenziato all’eccesso nel mondo virtuale e oggettivo spesso confuso con giochi di potere, va superata in una loro fondazione unitaria nel primato della alterità come radicale irriducibilità; allora è veramente possibile un ripensamento in radice della educatività della f., a partire dalla categoria dell’Altro.

2.​​ Per una rifondazione dell’insegnamento della f.​​ Si tratterebbe infatti di progettare uno «statuto epistemologico» dell’insegnare ricomponendo il programma a partire da un concetto nuovo, il concetto di scientificità scolastica. La disciplina scolastica della f. non è una riduzione didattico-liceale della corrispondente scienza accademico-universitaria perché non ha come criterio organizzativo un principio intrinseco alla disciplina e cioè la completezza formale dell’argomento, ma un criterio estrinseco e cioè le esigenze dell’educando, i bisogni di una persona in crescita. Occorre quindi proporre un itinerario di sviluppo della razionalità entro la disciplina, che possa essere assunto da ogni alunno come itinerario di sviluppo della propria umana razionalità, al fine di potere individuare un proprio «ruolo» in una società «multiculturale».

3.​​ Suggerimenti operativi.​​ In questo orizzonte epistemologico il momento più significativo sarebbe la comunicazione fra esperienze per una loro trasferibilità. Le tappe di questo percorso, potrebbero essere le seguenti: a) Prima tappa:​​ Una docenza più profondamente comprensiva della razionalità già presente nella disciplina filosofica.​​ In particolare, un migliore utilizzo educativo: 1) dello «statuto epistemologico», ossia dei criteri di formalizzazione dei contenuti, che la disciplina usa come criteri di interpretazione e organizzazione del reale (ad es., il concetto di «spazio» per la geometria); 2) dell’«orizzonte ermeneutico»; ossia la quantità e qualità di reale raggiungibile con quei criteri, e quel tipo di razionalità; 3) della «storicità» e in essa del «principio della trasgressione» come criterio «ri-creativo» del reale. b) Seconda tappa:​​ Una docenza «analogica» e cioè capace di creare interazione tra «testi» e «ripensamento sistematico».​​ In un primo momento si tratterebbe semplicemente di utilizzare alcuni filosofi come espressione più alta di un momento teoretico (ad es. Fichte per l’etica; Schelling per l’estetica...) e di comparare alcuni modelli lontanissimi nel tempo e nello spazio (ad es. la mistica di Eckart e lo Zen di Suzuki), per fare intendere i cammini paralleli dello stesso spirito umano. Si può arrivare poi a presentare la f. di un pensatore, come riflessione su un’esperienza vitale già conclusa per consegnarla teoreticamente a tutta l’umanità (ad es.​​ ​​ Platone per la​​ polis;​​ s.​​ ​​ Tommaso per la esperienza comunale; Cartesio per l’assolutismo dinastico...). c) Terza tappa:​​ Una docenza capace,​​ contemporaneamente,​​ di accogliere la nuova cultura dei mondi vitali e di integrarla con la tradizionale cultura umanistico-scientifica tipica della scuola,​​ perché capace,​​ previamente,​​ di strutturarla secondo specifici criteri di formalizzazione.​​ Così, ad es., l’introduzione della tematica della​​ ​​ pace si è rivelata come un nuovo modo di fare cultura perché il criterio di collaborazione fra persone diventa criterio altrettanto razionale quanto quello della coerenza logica per la riflessione.​​ 

4.​​ Conclusione e sintesi.​​ Il punto nodale starebbe quindi nella capacità del soggetto docente di mettere in moto un processo di riflessione sullo «statuto epistemologico dell’insegnare», in cui l’intuizione della scientificità scolastica si strutturi in una teoria di insieme, entro la quale le tradizionali discipline scolastiche diventino modelli strutturati e successivi di razionalità, per uno stimolo, confronto e misura con l’itinerario di sviluppo della propria razionalità da parte di ogni singolo alunno. Ciò che diventa quindi primario nell’insegnamento non è solo quello che ha detto un determinato filosofo, ma il perché una data f. ha progressivamente convinto gli esseri umani di una determinata epoca e perché poi altre sono risultate più convincenti e sono perciò prevalse. Sono quindi i paradigmi di un passaggio «da ... a ...» più che una presunta conoscenza di fini ultimi, ciò che determina il senso del progredire educativo realizzabile attraverso l’insegnamento della f.

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P. De Giorgi - M. Marin