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FEMMINISMO

 

FEMMINISMO

Il termine f., composto dal latino​​ femĭna​​ /​​ femininus​​ e dal suffisso​​ ismo​​ entra nella lingua it. nel 1896; il francese​​ féminisme​​ era entrato già nel 1837, mentre femmina comparve nel 1250.​​ Femĭna​​ deriva dal part. medio di un antico​​ fēre​​ (allattare, essere fecondo), da cui anche​​ fetus​​ (allattare, generare, creare, il cui compimento è il parto). La radice DHĒ (I) è largamente attestata; e, come verbo, appare nelle aree indiana, slava, germanica. Con l’ampl. in «l» si ha felice, figlio; in «n» si ha fieno (legato al nutrimento) e feneratizio (prestito nel senso del produrre frutti; di qui usura). F. entra, quindi, in una grande famiglia, imparentato con​​ femĭna,​​ felix,​​ fetus: costruito da una radice che designa il generare, creare, nutrire, far vivere, produrre frutti, quindi essere e rendere felice. È curioso che il​​ Dizionario di antropologia,​​ etnologia,​​ antropologia culturale,​​ antropologia sociale​​ curato da U. Fabietti e F. Remotti, edito da Zanichelli, non abbia le voci femmina, femminile, donna: rimanda a maschile e uomo. Oggi a f. si associa il termine​​ genere​​ da​​ gĕnus​​ /​​ gignĕre.

1. Il termine f. oggi è divenuto un grande contenitore ove si raccolgono elementi eterogenei relativi alla questione femminile: rivendicazioni pacifiche o violente; programmi socio-culturali e azioni positive a favore della parità tra i sessi; iniziative politiche e attività legislative dirette a tutelare e promuovere tale parità; studi in vari ambiti disciplinari riguardanti problemi, aspirazioni, istanze ed idealità femminili, molti dei quali acquistano cittadinanza anche nelle università; movimenti regionali e internazionali, centri di studio e di documentazione «donna», associazioni ed istituzioni governative e non, iniziative teoriche e pratiche finalizzate a promuovere nelle donne una nuova consapevolezza della loro identità sessuale. F. ha assunto così molteplici, talvolta alternativi, significati divenendo evocativo e allusivo, a volte generico ed ambiguo. I risultati raggiunti nel rimuovere gli ostacoli e creare le condizioni per la parità tra i sessi hanno contribuito a dargli un’accezione positiva, mentre all’inizio aveva un significato negativo e polemico. Soprattutto dagli anni 014660 designa un complesso, variegato e vasto movimento socio-culturale, teorico e pratico, che opera nell’ambito dei diritti economici, giuridici, sociali, politici, civili, religiosi, ponendo al centro la questione femminile, intesa come riflessione e azione dirette a favorire la vera parità tra i sessi, quindi la piena realizzazione della donna, con particolare attenzione alla sua identità. Esprime, così, uno degli aspetti più rivoluzionari della svolta culturale avvenuta negli ultimi due secoli. Nel terzo millennio ha vecchi e nuovi compiti: orientare più decisamente verso l’eliminazione di ogni forma di discriminazione per un’antropologia uniduale, richiamando l’attenzione sulla condizione della donna che non ha ancora acquisito in tutti i contesti socio-culturali e religiosi una vera e piena cittadinanza e, ove l’ha raggiunta, rischia di perderla, come attestano la tratta degli esseri umani e l’aumento delle violenze anche tra le mura domestiche. Il f., così, continua la sua funzione di denuncia contro le varie e subdole forme di sfruttamento ed oppressione; incoraggia a rimuovere gli ostacoli che impediscono la vera parità tra i sessi e promuove itinerari di crescita nell’identità femminile. È un compito complesso che esige un’illuminata e coerente opera di formazione e autoformazione, una vigilanza sulle dinamiche socio-culturali, socio-economiche e socio-educative, sulle istituzioni varie, sui meccanismi di rappresentazione, sulle comunicazioni di massa per evitare il permanere o il ritorno di stereotipi, discriminazioni, rivalità. È latente un’operazione in cui l’appello all’uguaglianza va verso il monosessismo e quello alla differenza legittima forme più sofisticate di discriminazione e violenze. Il f. interpella, quindi, l’educazione perché con iniziative concrete favorisca genuini itinerari di identificazione nei singoli e nelle comunità, specie nelle nuove generazioni, promuovendo una più profonda e motivata consapevolezza delle ragioni per cui l’essere umano esiste da sempre come maschio e femmina. È importante, soprattutto dopo Pechino (IV Conf. mondiale sulla donna), per il prevalere del termine genere che, in contesti socio-culturali dalle «identità fluide», rischia di innescare dinamiche omosessuali e proporre modelli antropologici narcisistici. La​​ mens​​ decostruzionista, soprattutto nel post-strutturalismo, oltre a inflazionare anni di ricerche scientifiche sulla differenza sessuale e conquiste del f. quale movimento di soggetto storico collettivo, rischia di condurre, sotto il segno della libertà confusa con l’arbitrio, al qualunquismo antropologico che rimuove la struttura relazionale, quindi solidale e comunionale della persona.

2.​​ Storia.​​ Ricostruire la storia del f. è un’impresa ardua: abbraccia la storia dell’umanità, in quanto la rivalità tra i sessi, come lascia intendere il racconto biblico delle origini (cf Gn 3,16), risale ad epoche remote. L’antifemminismo / maschilismo –​​ mens​​ discriminatoria non solo di alcuni uomini, ma anche di certe donne –, secondo diversi studiosi (donne e uomini), può nascondere nell’uomo il rifiuto o la rimozione della sua natia dipendenza dalla donna (madre) e, in genere, la coscienza di essere generati. Vivaci ricerche di archeologia, di etnologia e di antropologia culturale vorrebbero scoprirne le origini e dimostrare l’esistenza di civiltà, anteriori a quelle patriarcali, fondate su valori simbolici femminili. Non è qui il caso di entrare in queste complesse problematiche. Offro solo qualche nota sul f. moderno, base di quello contemporaneo.

3.​​ Motivi ispiratori,​​ cause,​​ fasi,​​ tipologie. Alcuni segnalano​​ cinque correnti di pensiero: a) quella legata al movimento liberal-democratico, che opera per aprire alle donne l’accesso al mondo dei diritti; b) quella che s’ispira alle idee socialiste che tende a correggere la tesi della diversità naturale tra donna e uomo, ritenendo le differenze di ruoli e la supremazia dell’uomo come prodotti di processi storici da rovesciare con la lotta di classe; c) quella che si rifà all’esistenzialismo, in particolare a Simone de Beauvoir, che sottolinea l’individualità e la libertà del soggetto, e vede nella cultura la causa della diversità / subordinazione della donna; d) quella che coltiva le prospettive psicoanalitiche e mette in crisi la concezione di Freud, vedendo nella differenza sessuale uno strumento di autonomia e di specificità femminili; e) quella che accoglie alcune tesi dello strutturalismo e post-strutturalismo che ricerca le radici del predominio maschile nelle socio-culture, per cui vuole liberare con la decostruzione dall’identità sessuale «ereditata», per costruirne altre secondo le opzioni delle libertà individuali. Queste correnti s’intrecciano, talvolta si arricchiscono reciprocamente. Sono vie che spingono a ripensare l’antropologia con ricerche multidisciplinari e multiculturali. Possono però diventare strumenti ideologici di pressione anche politica pure in istituzioni internazionali, quando la prepotenza di lobby prevale sulla ricerca della verità. Cancellano, così, l’obiettivo fondamentale del f.: oltrepassare le gabbie degli stereotipi per un umanesimo veramente integrale. Di fatto certe correnti decostruzioniste utilizzano la categoria «genere» per imporre una via ideologica monosessista che rimuove l’alterità paradigmatica tra uomo e donna. È una scorciatoia nel difficile cammino d’identità all’interno della «fluidità» sociale. Ma l’identità non è arbitrio. È dono e compito / responsabilità ove, superando le alternative tra natura, cultura, libertà, si raccordano patrimonio genetico, patrimonio culturale / contesto, autonomia / responsabilità del soggetto nella comunità umana. In questo itinerario può svolgere un ruolo fondamentale il​​ personalismo, soprattutto cristiano, che negli studi sul f. è quasi del tutto dimenticato. Grande, invece, è l’apporto offerto di fatto dal cristianesimo. In questo senso vi è una rilettura critica della storia che sottolinea la forza liberatrice del Vangelo. Tra le​​ cause​​ del f. moderno si indicano tre grandi rivoluzioni: francese, industriale e del sentimento. Si individuano varie​​ fasi​​ che, con caratteristiche diverse, attraversano molte socio-culture secondo una traiettoria ideale: dalla rivendicazione dell’uguaglianza all’affermazione della diversità / complementarità; dal riconoscimento della diversità alla ricerca e attuazione della reciprocità valorizzando in modo propositivo anche il conflitto tra i sessi. Quest’ultima fase è la più esigente e impegnativa. Infatti, il riconoscimento costruttivo dell’uguaglianza / diversità tra i sessi è alla base della capacità di accoglienza dell’altro come diverso da sé. Nel f. convergono pure tre​​ tipologie​​ di percorsi: quello detto laico o a-confessionale, quello che matura nell’alveo del cristianesimo, quello operante nella vita consacrata femminile. Pur avendo caratteristiche e vie diverse, si arricchiscono reciprocamente e convergono in molti aspetti, quali la trasversalità, ecumenicità, universalità. Soprattutto a partire dagli anni ’80 sono state realizzate iniziative e ricerche condivise ove l’antropologia biblico-cristiana con la triplice dimensione relazionale della persona (teologale, umanistica e cosmica) è stata accolta come un luogo di risorse simboliche valido al di là delle appartenenze. Dopo Pechino, soprattutto con il decostruzionismo, è emersa una via rivendicativa individualistica che incide sulla possibilità di azioni comuni a favore delle donne. Le difficoltà, che stanno emergendo in sede ONU e nella Comunità Europea, ne sono un segno. La speranza è nella elaborazione di un nuovo umanesimo che consideri la persona nella sua integralità, quindi anche nella sua diversità sessuale, e si faccia carico dei diritti umani universali, base dei «diritti civili», difendendo le donne e tutti coloro che sono senza voce, umiliati nella loro dignità e identità.

4.​​ Una via.​​ Il f. è a una svolta. Si parla di post-f.: se vuole lavorare per il bene dell’umanità e non per interessi di parte, cioè dei potenti, deve accogliere la sfida del personalismo e promuovere l’antropologia uniduale, del maschile e del femminile. Giovanni Paolo II ha avviato questo percorso e soprattutto nella​​ Mulieris Dignitatem​​ e nella​​ Lettera alle donne​​ ha offerto una profonda riflessione che anche nella Chiesa non è stata ancora del tutto valorizzata. Il Papa interpella le donne, soprattutto credenti, ad elaborare un nuovo f. (Evangelium​​ vitae​​ 99), attingendo a quel «genio femminile» verso il quale l’umanità intera è tanto debitrice. Prendere sul serio questa «genialità» può attuare una nuova coniugazione di fecondità e felicità.

Bibliografia

Cavaglià P. - H. C. A Chang - M. Farina - E. Rosanna (Edd.),​​ Donna e umanizzazione della cultura alle soglie del terzo millennio. La via dell’educazione, Roma, LAS, 1998; Schooyans M.,​​ Nuovo disordine mondiale. La grande trappola per ridurre il numero dei commensali alla tavola dell’umanità, Cinisello Balsamo (MI), San Paolo, 2000; Roccella E.,​​ Dopo il f., Roma, Ideazione Editrice, 2001; Mancina C.,​​ Oltre il f.: le donne nella società pluralista, Bologna, Il Mulino, 2002; Roccella E. - L. Scaraffia,​​ Contro il cristianesimo. L’ONU e l’Unione Europea come nuova ideologia, Casale Monferrato, Piemme, 2005.

M. Farina




FÉNELON François de Salignac de la Mothe

 

FÉNELON François de Salignac​​ de la Mothe

n. nel Castello di Fénelon nel 1651 - m. a Cambrai nel 1715, scrittore francese, pedagogista e membro dell’Académie française,​​ vescovo di Cambrai.

1. F. appartiene a una famiglia nobile, ma povera. Riceve un’ottima educazione umanistica, che completa con gli studi universitari di teologia. Nel 1675 è sacerdote. Il vescovo di Parigi gli affida, nel 1678, l’Istituto delle​​ Nouvelles catholiques:​​ un’istituzione che ha lo scopo di rinsaldare nella fede cattolica donne e ragazze provenienti dal protestantesimo e di aiutare quelle desiderose di convertirsi al cattolicesimo. Restano famose le due «missioni» che, per volontà di Luigi XIV, svolge tra i protestanti: numerose sono le conversioni dovute alla sua bontà, nobiltà di tratto, comprensione delle anime, discrezione. Dal 1689 è alla corte del Re Sole come precettore del duca di Borgogna, nipote del re; è anche direttore spirituale di molti nobili. Con la sua bontà, unita a saggia fermezza, costanza e a un metodo adatto, riesce a trasformare il duca di Borgogna da ragazzo viziato e ribelle in un giovane principe affabile, moderato, amante dello studio, consapevole delle proprie responsabilità. Per lui scrive le​​ Avventure di Telemaco,​​ Dialoghi con i morti​​ e​​ Favole​​ che lo educano alla giustizia, alla verità, al rispetto di ogni persona, alla tolleranza.

2. F. è ormai un’autorità alla corte di Francia quando, improvvisa, scoppia la tempesta: la controversia con Bossuet sulla dottrina del quietismo (dottrina mistica che si propone l’unione con Dio attraverso l’annullamento della volontà umana); la pubblicazione (1699) – a sua insaputa – delle​​ Avventure di Telemaco,​​ in cui è esplicito il rifiuto dell’assolutismo, della guerra, dello sfarzo e della corruzione di corte; la condanna romana dell’opera​​ Spiegazione delle massime dei santi sulla vita interiore.​​ Luigi XIV, punto sul vivo dalle pagine di​​ Telemaco,​​ ordina a F. di non presentarsi più a corte, e di rimanere a Cambrai, di cui è vescovo dal 1695, e di evitare ogni rapporto personale ed epistolare con il duca di Borgogna e con i nobili di corte. A Cambrai F. esplica la sua attività pastorale a favore della popolazione colpita dalla carestia e dalla guerra di successione spagnola. Trova anche il tempo per completare il​​ Trattato dell’esistenza di Dio​​ iniziato negli anni giovanili, per rispondere a molte lettere, per inviare all’Accademia di Francia – di cui è membro dal 1693 – la famosa​​ Lettera all’Accademia​​ (1714), vera opera di critica letteraria.

3. In campo pedagogico, oltre alle opere per il duca di Borgogna, è ricordato soprattutto per​​ L’educazione delle fanciulle​​ (1687) dove, oltre a tematizzare il problema dell’educazione della donna, offre preziosi suggerimenti sull’educazione in genere: iniziare l’educazione fin dalla prima infanzia; conoscere, attraverso il gioco, l’indole di ogni bambino; non tediare il fanciullo con precetti o lezioni noiose, ma svegliarne la curiosità, favorirne la confidenza con un atteggiamento sereno, amorevole; importanza dell’esempio e della coerenza di vita nelle persone addette all’educazione. È favorevole all’educazione delle fanciulle in famiglia, quando è costume educarle nei conventi. Notevole il suo influsso sui sec. XVIII e XIX.

Bibliografia

a)​​ Fonti: le migliori ediz. delle​​ Oeuvres complètes​​ di F. sono quelle di Versailles-Paris, 1820-1830, 34 voll. b)​​ Studi: Goré I. L.,​​ L’itinéraire de F.,​​ Paris, PUF, 1957; Terzi C.,​​ F. La personalità e l’attualità del pensiero educativo,​​ Roma, Ciranna, 1971; Cappa F.,​​ La fede e l’amore di sé. F.F. e la coscienza religiosa nell’età cartesiana, Milano, Glossa, 2003.

R. Lanfranchi




FENOMENOLOGIA E EDUCAZIONE

 

FENOMENOLOGIA​​ E EDUCAZIONE

Anche se ci sono stati dei precedenti nel l’uso filosofico del termine f., oggi esso è comunemente riferito alla teoria e alla metodologia di E. Husserl, sviluppati successivamente in varie direzioni da numerosi allievi ed estimatori. Tra tali direzioni si può citare anche quella pedagogica, pur se Husserl non si occupò mai esplicitamente di tematiche educative. Numerosi punti-chiave del suo pensiero, infatti, hanno o possono avere un chiaro significato ed un’importante valenza pedagogici.

1. Il punto di partenza del pensiero di Husserl ed il suo «modo di pensare» consistono in una sorta di rivendicazione della presenza della soggettività nel costituirsi del senso del mondo e quindi anche di ogni autentico processo conoscitivo. Poiché tale soggettività ha nell’intenzionalità​​ la sua caratteristica fondante, essa non va intesa in senso idealistico ma esistenziale in quanto è sempre e comunque in relazione con l’oggetto. È così che la vera realtà per l’uomo è ciò che risulta dall’incontro tra la realtà oggettiva e il soggetto intenzionante: il fenomeno appunto, che cionondimeno si costituisce in modo originario nella coscienza (rappresentando quelle che Husserl definisce le «essenze»). Perché sia possibile cogliere tali essenze è tuttavia necessario mettere tra parentesi («epoché») i giudizi comuni o pregiudizi, soprattutto quelli di tipo oggettivistico-naturalistico. La relazione con l’oggetto è quindi irrinunciabile per la soggettività, così come la relazione con l’altro da sé è irrinunciabile per il costituirsi della persona.

2. Interessanti sono le conseguenze pedagogiche che si possono ricavare da quella impostazione, a partire dall’invito a cogliere l’esperienza educativa nella sua essenza che peraltro è sempre storicamente data, proprio perché anch’essa fondata sulla relazione non solo tra due (o più) individui, ma anche tra le tre dimensioni della storia (passato, presente e futuro). La relazione dunque deve essere considerata come il punto forte per ogni teoria pedagogica e per ogni prassi educativa, anche se essa non è affatto garantita potendo essere nella concretezza dell’esistenza disattesa, contraddetta, calpestata. In secondo luogo, appare pedagogicamente molto interessante la nozione di «visione del mondo» (che è l’insieme strutturato dei fenomeni vissuti individualmente o socialmente) sia perché il diventarne consapevoli rappresenta il traguardo primo di ogni processo formativo, sia perché nel rapporto educativo concreto è indispensabile per 1’​​ ​​ educatore cogliere la visione del mondo (capacità definibile in termini di «entropatia») attuale dell’​​ ​​ educando per poterla sviluppare e, se del caso, metterla in crisi al di fuori di un comportamento autoritario e perciò violento. È ovvio che da questa impostazione emergono molteplici indicazioni anche metodologico-operative, sia nel l’ambito di un’educazione «normale» sia in quello di un’educazione «speciale», tra cui peraltro c’è una chiara continuità. Indicazioni che, pur dando grande rilevanza al l’attività dell’educando, non lo considera no come l’unico protagonista dell’evento educativo in cui infatti l’educatore rappresenta l’altro necessario polo.

Bibliografia

Paci E.,​​ Funzione delle scienze e significato dell’uomo,​​ Milano, Il Saggiatore, 1963; Bertolini P.,​​ L’esistere pedagogico,​​ Scandicci (FI), La Nuova Italia, 1988; de Monticelli R.,​​ La conoscenza personale: introduzione alla f., Milano, Guerini, 2003.

P. Bertolini




FERRIÈRE Adolphe

 

FERRIÈRE Adolphe

n. a Ginevra nel 1879 - m. a Ginevra nel 1960, pedagogista svizzero.

1. Fondatore nel 1899 del​​ Bureau International des Écoles Nouvelles​​ che si fuse nel 1925 nel​​ Bureau International d’Éducation,​​ fondatore della rivista​​ «Pour l’Ère Nouvelle»​​ (1931). Nel 1921, nel Congresso di Calais, fu tra i fondatori della​​ Ligue Internationale pour l’Éducation Nouvelle.​​ Svolse un’intensissima attività pubblicistica e culturale e fu promotore instancabile d’incontri, contatti e collaborazioni internazionali tanto da essere considerato uno dei massimi esponenti, in campo teorico e pratico, dei problemi internazionali dell’educazione. Si prefisse di riaffermare, difendere e diffondere i principi basilari della nuova visione scaturita dal movimento di Calais e nei suoi lavori (L’école active)​​ interpreta le varie tendenze di riforma dalle loro origini spirituali rimproverando ai sistemi tradizionali di non tener conto della natura fisica e psichica dell’educando (​​ Scuole Nuove). Di fronte alle tendenze che cercavano d’imporsi per una scuola attiva basata su metodologie e tecniche operative, F. fonda le​​ Groupe français d’Éducation nouvelle​​ (GFEN) per affermare la superiorità di una pedagogia sperimentale.

2. In F. sembra prevalere un atteggiamento eclettico, volto ad armonizzare spunti, dottrine, orientamenti e direzioni di pensiero di natura orginariamente diversa e non di rado contrastante; ciononostante esistono in lui dei nuclei tematici tali da denotare un convinto radicamento di natura metafisica ed etica. Ciò è dovuto sia ai suoi contatti con​​ ​​ Decroly e con​​ ​​ Dewey e più ancora alla concezione bergsoniana di​​ Elan vital​​ a cui si ricollega, pur non chiarendolo, il concetto d’interesse quale pietra angolare della scuola attiva. Sulla base di questo principio come della legge biogenetica, la sua pedagogia attivistica si svolge come dimensione vigilante rispetto alla spontaneità dell’educando in un orientamento spiritualistico. Il rapporto uomo-natura, la connessione tra apparato biofisiopsichico ed interiorità, appaiono collegati da una rete profonda di legami e condizionamenti reciproci che F. cerca di recuperare in un continuo riferimento alla psicologia sperimentale, alla psicologia del profondo, alla filosofia di tendenza evoluzionista e bergsoniana come a quella ascetico-mistica. La scuola attiva, pertanto, rappresenta la risposta operativamente necessaria alle istanze da lui indicate e professate. Anche se oggi la sua​​ legge biogenetica​​ può suscitare delle perplessità è indubbio che essa ha avuto il merito di elaborare una diversa educazione fondata sull’interesse vitale con il quale è possibile sviluppare un’adeguata concezione dell’uomo civilizzato, ossia di un uomo che anela alla libertà e alla convivenza.

Bibliografia

Faria de Vasconcellos A.,​​ Une école nouvelle en Belgique,​​ Neuchâtel, Delachaux & Niestlé,​​ 1915; Ferraro D.,​​ A.F. e l’attivismo scolastico,​​ Bologna, Leonardi, 1970; Mencarelli M., «Il movimento dell’Attivismo», in​​ Nuove questioni di storia della pedagogia,​​ Brescia, La Scuola, 1977;​​ Hameline D.,​​ A.F., in «Perspectives: revue trimestrielle d’éducation comparée»​​ 23 (1993) 379-406.

C. Trombetta




FESTA

 

FESTA

1. Una prospettiva pedagogica della f. ha come necessario punto di partenza un duplice approccio disciplinare: antropologico (cioè il modo con cui nella tradizione e nella storia se ne è vissuto ed espresso il senso), e sociologico (che ne esamina le modalità e le funzioni nella società attuale). Approcci che interagiscono poi con la propria concezione filosofica e valoriale di uomo. Iniziamo con l’accostamento antropologico. Il fenomeno f. rimanda, già nella stessa terminologia e nel linguaggio corrente, a una serie di fatti che indicano almeno due grossi ambiti semantici, uno di tipo più religioso (rito, celebrazione, tempo, calendario, solennità, sacro, liturgia... significati richiamati dall’aggettivo «festivo»), l’altro più laico e quotidiano, dei tempi «normali» (allegria, gioia, gioco, tempo libero, vacanza, spettacolo... significati richiamati dall’aggettivo «festoso»). Di comune ad entrambi vi è almeno l’elemento della sospensione dal lavoro e dalla fatica dell’abitudinarietà. Nel primo ambito la f., come rito periodico che coinvolge la comunità, è colta nella storia delle religioni come il riaggancio al tempo primitivo e agli atti fondatori della divinità che rigenera il tempo e il mondo (capodanno, pasqua e sabato ebraici, pasqua cristiana...), e dunque come la re-immersione periodica dell’uomo nella vitalità e nell’offerta di senso che è il sacro, da cui viene rimandato poi alla fatica della vita quotidiana e sociale e alla sua esigenza di progettualità. La f. dunque come tempo del sacro. Nel secondo ambito la f. si ridisegna come tempo del gioco, ambito estraneo al mondo del lavoro (terreno della necessità, dell’organizzazione, della razionalità strumentale), e come territorio del gratuito, delle attività fruitive, delle cose che non hanno uno scopo ma un senso, quasi di sospensione dalla realtà e dai bisogni. La f. dunque come tempo del gioco.

2. L’analisi sociologica, come complementare accostamento al fenomeno f., permette di individuare, nel mondo moderno o postmoderno, da una parte il bisogno e la riscoperta della f. nelle tante manifestazioni e linguaggi in cui si esprime (specie giovanili), soprattutto nel suo senso di opposizione al quotidiano e al lavoro (​​ tempo libero); dall’altra il suo svuotamento di senso (soprattutto religioso) e il suo tradursi in angoscia. Da cui il tentativo di surrogarlo col​​ ​​ consumismo e la manipolazione dei​​ ​​ bisogni. Il tempo «libero» rischia così di trovarsi già «occupato» dalle mille proposte o imposizioni della produzione capitalistica. Il «bisogno» di f. e di risignificazione di essa viene colto oggi – al di là del richiamo religioso – anche dal mondo dei laici più sensibili attraverso una nuova analisi della situazione dell’uomo nell’epoca della tecnica e della razionalità strumentale. Appiattito nella sua identità dall’attività lavorativa, divenuta l’unico indicatore della sua riconoscibilità, l’uomo sembra in grado di conoscersi e riconoscersi a partire unicamente dalle sue capacità in termini di funzionalità ed efficienza, in un epocale passaggio dalla marxiana alienazione «nel» lavoro all’alienazione «da» lavoro. La f. allora, qualora se ne ricuperi il senso anche nel silenzio, nella contemplazione e nel riposo, dunque nella presa di distacco dall’appiattimento nella prestazione, può essere quell’àncora di salvataggio che permette all’uomo di ricuperare «il cuore», di ri-accedere alla sua interiorità.

3. In questo quadro di riferimento e di contestualizzazione, si ripropongono alcune mete di ricupero e risignificazione della f., per la riumanizzazione dell’uomo. a) Ritrovare la gratuità del necessario. Se la f., istituendo l’ordine del mondo, immette la circolazione di senso dentro la vita, essa permette di scoprire nella progettualità e fatica del quotidiano, nella necessità e durezza della vita, quell’elemento di ordine e di giustizia che è il «di più» della vita stessa, che diversamente resterebbe chiusa nell’orizzonte della razionalità allo scopo della lotta ai bisogni e per la sopravvivenza. In altre parole tutto ciò significa ritrovare la bellezza delle dimensioni elementari della vita, che l’uomo corre il rischio di scartare trovandole scontate. b) Riscoprire la necessità del gratuito. La possibilità di ricchezza della società di oggi permette di sviluppare ciò che è intrinsecamente gratuito (il festoso), nella fruizione di ciò che è buono e bello, al di là dell’agire per necessità. Queste sono attività che, pur non essendo necessarie per sopravvivere, sono necessarie per «vivere», e dunque non possono essere classificate nel «superfluo». La direzione di queste attività che aprono a tipi diversi di relazione, può essere triplice: un rapporto contemplativo con la natura, un rapporto rammemorativo (che rinnova il passato facendone memoria) con i prodotti dell’uomo nella storia (beni culturali), un rapporto di fruizione reciproca nel convivere umano (convivialità).

Bibliografia

Moltmann J.,​​ Sul gioco,​​ Brescia, Queriniana, 1971; Floris F.,​​ Le f. dei giovani,​​ in «Note di Pastorale Giovanile» 15 (1981) 6, 3-35; Pollo M.,​​ La domenica luogo del centro esistenziale e religioso della vita,​​ in «Note di Pastorale Giovanile» 17 (1983) 4, 11-17; Rizzi A.,​​ Il segreto del tempo,​​ Leumann (TO), Elle Di Ci, 1993; Galimberti U.,​​ Paesaggi dell’anima, Milano, Mondadori, 1996; Id.,​​ Psiche e téchne. L’uomo nell’età della tecnica,​​ Milano, Feltrinelli, 1999.

G. Denicolò