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FESTA

 

FESTA

1. Una prospettiva pedagogica della f. ha come necessario punto di partenza un duplice approccio disciplinare: antropologico (cioè il modo con cui nella tradizione e nella storia se ne è vissuto ed espresso il senso), e sociologico (che ne esamina le modalità e le funzioni nella società attuale). Approcci che interagiscono poi con la propria concezione filosofica e valoriale di uomo. Iniziamo con l’accostamento antropologico. Il fenomeno f. rimanda, già nella stessa terminologia e nel linguaggio corrente, a una serie di fatti che indicano almeno due grossi ambiti semantici, uno di tipo più religioso (rito, celebrazione, tempo, calendario, solennità, sacro, liturgia... significati richiamati dall’aggettivo «festivo»), l’altro più laico e quotidiano, dei tempi «normali» (allegria, gioia, gioco, tempo libero, vacanza, spettacolo... significati richiamati dall’aggettivo «festoso»). Di comune ad entrambi vi è almeno l’elemento della sospensione dal lavoro e dalla fatica dell’abitudinarietà. Nel primo ambito la f., come rito periodico che coinvolge la comunità, è colta nella storia delle religioni come il riaggancio al tempo primitivo e agli atti fondatori della divinità che rigenera il tempo e il mondo (capodanno, pasqua e sabato ebraici, pasqua cristiana...), e dunque come la re-immersione periodica dell’uomo nella vitalità e nell’offerta di senso che è il sacro, da cui viene rimandato poi alla fatica della vita quotidiana e sociale e alla sua esigenza di progettualità. La f. dunque come tempo del sacro. Nel secondo ambito la f. si ridisegna come tempo del gioco, ambito estraneo al mondo del lavoro (terreno della necessità, dell’organizzazione, della razionalità strumentale), e come territorio del gratuito, delle attività fruitive, delle cose che non hanno uno scopo ma un senso, quasi di sospensione dalla realtà e dai bisogni. La f. dunque come tempo del gioco.

2. L’analisi sociologica, come complementare accostamento al fenomeno f., permette di individuare, nel mondo moderno o postmoderno, da una parte il bisogno e la riscoperta della f. nelle tante manifestazioni e linguaggi in cui si esprime (specie giovanili), soprattutto nel suo senso di opposizione al quotidiano e al lavoro (​​ tempo libero); dall’altra il suo svuotamento di senso (soprattutto religioso) e il suo tradursi in angoscia. Da cui il tentativo di surrogarlo col​​ ​​ consumismo e la manipolazione dei​​ ​​ bisogni. Il tempo «libero» rischia così di trovarsi già «occupato» dalle mille proposte o imposizioni della produzione capitalistica. Il «bisogno» di f. e di risignificazione di essa viene colto oggi – al di là del richiamo religioso – anche dal mondo dei laici più sensibili attraverso una nuova analisi della situazione dell’uomo nell’epoca della tecnica e della razionalità strumentale. Appiattito nella sua identità dall’attività lavorativa, divenuta l’unico indicatore della sua riconoscibilità, l’uomo sembra in grado di conoscersi e riconoscersi a partire unicamente dalle sue capacità in termini di funzionalità ed efficienza, in un epocale passaggio dalla marxiana alienazione «nel» lavoro all’alienazione «da» lavoro. La f. allora, qualora se ne ricuperi il senso anche nel silenzio, nella contemplazione e nel riposo, dunque nella presa di distacco dall’appiattimento nella prestazione, può essere quell’àncora di salvataggio che permette all’uomo di ricuperare «il cuore», di ri-accedere alla sua interiorità.

3. In questo quadro di riferimento e di contestualizzazione, si ripropongono alcune mete di ricupero e risignificazione della f., per la riumanizzazione dell’uomo. a) Ritrovare la gratuità del necessario. Se la f., istituendo l’ordine del mondo, immette la circolazione di senso dentro la vita, essa permette di scoprire nella progettualità e fatica del quotidiano, nella necessità e durezza della vita, quell’elemento di ordine e di giustizia che è il «di più» della vita stessa, che diversamente resterebbe chiusa nell’orizzonte della razionalità allo scopo della lotta ai bisogni e per la sopravvivenza. In altre parole tutto ciò significa ritrovare la bellezza delle dimensioni elementari della vita, che l’uomo corre il rischio di scartare trovandole scontate. b) Riscoprire la necessità del gratuito. La possibilità di ricchezza della società di oggi permette di sviluppare ciò che è intrinsecamente gratuito (il festoso), nella fruizione di ciò che è buono e bello, al di là dell’agire per necessità. Queste sono attività che, pur non essendo necessarie per sopravvivere, sono necessarie per «vivere», e dunque non possono essere classificate nel «superfluo». La direzione di queste attività che aprono a tipi diversi di relazione, può essere triplice: un rapporto contemplativo con la natura, un rapporto rammemorativo (che rinnova il passato facendone memoria) con i prodotti dell’uomo nella storia (beni culturali), un rapporto di fruizione reciproca nel convivere umano (convivialità).

Bibliografia

Moltmann J.,​​ Sul gioco,​​ Brescia, Queriniana, 1971; Floris F.,​​ Le f. dei giovani,​​ in «Note di Pastorale Giovanile» 15 (1981) 6, 3-35; Pollo M.,​​ La domenica luogo del centro esistenziale e religioso della vita,​​ in «Note di Pastorale Giovanile» 17 (1983) 4, 11-17; Rizzi A.,​​ Il segreto del tempo,​​ Leumann (TO), Elle Di Ci, 1993; Galimberti U.,​​ Paesaggi dell’anima, Milano, Mondadori, 1996; Id.,​​ Psiche e téchne. L’uomo nell’età della tecnica,​​ Milano, Feltrinelli, 1999.

G. Denicolò




FIABA

 

FIABA

La f. è un racconto che implica elementi e avvenimenti fantastici anche se non tratta sempre di fate.

1. Il termine in senso moderno comprende racconti popolari (Märchen)​​ quali​​ Cenerentola​​ e racconti di fate (Kunstmärchen)​​ di invenzione successiva quali​​ Il Principe Felice​​ del 1888 scritto da Oscar Wilde. Non è sempre facile distinguere se l’origine delle f. sia orale o letteraria dato che i racconti popolari hanno subito un trattamento letterario già dagli inizi e, viceversa, le f. scritte sono state riportate alla tradizione orale. Le prime collezioni italiane di f. quali​​ Le piacevoli notti​​ (1550) di Gianfranco Straparola contengono rielaborazioni in stile raffinato di f. quali​​ Biancaneve,​​ La Bella addormentata​​ e​​ La serva nella torre.​​ Una collezione successiva, fedele alla tradizione orale, è stata quella francese, di Charles Perrault,​​ I racconti di Mamma Oca​​ del 1697 a cui appartenevano​​ Cenerentola,​​ Cappuccetto Rosso​​ e​​ La Bella e la Bestia.​​ La raccolta​​ Kinder-und-Hausmärchen​​ (1812-15) dei fratelli Grimm è direttamente trascritta dalla tradizione orale. È stata grande l’influenza di Perrault e dei fratelli Grimm in tutto l’Occidente. Altro maestro delle f., il danese Hans Christian Andersen, trae i suoi racconti dalla tradizione, ma li connota di elementi autobiografici e di satira sull’epoca in cui viveva. Gli psicologi del XX sec.,​​ ​​ Freud e​​ ​​ Jung hanno interpretato elementi delle f. come manifestazioni di paure e desideri universali.

2. Ogni soggetto che comincia a sfogliare un libro di illustrazioni o che ascolta con attenzione una storia letta ad alta voce, può essere considerato un potenziale consumatore di f. L’arco di età che comprende un tale soggetto va fino ai 14 o 15 anni. Alcune considerazioni appannano questa definizione: oggi i ragazzi sono spinti dall’ambiente verso una maturazione precoce perciò, sebbene leggano ancora libri di bambini, leggono sempre più libri per adulti. I bambini inoltre continuano a vivere negli adulti e così, molti libri per bambini vengono letti dagli adulti (Alice nel Paese delle Meraviglie​​ di L. Carroll,​​ Winnie-the-Pooh​​ di A. A. Milne). Oggi lo stesso fenomeno si presenta con la saga di​​ Harry Potter. La lettura delle f. dalla natura apparentemente crudele e arbitraria è, in un certo senso, una riflessione istruttiva della necessità dei bambini di disfarsi delle proprie paure e di affrontare le successive fasi dello sviluppo con maggiore maturità e senso del reale, come afferma Bettelheim in​​ Uses of enchantment​​ (1976).​​ 

Bibliografia

Propp V. J.,​​ Morfologia della f., Roma, Newton Compton, 1992 (l’opera originale è del 1928); Gatto G.,​​ La f. di tradizione orale, Milano,​​ Led​​ , 2006.

C. Cangià




FIDUCIA

 

FIDUCIA

La f. è condizione e atteggiamento basilare per sostenere un​​ ​​ rapporto educativo in vista della qualità e della crescita degli interlocutori. Senza di essa non è possibile un autentico incontro tra persone che intendano giungere a uno scambio reale in umanità e in educazione.​​ 

1. Avere f. significa presumere in anticipo che qualcosa possiede un senso plausibile, pur non potendolo ancora configurare, sulla base di antecedenti esperienze persuasive; vuol dire disporsi a raggiungere un traguardo sperato, che suscita o motiva raffigurazioni creative, processi cognitivi, disposizioni ad agire. La relazione educativa, basata sulla f., consiste quindi essenzialmente in una relazione interpersonale (simmetrica o asimmetrica), che coinvolge la personalità intera dell’interlocutore. Non si tratta solo di un ritrovo delle menti, bensì di un sintonizzarsi dei sentimenti (​​ intelligenza emotiva) e di una implicazione sociale (intelligenza sociale di Goleman). In realtà si configura come un incontro accogliente di persone differenti che si presentano nella loro dignità umana e nel mistero della propria libertà, mediate dai contenuti culturali e dalle strutture istituzionali, dai codici etici e dai convincimenti religiosi. Nel​​ ​​ processo educativo, la f. vicendevole non si riduce perciò a sintonia affettiva e apprezzamento reciproco, quasi risolvendosi in essi. Al di là di ogni elemento contingente, essa trova la sua radice nel riconoscimento pieno della dignità della​​ ​​ persona umana e della crescita virtuosa della vita, per cui è sempre meritevole di credibilità e di affidamento.

2. Nella costruzione della biografia personale, la f. è un atteggiamento che si manifesta costantemente presente. Differenti possono essere gli approcci (fenomenologico, psicoanalitico, umanistico…), ma l’esito volge sempre verso una sua evocata esigenza. Per cui alla radice sta la f. di base, che scaturisce dal rapporto fondamentale tra madre e figlio (​​ Erikson), creando sicurezza e sostegno. Si evolve poi progressivamente nell’accettarsi incondizionatamente a vicenda (​​ Rogers), nella coppia, nella​​ ​​ famiglia, nel gruppo dei pari, nella comunità scolastica, allorché matura in un processo di scambio positivo. La disponibilità dell’educando assume così forme progressive diversificate (identificatoria nell’infanzia, controdipendente nell’adolescenza, individualizzata nella giovinezza) sino a giungere all’accoglienza critica e alla f. ragionata. Al tempo stesso l’intenzionalità dell’educatore, collocandosi nella comprensione dei complessi aspetti personali e sociali dell’educando, approda sempre più all’autorevolezza intrinseca delle proposte educative che avanza. In questo modo vengono evitati i due noti rischi educativi dell’autoritarismo (con l’imposizione di modelli identificatori) e del permissivismo (con il sottrarsi alla responsabilità educativa che sfida a pronunciarsi e a proporre).

3. Il terreno della f. è quello della disponibilità a riconoscere che insieme, anche se a diversi livelli di consapevolezza, si può costruire un progetto comune: lealtà e verità, amicizia e rispetto, libertà e responsabilità sono elementi essenziali per maturare come uomini e donne all’insegna dell’autorevolezza di proposte e di modelli, di scelte e di testimonianze. Senza dubbio la competenza culturale e pedagogica dell’educatore è un grande sostegno in quest’azione educativa fondata sulla f., ma la ricchezza di umanità e il farsi compagni di viaggio sono senz’altro determinanti per crescere nella f. reciproca. La visione antropologica ispira e guida qualsiasi istanza di metodo (E. Stein, P. Ricoeur).

Bibliografia

Milan G.,​​ Educare all’incontro,​​ la pedagogia di Martin Buber,​​ Roma, Città Nuova, 1994; Galli G.,​​ Psicologia delle virtù sociali, Bologna, CLUEB, 1999; Bosco G. B.,​​ Educare nello spirito di don Bosco, Leumann (TO), Elle Di Ci, 2002.

G. B. Bosco




FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE

 

FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE

Istituto religioso fondato da​​ ​​ san Giovanni Bosco e​​ ​​ santa Maria Domenica Mazzarello nel 1872 a Mornese (AL) per l’educazione cristiana delle fanciulle e delle giovani dei ceti popolari.

1. Il nome​​ Figlie di Maria Ausiliatrice​​ (FMA) esprime l’identità mariana della Congregazione voluta dal Fondatore come «monumento di riconoscenza» a Maria e come risposta alle sfide educative della donna. Il suo inizio ufficiale avviene a Mornese, il 5 agosto 1872. Dopo appena cinque anni vengono aperte case in Francia e in Uruguay. Approvato dal vescovo di Acqui nel 1876, l’Istituto è riconosciuto di diritto pontificio da Pio X il 7 settembre 1911. Alla morte della Confondatrice M. D. Mazzarello, avvenuta a Nizza Monferrato il 14 maggio 1881, le religiose educatrici erano 166, le novizie 48, le case 26. Oggi l’Istituto è diffuso in 90 nazioni e conta circa 14.000 religiose che operano nei cinque Continenti. La comprensione e traduzione del metodo salesiano in ambito femminile avviene gradualmente lungo la storia dell’Istituto anche grazie all’apporto di alcune figure significative. Emilia Mosca (1851-1900), prima Consigliera scolastica generale delle FMA (1876-1900), ha il merito di aver innestato sul giovane ramo dell’Istituto femminile di don Bosco la sua idea educativa contribuendo ad esprimere al femminile il metodo di don Bosco mediante la ricchezza della sua personalità e la competenza pedagogica. Ella segue (con la collaborazione del salesiano​​ ​​ Cerruti) la lunga e faticosa pratica del pareggiamento della prima Scuola Normale di Nizza Monferrato e con la sua azione promuove l’impostazione metodologico-salesiana delle scuole in Italia e in altre nazioni. Angela Vespa (1887-1969), Consigliera Scolastica dal 1938 al 1955 con incisività e competenza pedagogica si ispira al modello educativo dei Fondatori. Pur senza trascurare l’efficienza organizzativa, mira soprattutto ad incrementare la formazione pedagogico-salesiana delle educatrici, mostrandosi particolarmente aperta alla valorizzazione delle opportunità culturali e didattiche del tempo. Ella si pone nel variegato e complesso panorama culturale con capacità di discernimento delle idee innovative e nel confronto fedele con la tradizione educativa salesiana. Nei suoi orientamenti, infatti, si nota l’evoluzione che l’Istituto ha operato nei riguardi dell’attivismo, cambiamento dovuto sia alla sua lungimiranza e perspicacia, sia alla visione più positiva della pedagogia cattolica nei confronti delle nuove teorie pedagogiche.​​ 

2. La scelta preferenziale delle varie opere educative gestite dalle religiose, in collaborazione con laici e laiche, è per gli​​ oratori-centri giovanili,​​ la​​ catechesi​​ e per le​​ scuole​​ di ogni ordine e grado:​​ scuole dell’infanzia,​​ primarie,​​ secondarie,​​ professionali​​ e​​ universitarie. Tra le attività di tipo promozionale vi sono:​​ orfanotrofi,​​ case-famiglia,​​ convitti​​ per studentesse ed operaie,​​ laboratori​​ di cucito e di artigianato e associazioni di​​ volontariato. La spiritualità dell’Istituto si ispira alla sintesi dottrinale ed antropologica di s. Francesco di Sales e di s. Teresa di Ávila, voluti da don Bosco come Patroni dell’Istituto. Nella sua storia più recente, l’Istituto ha continuato a potenziare l’autocoscienza femminile e la sua apertura alle grandi sfide della società contemporanea, e la qualità della formazione culturale e religiosa, dando una specifica attenzione alla promozione della cultura della vita nell’ottica di un’antropologia solidale ispirata al Vangelo e aperta a prospettive interculturali e interreligiose. Nella realtà globalizzata, segnata da nuove opportunità e al tempo stesso da nuove minacce alla vita e alla famiglia, le FMA riaffermano l’impegno di rispondere alla chiamata ad essere​​ segno ed espressione dell’amore preveniente di Dio​​ in modo credibile, così da alimentare la speranza nelle nuove generazioni.

Bibliografia

Bibliografia sull’Istituto delle FMA,​​ Roma, Ist. FMA, 1996; Capetti G. (Ed.),​​ Cronistoria​​ [dell’Istituto delle FMA], Ibid., 1974-1978, 5 voll.; Id.,​​ Il cammino dell’Istituto nel corso di un secolo, Ibid., 1972-1976, 3 voll.; Loparco G.,​​ Le FMA nella società italiana (1900-1922),​​ Roma, LAS, 2002; Ruffinatto P.,​​ La relazione educativa. Orientamenti ed esperienze nell’Istituto delle FMA, Ibid., 2003.

P. Ruffinatto




FIGURE PROFESSIONALI

 

FIGURE PROFESSIONALI

Comprendono tutte le f. che svolgono funzioni relative alle fasi del processo educativo. Qui ci si limita a parlare di quelle che non sono trattate in altre voci.

1.​​ Professioni e processi organizzativi. Una professione è caratterizzata da tempi lunghi di formazione, da un codice etico, dal controllo sulle ammissioni, da un corpus di conoscenze, dalla priorità del servizio al cliente sull’utilità personale, dall’autonomia nell’esercizio professionale. Se si applica tale definizione a tutte le f. che operano nel campo dell’educazione, si possono avere casi in cui vengono a mancare alcune delle note: allora si parla di semi-professione o di status professionale. In questo momento nelle organizzazioni educative è in atto un processo di differenziazione e di moltiplicazione delle funzioni.​​ 

2.​​ Tendenze nella riorganizzazione della f. p. La promozione integrale della persona significa che l’educando occupa il centro del sistema educativo. Oltre alle f. / funzioni tradizionali, c’è bisogno di nuove che si occupino dell’accoglienza, dell’orientamento, dell’accompagnamento e del tutoraggio. Un’altra tendenza riguarda l’affermarsi dell’approccio progettuale per cui le strutture fondate su un’impostazione a tempi lunghi vengono sostituite da un disegno organizzativo flessibile, focalizzato su progetti determinati sul piano temporale. Anche in questo ambito si richiede l’introduzione di f. e funzioni specifiche. La complessità crescente delle organizzazioni implica la previsione di forme nuove di integrazione e la creazione di f. / funzioni di raccordo e di coordinamento: si tratta di favorire la combinazione più efficace degli sforzi dei singoli individui che compongono un gruppo o di più sottogruppi. L’organizzazione viene descritta in termini di sistema aperto nel senso che si può conservare solo sulla base di un flusso continuo di risorse da e per l’ambiente. Anche in questo caso c’è bisogno di f. / funzioni che presidino i relativi compiti. In un mondo in cui la qualità della vita ha assunto un’importanza centrale, le istituzioni formative non possono limitare la loro attenzione alle problematiche quantitative: ciò implica la introduzione di f. / funzioni che si assumano la responsabilità della qualità. Questo modello organizzativo deve essere flessibile nel senso che la realizzazione delle tendenze richiamate può essere la più varia, da un’attuazione elementare alla più complessa. Per rendersene conto è sufficiente considerare le funzioni strumentali al piano dell’offerta formativa o le attività di collaborazione con il dirigente del contratto del comparto scuola o esaminare i profili professionali del contratto della formazione professionale.

Bibliografia

Malizia G.,​​ Il direttore e lo staff di direzione come perno del rinnovamento organizzativo della Formazione Professionale, Roma, CNOS-FAP, 1996; Forma-Cenfop,​​ Contratto collettivo nazionale della formazione professionale. 1 gennaio 1998-31 agosto 2003, Roma, s.d.;​​ Contratto collettivo nazionale del comparto scuola. Quadriennio giuridico 2002-05 e 1° biennio economico 2002-03, in​​ http: / / www.edscuola.it​​ (09.07.07); Capaldo N. - L. Rondanini,​​ Gestire e organizzare la scuola dell’autonomia, Trento, Erickson, 2002.

G. Malizia




FILANTROPISMO / FILANTROPINISMO

 

FILANTROPISMO /​​ FILANTROPINISMO

Movimento educativo dell’illuminismo tedesco, legato – soprattutto per le implicazioni scolastiche – alla figura ed all’opera di J. B. Basedow (1724-1790). Laicità ed utilitarismo caratterizzarono il f., nel quale è evidente il richiamo a​​ ​​ Comenio e​​ ​​ Rousseau per il naturalismo e al La Chalotais per l’organizzazione scolastica.

1.​​ La figura e l’opera di J. B. Basedow.​​ Basedow, precettore del figlio del consigliere von Qualen di Borghorst, dal 1749, sperimenta, per un triennio, con l’allievo la validità di un metodo educativo oggetto di una dissertazione,​​ Inusitata et optima honestioris iuventutis erudiendae methodus​​ (1752), in cui è evidente l’influsso dell’Orbis pictus​​ comeniano. Vi si afferma l’importanza dell’istruire giocando, del valore della conversazione, della necessità di una solida preparazione dell’insegnante. Fallita la carriera accademica anche per certi atteggiamenti eterodossi, lascia l’interesse per la filosofia e la teologia, e torna al problema educativo-scolastico. Nel 1768 pubblica le​​ Relazioni ai filantropi ed ai benestanti circa le scuole,​​ gli studi e la loro influenza sul benessere pubblico,​​ opera di enorme successo. Qui e in lavori successivi si ispira, per la vagheggiata riforma scolastica, alle tesi del La Chalotais. Basedow tratteggia un sistema scolastico diretto da un Consiglio Supremo di controllo della Pubblica Istruzione, responsabile di tutto quello che riguarda l’educazione (scuole, libri, teatri). Le scuole dovevano essere:​​ speciali​​ per il popolo,​​ ordinarie​​ per i ragazzi delle classi elevate, destinati a frequentare il ginnasio dai 15 ai 20 anni. Ogni settarismo doveva essere bandito. Nel ’70 pubblica il​​ Trattato dei metodi pei padri e le madri delle famiglie e dei popoli.​​ Al suo appello per ottenere fondi per le pubblicazioni rispondono in molti: ecco il​​ Libro elementare,​​ uscito in una prima edizione nel 1770, e in edizione completa, riveduta ed ampliata in 4 volumi, nel 1774, corredato da un atlante con 100 illustrazioni.​​ C’era un po’ di tutto, una sorta di enciclopedia, nella quale si parlava di scienze umane e naturali da lui giudicate utili per gli alunni. Ma dove applicare le sue teorie? Ecco un nuovo appello per la raccolta di fondi, ma questa volta la risposta è piuttosto fredda. Ciononostante il giovane principe di Anhalt-Dessau, lo chiama a Dessau, e qui egli può dar vita ad un istituto organizzato secondo le sue idee, il​​ Philantropinum.​​ Diciamo tra parentesi che in uno dei viaggi compiuti per la raccolta dei fondi Basedow ha come compagno Goethe, che ci dà una interessante (anche se non molto elogiativa) descrizione della sua figura. A proposito della validità del suo metodo d’insegnamento delle lingue, si potrebbero citare i risultati ottenuti con sua figlia, Emilia (in ricordo di Rousseau?), che a tre anni e mezzo era in grado di cogliere gli errori di chi parlava in francese e in tedesco, e che a nove anni traduceva direttamente in tedesco gli autori latini. Il Basedow pubblicava pure una sua rivista, «Archivio Filantropico», nella quale presentava i risultati ottenuti nel suo istituto, e sollecitava i genitori ad iscrivervi i loro figli, magnificando gli ideali ai quali si ispirava e la somma apertura, perché – diceva – «noi siamo filantropi o cosmopoliti», in quanto «scopo dell’educazione deve essere quello di formare un europeo, la cui vita possa essere così onesta, utile al pubblico e lieta, come l’educazione la può rendere». A volte certe lezioni facevano scalpore, quale quella (descritta, per conoscenza diretta, dal prof. Schummel di Lipsia) dedicata a tutte le fasi del parto. Gli allievi del​​ Philantropinum​​ vestivano in divisa, si curava molto l’ordine e la pulizia personale; notevole importanza avevano, oltre gli esercizi tesi a rafforzare il fisico, l’equitazione e il ballo. Pur mirando a creare un clima di superamento delle differenze, si attribuiva valore alla​​ ​​ emulazione, con conseguenti premiazioni. Ma Basedow, uomo innegabilmente di grandi idee, era tutt’altro che un organizzatore, per cui la sua istituzione – nella quale pur operavano valenti collaboratori ed assistenti – rapidamente decadde. Il fondatore lasciava ad altri la responsabilità della conduzione nel 1784, ma nessuno riuscì a riorganizzare il​​ Philantropinum,​​ che si chiudeva nel 1793.

2.​​ La diffusione del f.​​ Tuttavia, malgrado il fallimento, le idee si erano diffuse, e sorgevano istituzioni che al​​ Philantropinum​​ si ispiravano, anche perché le iniziative furono dovute a uomini che avevano vissuto l’esperienza di Dessau e / o che erano convinti sostenitori della necessità di un radicale mutamento nel sistema scolastico. A titolo di esempio si potrebbe citare il caso di J. H. Campe (1746-1812), che dirigeva una scuola filantropica a Brunswich e divenne consigliere per l’educazione. Non essendo riuscito a dar vita ad un sistema scolastico dichiaratamente laico, si unì ad altri filantropisti, ed espose in un’opera in 16 volumi,​​ Revisione generale del sistema scolastico e dell’educazione​​ (1785-1791), quegli aspetti del movimento filantropinico che – sgombrato il terreno dalle utopie di Basedow – avrebbero potuto essere realizzati per la bontà dei principi ispiratori. Così i principi si vennero affermando anche se le istituzioni non sempre ebbero fortuna. Oltre all’istituto di Campe, può essere ricordato quello di Trapp, e soprattutto quello fondato a Schnepfenthal da C. G. Salzmann (1744-1781), già collaboratore di Basedow, che aveva lasciato Dessau (dove era stato insegnante di religione). Ottenne l’appoggio di Ernesto II di Saxe-Gotha, e proprio nei pressi di Gotha fondò un istituto che avrebbe avuto vita assai più lunga e assai meno tormentata del​​ Philantropinum​​ di Dessau. Anch’egli si ispira al Rousseau relativamente alla visione della bontà della natura ed alla corruzione della società, e proprio all’interno di tale concezione mira a condurre l’esperienza scolastica della sua istituzione. Riafferma nei suoi scritti il valore della conoscenza diretta della natura in tutti i suoi aspetti, e sollecita l’educatore a servirsi di tutto quello che la natura stessa può offrirgli, onde compensare l’eventuale mancanza di attrezzature​​ ad hoc.​​ Ma proprio per il valore che egli attribuiva alla funzione dell’​​ ​​ educatore (che doveva possedere «ingegno, tatto, abilità per trattare razionalmente gli allievi e cattivarsene la fiducia») delinea un «Progetto di educazione dell’educatore». Innegabilmente la sua concezione era utopistica: egli vagheggiava la presenza di molti studiosi dotti nelle varie discipline, sia nel campo della pedagogia, sia in quelli delle varie scienze (dall’anatomia all’igiene); non doveva mancare una ricca biblioteca e persino un’emeroteca; pensava all’esistenza di una sala teatrale, assai utile agli educatori per insegnare «a modulare la voce, a comporre la fisionomia, le movenze e le pose». Ma il Salzmann stesso pare, ad un certo punto, accorgersi della grandiosità del suo progetto, ed allora scrive: «L’attuazione di questo piano importerebbe certo spese ingenti: ma non è l’educazione l’ufficio più importante di uno Stato [...]?». Si vede allora costretto a ridurre di molto i suoi sogni: «Rinunzio quindi a questo disegno bello a leggersi, difficile a tradursi in pratica, a chi si dedica all’educazione ne presento uno più semplice che si compendia in tre parole:​​ educa te stesso».​​ Ma non si creda che la constatazione delle difficoltà e la conseguente riduzione delle aspirazioni abbia impedito a Salzmann di operare proficuamente. Ecco il «Collegio-famiglia» in campagna a Schnepfenthal. Della cinquantina di allievi presenti ben 15 sono figli del fondatore, ai quali si uniscono orfani di amici. Egli vive direttamente la sua esperienza e, vedendo nel gioco una componente essenziale del processo educativo, scrive: «Rinunzi ad educare chi non sa giocare con i bambini». Ma in genere tutta la vita del collegio è vista come vita di comunità, in buona parte esente da certe esagerazioni e da certe contraddizioni presenti a Dessau. Il collegio continuò la sua attività sino ai primi dell’Ottocento.

3.​​ La valutazione del f.​​ Essa non è stata univoca, ma il movimento ha lasciato per certi aspetti una traccia profonda. Ebbe un atteggiamento di favore il barone von Zedlitz, ministro di Federico il Grande dal 1771 al 1798. Ad Halle veniva istituita la prima cattedra di pedagogia, affidata al Frapp (già assistente di Basedow). Kant fu all’inizio favorevole, anche se in un secondo tempo non mancò di esprimere qualche critica. Nettamente ostile l’atteggiamento di Herder e dei sostenitori del neoumanesimo classico.

Bibliografia

Gerlach O.,​​ Die Nationalerziehung im 18. Jahrhundert dargestellt in ihrem Hauptvertreter,​​ 1932; Blättner F.,​​ Storia della pedagogia,​​ Roma, Armando,​​ 31965; Boyd W.,​​ Storia dell’educazione occidentale,​​ Roma,​​ 61970; Sacchi R., «Basedow, Johann Bernard», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica, vol. I, Brescia, La Scuola, 1989, 1511-1515; Dietrich T.,​​ «Salzmann, Christian Gotthilf»,​​ in​​ Ibid., 10265-10268; Prellezo J. M. - R. Lanfranchi,​​ Educazione e pedagogia nei solchi della storia,​​ vol. II, Torino, SEI, 1996, 211-224; Calò G., «F.», in​​ Enciclopedia Filosofica, vol. V, Milano, Bompiani, 2006, 4109-4111.

F. De Vivo​​ 




FILOSOFIA DELLEDUCAZIONE

​​ 

FILOSOFIA DELL’EDUCAZIONE

Approccio, e secondo alcuni disciplina, che studia l’​​ ​​ educazione, lo​​ ​​ sviluppo e la​​ ​​ formazione dal punto di vista filosofico.

1.​​ Due modi di fare f.d.e.​​ Nella tradizione occidentale la problematica educativa è stata fatta spesso oggetto di indagine da parte della riflessione filosofica, specialmente nell’ambito della f. classificata come «pratica», vale a dire volta a trovare le ragioni dell’agire sociale umano, politico e morale (al cui interno si poneva l’agire educativo). Ma oltre questa via più antica, nella f. moderna si è venuta ad avere anche un’altra via di filosofeggiare attorno all’educazione, quella che parte dalla problematica educativa e da essa arriva a tematizzare filosoficamente i problemi teorici presenti in essa. Questo secondo modo di procedere si riscontra in ambienti anglosassoni, già dalla fine del secolo scorso. È noto come​​ ​​ Dewey dettò vari corsi intitolati «f.d.e.» al Teachers College della Columbia University di New York. Ed è anche nota la sua concezione della f.d.e. come «teoria generale dell’educazione», con funzione di sintesi prospettica, rispetto agli altri contributi di cui si dovrebbe nutrire una scienza dell’educazione. Ma forse un apporto maggiormente significativo al sorgere di un’autonoma disciplina filosofica dell’educazione viene dagli sviluppi di quella che è stata chiamata la Scuola di Londra, guidata fino al 1983 da R. S. Peters. Essa si è mossa nella linea dell’analisi del linguaggio scientifico e non scientifico sull’educazione, visto nelle sue connessioni con l’agire morale e sociale: l’educare, l’educazione, l’essere educatori, l’insegnare, il fare scuola, la cultura educativa. Parallelamente, negli ambienti di lingua inglese, fioriscono società scientifiche e riviste espressamente di f.d.e. Recentemente è dato notare un certo avvicinamento tra questi indirizzi «analitici» di ricerca e quelli fenomenologico-ermeneutici «continentali», relativi all’azione umana storico-sociale e la sua qualificazione etica.​​ 

2.​​ La ricerca teorico-pedagogica italiana e le sue stagioni.​​ Nel trentennio seguito alla seconda guerra mondiale la pedagogia italiana ha cercato di guadagnare una sua dignità scientifica, in reazione alla stagione «neoidealistica» del periodo fascista, troppo sbilanciata sul riferimento filosofico. E tuttavia la politica educativa e scolastica è stata sostenuta da saggi di natura teorica o comunque da convincimenti teorici di fondo, che, in riferimento ai grandi schieramenti politico-culturali del cosiddetto «arco costituzionale», si raggruppavano in tre principali indirizzi: l’indirizzo​​ personalista,​​ vicino alle forze politiche cristiano-democratiche (ispirato al personalismo di Mounier e di​​ ​​ Stefanini o alla f. di​​ ​​ Maritain); l’indirizzo cosiddetto​​ laico,​​ vicino al variegato settore delle forze liberal-socialiste (ispirato al pragmatismo di Dewey o alla f. liberal-democratica di Calogero o al problematicismo di Banfi); l’indirizzo​​ marxista,​​ vicino alle forze politiche social-comuniste (e fondamentalmente ispirate al marxismo di​​ ​​ Gramsci). Nel corso degli anni settanta, a seguito del forte movimento di critica che ha coinvolto l’intera cultura e che ha scosso profondamente la fiducia accordata alle scienze umane, si è riproposta l’esigenza di una «via filosofica» all’educazione ed alla pedagogia. Essa era motivata dalla volontà di evitare impostazioni settoriali, assolutizzazioni unilaterali, dogmatismi ideologici (tanto più pericolosi quanto più nascosti o travestiti di scientificità o di conclamata aderenza ai fatti). Dopo questa prima stagione focalizzata principalmente sull’analisi critica del linguaggio e delle idee educative e sulla ricomposizione pedagogica dei «dati» provenienti dalle scienze umane, la ricerca teorico-pedagogica si è concretamente mossa lungo tre fondamentali percorsi: uno, qualificabile sostanzialmente come epistemologia pedagogica (che privilegia il rapporto con la pedagogia); l’altro, come analisi e interpretazione teoretica diretta dell’esperienza educativa (e che privilegia piuttosto il rapporto con l’educazione). Negli ultimi tempi, in un clima preoccupato per la globale problematicità della temperie culturale, per le sorti della democrazia e per un futuro di civiltà, anche l’approccio teorico-pedagogico è stato chiamato a riconsiderare globalmente l’educazione, la formazione ed il sapere ad esse relativo (privilegiando il rapporto con la cultura formativa e la cultura in genere).

3.​​ F. implicita e pedagogia come f. applicata.​​ Una visione generale del mondo e della vita, un certo quadro di​​ ​​ valori, una concezione della conoscenza ed in particolare della scienza, sono soggiacenti alle affermazioni pedagogiche che si dicono scientifiche o che sono frutto di ricerca empirica. Spesso queste concezioni di fondo non sono esplicite o sono assunte acriticamente. In molti casi sono mescolate ad altri contenuti culturali pre-scientifici di provenienza esperienziale, tradizionale, politica. A motivo di ciò si corre facilmente il rischio di riversare sulla ricerca scientifica (da fare o fatta) pregiudizi intellettuali, riduttivismi antropologici, intenzioni profonde, soggettive o di parte (e quindi ideologiche nel senso peggiore del termine). Appartiene piuttosto al passato anche la posizione che considera tutta la pedagogia come una f. applicata. È evidente in questa posizione il rischio di una subordinazione della intera pedagogia alla f., misconoscendo le altre fonti della ricerca pedagogica (esperienza, indagine storica, analisi sociologica e psicologica, rilevazione antropologico-culturale, ecc.). Fissando lo sguardo sui principi si può arrivare a perdere di vista l’irriducibile originalità del momento pratico. E forse si verrebbe a misconoscere pure un dato tipico della tradizione: quello che vuole non solo che la pratica educativa sia illuminata dalla riflessione filosofica, ma anche che essa stessa diventi una fonte e uno stimolo di prim’ordine per fare f. e per valutare lo spessore conoscitivo dei principi filosofici. D’altra parte, a suo modo, questa posizione viene a ribadire l’importanza dell’attenzione teoretica ai problemi educativi.

4.​​ La f.d.e. come atteggiamento particolare di fronte ai problemi educativi e come attenzione epistemologico-pedagogica.​​ Per ciò che riguarda lo statuto epistemologico, secondo alcuni l’approccio filosofico all’educazione più che una disciplina specifica starebbe ad indicare un atteggiamento e un modo particolare di affrontare i problemi educativi, specialmente per ciò che riguarda il fine e il senso dell’educazione, il rapporto tra educazione e valori o il riferimento a questioni quali l’uomo e la natura, la sua libertà, il suo futuro, ecc. Per chi la f. è irrimediabilmente ideologia, qualora pretendesse di proporre una qualche visione del mondo e della vita, l’unica possibilità di essere di una f.d.e. è quella di porsi come indagine sulle scienze e cioè come epistemologia o come metateoria. In questo caso, più che parlare di f.d.e. (considerata nel migliore dei casi come trascrizione pedagogica di una qualche ideologia), si dovrebbe più correttamente parlare di f. delle scienze educative o di epistemologia pedagogica o di metateoria dell’educazione. Suoi compiti sarebbero ad es. individuare i rapporti tra ideologia e ricerca scientifico-educativa; studiare le condizioni essenziali del costituirsi del sapere scientifico sull’educazione, la sua specificità, i suoi compiti, i suoi limiti, i suoi contributi; vagliare la logicità intrinseca ed estrinseca del «congegno pedagogico», vale a dire del complesso dei metodi, dei modelli, delle procedure, delle strategie e degli interventi che si propongono; o infine ricercare lo «specifico» della pedagogia rispetto alle altre scienze dell’educazione. Ma per il conseguimento di questi obiettivi generalmente non si crede necessaria una disciplina specifica. Si crede sufficiente una vigilanza critica nella ricerca educativa e nelle affermazioni pedagogiche. Ad evitare residui neopositivistici, è ascoltata da molti la lezione del razionalismo critico popperiano e quella della critica dei post-popperiani al neopositivismo ed al feticismo dei metodi. E quindi si ammette che un’indagine di tipo filosofico possa chiarire problemi, smascherare miti e pregiudizi pedagogici o avanzare ipotesi, o prospettare nuovi modi di vedere e di pensare l’educazione e di agire educativamente. In tal senso la f.d.e. sarebbe come l’«aurora» della scienza o delle scienze dell’educazione. Ma di solito non ci si spinge alla problematizzazione radicale dei principi, dei «fondamenti» ultimi e della «ontologia / metafìsica» che sta sullo «sfondo» della ricerca scientifica o della riflessione su di essa.

5.​​ La f.d.e. tra le scienze dell’educazione.​​ C’è invece chi vede possibile una f.d.e. non solo come una delle fonti per una scienza dell’educazione, ma come disciplina autonoma all’interno del plesso disciplinare che affronta la problematica educativa (e che globalmente può essere denominato​​ ​​ scienze dell’educazione in senso largo). Ad essa si verrebbe ad affidare il compito generale d’investigare sui problemi teorici dell’educazione secondo le modalità proprie dell’approccio filosofico. Rispetto alle altre discipline, la f.d.e. si porrebbe tra quelle che privilegiano il momento analitico-interpretativo del conoscere; e quindi troverebbe a monte di se stessa le discipline a prevalente carattere rilevativo (biologia, psicologia, antropologia e sociologia, storia dell’educazione e della pedagogia, ecc.) e prim’ancora l’intero complesso delle scienze umane e sociali, in vista di una chiara fenomenologia dell’educazione. Nell’espletamento della sua funzione critico-prospettica la f.d.e. contribuirebbe a mettere in luce le linee di tendenza, gli orientamenti innovativi nei confronti dell’intervento educativo, le conseguenze di certe decisioni e strategie educative. E quindi si porrebbe come momento previo o valutativo rispetto alle discipline a carattere metodologico-progettuale (metodologia, didattica, docimologia, tecnologie educative, ecc.). Essa troverebbe la sua punta di diamante nella ricerca di una visione generale che permetta di cogliere il senso e i significati dell’educazione. In ambito cristiano si crede che in tale compito la f.d.e. è affiancata e può interagire proficuamente con la​​ ​​ teologia dell’educazione. In ciò si mostrerebbe chiaramente come l’autonomia disciplinare si aprirebbe all’interdisciplinarità, vale a dire all’incontro, all’interazione e alla coordinazione con le altre discipline pedagogiche e con altri tipi di ricerca educativa, nell’orizzonte ultimo di una risposta più adeguata e attendibile ai problemi dell’educazione e della cultura formativa. L’approccio filosofico verrebbe a porsi come organo dell’intero, dell’universalità e dell’apprensione comprensiva e significativa degli «oggetti»: nel caso specifico, dell’educazione e del sapere pedagogico. Ciò, evidentemente, non è senza la coscienza del rischio di produrre costrutti concettuali assolutizzanti e grettamente ideologici, nel senso che possono risultare poco aderenti alla realtà concreta o addirittura che possono coartarla e manipolarla concettualmente e linguisticamente ai fini di interessi particolaristici, magari non sempre intenzionalmente voluti. Dovendosi basare solo sulla razionalità e la forza argomentativa di quanto si viene affermando, appare abbastanza chiaro che in tale materia non è facile giungere ad affermazioni apodittiche e chiaramente incontrovertibili. Ma si può ragionevolmente pensare che esse siano attendibili nella misura in cui sono tali da resistere ai tentativi di criticabilità nei loro confronti. Ciò va rilevato come condizione previa, soprattutto in questo nostro tempo segnato dal rifiuto delle «grandi narrazioni» o dei saperi sistematici (​​ postmoderno / postmodernità) e dalla elevata coscienza del pluralismo culturale contemporaneo. È appena da notare come questa impostazione presuppone un concetto largo di scienza (vista come sapere rigoroso e giustificato, non totalmente circoscrivibile alle scienze empirico-logiche). A sua volta, come ogni altra forma storica di far f., anche questo modo specifico di filosofare sull’educazione e sulla formazione (e / o sul sapere ad esse relativo) si esprimerà in forme, metodi ed esiti diversificati e pluralistici, in rapporto alle urgenze storico-ambientali, al contemporaneo e comunitario sentire, alla personale comprensione ed esperienza di vita e di fede. Per tal motivo, più che di un’univoca f.d.e. sarebbe più corretto parlare di concrete f.d.e., che realizzano in modo analogo lo stesso e specifico compito.

Bibliografia

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C. Nanni




FILOSOFIA insegnamento della

 

FILOSOFIA: insegnamento della

L’insoddisfazione per la quasi secolare e spesso disattesa riforma gentiliana della scuola in Italia ha suscitato anche nell’insegnamento della f. molte sperimentazioni didattiche riassumibili nella contrapposizione tra metodo storico e metodo problematico.

1.​​ Lo «status quaestionis».​​ Negli anni ‘90 del sec. scorso i «programmi Brocca» della scuola secondaria, in questo recepiti anche dalle riforme successive, per conciliare l’esigenza di contestualità tipica del metodo storico con l’esigenza di criticità tipica del metodo analitico o per problemi e insieme cercare di evitare sia il pericolo di una rassegna di opinioni che genera scetticismo sia il pericolo di un indottrinamento ideologico nell’analisi dei problemi, hanno indicato come metodo proprio dell’insegnamento della f. l’impostazione storico-problematica, con una scansione cronologica per anno, alcuni grandi autori da trattare obbligatoriamente e una serie di nuclei tematici per ogni anno fra i quali operare una scelta. Nel contesto interculturale odierno, per evitare contrapposizioni drammatiche o nuove dittature ideologiche, è necessario accrescere la criticità per un dialogo sereno. L’antitesi tra soggettivo e oggettivo, soggettivo potenziato all’eccesso nel mondo virtuale e oggettivo spesso confuso con giochi di potere, va superata in una loro fondazione unitaria nel primato della alterità come radicale irriducibilità; allora è veramente possibile un ripensamento in radice della educatività della f., a partire dalla categoria dell’Altro.

2.​​ Per una rifondazione dell’insegnamento della f.​​ Si tratterebbe infatti di progettare uno «statuto epistemologico» dell’insegnare ricomponendo il programma a partire da un concetto nuovo, il concetto di scientificità scolastica. La disciplina scolastica della f. non è una riduzione didattico-liceale della corrispondente scienza accademico-universitaria perché non ha come criterio organizzativo un principio intrinseco alla disciplina e cioè la completezza formale dell’argomento, ma un criterio estrinseco e cioè le esigenze dell’educando, i bisogni di una persona in crescita. Occorre quindi proporre un itinerario di sviluppo della razionalità entro la disciplina, che possa essere assunto da ogni alunno come itinerario di sviluppo della propria umana razionalità, al fine di potere individuare un proprio «ruolo» in una società «multiculturale».

3.​​ Suggerimenti operativi.​​ In questo orizzonte epistemologico il momento più significativo sarebbe la comunicazione fra esperienze per una loro trasferibilità. Le tappe di questo percorso, potrebbero essere le seguenti: a) Prima tappa:​​ Una docenza più profondamente comprensiva della razionalità già presente nella disciplina filosofica.​​ In particolare, un migliore utilizzo educativo: 1) dello «statuto epistemologico», ossia dei criteri di formalizzazione dei contenuti, che la disciplina usa come criteri di interpretazione e organizzazione del reale (ad es., il concetto di «spazio» per la geometria); 2) dell’«orizzonte ermeneutico»; ossia la quantità e qualità di reale raggiungibile con quei criteri, e quel tipo di razionalità; 3) della «storicità» e in essa del «principio della trasgressione» come criterio «ri-creativo» del reale. b) Seconda tappa:​​ Una docenza «analogica» e cioè capace di creare interazione tra «testi» e «ripensamento sistematico».​​ In un primo momento si tratterebbe semplicemente di utilizzare alcuni filosofi come espressione più alta di un momento teoretico (ad es. Fichte per l’etica; Schelling per l’estetica...) e di comparare alcuni modelli lontanissimi nel tempo e nello spazio (ad es. la mistica di Eckart e lo Zen di Suzuki), per fare intendere i cammini paralleli dello stesso spirito umano. Si può arrivare poi a presentare la f. di un pensatore, come riflessione su un’esperienza vitale già conclusa per consegnarla teoreticamente a tutta l’umanità (ad es.​​ ​​ Platone per la​​ polis;​​ s.​​ ​​ Tommaso per la esperienza comunale; Cartesio per l’assolutismo dinastico...). c) Terza tappa:​​ Una docenza capace,​​ contemporaneamente,​​ di accogliere la nuova cultura dei mondi vitali e di integrarla con la tradizionale cultura umanistico-scientifica tipica della scuola,​​ perché capace,​​ previamente,​​ di strutturarla secondo specifici criteri di formalizzazione.​​ Così, ad es., l’introduzione della tematica della​​ ​​ pace si è rivelata come un nuovo modo di fare cultura perché il criterio di collaborazione fra persone diventa criterio altrettanto razionale quanto quello della coerenza logica per la riflessione.​​ 

4.​​ Conclusione e sintesi.​​ Il punto nodale starebbe quindi nella capacità del soggetto docente di mettere in moto un processo di riflessione sullo «statuto epistemologico dell’insegnare», in cui l’intuizione della scientificità scolastica si strutturi in una teoria di insieme, entro la quale le tradizionali discipline scolastiche diventino modelli strutturati e successivi di razionalità, per uno stimolo, confronto e misura con l’itinerario di sviluppo della propria razionalità da parte di ogni singolo alunno. Ciò che diventa quindi primario nell’insegnamento non è solo quello che ha detto un determinato filosofo, ma il perché una data f. ha progressivamente convinto gli esseri umani di una determinata epoca e perché poi altre sono risultate più convincenti e sono perciò prevalse. Sono quindi i paradigmi di un passaggio «da ... a ...» più che una presunta conoscenza di fini ultimi, ciò che determina il senso del progredire educativo realizzabile attraverso l’insegnamento della f.

Bibliografia

Forment E. et al.,​​ Enseñanza de la filosofía en la educación secundaria, Madrid, Rialp,​​ 1991; Folscheid D. - J. S. Wunenburger,​​ Metodologia filosofica, ediz. it. a cura di G. Zuanazzi, Brescia, La Scuola, 1996; De Pasquale M. (Ed.),​​ F. per tutti.​​ La f. per la scuola e la società del 2000, Milano, Angeli, 1998; Berti E. - A. Girotti,​​ F. La f. nel dibattito sui saperi essenziali e sulla nuova professionalità del docente, Brescia, La Scuola, 2000; Restelli S. (Ed.),​​ La f. e le altre discipline. Percorsi didattici multidisciplinari per la scuola superiore, Milano, Angeli, 2000; Schoepflin M.,​​ L’insegnamento della f. in Italia,​​ oggi, Roma, Casa editrice Leonardo da Vinci, 2001; Trombino M.,​​ L’officina del pensiero. Insegnare e apprendere f. Manuale-laboratorio didattico, Milano, LED Edizioni Universitarie, 2004; Morini P.,​​ La f. per modelli di razionalità: una proposta metodologica, in «Comunicazione filosofica» 17 (2006) 4-13; Illeterati L. (Ed.),​​ Insegnare f. Modelli di pensiero e pratiche didattiche, Torino, UTET, 2007.

P. De Giorgi - M. Marin




FINE DELL’EDUCAZIONE

 

FINE DELL’EDUCAZIONE

Il f.d.e. è insieme la meta e l’orizzonte dell’​​ ​​ azione educativa. All’interno di un progetto esso si specifica e si articola in​​ finalità,​​ che a loro volta trovano negli​​ ​​ obiettivi​​ la loro determinazione controllabile, verificabile e valutabile in termini di conoscenze, atteggiamenti e abilità che si intendono conseguire attraverso​​ ​​ l’intervento educativo.

1.​​ Il​​ discorso pedagogico sul f. e sulle finalità dell’educazione.​​ Parlare di f.d.e. è oggi non facile per la crisi, l’innovazione, il​​ ​​ pluralismo e il multiculturalismo di idee, di valori e di cultura che attraversano la vicenda storica attuale. Peraltro l’enfasi sulla tecnologia spinge a preoccuparsi più dell’efficacia e della produttività che delle questioni di principio; porta ad affidarsi più alle strumentazioni rigorose e precise, che alle teorie astratte, più alle mete da raggiungere che alle questioni umane e sociali che vengono messe in gioco dai processi produttivi. Sicché è facile che il discorso sui f. ultimi, sul quadro ideale di riferimento, sulle ripercussioni umane delle strategie d’azioni, resti piuttosto implicito (anche se non per questo meno incidente sulla qualità totale del processo). In tal senso negli anni trascorsi si è parlato di pedagogia degli obiettivi che metteva in ombra la pedagogia del f. Tuttavia è da dire che oggi, il discorso sui f. e sulle finalità, come quello delle teorie e dei​​ ​​ valori ha ripreso consistenza forse anche a motivo dei limiti e dei rischi di una prospettiva troppo tecnologica o troppo pragmatica, di cui si va prendendo coscienza. Attraverso un tale lavoro la pedagogia offre all’educazione le indicazioni che danno senso a contenuti, processi, metodi, istituzioni. I f. chiedono specificamente alla pedagogia due contributi: anzitutto una teoria della funzione dei f. nel progetto educativo: definizione funzionale di scopi, finalità specifiche, obiettivi; esigenza di caratteri di chiarezza, comunicatività, operabilità della loro formulazione, per assolvere la funzione complessa in fase di progettazione, attuazione, verifica e valutazione dei risultati, proseguimento ottimale. Poi una metodologia per i responsabili e gli operatori, quando si impegnano a formulare concretamente quadri e sequenze per l’elaborazione operazionale all’interno di un progetto. È l’aspetto che ora viene considerato.

2.​​ Determinare i f.​​ I f.d.e. si determinano per via deduttiva o induttiva? La​​ ​​ storia della pedagogia conosce le due vie e le loro composizioni. Nella pedagogia classica prevaleva la derivazione deduttiva dall’alto, o meglio l’assunzione dall’esterno, da premesse assiologiche e deontologiche di natura filosofica, teologica, morale, giuridica o culturale. Fissare e assegnare le finalità dell’educazione in buone forme di vita e di condotta della persona era diritto della​​ ​​ famiglia, della​​ ​​ Chiesa e modernamente dello Stato. Per altri le finalità educative erano considerate come preesistenti per volontà di Dio, e iscritte nella natura dell’uomo. Alla pedagogia, come​​ ancilla, veniva assegnato il compito di attuarle con opportune metodiche e tecniche, magari in collaborazione con psicologia in vista dell’adeguatezza significativa agli educandi. Al mutare moderno dei modi di pensare, concentrati non più sulle idee e sui valori ideali, ma sulla realtà e i suoi problemi, le prospettive sono cambiate. Nella prassi pedagogica i f. non sono più idee e valori, ma problemi da risolvere, scopi e risultati da perseguire, considerando stati di partenza e di arrivo dentro i contesti dove si colloca l’educazione o meglio la​​ ​​ formazione. In questo lavoro fanno da guida nuovi riferimenti empirici: biologia, psicologia, società e socialità, economia, convivenza civile e politica, neo-umanismi di scienza, arte,​​ ​​ cultura, eticità e religione, nel loro divenire storico; con attenzione alle identità culturali e perfino alle condizioni di opinione, usi e costumi, consensi e regole di maggioranza. La traduzione progettuale si orienta variamente nei pedagogisti e educatori a finalità di conoscenze di vario indirizzo, ad attitudini e atteggiamenti personali e sociali, a competenze operative a forme di convivenza democratica e solidale. Forse oggi una posizione più matura invita a trovare la sintesi tra le due posizioni. In questo senso non si tratterà più solo di finalità di valori discendenti, né solo di obiettivi di problemi contingenti da risolvere o di esiti da promuovere, ma di finalità pedagogiche e educative in vista del conseguimento di valori che si intravedono nella situazione formativa concreta allo stato di problemi e che chiedono alla pedagogia la traduzione delle istanze composite in termini operabili di scopi, finalità, obiettivi a lungo, medio e breve termine.

3.​​ Finalità a lungo termine.​​ Sono i risultati che l’educazione, una volta ben attuata, consegna ai sovrasistemi che ultimamente la motivano, ne regolano l’insieme dei progetti e processi e per i quali l’educazione nasce e opera, offrendo il suo specifico contributo. Si possono porre in questo ambito problemi che oggi nella realtà mondiale e locale, trovano spazi normali o insufficienti, giusti o negati, o comunque limitati. Piani e progetti d’educazione sono chiamati a promuovere tali valori, contribuendo a risolvere o per lo meno a ridurre i problemi. Vi rientrano: a)​​ valori-problemi dell’uomo-persona individuale.​​ Mirano a garantire una condizione di vita umanamente degna che oggi è troppo limitata, spesso fallimentare, negata a troppi: nascere sani, essere amati, accolti, aiutati a maturare e a sviluppare la propria personalità, nel concreto vivere storico-comunitario e nei suoi trend di sviluppo. Diventare sostanzialmente ed esistenzialmente​​ ​​ persone, sviluppando e maturando qualità, dignità, libertà, consapevolezza, virtù. Aprirsi e prepararsi per il largo e retto inserimento partecipativo, attivo nei sistemi di società, cultura, lavoro, fede. Trovare significati e senso, criteri e norme per sé, per la vita, per l’agire, per gli accadimenti. Superare o rimediare i condizionamenti fisici, mentali, culturali, recuperando le devianze e le emarginazioni, e integrando le diversità. Trovare condizioni di libertà e giustizia. Valorizzare l’identità maschile e femminile e la varia integrazione. Saper affrontare ogni fatto dell’esistenza con consapevolezza, responsabilità, solidarietà, competenza, valore: sono queste alcune finalità di questo tipo; b)​​ valori-problemi della​​ ​​ società.​​ Vi viene compreso: Promuovere nelle società patrimoni culturali di verità, amore, giustizia, comprensione, solidarietà e pace. Trasformare la​​ ​​ società e le società, le istituzioni, le convivenze, ogni volta che è giusto, in comunità di persone. Migliorare le condizioni dei beni e dei servizi. Far evolvere la convivenza civile e la struttura politica in funzione del bene comune. Superare i regimi totalitari di privilegio e violenza. Risolvere in modo positivo i gravi problemi locali e del mondo: fame, casa, lavoro, sanità, studio, libertà, emigrazione. Formare quadri responsabili civili e politici a tutti i livelli, nonché operatori dotati di competenza e amore. Ampliare la partecipazione attiva di tutti. Raggiungere condizioni comuni di progresso, uguaglianza, libertà. Riqualificare gruppi in crisi: famiglia, scuola, lavoro, città, chiese; c)​​ valori-problemi della cultura.​​ Si può collocare qui: conservare la cultura, fruirne, produrla. Coltivare se stessi. Promuovere la ricerca e lo sviluppo delle scienze, arti, tecniche dell’uomo, della natura, della vita, dello spirito. Equilibrare e armonizzare gli assi cultuali che li riguardano. Risolvere i temi della pluralità delle culture e quindi di ogni cultura: conservazione, integrazione, transizione critica, innovazione. Formare all’uso valido dei mezzi della comunicazione sociale, a diventarne operatori; d)​​ valori-problemi del​​ ​​ lavoro e della​​ ​​ professionalità.​​ In questo ambito si colloca: umanizzare il lavoro, socializzarsi nel lavoro, professionalizzare i lavori. Maturare una cultura, etica, spiritualità, politica del lavoro. Garantire il rifornimento dei quadri professionali per ogni livello e indirizzo. Promuovere la concezione imprenditoriale del lavoro con partecipazione attiva. Garantire un lavoro trasformatore dell’uomo e non solo della natura; e)​​ valori-problemi degli ordini di​​ ​​ morale e​​ ​​ religione.​​ Qui è da pensare a: passare da sistemi di tradizione e trasmissione a sistemi di costruzione o ricostruzione personale e attuale delle norme dai valori inerenti nella realtà e nella vita. Promuovere vite ricche di coscienza e sensibilità, di virtù di bontà e giustizia, aperte all’infinito e all’assoluto dell’uomo, fino agli orizzonti religiosi, per i credenti. Rispondere alla domanda trascendente dell’etica e del divino come realtà oggettive e come dimensioni della persona, significati e condizioni di pienezza e di salvezza. Per i cristiani in particolare, percorrere a fondo i cammini di vita-fede-vita, impostare e risolvere i temi di​​ ​​ vocazione e missione, attuare storicamente i piani trascendenti di Dio in Cristo, per la Chiesa, nel mondo. Queste finalità educative di lungo termine evitano conflitti di priorità instaurando un maturo policentrismo che vede ognuna al centro del riferimento di ogni altra e a suo tempo in rapporto periferico con ogni altra al centro. E in quanto educative, vedere e attuare queste finalità nel formarsi e nella qualificazione umana delle persone (individui, gruppi, comunità) per il tramite di idee, progetti, programmi, interventi di aiuto e di stimolo per l’appunto educativo.

4.​​ F. a medio termine.​​ Sono i risultati attesi dall’azione educativa al termine degli anni giovanili, in rapporto ai f. precedenti. L’ipotesi è che entrando nella «maggiore età» la persona possa essere considerata sufficientemente educata e in grado di inserirsi autonomamente nelle realtà adulte e provvedere alla sua permanente riqualificazione umana, pur usufruendo dei «servizi» sociali di formazione permanente. Oggi la politica educativa e la pedagogia propendono per una coestensività di evolutività e vita (e quindi di dilatamento dell’educazione «per tutta la vita», a tutte le dimensioni della vita, in tutte le situazioni di vita). Ma forse l’ipotesi sopra indicata si può mantenere per impostare proficuamente il lavoro degli anni precedenti, che avrebbero il loro «télos», vale a dire il loro finalismo educativo, che oggi, rispetto alla​​ ​​ paideia classica, si esprimerebbe: nella figura dell’uomo capace di un uso abituale largo e retto della​​ ​​ libertà; dell’uomo preparato per entrare esperto e onesto nei ruoli sociali, politici, economici; nella persona che ha raggiunto un idoneo patrimonio di saper fare, sapere e saper essere, saper vivere insieme con gli altri nel mondo e nella storia, pur aperta al trascendente; dell’uomo capace di decisioni e scelte libere, responsabili, solidali, utili. O che – in termini bio-psico-sociali – si esprimerebbe: nella​​ ​​ maturità adulta della personalità integrata sufficientemente capace di funzionalità completa, dotata di contenuti e capace di inserimenti e relazioni, di assumere ruoli e funzioni esperti. Si tratta di maturità organica e funzionale, relazionale, sociale e culturale, etica e morale, religiosa (e cristiana), vocazionale e professionale, per affrontare bene la vita di ogni giorno.

5.​​ F. a breve termine.​​ Sono costituiti dai quadri programmatici della formazione e dalle sequenze del loro sviluppo. Vi rientrano: a) un​​ quadro orizzontale​​ di obiettivi attorno ai quali lavorare con continuità e che hanno come quadro​​ le aree educative della crescita organica e funzionale, fisica corporea, mentale, spirituale, sociale, morale, religiosa, cristiana, sessuale, cultuale, artistica, orientativa;​​ le​​ ​​ relazioni reali ed esistenziali​​ dell’Io con sé, con gli altri, con la natura, la società, la cultura, gli accadimenti, con Dio (e, in ambito cristiano, con Cristo e con la Chiesa);​​ i problemi caratteristici​​ che si presentano nelle diverse fasi dello​​ ​​ sviluppo evolutivo d’infanzia, pubertà, adolescenza, giovinezza, età adulta;​​ l’acquisto degli strumenti​​ del vivere e convivere, lavorare, comunicare, esprimersi con libertà crescente, come scienze, lingue, tecniche, arti,​​ ​​ virtù morali e sociali; b) la​​ sequenza verticale​​ lungo il passare degli anni, con l’attuarsi della maturazione generale, in cui sono da tener presenti i gradi e passi successivi del divenire maturativo e solutivo del quadro precedente, ponendo e attuando gli obiettivi successivi che accompagnano le età evolutive della maturazione progressiva, gli avvenimenti che chiedono aiuto, alimento, correzione (e, nell’ipotesi dell’educazione permanente, quelle diverse età, condizioni e situazioni di vita).

6.​​ Rendere operazionali i f.​​ L’indicazione non basta. L’operazionalità si persegue definendo i f. che si intendono promuovere o ottenere nei soggetti mediante l’educazione. Si descrivono i contenuti di tale stato finale: le​​ ​​ conoscenze che si richiedono per avviarlo e per svolgerlo e acquisirlo; gli​​ ​​ atteggiamenti e i comportamenti, intimi e relazionali; le​​ ​​ competenze della vita personale e sociale. Di essi si precisano l’estensione voluta, la rigorosità di acquisizione e padronanza, le tolleranze minime e le varianze. È necessario articolare la finalità ultima in una sequenza analitica di​​ unità minori​​ di natura dispositiva e preparatoria, contenutistica, processuale e finale. Si determina una scala progressiva di obiettivi di avvicinamento: di buona partenza e buon cammino (comunicazione del f. e degli obiettivi scalari, consenso sul f. e sui mezzi, ricerca dei modi validi e efficaci); di acquisizione intermedia e successiva; di promozione e garanzia di condizioni di buon andamento che rendono il f. raggiungibile (attenzione, tensione, impegno, comprensione, decisione, lavoro di ricerca); tempi di lavoro (lunghi, brevi, immediati, urgenze); ritmi lasciati liberi o rigorosi; valutazioni dei risultati, degli andamenti, delle strutture operative. Si suppongono (e sono quindi eventualmente da verificare e promuovere) le buone attitudini di tutti gli operatori e l’effettivo impiego dei supporti esecutivi: mezzi, strumenti, processi, procedimenti che si credono necessari, utili, possibili, attrezzatura dei luoghi. È infine da dire che il discorso pedagogico sul f. e sulle finalità dell’educazione ha una «normatività» teleologica, non tecnica: dice, cioè, i traguardi da raggiungere ed i grandi principi dell’azione, ma è «incompetente» per ciò che riguarda concretamente il come, il quando, il dove, con chi e con che mezzo o rispetto a chi tali finalità sono da perseguire. Di ciò non c’è scienza, ma solo incontro, confronto ragionato e pratico, azione prudente, tatto.

Bibliografia

Maritain J.,​​ L’educazione al bivio,​​ Brescia, La Scuola, 1963; Freire P.,​​ La pedagogia degli oppressi,​​ Milano, Mondadori, 1971;​​ D’Hainaut L.,​​ Des fins aux objectifs pédagogiques.​​ Paris, Nathan, 1977; Birzea C.,​​ Rendre opérationnels les objectifs pédagogiques,​​ Paris, PUF, 1979;​​ Giesecke H.,​​ Das Ende der Erziehung,​​ Stuttgart, Klett-Cotta, 1985; Scurati C.,​​ Profili nell’educazione.​​ Ideali e modelli pedagogici nel pensiero contemporaneo, Milano, Vita e Pensiero, 1996; Gianola P.,​​ Il campo e la domanda,​​ il progetto e l’azione. Per una pedagogia metodologica.​​ Ediz. a cura di C. Nanni, Roma, LAS, 2003.

P. Gianola - C. Nanni​​ 




FLORES d’ARCAIS Giuseppe

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FLORES d’ARCAIS Giuseppe​​ 

n. a Pontelagoscuro (Ferrara) il 20 giugno 1908 - m. a Padova il 4 agosto 2004, pedagogista italiano.

1. Professore ordinario di Pedagogia dal 1953 nell’Università di Padova, dal 1975 è stato professore ospite nella Facoltà di Filosofia dell’Università di Würzburg dalla quale ha ricevuto il dottorato​​ honoris causa​​ nel luglio 1981. È stato uno dei fondatori della Facoltà di Magistero dell’Università di Padova e viene unanimemente considerato uno dei massimi esponenti del​​ ​​ personalismo pedagogico italiano. Con Raffaele Resta ha fondato e diretto ininterrottamente dal 1941 «Rassegna di Pedagogia», la più antica rivista del settore in Italia. Contemporaneamente ha diretto anche le riviste​​ «Lumen»; «Studi Teatrali»; «Studi Cinematografici e Televisivi»; «I Licei e i loro Problemi», «Il Gazzettino della Scuola» .

2. Scritti principali:​​ Preliminari di una fondazione del discorso pedagogico, Padova 1972; Premessa deontologica del discorso pedagogico,​​ Padova 1975;​​ Le ragioni di una teoria personalistica dell’educazione, Brescia 1987;​​ Pedagogie personalistiche e / o pedagogia della persona​​ , Brescia 1994;​​ Intervista alla pedagogia, Brescia 1998. Numerosi gli articoli nelle riviste su citate. La copiosa produzione pedagogica di F.d’A., orientata allo spiritualismo cristiano, maturato attraverso la lezione di E. Trailo e di​​ ​​ Stefanini , sulle orme del pensiero di​​ ​​ Mounier,​​ ​​ Maritain e del mondo degli intellettuali che si raccolgono attorno alla rivista francese «Esprit», elegge la persona a​​ primum​​ del discorso della / sulla educazione. Su queste basi teoretiche arricchite dal confronto con indirizzi filosofico-pedagogico contemporanei, F.d’A. conferisce sistematicità ad una pedagogia personalista​​ iuxta propria principia​​ che l’Università di Padova ha ereditato e porta avanti come tratto caratteristico nel panorama nazionale degli studi pedagogici.​​ 

Bibliografia

a)​​ Fonti: tra i principali scritti di F.​​ Le ragioni di una pedagogia personalistica, Brescia, La Scuola, 1987;​​ Pedagogie personalistiche e / o pedagogia della persona,​​ Ibid., 1993; F.d’A. - C. Xodo Cegolon,​​ Intervista alla pedagogia, Ibid., 1998.b)​​ Studi:​​ Sul pensiero di G.F.d.A., in «Rassegna di Pedagogia» (2006) 1-4 (n. monogr.); Xodo C., «Il Magistero di Padova e i suoi maestri», in Id. (Ed.),​​ Il Novecento secolo dell’università. Tra continuità e rottura, Padova, CLEUP, 2000.

C. Xodo