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FACILITATORE

 

FACILITATORE

Il f. può essere definito come un professionista «consulente di processo nelle organizzazioni e agente di benessere relazionale nei gruppi e nel sociale» (De Sario, 2005, 13).

1. Non può, pertanto, essere ridotto soltanto al ruolo di​​ tutor​​ o di mediatore di comunicazione e discussione in gruppi o riunioni. La figura professionale del f. si specifica per la sua capacità di organizzare e gestire risorse sociali e tecniche a un tavolo di lavoro (catalizzatore); di facilitare la comunicazione nel gruppo e nella riunione (mediatore); di gestore di conflitti tra persone e delle tensioni emotive delle singole persone (agente di aiuto), di sostenitore e motivatore di apprendimento nei singoli, nel gruppo, nella organizzazione (motivatore).​​ 

2. Tutto questo lo realizza in tre ambiti fondamentali: le organizzazioni, il sociale e il territorio; all’interno dei quali l’attenzione va agli adulti (uomini e donne), per renderli consapevoli e attori protagonisti e per fare da ponte per incentivare dinamismo e dialogo. Questo è il modo più semplice e completo di precisare ciò di cui si occupa, le sue competenze fondamentali, gli ambiti e le finalità di intervento. Vi è, tuttavia, anche un altro aspetto che non si deve trascurare.

3. In riferimento agli adulti e all’adultità da sviluppare e abilitare a nuove possibilità, il f. è anche formatore, un’azione che mette in atto per migliorare processi e percorsi di apprendimento come​​ self empowerment.​​ Questa azione si concretizza in una metodologia che attiva quattro fasi, ciascuna con attenzioni e obiettivi specifici: formazione «orientamento» (aiutare a pensarsi in modo positivo nel nuovo), formazione «competenza» (acquisizione di nuove metodologie e di uso di nuovi strumenti), formazione «elaborazione» (di resistenze e di preoccupazioni che impedirebbero di aprirsi al nuovo), formazione «azione» (verifica operativa del nuovo a partire da sperimentazioni fatte). Queste sono tutte attenzioni importanti per un intervento formativo efficace con gli adulti. Il f., sia come consulente di processi o agente di benessere sociale, che come f. di processi di apprendimento, trasmette conoscenza, è attento alle persone e ha cura del clima d’aula o di ambiente di formazione. In questo modo egli diventa anche «tessitore di reti» e protagonista di processi di innovazione nelle organizzazioni, nella formazione e nel sociale in generale.

Bibliografia

Bruscaglioni M.,​​ Per una formazione vitalizzante. Strumenti professionali, Milano, Angeli, 2005; De Sario P.,​​ Professione f. La competenze chiave del consulente alle riunioni di lavoro e ai forum partecipati, Ibid., 2005; Id.,​​ F. dei gruppi. Guida per la facilitazione esperta in azienda e nel sociale, Ibid., 2006; Rotondi M.,​​ Facilitare l’apprendere. Modi e percorsi per una formazione di qualità, Ibid., 2006.

V. Orlando




FACOLTÀ DI SCIENZE DELL’EDUCAZIONE

 

FACOLTÀ DI SCIENZE​​ DELL’EDUCAZIONE​​ 

Istituto universitario di insegnamento, di studio e di ricerca nell’ambito delle scienze riguardanti la teoria pedagogica e i fatti educativi.

1.​​ Precedenti storici.​​ Le f.s.d.e. sono di recente creazione. Benché l’espressione si sia generalizzata nella seconda parte del sec. XX, all’interno di uno stesso Paese o contesto culturale vengono usati oggi nomi diversi. Allo scopo di collocare in una adeguata cornice gli inizi e lo sviluppo delle prime f.s.d.e. propriamente dette, si accenna ad alcuni precedenti e, in particolare, al posto che l’insegnamento della​​ ​​ pedagogia ha occupato progressivamente nell’ordinamento scolastico. Dalle notizie sui seminari creati nel sec. XVII da Ch. Demia e da G. B. de​​ ​​ La Salle «per la formazione dei maestri di scuola» si desume che lo scopo prefisso era fondamentalmente pratico. Lo stesso si deve dire del​​ Seminarium praeceptorum​​ fondato da​​ ​​ Francke nel sec. XVIII. Nel corso del sec. XIX, per rispondere all’istanza di preparazione pedagogica degli insegnanti, viene organizzata la​​ ​​ scuola normale, nel cui programma è sempre più presente lo studio della pedagogia. In Italia detta scuola fu preceduta dalle scuole provinciali e dalla scuola superiore di​​ ​​ metodo (1845); quest’ultima (presso l’Università di Torino) fu trasformata in «cattedra di pedagogia». Nel 1887 venne creata la cattedra di pedagogia alla Sorbona (sospesa tra il 1917 e il 1956). Riferendosi alle università francesi, Compayré scriveva alla fine del sec. XIX: si «insegna la pedagogia, sia in una cattedra magistrale come a Parigi, sia in corsi e conferenze come a Lione e a Tolosa»; e precisava che la pedagogia era chiamata ufficialmente «science de l’éducation». Negli Stati Uniti i​​ Departments of the Science and Art of Teaching​​ si erano diffusi notevolmente. In diverse università tedesche (Jena, Heidelberg, Halle, Lipsia), fin dal sec. XVIII i professori di filosofia erano tenuti a dettare un corso di pedagogia (Pädagogik).​​ Sono noti, in particolare, i testi delle lezioni di​​ ​​ Kant e di​​ ​​ Herbart.

2. Scuole e istituti di s.d.e.​​ Iniziative più organiche vengono attuate nei primi decenni del sec. XX. Nel 1912,​​ ​​ Claparède e Bovet fondano a Ginevra l’École des Sciences de l’Éducation​​ (Institut J. J. Rousseau),​​ intesa come centro di ricerca, d’informazione e di propaganda. Il suo motto (discat a puero magister)​​ ne esprime l’orientamento generale: portare gli educatori a una migliore conoscenza del bambino come presupposto per una educazione scientificamente valida. Precisando le origini dell’opera, Bovet scriveva:​​ «Je ne vis que le Tessin et l’Italie, où les​​ Scuole di Pedagogia​​ de Credaro inauguraient alors quelque chose d’analogue à ce que nous voulions créer» (Bovet,​​ 1932, 16). Nel 1929 l’Institut​​ fu affiliato alla f. di Lettere dell’università di Ginevra. Nello stesso anno il senato accademico approvò la risoluzione di​​ «étudier le plan d’une Faculté des Sciences de l’Éducation» (Bovet,​​ 1932, 131). Ma solo nel 1967 è creata in Francia una​​ licence​​ in s.d.e. Nel 1969 l’Istituto di psicologia e pedagogia di Lovanio venne trasformato in f. di psicologia e s.d.e. Nel 1937, a opera dei padri benedettini, era sorta in Brasile la Facultade Livre de Filosofia e Pedagogia, aggregata alla Università cattolica di São Paulo. Ma in nessuno di questi casi si trattava di una f.s.d.e. nel senso pieno del termine.

3.​​ La F.s.d.e. dell’Università Salesiana​​ (= FSE).​​ Nel 1941 erano iniziate invece a Roma, presso la Congregazione degli Studi, le pratiche per l’approvazione, «come f. di pedagogia», dell’Istituto fondato presso il Pontificio Ateneo Salesiano (= PAS) di Torino, da​​ ​​ Leôncio Da Silva (1887-1969), per iniziativa di P. Ricaldone, rettor maggiore dei​​ ​​ Salesiani e gran cancelliere del PAS. In un primo momento, le autorità vaticane ritengono che la pedagogia «non sia una scienza sufficientemente autonoma», constatando che non esistono istituti del genere «né nel campo ecclesiastico né in quello civile». Il parere favorevole di alcuni uomini di cultura (​​ Maritain, Garrigou-Lagrange, Paschini, Pende), la progressiva organizzazione dell’Istituto torinese e la serietà delle ricerche svolte e degli scritti pubblicati sulla rivista «Orientamenti Pedagogici» da P. Braido,​​ ​​ Calonghi, P. G. Grasso, R. Titone, spingono l’organismo vaticano ad accogliere la «novità», approvando nel 1956 l’Istituto Superiore di Pedagogia (= ISP). In momenti diversi collaborarono, nell’ISP / FSE,​​ ​​ Corallo, P. Gianola,​​ ​​ Sinistrero, G. Dho. L’approvazione sanzionava «il principio, secondo cui uno studio solido e rigoroso delle s.d.e. esige un tale complesso di ricerche teoriche, positive, storiche e tecniche, da giustificare l’organizzazione di un complesso​​ curriculum studiorum​​ altamente qualificato, a livello universitario» (Braido, 1956, 647). Nel dare la notizia ai lettori, un collaboratore di «Scuola Italiana Moderna» scriveva: «La prima f. di Pedagogia è sorta in Italia nel nome di don Bosco» (Giammancheri, 1957, 7-8). Di fatto il titolo di f.s.d.e. venne conferito ufficialmente nel 1973, quando il PAS diventò Università Pontificia Salesiana (= UPS), con sede a Roma. Sin dalla sua approvazione, l’ISP funzionò autonomamente come f. universitaria. Anzi, con la sua impostazione​​ teoretico-positiva​​ e la sua struttura scientifica​​ unitaria e complessa,​​ esso si configurò come un’istituzione originale nell’ambiente pedagogico degli anni ’60. Per l’attuazione dei compiti di ricerca e di docenza la FSE comprende oggi diversi istituti (teoria e storia, metodologia pedagogica, metodologia didattica e della comunicazione sociale, catechetica, psicologia, sociologia) e centri (consulenza psico-pedagogica, osservatorio della gioventù). I corsi si articolano nei seguenti curricoli di specializzazione: teoria-storia e metodologia dell’educazione, pedagogia sociale, pedagogia per la scuola e la formazione professionale, psicologia dell’educazione, pastorale giovanile e catechetica (in collaborazione con la f. di Teologia dell’UPS). All’interno della FSE funziona anche una scuola superiore di psicologia clinica. In stretto rapporto con l’ISP sorse a Torino l’Istituto Pedagogico delle​​ ​​ Figlie di Maria Ausiliatrice, trasferito a Roma ed elevato nel 1970 a Pontificia f.s.d.e. «Auxilium». Alle scelte teoriche e metodologiche della FSE si è ispirata l’impostazione di alcuni centri superiori, come la f. di Pedagogia dell’Università Pontificia di Salamanca (Spagna).

4.​​ F.s.d.e. e di scienze della formazione.​​ L’organizzazione degli studi pedagogici a livello universitario si presenta attualmente variegata e sono in corso profondi cambiamenti. A livello europeo sono in atto notevoli processi di innovazione e di coordinamento dell’università e dell’istruzione tecnico-superiore, in linea con quello che è stato detto il​​ ​​ processo di Bologna (1999). Le indicazioni europee e la domanda sociale di formazione, hanno portato in Italia a mutamenti anche nel settore educativo-scolastico. A livello universitario, già nel 1995, le f. di Magistero erano state soppresse e trasformate, per lo più, in f. di s. della formazione, al cui interno si collocava il corso di laurea in s.d.e., di quattro anni di durata, articolato in un biennio propedeutico e un successivo biennio con tre indirizzi (insegnanti di scienze umane, educatori professionali, esperti nei processi di formazione); anche nelle f. di lettere poteva essere attivato un corso di laurea in s.d.e. Ma queste stesse impostazioni, a seguito del processo di Bologna, sono state modificate, a cominciare dall’adozione di due cicli rispettivamente di tre anni (corso di laurea) e di due anni (corso di laurea Magistrale) a cui fa seguito il ciclo del dottorato (tre anni). Si sono avviati in molte sedi universitarie Master di specializzazione. Ma la situazione è ancora fluida e in processo, anche a seguito della riforma scolastica e della conseguente necessaria revisione del reclutamento e della formazione universitaria degli insegnanti, che a tutt’oggi (2007) non ha ancora avuto definitiva attuazione. In Spagna le​​ Escuelas Normales​​ si sono trasformate, nel 1970, in​​ Escuelas Universitarias de Formación del Profesorado;​​ esistono inoltre f. autonome di​​ Ciencias de la Educación.​​ Nelle università inglesi e nordamericane viene usato il nome di​​ School of Education;​​ e vi esistono​​ Teachers college​​ per la formazione degli insegnanti. In Germania hanno avuto una lunga tradizione le​​ Pädagogische Hochschulen;​​ negli anni ’70, dalla loro fusione con le​​ Fachhochschulen​​ o con le​​ Theologische Hochschulen​​ sono sorte le​​ Gesamt-hochschulen.​​ In America Latina la terminologia è varia. Al di là delle differenti modalità organizzative (​​ istruzione superiore,​​ ​​ organizzazione scolastica), è sempre più affermata oggi l’esigenza di un «sistema» di approcci scientifici diversi (storico, psico-sociologico, sperimentale, teorico, metodologico, tecnologico, didattico) alla realtà educativa.

Bibliografia

Bovet P.,​​ Vingt ans de vie.​​ L’Institut J.J. Rousseau de 1912 à 1932,​​ Neuchâtel / Paris, Delachaux & Niestlé, 1932; Braido P.,​​ Una scuola universitaria di pedagogia,​​ in «Orientamenti Pedagogici» 3 (1956) 647-650; Giammancheri E.,​​ La prima f. di pedagogia è sorta in Italia nel nome di don Bosco,​​ in «Scuola Italiana Moderna» 66 (1957) 17, 7-8; Debesse G. M. - G. Mialaret,​​ Trattato delle scienze pedagogiche,​​ 1.​​ Introduzione,​​ Roma, Armando, 1971; Malizia G. - E. Alberich (Edd.),​​ A servizio dell’educazione. La FSE dell’UPS,​​ Roma, LAS, 1984; Prellezo J. M.,​​ Alle origini della FSE, in «Orientamenti Pedagogici» 48 (2001) 876-906; Galliani L. - E. Felisatti,​​ Maestri all’Università. Modello empirico e qualità della formazione iniziale degli insegnanti, Lecce, Pensa, 2002.

J. M. Prellezo




FAMIGLIA

 

FAMIGLIA

Il termine f. deriva dal latino​​ familia,​​ dove però, come si dice nel​​ Codice giustinianeo​​ (VI, 38, 5), comprendeva, oltre a genitori e figli, «parenti e beni, liberti e patroni non esclusi gli schiavi» (chiamati appunto anche​​ famuli).​​ Qui la f. è pensata quasi solo dal punto di vista pedagogico, in quanto luogo che facilita o ostacola la crescita personale.

1.​​ Contro e a favore della f. nella tradizione occidentale.​​ Potremmo, a mo’ di schema, far risalire a​​ ​​ Platone e ad​​ ​​ Aristotele la principale fonte ispiratrice delle accezioni prevalentemente negative o positive del termine f. Per Platone, che anche in ciò amava rifarsi al modello spartano, la f. non rappresentava un valido ambiente educativo, essendo l’uomo assorbito dalla vita pubblica e la donna più adatta all’allevamento (anatrophè)​​ che all’educazione dei figli (paidèia).​​ Molto più valida dal punto di vista educativo è la​​ paiderastìa,​​ sia pure nella forma sublimata (che da lui prese nome), nella quale la presenza degli atti sessuali (aphrodìsia)​​ è velata se non annullata, dato che nella coppia d’amanti (uno giovane e uno adulto, modello e guida del primo) viene a stabilirsi «una comunione molto più intima e una più salda amicizia di quella che lega i genitori ai figli» (Simposio,​​ 27, 209 c). A tale filone di pensiero «antifamilistico» si può riallacciare per l’epoca moderna​​ ​​ Rousseau, almeno parzialmente, e poi Marx ed Engels e, nel sec. ventesimo, ad es.,​​ ​​ Wyneken, per il quale «f. e educazione non hanno niente a che fare l’una con l’altra. La f. è un’istituzione che serve da un lato alla propagazione della specie e, dall’altro [...] all’organizzazione del consumo [...] .Se anche i genitori amano i loro figli, non amano la giovinezza che c’è in loro» (Schule und Jugendkultur,​​ Jena, Diederichs, 1919,13). Di poco posteriori e ben più note furono su questa stessa posizione alcune opere di Reich (La rivoluzione sessuale,​​ Milano, Feltrinelli, 1963) e di Horkheimer, Adorno e Marcuse come gli​​ Studi sull’autorità e la f.​​ (Torino, 1974). Questi Autori furono gli immediati precursori degli antifamilisti degli anni sessanta e settanta del sec. scorso, come gli psichiatri R. Laing e D. Cooper, la psicoanalista M. Mannoni, lo psicosociologo G. Mendel, per i quali la f. era il principale ostacolo alla formazione di individui disinibiti e psichicamente sani, capaci di dar vita ad un nuovo e più giusto ordine sociale. Si può dire che essi tendessero a vedere nella f. il fattore genetico di tutti gli egoismi (dal contadino al borghese) e di tutti gli autoritarismi, dal maschilista e patriarcale fino alle tragiche dittature europee del XX sec. Diverso il discorso di neofemministe come B. Friedan, che dopo aver denunciato «la mistica della femminilità» (così il titolo di un libro del 1963), giungeva a dire che la f. rappresenta in realtà una frontiera del femminismo, uno spazio effettivo di controllo del proprio destino. Per Aristotele invece la f. è cellula costitutiva della società, con il padre a rivestire una triplice autorità: di padrone verso gli schiavi, di re verso i figli e di «presidente» (árchon)​​ nei riguardi della moglie. Per lo Stagirita radicale importanza hanno i rapporti tra marito e moglie (carattere​​ sunduastikós,​​ «coniugale» dell’essere umano) e i rapporti tra genitori e figli, nei quali il padre e la madre riconoscono una parte di se stessi (cfr.​​ Politica,​​ I, 2, 1252a e​​ Etica Nicomachea,​​ VIII, 12, 1162). La posizione favorevole si accentuerà con gli Stoici, specie di età romana, attenti particolarmente al rapporto di coppia, fino a postulare con Musonio Rufo, Plutarco, Seneca o Quintiliano una perfetta reciprocità. Si può dire che la posizione favorevole alla f. sia stata ripresa negli ultimi due secoli da Kant,​​ ​​ Pestalozzi, Fröbel e soprattutto da Hegel. Quest’ultimo ha sottolineato la trasformazione, attraverso appunto la f., dell’«egoismo dei desideri» in «qualcosa di etico» e ha aiutato a cogliere l’intimo nesso che lega l’amore di coppia con l’amore per i figli, nel quale il primo si «oggettivizza», rendendo inseparabili le immagini dei coniugi (Lineamenti di filosofia del diritto,​​ Bari, 1971, 160). Innumerevoli sarebbero le citazioni che si potrebbero trarre dall’opera di Tocqueville, in parte anche da Spencer e Durkheim, fino alle rivalutazioni della sociologia americana del II dopoguerra, Burgess e Parsons in particolare e a quelle più recenti del noto etologo Lorenz e del suo allievo Eibl-Eibesfeldt o dei sociologi Brigitte e Peter Berger (1984, 239); e questo vale – almeno in parte – anche per una f. proletaria, come osserva un pedagogista marxista, G. Snyders, poiché almeno la f. «non è così direttamente, come la fabbrica, sotto la presa del padrone [...] è una possibilità per l’operaio di cominciare ad appartenersi, dunque di resistere meglio» (1985,131).

2.​​ La f. nella tradizione religiosa ebraico-cristiana.​​ Fin dal I libro della Bibbia (Gn​​ 1,27-28 e 2,18-24), l’unione coniugale è vista sia come​​ remedium concupiscentiae,​​ finalizzato alla procreazione («Siate fecondi e moltiplicatevi...»), sia come​​ remedium solitudinis​​ («Non è bene che l’uomo sia solo... abbandonerà suo padre e sua madre, si unirà alla sua donna e i due saranno una carne sola»). In quella tradizione l’essere maschio e femmina è detto «somiglianza ed immagine di Dio», di un Dio che nella rivelazione di Cristo apparirà sempre come «alleato» dell’uomo, la cui essenza viene definita dall’evangelista Giovanni come «amore». Specie alcuni Padri greci insisteranno sulla​​ omotimìa​​ (pari onore che si deve a marito e moglie) e prima ancora sulla​​ omónoia,​​ sull’intesa profonda fra i due. Diciamo allora che la riflessione cristiana rafforza sì il filone familistico, tanto per il rapporto di coppia quanto per quello genitori / figli (si ricordino le osservazioni sulla reciprocità fra marito e moglie o fra genitori e figli contenute nelle «tavole domestiche» di alcune lettere paoline), ma porta pure nuovi motivi a favore di quello antifamilistico, come apparirà chiaramente anche nella tendenza teologica e letteraria diffusasi, specie a partire dal Medioevo, che contrappone – secondo le indicazioni dell’opera di D. De Rougemont (L’Amore e l’Occidente, Milano, 1977) –​​ éros​​ e​​ agápe,​​ amore-passione per un altissimo, irraggiungibile ideale e amore coniugale, fondato su una concreta e quotidiana comunione di vita.

3.​​ Valori e problemi della f. moderna e contemporanea.​​ Tra i fattori che hanno portato al sorgere della f. moderna e contemporanea è certo da considerare la mutata organizzazione del lavoro, che ha finito per fare della f. un’unità di consumo più che di produzione, ma che ha anche portato ad un progressivo miglioramento delle condizioni igieniche, alimentari e sanitarie della popolazione e ad una sempre più generalizzata diminuzione della mortalità infantile. Si devono anche considerare fattori culturali, come la creazione della «nuova poesia d’amore», segnalata già a partire dal XII sec. nell’opera cit. del De Rougemont, o, ancor più, la rivoluzione culturale e spirituale, iniziata con la Riforma (cattolica e protestante), che stimolò, fra l’altro, a portare l’ascesi e la vita metodica fuori dai chiostri nella vita familiare e professionale, viste come occasione privilegiata di effusione della grazia divina. Il mutamento avvenuto nelle strutture, ma, più ancora, nelle relazioni familiari ha modificato le modalità di rapporto non solo fra i coniugi, ma anche fra genitori e figli, con un’interazione continua fra questi due tipi di rapporti, per cui le prime forme di controllo della fecondità portavano a modificazioni nell’atteggiamento verso i figli, ma presupponevano anche un cambiamento nei rapporti fra i coniugi e al tempo stesso rafforzavano questo cambiamento. Di qui il modificarsi dei livelli di tempo, energie, risorse da dedicare ai figli, il crescere del senso di responsabilità dei genitori e delle aspettative nei riguardi dei figli, la disponibilità anche a manifestare loro tenerezza ed affetto. I figli, almeno tendenzialmente, non sono più trattati come «cose» (pueri quasi res parentum​​ diceva l’antico diritto romano-barbarico), ma come soggetti, seguiti nei loro processi formativi dagli stessi genitori, senza troppi pregiudizi per il sesso o l’ordine di nascita. Non vengono, in genere, negati principi di riferimento etico, ma si tende a relegarli in uno sfondo sempre meno rilevante per la vita quotidiana. Così in Italia ci si sposa per circa il 70% ancora in chiesa, non ci si limita in genere a fare «convivenze», ci si separa e si divorzia in misura relativamente limitata (ma decisamente di più fra le coppie «giovani»), si tende ad avere figli «legittimi», ecc. È però altrettanto noto che in Italia si ha uno dei tassi di natalità più bassi del mondo e che è considerevole il tasso di abortività volontaria, analogo a quello dei cosiddetti Paesi più sviluppati (un terzo e più rispetto ai nati vivi negli ultimi anni). Si parla anche per l’Italia di puerocentrismo (valore enfatizzato dell’infanzia, desiderio intenso di un figlio, almeno adottato, ecc.), ma si tratta troppo spesso di un puerocentrismo «narcisistico», di proiezione dei propri desideri e aspettative, con investimenti affettivi di tipo compensatorio o captativo piuttosto che oblativo. È insomma un puerocentrismo diverso non solo da quello evangelico, per il quale il fanciullo rappresenta il modello della sequela cristiana (il Regno di Dio appartiene ai fanciulli e a quelli che sono come loro, «a mani vuote», in attesa di ricevere attenzione e aiuto, senza dar nulla in cambio), ma anche da quello della migliore tradizione pedagogica, almeno da​​ ​​ Comenio in poi, teso alla promozione della personalità del figlio / allievo. Più realisticamente bisogna parlare di f.​​ adult-center​​ e​​ child-free,​​ dove, per dirla con​​ ​​ Erikson (I cicli della vita, Roma, Armando, 1984, 52), «l’eccessiva preoccupazione per il proprio sé» è anche da attribuire alla «patogena soppressione del bisogno procreativo», al sottrarsi ad una connotazione fondamentale dell’adulto in quanto tale, la «generatività» e la «cura» o la loro sublimazione in atteggiamenti e comportamenti di produttività e creatività al servizio delle nuove generazioni. Sempre meno ci si preoccupa di instaurare nei primi anni di vita la «fiducia di base» di cui parla Erikson, come «esperienza dell’accordo tra le proprie esigenze e la previdenza materna» e sempre meno anche si mostra attenzione alle «differenze di stadio» dei propri figli, in contrasto con una funzione fondamentale d’ogni educatore, quella di custodire lo specifico di ogni età, impedendo che una fase si degradi fino ad essere solo funzionale a quella successiva. Si è passati «dall’era della protezione all’era dell’iniziazione», come ha mostrato M. Winn (Bambini senza infanzia, Roma, Armando, 1992, 17-95), mentre N. Postman (La scomparsa dell’infanzia, Roma, Armando, 1984, 115) ha sottolineato come la generalità dei bambini tenda oggi ad affidarsi non tanto all’autorità di genitori e maestri quanto a quella – divenuta di fatto sempre più incontrollabile – dei​​ ​​ mass-media, cioè sempre di adulti, ma che ben poco si fanno carico di preoccupazioni educative. Pur con le notevoli differenze rispetto agli altri «Paesi sviluppati» che ancora caratterizzano l’Italia, si può dire che anche la f. italiana attuale si avvii sempre più verso modelli di organizzazione lesivi di elementari diritti dei minori, quello anzitutto di avere una propria f., con un padre e una madre, non più f. o le cosiddette f. miste, formate da tronconi di precedenti f. fallite (patchwork families). Al modello della f. «moderna» come «cittadella del privato», carica di tensioni, ma «obbligatoriamente unita» (un guscio «vuoto», che pure non si rompe) sta affiancandosi anche in Italia la f. «postmoderna», dalla struttura instabile e imprevedibile nel tempo, fondata più sui diritti individuali degli sposi che sulle loro responsabilità di fronte alla compagine familiare, mentre la relazione amorosa, non più congelata nell’istituto matrimoniale, tende a sciogliersi nell’«amore liquido», di cui parla Z. Bauman. Tale nuova f. richiede di fatto ai figli uno sforzo di adattamento e di comprensione in genere superiore alle loro caratteristiche di sviluppo e alle loro capacità emotive.

4.​​ F. spazio educativo?​​ Affinché la f., oltre ad essere «centro di redditi e di consumi» o «punto di riferimento affettivo», riesca ad essere anche «spazio educativo», con capacità di orientamento etico per i figli e per gli stessi coniugi, occorre anzitutto che gli adulti accettino le loro responsabilità e non giochino ad essere perennemente giovani e che si rafforzi la tendenza ad una consistente comunicazione intrafamiliare, non ridotta a «negoziazioni strumentali» sul tempo trascorso fuori casa o su problemi economici o di lavoro, come alcune ricerche hanno evidenziato. «Non litigano più – osserva P. Donati (1997, 297) – perché parlano di cose banali […]. I genitori educano senza assumere, né chiedere ai figli che si assumano precise responsabilità etiche […]. Il conflitto diventa perciò latente e si sposta su un altro terreno, quello di convinzioni intime, che non sono oggetto di comunicazione». Difficoltà ulteriori derivano dalla restrizione della natalità che porta a ridurre sempre più la «società fraterna», capace di integrare, in misura talora determinante – sia pure non senza contraccolpi di aggressività negativa – l’azione educativa dei genitori, facendo sperimentare, nella quotidiana vita familiare, la radicale uguaglianza di ciascuno riguardo a bisogni, diritti e doveri. Meglio si superano così i diffusi atteggiamenti di permissivismo diseducativo o di immotivata alternanza di posizioni contrastanti, favorendo la progressiva acquisizione di un’autonoma coscienza morale, fondata sulla convinzione della necessità di principi e regole per la convivenza e sul rispetto reciproco, e superando il rischio del protezionismo d’un figlio sempre preceduto dai genitori nei suoi desideri e nella sua ricerca, raramente indotto a provare il senso dell’insicurezza e del confronto (Galli, 1988, 73-83). A differenza, però, di quanto avevano sostenuto i teorici della «morte della f.» degli anni ’60 e ’70, la f. rimane, almeno per i giovani, al vertice di ciò che conta nella vita, un luogo privilegiato di comunicazione interpersonale, come ripetono i Cinque​​ Rapporti Iard sulla condizione giovanile in Italia, dal 1984 al 2003. Rispetto agli anni della contestazione che colpì anche la f., i sociologi parlano di «f. pacificata», mentre sottolineano «l’erosione dell’autorità nella scuola», indicando differenze notevoli tra la prima e la seconda. «I rapporti genitori-figli – osserva L. Sciolla (2006, 21) – mostrano di mantenere una solida legittimazione e autorevolezza, rafforzata dal clima prevalente di dialogo e di reciprocità, tra genitori e figli […] e da un elevato grado di identificazione dei figli, nei modelli culturali trasmessi», mentre nella scuola prevalgono «modelli improntati ad una sorta di indifferenza reciproca». In questo stesso apprezzamento, però, c’è il rischio di una «fiducia eccessiva», che può contribuire a fare restare troppo a lungo i giovani nella f. d’origine, a scoraggiare in loro l’idea di f. come progetto di vita, ad accrescere la paura ad assumersi la responsabilità di farsi una f. propria, continuando a considerare quella di origine come un rifugio. È la realtà, specificamente italiana, della «f. lunga», per l’adolescenza prolungata dei nostri ragazzi, la maggiore scolarizzazione, una mancata politica di opportunità abitative e lavorative per i giovani, la diffusa tolleranza dei genitori «disposti – per dirla con il V Rapporto CISF (Donati, 1997, 256-257) – a concedere tutto il concedibile: dalle chiavi di casa alla relazione sessuale prematrimoniale», garantendo nello stesso tempo vari e consistenti vantaggi pratici, con la loro «presenza e disponibilità quotidiana», con «alti margini di libertà e bassi livelli di partecipazione», anche alle faccende di casa. La f. non si limita a rispecchiare i conflitti sociali ed è piuttosto – come ha scritto Snyders (1985, 140) – «un luogo di tenerezza agitata», con tensioni, dispute, lamentele, ma «controbilanciate dall’affetto» e con possibilità reali di arrivare a positive soluzioni. Non si tratta tanto di puntare nuovamente sul vecchio modello borghese della f. come trampolino di lancio del successo dei figli (una «pedagogia familiare» più che altro preoccupata di cosa «fare» dei figli o di cosa «far fare» loro), ma piuttosto su una nuova qualità della vita e della relazione interpersonale anche nell’ambito familiare. Primo presupposto per fare della f. uno spazio educativo è infatti proprio la capacità di dar vita a rapporti effettivi di dialogo, di reciprocità piena, dove si vuole davvero il bene dell’altro, «si risponde sempre all’altro» (o almeno ci si giustifica se non si risponde) e si sa che «non si userà contro l’altro ciò che è stato comunicato» (Donati, 1989, 44 e 134). Di fatto nella f. più che in altre forme di convivenza possono «dialetticamente» armonizzarsi libertà e responsabilità, autonomia e solidarietà, cura dei singoli e ricerca del bene comune, forza progettuale e disponibilità all’imprevisto, sollecitudine e discrezione, sana aggressività e capacità di perdono, disponibilità alla comunicazione, ma anche all’ascolto e al silenzio rispettoso, alla paziente attesa o all’impazienza non rinunciataria di chi non si arrende di fronte alle difficoltà. Sono tutti questi, fra l’altro, valori preziosissimi per preparare alla più ampia vita sociale e politica, nelle sue due dimensioni fondamentali di trasformazione dei rapporti di forza in rapporti regolati dal «diritto» e di condivisione dei problemi e delle responsabilità di una stessa convivenza umana, in nome della solidarietà. Proprio in un’esperienza concreta d’amore occorrerà trovare la forza di non rimanere legati ad essa, di comprendere nella propria attiva tenerezza gli altri uomini, specie i più piccoli e indifesi, la capacità anche di accedere al «nuovo ethos generativo» di cui ha parlato Erikson nel libro cit. (1984, 52 e 65), che porti ad «una più universale cura, centrata sul miglioramento delle condizioni di vita di tutti i bambini».

Bibliografia

Butturini E.,​​ Disagio giovanile e impegno educativo,​​ Brescia, La Scuola, 1984 e 1986; Barbagli M.,​​ Sotto lo stesso tetto,​​ Bologna, Il Mulino, 1984 e 2000; Berger B. - P. L. Berger,​​ In difesa della f. borghese,​​ Ibid., 1984; Buzzi C. - A. Cavalli - A. De Lillo et al. (Edd.),​​ Primo,​​ secondo,​​ terzo,​​ quarto e quinto rapporto Iard sulla condizione giovanile in Italia, Ibid., 1984-2003; Snyders G.,​​ Non è facile amare i propri figli,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1985; Galli N. (Ed.),​​ Vogliamo educare i nostri figli,​​ Milano, Vita e Pensiero, 1985 e 1988; Scabini E. - P. Donati (Edd.),​​ La f. «lunga» del giovane adulto,​​ Ibid., 1988; Donati P. (Ed.),​​ Primo,​​ Secondo,​​ Terzo,​​ Quarto,​​ Quinto,​​ Sesto,​​ Settimo,​​ Ottavo e Nono Rapporto Cisf sulla f. in Italia,​​ Cinisello Balsamo (MI), Paoline, 1989-2005; Pati L.,​​ La politica familiare nella prospettiva dell’educazione,​​ Brescia, La Scuola, 1995; Donati P. - I. Colozzi (Edd.),​​ Giovani e generazioni, Bologna, Il Mulino, 1997; Cavallera H. A.,​​ Storia dell’idea di f. in Italia, 2 voll., Brescia, La Scuola, 2003-2006; Bauman Z.,​​ Amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi, Roma / Bari, Laterza, 2004; Garelli F. - A. Palmonari - L. Sciolla,​​ La socializzazione flessibile. Identità e trasmissione dei valori tra i giovani, Bologna, Il Mulino, 2006; Butturini E.,​​ La f.: un vincolo che viene da lontano, in «Orientamenti Pedagogici» 54 (2007) 1, 29-49.

E. Butturini​​ 




FANCIULLO

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FANCIULLO

Con questo termine, spesso considerato come sinonimo di «bambino» ed oggi poco usato perché ritenuto legato ad una concezione romantica della fanciullezza, si indica l’essere umano che vive la fase di crescita compresa tra l’infanzia e l’inizio dell’adolescenza.

1. Nella storia della pedagogia la «scoperta del f.» ha coinciso con la cultura attivistica con la quale le intuizioni di​​ ​​ Comenio e di​​ ​​ Rousseau hanno incominciato a tradursi nella pratica educativa e particolarmente in quella scolastica. In seguito alla cosiddetta «rivoluzione copernicana» infatti alla centralità dell’educatore e / o del maestro si sostituisce la centralità del f., considerato il protagonista della sua educazione.

2. La «scoperta del f.» è collegata all’interesse delle scienze umane (pedagogia, psicologia, psicanalisi, antropologia culturale, sociologia) per la conoscenza della fanciullezza e in particolare delle sue potenzialità educative ed ha favorito lo sviluppo di questi settori di ricerca.

3. La psicologia dello sviluppo nel corso del Novecento ha studiato le modificazioni fisiche, emotive, cognitive e comportamentali ed ha esplorato in estensione e in profondità le funzioni che interagiscono nella personalità del f. (motricità, percezione, pensiero, linguaggio, affettività). Questi studi hanno rilevato che nella fanciullezza, grazie anche all’educazione formale realizzata nella scuola, possono avvenire significativi consolidamenti sul piano cognitivo ed intellettuale e su quello morale per quanto riguarda il senso della giustizia, della solidarietà e della responsabilità.

Bibliografia

Piaget J.,​​ La rappresentazione del mondo del f., trad.it., Torino, Boringhieri, 1973; Tagliaferri F. et al.,​​ F. e società, Vicenza, Del Rezzara, 1980; Gutiérrez J. G., «L’interesse superiore del f.» in prospettiva pedagogica. Riflessioni e proposte, in «Prospettiva EP» 29 (2006) 1, 77-104.

S. S. Macchietti




FANTASIA

 

FANTASIA

La f. è l’attività mentale per mezzo della quale il soggetto conserva, riproduce e crea immagini che possono o meno corrispondere alla realtà. Essa emerge alla coscienza psicologica spesso spontaneamente ed i suoi contenuti si riferiscono ai ricordi, agli stati emotivi del passato come anche alle speranze del futuro. La f., pur lavorando sui contenuti reali, si distingue radicalmente dalla realtà. Essa «produce» il non esistente e spesso distorce la realtà stessa; la sua funzione nella vita umana è molteplice.

1. Prima di tutto la f. rappresenta una fase preparatoria allo sviluppo cognitivo del​​ ​​ bambino. Nella fase psicomotoria egli esplora l’ambiente, progressivamente si rende conto della sua individualità e incomincia a percepire la realtà. Essa assume un importante ruolo nei suoi giochi ed è anche un notevole fattore del suo sviluppo affettivo. Ai soggetti di tutte le età, la f. offre un’alternativa alla realtà e in tal modo contribuisce al ripristino delle forze e al mantenimento dell’equilibrio psichico. L’evasione nel mondo della f. può aiutare a sopravvivere in situazioni disperate come dimostrano le esperienze di alcuni soggetti nei campi di sterminio oppure nei bagni penali; la f. alimenta anche la fiducia in un possibile cambiamento.

2. Il rifugiarsi nella f. può consentire al soggetto di soddisfare dei desideri negati dalla realtà ed anche la possibilità di compensare l’insuccesso con il successo in un altro settore. Il soggetto, inoltre, può servirsi della f. per mettere in moto alcuni​​ ​​ meccanismi di difesa, come la proiezione e la razionalizzazione, che sono delle valvole di sicurezza della vita psichica. In alcuni casi il soggetto può essere assorbito dalla f. in modo tale da non rispondere alle domande dell’ambiente; la f., in questi casi, sostituisce la realtà e diventa patologica, sfociando in allucinazioni oppure in paranoia. Quando è di minore intensità, il soggetto può realizzare in essa le sue tendenze narcisistiche di grandezza inesistente.

3. La f., durante le varie fasi della vita umana, può assumere dei contenuti morbosi, come la paura della​​ ​​ morte nell’infanzia, nell’adolescenza e nella vecchiaia. La morte, come via d’uscita da una situazione disperata, viene presa in considerazione talvolta da alcune coppie di fidanzati (Romeo e Giulietta). La f. ha un ruolo importante nelle​​ ​​ tecniche proiettive in quanto può rivelare i desideri repressi del soggetto. Inoltre si presta ad interventi terapeutici di vario tipo tanto con soggetti in tenera età (terapia del gioco) come con adulti (terapia sessuale).

4. La f. svolge un ruolo primario nella produzione creativa sia artistica che scientifica, perché per mezzo di essa vengono prodotte opere originali. La f. in questo caso assume la denominazione di fluidità ideativa e rappresenta il culmine della maturità intellettiva del soggetto creativo (Poláček, 1994). La f. è sviluppata nell’età prescolare e poi nell’istruzione primaria dal personale delle due istituzioni per mezzo dei giochi, del disegno, delle forme e dei colori e per mezzo di brevi racconti, della drammatizzazione delle fiabe e delle canzoncine. Sono disponibili anche attraenti pubblicazioni che suggeriscono ai genitori di non mortificare la f. dei figli (Buzyn, 2007). Ma la f. deve essere stimolata e guidata anche nelle fasi successive della vita dei preadolescenti e degli adolescenti nel suo duplice compito educativo in modo che il soggetto possa servirsene per raggiungere il suo equilibrio psichico e per potenziare la sua​​ ​​ creatività e nello stesso tempo controllarla perché non sfoci in forme di disadattamento (​​ narcisismo e senso dell’onnipotenza).

Bibliografia

Singer J. L. - K. S. Pope (Edd.),​​ The power of human imagination: new methods in psychotherapy,​​ New York, Plenum Press, 1978; Shorr J. E. et al. (Edd.),​​ Imagery: current perspectives,​​ Ibid., 1989;​​ Roskos-Ewoldsen B. - M. J. Intons-Peterson - R. E. Anderson (Edd.),​​ Imagery,​​ creativity,​​ and discovery: a cognitive perspective,​​ Amsterdam, North-Holland, 1993; Poláček K.,​​ In che cosa consiste la maturità intellettuale?,​​ in «Orientamenti Pedagogici» 41 (1994) 207-218; Buzyn E.,​​ Mamma,​​ papà,​​ lasciatemi il tempo di sognare.​​ Gioco,​​ f. e creatività nello sviluppo del bambino,​​ Milano, De Vecchi, 2007.

K. Poláček




FASCISMO

 

FASCISMO

Movimento politico italiano (ma esportato anche altrove) fondato da B. Mussolini nel 1919, divenuto partito nel 1921, e con la «Marcia su Roma» del 28 ottobre 1922 giunto al governo e poi divenuto regime a carattere autoritario, antiliberale, antidemocratico e antisocialista e a ispirazione nazionalista durato sino al 25 luglio 1943. Un tentativo di rilanciarlo con l’appoggio dell’esercito tedesco, in chiave repubblicana e vagamente socializzante, ebbe luogo con la Repubblica di Salò (13 settembre 1943 - 25 aprile 1945), ma con ben scarso prestigio e seguito, e fu stroncato dalla vittoria degli eserciti alleati, appoggiati dalla Resistenza.

1. Il f. al potere puntò con forza a condizionare l’educazione, dalla Riforma​​ ​​ Gentile del 1923 alla Carta della Scuola di Bottai del 1939, con la sua ispirazione classista, autoritaria, statalista, tendenzialmente totalitaria, mirando a «fascistizzare» la scuola sempre più, sia nell’amministrazione che nello spirito, affiancandola con proprie specifiche organizzazioni giovanili ginnico-sportive e paramilitari (l’Opera Nazionale Balilla dal 1926, poi Gioventù Italiana del Littorio dal 1937). In particolare la riforma della scuola promossa dal filosofo Gentile come ministro della pubblica istruzione nel 1923, e giudicata allora da Mussolini la più fascista delle riforme, si avvalse anche di concetti maturati nei precedenti decenni liberali, ma diede all’istruzione un ordinamento e un governo gerarchici e coattivi e approfondì lo stacco tra l’istruzione dei ceti subalterni e quella dei ceti dirigenti e privilegiati. Ciò tra l’altro abolendo la scuola tecnica e la sezione fisico-matematica dell’istituto tecnico, che aveva prima consentito con l’accesso all’università una possibilità di ascesa sociale. Margini di spirito liberale,​​ ​​ Lombardo Radice, pedagogista, allora direttore generale dell’istruzione elementare, riservò alla scuola elementare, introducendovi la considerazione del dialetto e delle tradizioni popolari, valorizzando espressione e spontaneità. Ma tutto ciò fu presto logorato e stravolto. Simbolica in tal senso l’introduzione nelle elementari con legge del 1929 del libro di testo unico di Stato, strumento di condizionamento e di propaganda. Il Ministero della Pubblica Istruzione divenne nel 1929 dell’Educazione Nazionale e nel 1931 anche i professori universitari dovettero giurare fedeltà al regime fascista. Il culmine della «fascistizzazione» di tipo rozzo e impositivo si ebbe nel 1935-36 col ministro C. M. De Vecchi, «quadrumviro» della rivoluzione fascista.

2. Il condizionamento più abile e organico dell’istruzione sul piano politico del f., «dell’Impero e delle Corporazioni», si ebbe con la Carta della Scuola del ministro G. Bottai, che aveva saputo unire all’imposizione la seduzione della gioventù e della cultura. Con coperture demagogiche (come l’«umanesimo del lavoro»), fu però qui confermata la vecchia separazione rigida tra popolo e borghesia, tra attività manuali e attività intellettuali, prospettando una marcata saldatura eterodiretta, al servizio dello Stato e non dell’individuo, tra «servizio scolastico» e successivo «servizio del lavoro». La II guerra mondiale impedì di attuare le indicazioni della Carta. Una delle poche realizzazioni riguardò nel 1940 la scuola media unica, triennale con lat., che apriva agli studi successivi. Ma unica in realtà non era perché aveva accanto la scuola d’avviamento professionale senza sbocchi. E vastissima era la schiera dei bambini che non andavano a scuola oltre le elementari, o non completavano i corsi di queste, se pure erano mai andati a scuola (gli analfabeti in Italia nel 1931 erano stati ancora il 21% della popolazione, e il 24% di quella femminile).

Bibliografia

Borghi L.,​​ Educazione e autorità nell’Italia moderna,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1951; Tomasi T.,​​ La scuola italiana dalla dittatura alla repubblica,​​ Roma, Editori Riuniti, 1971; Tranfaglia N., «F. il regime», in F. Levi - U. Levra - N. Tranfaglia (Edd.),​​ Storia d’Italia​​ -​​ 1,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1978, 405-417; Bellucci M. - M. Ciliberto,​​ La scuola e la pedagogia del f.,​​ Torino, Loescher, 1978; Mazzatosta T. M.,​​ Il​​ regime fascista tra educazione e propaganda,​​ Bologna, Cappelli, 1978; Ostenc M.,​​ La scuola italiana durante il f., Bari, Laterza, 1981; Gaudio A.,​​ Scuola,​​ Chiesa e f.,​​ Brescia, La Scuola, 1995; Charnitzky J.,​​ F. e scuola. La politica scolastica del regime (1922-1943), Firenze, La Nuova Italia, 1997.

G. Cives




FEMMINISMO

 

FEMMINISMO

Il termine f., composto dal latino​​ femĭna​​ /​​ femininus​​ e dal suffisso​​ ismo​​ entra nella lingua it. nel 1896; il francese​​ féminisme​​ era entrato già nel 1837, mentre femmina comparve nel 1250.​​ Femĭna​​ deriva dal part. medio di un antico​​ fēre​​ (allattare, essere fecondo), da cui anche​​ fetus​​ (allattare, generare, creare, il cui compimento è il parto). La radice DHĒ (I) è largamente attestata; e, come verbo, appare nelle aree indiana, slava, germanica. Con l’ampl. in «l» si ha felice, figlio; in «n» si ha fieno (legato al nutrimento) e feneratizio (prestito nel senso del produrre frutti; di qui usura). F. entra, quindi, in una grande famiglia, imparentato con​​ femĭna,​​ felix,​​ fetus: costruito da una radice che designa il generare, creare, nutrire, far vivere, produrre frutti, quindi essere e rendere felice. È curioso che il​​ Dizionario di antropologia,​​ etnologia,​​ antropologia culturale,​​ antropologia sociale​​ curato da U. Fabietti e F. Remotti, edito da Zanichelli, non abbia le voci femmina, femminile, donna: rimanda a maschile e uomo. Oggi a f. si associa il termine​​ genere​​ da​​ gĕnus​​ /​​ gignĕre.

1. Il termine f. oggi è divenuto un grande contenitore ove si raccolgono elementi eterogenei relativi alla questione femminile: rivendicazioni pacifiche o violente; programmi socio-culturali e azioni positive a favore della parità tra i sessi; iniziative politiche e attività legislative dirette a tutelare e promuovere tale parità; studi in vari ambiti disciplinari riguardanti problemi, aspirazioni, istanze ed idealità femminili, molti dei quali acquistano cittadinanza anche nelle università; movimenti regionali e internazionali, centri di studio e di documentazione «donna», associazioni ed istituzioni governative e non, iniziative teoriche e pratiche finalizzate a promuovere nelle donne una nuova consapevolezza della loro identità sessuale. F. ha assunto così molteplici, talvolta alternativi, significati divenendo evocativo e allusivo, a volte generico ed ambiguo. I risultati raggiunti nel rimuovere gli ostacoli e creare le condizioni per la parità tra i sessi hanno contribuito a dargli un’accezione positiva, mentre all’inizio aveva un significato negativo e polemico. Soprattutto dagli anni 014660 designa un complesso, variegato e vasto movimento socio-culturale, teorico e pratico, che opera nell’ambito dei diritti economici, giuridici, sociali, politici, civili, religiosi, ponendo al centro la questione femminile, intesa come riflessione e azione dirette a favorire la vera parità tra i sessi, quindi la piena realizzazione della donna, con particolare attenzione alla sua identità. Esprime, così, uno degli aspetti più rivoluzionari della svolta culturale avvenuta negli ultimi due secoli. Nel terzo millennio ha vecchi e nuovi compiti: orientare più decisamente verso l’eliminazione di ogni forma di discriminazione per un’antropologia uniduale, richiamando l’attenzione sulla condizione della donna che non ha ancora acquisito in tutti i contesti socio-culturali e religiosi una vera e piena cittadinanza e, ove l’ha raggiunta, rischia di perderla, come attestano la tratta degli esseri umani e l’aumento delle violenze anche tra le mura domestiche. Il f., così, continua la sua funzione di denuncia contro le varie e subdole forme di sfruttamento ed oppressione; incoraggia a rimuovere gli ostacoli che impediscono la vera parità tra i sessi e promuove itinerari di crescita nell’identità femminile. È un compito complesso che esige un’illuminata e coerente opera di formazione e autoformazione, una vigilanza sulle dinamiche socio-culturali, socio-economiche e socio-educative, sulle istituzioni varie, sui meccanismi di rappresentazione, sulle comunicazioni di massa per evitare il permanere o il ritorno di stereotipi, discriminazioni, rivalità. È latente un’operazione in cui l’appello all’uguaglianza va verso il monosessismo e quello alla differenza legittima forme più sofisticate di discriminazione e violenze. Il f. interpella, quindi, l’educazione perché con iniziative concrete favorisca genuini itinerari di identificazione nei singoli e nelle comunità, specie nelle nuove generazioni, promuovendo una più profonda e motivata consapevolezza delle ragioni per cui l’essere umano esiste da sempre come maschio e femmina. È importante, soprattutto dopo Pechino (IV Conf. mondiale sulla donna), per il prevalere del termine genere che, in contesti socio-culturali dalle «identità fluide», rischia di innescare dinamiche omosessuali e proporre modelli antropologici narcisistici. La​​ mens​​ decostruzionista, soprattutto nel post-strutturalismo, oltre a inflazionare anni di ricerche scientifiche sulla differenza sessuale e conquiste del f. quale movimento di soggetto storico collettivo, rischia di condurre, sotto il segno della libertà confusa con l’arbitrio, al qualunquismo antropologico che rimuove la struttura relazionale, quindi solidale e comunionale della persona.

2.​​ Storia.​​ Ricostruire la storia del f. è un’impresa ardua: abbraccia la storia dell’umanità, in quanto la rivalità tra i sessi, come lascia intendere il racconto biblico delle origini (cf Gn 3,16), risale ad epoche remote. L’antifemminismo / maschilismo –​​ mens​​ discriminatoria non solo di alcuni uomini, ma anche di certe donne –, secondo diversi studiosi (donne e uomini), può nascondere nell’uomo il rifiuto o la rimozione della sua natia dipendenza dalla donna (madre) e, in genere, la coscienza di essere generati. Vivaci ricerche di archeologia, di etnologia e di antropologia culturale vorrebbero scoprirne le origini e dimostrare l’esistenza di civiltà, anteriori a quelle patriarcali, fondate su valori simbolici femminili. Non è qui il caso di entrare in queste complesse problematiche. Offro solo qualche nota sul f. moderno, base di quello contemporaneo.

3.​​ Motivi ispiratori,​​ cause,​​ fasi,​​ tipologie. Alcuni segnalano​​ cinque correnti di pensiero: a) quella legata al movimento liberal-democratico, che opera per aprire alle donne l’accesso al mondo dei diritti; b) quella che s’ispira alle idee socialiste che tende a correggere la tesi della diversità naturale tra donna e uomo, ritenendo le differenze di ruoli e la supremazia dell’uomo come prodotti di processi storici da rovesciare con la lotta di classe; c) quella che si rifà all’esistenzialismo, in particolare a Simone de Beauvoir, che sottolinea l’individualità e la libertà del soggetto, e vede nella cultura la causa della diversità / subordinazione della donna; d) quella che coltiva le prospettive psicoanalitiche e mette in crisi la concezione di Freud, vedendo nella differenza sessuale uno strumento di autonomia e di specificità femminili; e) quella che accoglie alcune tesi dello strutturalismo e post-strutturalismo che ricerca le radici del predominio maschile nelle socio-culture, per cui vuole liberare con la decostruzione dall’identità sessuale «ereditata», per costruirne altre secondo le opzioni delle libertà individuali. Queste correnti s’intrecciano, talvolta si arricchiscono reciprocamente. Sono vie che spingono a ripensare l’antropologia con ricerche multidisciplinari e multiculturali. Possono però diventare strumenti ideologici di pressione anche politica pure in istituzioni internazionali, quando la prepotenza di lobby prevale sulla ricerca della verità. Cancellano, così, l’obiettivo fondamentale del f.: oltrepassare le gabbie degli stereotipi per un umanesimo veramente integrale. Di fatto certe correnti decostruzioniste utilizzano la categoria «genere» per imporre una via ideologica monosessista che rimuove l’alterità paradigmatica tra uomo e donna. È una scorciatoia nel difficile cammino d’identità all’interno della «fluidità» sociale. Ma l’identità non è arbitrio. È dono e compito / responsabilità ove, superando le alternative tra natura, cultura, libertà, si raccordano patrimonio genetico, patrimonio culturale / contesto, autonomia / responsabilità del soggetto nella comunità umana. In questo itinerario può svolgere un ruolo fondamentale il​​ personalismo, soprattutto cristiano, che negli studi sul f. è quasi del tutto dimenticato. Grande, invece, è l’apporto offerto di fatto dal cristianesimo. In questo senso vi è una rilettura critica della storia che sottolinea la forza liberatrice del Vangelo. Tra le​​ cause​​ del f. moderno si indicano tre grandi rivoluzioni: francese, industriale e del sentimento. Si individuano varie​​ fasi​​ che, con caratteristiche diverse, attraversano molte socio-culture secondo una traiettoria ideale: dalla rivendicazione dell’uguaglianza all’affermazione della diversità / complementarità; dal riconoscimento della diversità alla ricerca e attuazione della reciprocità valorizzando in modo propositivo anche il conflitto tra i sessi. Quest’ultima fase è la più esigente e impegnativa. Infatti, il riconoscimento costruttivo dell’uguaglianza / diversità tra i sessi è alla base della capacità di accoglienza dell’altro come diverso da sé. Nel f. convergono pure tre​​ tipologie​​ di percorsi: quello detto laico o a-confessionale, quello che matura nell’alveo del cristianesimo, quello operante nella vita consacrata femminile. Pur avendo caratteristiche e vie diverse, si arricchiscono reciprocamente e convergono in molti aspetti, quali la trasversalità, ecumenicità, universalità. Soprattutto a partire dagli anni ’80 sono state realizzate iniziative e ricerche condivise ove l’antropologia biblico-cristiana con la triplice dimensione relazionale della persona (teologale, umanistica e cosmica) è stata accolta come un luogo di risorse simboliche valido al di là delle appartenenze. Dopo Pechino, soprattutto con il decostruzionismo, è emersa una via rivendicativa individualistica che incide sulla possibilità di azioni comuni a favore delle donne. Le difficoltà, che stanno emergendo in sede ONU e nella Comunità Europea, ne sono un segno. La speranza è nella elaborazione di un nuovo umanesimo che consideri la persona nella sua integralità, quindi anche nella sua diversità sessuale, e si faccia carico dei diritti umani universali, base dei «diritti civili», difendendo le donne e tutti coloro che sono senza voce, umiliati nella loro dignità e identità.

4.​​ Una via.​​ Il f. è a una svolta. Si parla di post-f.: se vuole lavorare per il bene dell’umanità e non per interessi di parte, cioè dei potenti, deve accogliere la sfida del personalismo e promuovere l’antropologia uniduale, del maschile e del femminile. Giovanni Paolo II ha avviato questo percorso e soprattutto nella​​ Mulieris Dignitatem​​ e nella​​ Lettera alle donne​​ ha offerto una profonda riflessione che anche nella Chiesa non è stata ancora del tutto valorizzata. Il Papa interpella le donne, soprattutto credenti, ad elaborare un nuovo f. (Evangelium​​ vitae​​ 99), attingendo a quel «genio femminile» verso il quale l’umanità intera è tanto debitrice. Prendere sul serio questa «genialità» può attuare una nuova coniugazione di fecondità e felicità.

Bibliografia

Cavaglià P. - H. C. A Chang - M. Farina - E. Rosanna (Edd.),​​ Donna e umanizzazione della cultura alle soglie del terzo millennio. La via dell’educazione, Roma, LAS, 1998; Schooyans M.,​​ Nuovo disordine mondiale. La grande trappola per ridurre il numero dei commensali alla tavola dell’umanità, Cinisello Balsamo (MI), San Paolo, 2000; Roccella E.,​​ Dopo il f., Roma, Ideazione Editrice, 2001; Mancina C.,​​ Oltre il f.: le donne nella società pluralista, Bologna, Il Mulino, 2002; Roccella E. - L. Scaraffia,​​ Contro il cristianesimo. L’ONU e l’Unione Europea come nuova ideologia, Casale Monferrato, Piemme, 2005.

M. Farina




FÉNELON François de Salignac de la Mothe

 

FÉNELON François de Salignac​​ de la Mothe

n. nel Castello di Fénelon nel 1651 - m. a Cambrai nel 1715, scrittore francese, pedagogista e membro dell’Académie française,​​ vescovo di Cambrai.

1. F. appartiene a una famiglia nobile, ma povera. Riceve un’ottima educazione umanistica, che completa con gli studi universitari di teologia. Nel 1675 è sacerdote. Il vescovo di Parigi gli affida, nel 1678, l’Istituto delle​​ Nouvelles catholiques:​​ un’istituzione che ha lo scopo di rinsaldare nella fede cattolica donne e ragazze provenienti dal protestantesimo e di aiutare quelle desiderose di convertirsi al cattolicesimo. Restano famose le due «missioni» che, per volontà di Luigi XIV, svolge tra i protestanti: numerose sono le conversioni dovute alla sua bontà, nobiltà di tratto, comprensione delle anime, discrezione. Dal 1689 è alla corte del Re Sole come precettore del duca di Borgogna, nipote del re; è anche direttore spirituale di molti nobili. Con la sua bontà, unita a saggia fermezza, costanza e a un metodo adatto, riesce a trasformare il duca di Borgogna da ragazzo viziato e ribelle in un giovane principe affabile, moderato, amante dello studio, consapevole delle proprie responsabilità. Per lui scrive le​​ Avventure di Telemaco,​​ Dialoghi con i morti​​ e​​ Favole​​ che lo educano alla giustizia, alla verità, al rispetto di ogni persona, alla tolleranza.

2. F. è ormai un’autorità alla corte di Francia quando, improvvisa, scoppia la tempesta: la controversia con Bossuet sulla dottrina del quietismo (dottrina mistica che si propone l’unione con Dio attraverso l’annullamento della volontà umana); la pubblicazione (1699) – a sua insaputa – delle​​ Avventure di Telemaco,​​ in cui è esplicito il rifiuto dell’assolutismo, della guerra, dello sfarzo e della corruzione di corte; la condanna romana dell’opera​​ Spiegazione delle massime dei santi sulla vita interiore.​​ Luigi XIV, punto sul vivo dalle pagine di​​ Telemaco,​​ ordina a F. di non presentarsi più a corte, e di rimanere a Cambrai, di cui è vescovo dal 1695, e di evitare ogni rapporto personale ed epistolare con il duca di Borgogna e con i nobili di corte. A Cambrai F. esplica la sua attività pastorale a favore della popolazione colpita dalla carestia e dalla guerra di successione spagnola. Trova anche il tempo per completare il​​ Trattato dell’esistenza di Dio​​ iniziato negli anni giovanili, per rispondere a molte lettere, per inviare all’Accademia di Francia – di cui è membro dal 1693 – la famosa​​ Lettera all’Accademia​​ (1714), vera opera di critica letteraria.

3. In campo pedagogico, oltre alle opere per il duca di Borgogna, è ricordato soprattutto per​​ L’educazione delle fanciulle​​ (1687) dove, oltre a tematizzare il problema dell’educazione della donna, offre preziosi suggerimenti sull’educazione in genere: iniziare l’educazione fin dalla prima infanzia; conoscere, attraverso il gioco, l’indole di ogni bambino; non tediare il fanciullo con precetti o lezioni noiose, ma svegliarne la curiosità, favorirne la confidenza con un atteggiamento sereno, amorevole; importanza dell’esempio e della coerenza di vita nelle persone addette all’educazione. È favorevole all’educazione delle fanciulle in famiglia, quando è costume educarle nei conventi. Notevole il suo influsso sui sec. XVIII e XIX.

Bibliografia

a)​​ Fonti: le migliori ediz. delle​​ Oeuvres complètes​​ di F. sono quelle di Versailles-Paris, 1820-1830, 34 voll. b)​​ Studi: Goré I. L.,​​ L’itinéraire de F.,​​ Paris, PUF, 1957; Terzi C.,​​ F. La personalità e l’attualità del pensiero educativo,​​ Roma, Ciranna, 1971; Cappa F.,​​ La fede e l’amore di sé. F.F. e la coscienza religiosa nell’età cartesiana, Milano, Glossa, 2003.

R. Lanfranchi




FENOMENOLOGIA E EDUCAZIONE

 

FENOMENOLOGIA​​ E EDUCAZIONE

Anche se ci sono stati dei precedenti nel l’uso filosofico del termine f., oggi esso è comunemente riferito alla teoria e alla metodologia di E. Husserl, sviluppati successivamente in varie direzioni da numerosi allievi ed estimatori. Tra tali direzioni si può citare anche quella pedagogica, pur se Husserl non si occupò mai esplicitamente di tematiche educative. Numerosi punti-chiave del suo pensiero, infatti, hanno o possono avere un chiaro significato ed un’importante valenza pedagogici.

1. Il punto di partenza del pensiero di Husserl ed il suo «modo di pensare» consistono in una sorta di rivendicazione della presenza della soggettività nel costituirsi del senso del mondo e quindi anche di ogni autentico processo conoscitivo. Poiché tale soggettività ha nell’intenzionalità​​ la sua caratteristica fondante, essa non va intesa in senso idealistico ma esistenziale in quanto è sempre e comunque in relazione con l’oggetto. È così che la vera realtà per l’uomo è ciò che risulta dall’incontro tra la realtà oggettiva e il soggetto intenzionante: il fenomeno appunto, che cionondimeno si costituisce in modo originario nella coscienza (rappresentando quelle che Husserl definisce le «essenze»). Perché sia possibile cogliere tali essenze è tuttavia necessario mettere tra parentesi («epoché») i giudizi comuni o pregiudizi, soprattutto quelli di tipo oggettivistico-naturalistico. La relazione con l’oggetto è quindi irrinunciabile per la soggettività, così come la relazione con l’altro da sé è irrinunciabile per il costituirsi della persona.

2. Interessanti sono le conseguenze pedagogiche che si possono ricavare da quella impostazione, a partire dall’invito a cogliere l’esperienza educativa nella sua essenza che peraltro è sempre storicamente data, proprio perché anch’essa fondata sulla relazione non solo tra due (o più) individui, ma anche tra le tre dimensioni della storia (passato, presente e futuro). La relazione dunque deve essere considerata come il punto forte per ogni teoria pedagogica e per ogni prassi educativa, anche se essa non è affatto garantita potendo essere nella concretezza dell’esistenza disattesa, contraddetta, calpestata. In secondo luogo, appare pedagogicamente molto interessante la nozione di «visione del mondo» (che è l’insieme strutturato dei fenomeni vissuti individualmente o socialmente) sia perché il diventarne consapevoli rappresenta il traguardo primo di ogni processo formativo, sia perché nel rapporto educativo concreto è indispensabile per 1’​​ ​​ educatore cogliere la visione del mondo (capacità definibile in termini di «entropatia») attuale dell’​​ ​​ educando per poterla sviluppare e, se del caso, metterla in crisi al di fuori di un comportamento autoritario e perciò violento. È ovvio che da questa impostazione emergono molteplici indicazioni anche metodologico-operative, sia nel l’ambito di un’educazione «normale» sia in quello di un’educazione «speciale», tra cui peraltro c’è una chiara continuità. Indicazioni che, pur dando grande rilevanza al l’attività dell’educando, non lo considera no come l’unico protagonista dell’evento educativo in cui infatti l’educatore rappresenta l’altro necessario polo.

Bibliografia

Paci E.,​​ Funzione delle scienze e significato dell’uomo,​​ Milano, Il Saggiatore, 1963; Bertolini P.,​​ L’esistere pedagogico,​​ Scandicci (FI), La Nuova Italia, 1988; de Monticelli R.,​​ La conoscenza personale: introduzione alla f., Milano, Guerini, 2003.

P. Bertolini




FERRIÈRE Adolphe

 

FERRIÈRE Adolphe

n. a Ginevra nel 1879 - m. a Ginevra nel 1960, pedagogista svizzero.

1. Fondatore nel 1899 del​​ Bureau International des Écoles Nouvelles​​ che si fuse nel 1925 nel​​ Bureau International d’Éducation,​​ fondatore della rivista​​ «Pour l’Ère Nouvelle»​​ (1931). Nel 1921, nel Congresso di Calais, fu tra i fondatori della​​ Ligue Internationale pour l’Éducation Nouvelle.​​ Svolse un’intensissima attività pubblicistica e culturale e fu promotore instancabile d’incontri, contatti e collaborazioni internazionali tanto da essere considerato uno dei massimi esponenti, in campo teorico e pratico, dei problemi internazionali dell’educazione. Si prefisse di riaffermare, difendere e diffondere i principi basilari della nuova visione scaturita dal movimento di Calais e nei suoi lavori (L’école active)​​ interpreta le varie tendenze di riforma dalle loro origini spirituali rimproverando ai sistemi tradizionali di non tener conto della natura fisica e psichica dell’educando (​​ Scuole Nuove). Di fronte alle tendenze che cercavano d’imporsi per una scuola attiva basata su metodologie e tecniche operative, F. fonda le​​ Groupe français d’Éducation nouvelle​​ (GFEN) per affermare la superiorità di una pedagogia sperimentale.

2. In F. sembra prevalere un atteggiamento eclettico, volto ad armonizzare spunti, dottrine, orientamenti e direzioni di pensiero di natura orginariamente diversa e non di rado contrastante; ciononostante esistono in lui dei nuclei tematici tali da denotare un convinto radicamento di natura metafisica ed etica. Ciò è dovuto sia ai suoi contatti con​​ ​​ Decroly e con​​ ​​ Dewey e più ancora alla concezione bergsoniana di​​ Elan vital​​ a cui si ricollega, pur non chiarendolo, il concetto d’interesse quale pietra angolare della scuola attiva. Sulla base di questo principio come della legge biogenetica, la sua pedagogia attivistica si svolge come dimensione vigilante rispetto alla spontaneità dell’educando in un orientamento spiritualistico. Il rapporto uomo-natura, la connessione tra apparato biofisiopsichico ed interiorità, appaiono collegati da una rete profonda di legami e condizionamenti reciproci che F. cerca di recuperare in un continuo riferimento alla psicologia sperimentale, alla psicologia del profondo, alla filosofia di tendenza evoluzionista e bergsoniana come a quella ascetico-mistica. La scuola attiva, pertanto, rappresenta la risposta operativamente necessaria alle istanze da lui indicate e professate. Anche se oggi la sua​​ legge biogenetica​​ può suscitare delle perplessità è indubbio che essa ha avuto il merito di elaborare una diversa educazione fondata sull’interesse vitale con il quale è possibile sviluppare un’adeguata concezione dell’uomo civilizzato, ossia di un uomo che anela alla libertà e alla convivenza.

Bibliografia

Faria de Vasconcellos A.,​​ Une école nouvelle en Belgique,​​ Neuchâtel, Delachaux & Niestlé,​​ 1915; Ferraro D.,​​ A.F. e l’attivismo scolastico,​​ Bologna, Leonardi, 1970; Mencarelli M., «Il movimento dell’Attivismo», in​​ Nuove questioni di storia della pedagogia,​​ Brescia, La Scuola, 1977;​​ Hameline D.,​​ A.F., in «Perspectives: revue trimestrielle d’éducation comparée»​​ 23 (1993) 379-406.

C. Trombetta