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ETICA

 

ETICA

Il termine e. è usato per indicare sia una delle esperienze più vive e più profonde della vita umana, l’esperienza morale, sia il sapere relativo a questa esperienza.

1. Come forma specifica di sapere etico ha avuto a lungo quasi esclusivamente contenuti di genere normativo e fondativo. Oggi questi contenuti tradizionali sono stati affiancati, e a volte sostituiti dal discorso metaetico (e. analitica) e da quello psicologico-evolutivo. È soprattutto a questo secondo livello, rivolto alla comprensione dei dinamismi psicologici soggiacenti all’esperienza morale e al suo sviluppo, che l’e. ha acquistato una rilevanza nuova per la pedagogia. L’idea che quella morale sia un’esperienza essenzialmente evolutiva, che attraversa fasi di sviluppo qualitativamente (e non solo qualitativamente) diverse sta infatti alla base di tutta la ricerca più recente sui problemi specificamente pedagogici della​​ ​​ educazione morale. Ma essa comporta anche un più generale ripensamento della psicologia dell’esperienza morale e del fatto morale in se stesso.

2. In questa nuova visione il fatto morale assume una dimensione costitutivamente educativa (almeno nel senso di autoeducativa): l’impegno morale non appare più rivolto all’esecuzione di un bene esterno alla persona ma, in linea con l’impostazione aretologica (basata sulle virtù) della filosofia classica, primariamente all’autoplasmazione e. della persona stessa. In questa prospettiva acquista una certa rilevanza pedagogica la tradizionale contrapposizione tra​​ naturalismo​​ (il bene è nella linea delle tendenze naturali dell’uomo) e​​ dualismo​​ morale (il bene, nella forma del dovere, fa violenza alle inclinazioni originarie della persona). Nel primo caso l’educazione dovrà inevitabilmente esercitare una certa violenza, fosse pure solo psicologica sull’e.; nel secondo caso dovrà solo assecondare le buone forze della natura.

3. Un ultimo campo d’intersezione tra morale e pedagogia è rappresentato dalla ricerca di un «minimo comun denominatore» di principi e norme etiche condivisibili da tutte le frastagliate province culturali della nostra società e capace quindi di poter essere elevato a materia ufficiale di insegnamento morale nella scuola pubblica e a obiettivo di educazione da tutte le agenzie educative della​​ ​​ società (Mindestkonsens).​​ Su questa linea vanno segnalati i tentativi di J. Rawls, di J. Habermas e di O. Apel. Pedagogisti di professione o psicologi come​​ ​​ Kohlberg hanno dato un loro interessante contributo alla ricerca filosofica in questo campo. Tali autori trovano questo «minimo comun denominatore» non tanto in determinati contenuti normativi o valoriali quanto in determinati criteri formali di valutazione, come il «principio di universalizzabilità o di reciprocità», oppure nei presupposti trascendentali della comunicazione argomentativa.

4. In una situazione di estrema fluidità e frammentazione culturale come è la nostra attuale, l’e. cristiana è chiamata a farsi carico di questo nuovo ambito di problematica, intessendo un dialogo più approfondito e spassionato con la ricerca filosofica e con le​​ ​​ scienze dell’educazione.

Bibliografia

Valori P.,​​ L’esperienza morale,​​ Brescia, Morcelliana, 1971; De Finance J.,​​ E. generale,​​ Cassano Murge (Bari), Tipografia Meridionale, 1984;​​ Simon R.,​​ Ethique de la responsabilité, Paris, Cerf,​​ 1993;​​ Wanjiru Gichure C.,​​ Ética de la profesión docente. Estudio introductorio a la deontología de la educación,​​ Pamplona, EUNSA,​​ 1995; Caputo F.,​​ E. e pedagogia, Cosenza, Pellegrini, 2005.

G. Gatti




ETOLOGIA E EDUCAZIONE

 

ETOLOGIA E EDUCAZIONE

Disciplina che studia il comportamento degli animali osservandoli nel loro ambiente naturale.

1. L’e., dal gr.​​ éthos​​ (costume) e​​ lógos​​ (discorso), letteralmente significa studio dei costumi. La sua data di nascita è fissata nel 1935 e suo fondatore è considerato​​ ​​ Lorenz. L’e. si distingue dalle altre scienze naturali perché, pur non ignorando i contributi offerti dalle ricerche di laboratorio, considera significative solo le informazioni ottenute attraverso l’osservazione del comportamento degli animali nel loro ambiente naturale, facendo attenzione che l’osservato non avverta la presenza dell’osservatore. Al centro degli studi dell’e. sono gli schemi di comportamento che caratterizzano una particolare specie animale («comportamenti tipici della specie»). Essi sono stati studiati e descritti da K. Lorenz, N. Tinbergen e K. von Frisch come comportamenti caratterizzati da «schemi ad azione fissa» (cioè da una sequenza di comportamenti fissati nel patrimonio genetico della specie), innescati da «stimoli-chiave» provenienti dall’ambiente e che hanno luogo in «periodi critici» (cioè in un determinato arco di tempo di vita dell’animale). Esempi di comportamenti tipici della specie sono l’imprinting​​ (impronta, impressione) e i comportamenti aggressivi; in entrambi i casi, i ricercatori hanno concluso che si tratta di comportamenti costituiti dall’interazione tra una base genetica ed elementi appresi. Ma qual è il peso da attribuire ai due fattori? La ricerca della risposta a questa domanda costituisce il problema fondamentale dell’e.

2. L’e. umana​​ studia il comportamento umano comparandolo a quello degli altri animali; tale studio segue una metodologia che si basa sull’osservazione, ma, oltre a descrivere gli schemi comportamentali osservati, si domanda quali siano gli scopi adattativi di tali condotte. La ricerca moderna va confutando il modello energetico di Lorenz (per cui schemi di comportamento innati consentono di scaricare l’energia psichica) per sostituirlo con un modello informazionale, più aderente alle attuali conoscenze neurologiche. Secondo quest’ultimo modello, sono le informazioni che provengono sia dall’organismo che dall’ambiente a dare il via ai comportamenti; ed è il sistema nervoso che, informato attraverso un meccanismo di​​ feedback​​ circa il mutamento delle condizioni scatenanti, blocca il comportamento. Un approccio etologico alla psicologia dell’età evolutiva ha offerto importanti contributi dal punto di vista educativo: 1) ha fornito strumenti utili per studiare i comportamenti dei bambini in età preverbale e per poter ipotizzare la funzione adattativa di tali comportamenti; 2) ha ridefinito il bambino come essere competente e attivo (e non solo come impulsivo e reattivo); 3) la nozione di​​ imprinting​​ trasferita al comportamento umano ha contribuito all’elaborazione della teoria dell’attaccamento (Bowlby); 4) ha consentito di rilevare delle analogie col comportamento animale mostrando alcuni meccanismi che, sia negli uomini che negli animali inferiori, sono in grado di eliminare o ridurre le reazioni aggressive; 5) sottolineando l’importanza dell’osservazione, l’e. ha concesso un recupero dell’aspetto comportamentale dell’attività umana (surclassato da una tendenza introspezionistica) pur senza ignorare o negare la capacità intellettiva e apprenditiva.

Bibliografia

McGrew W. C,​​ II comportamento infantile: studio etologico,​​ Milano, Angeli, 1977; Blurton J. N. G.,​​ Il​​ comportamento del bambino. Studi etologici,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1980; Poli M.,​​ Psicologia criminale e e.,​​ Bologna, Il Mulino, 1981; Bowlby J.,​​ Attaccamento e perdita,​​ Torino, Bollati Boringhieri, 1972-1983; Hinde R. A.,​​ E.,​​ Milano, Rizzoli, 1984; Boakes R.,​​ Da Darwin al comportamentismo,​​ Milano, Angeli, 1986; Lis A. - P. Venuti,​​ L’osservazione in psicologia genetica,​​ Firenze, Giunti Barbera, 1986; Tinbergen N. - E. A. Tinbergen,​​ Bambini autistici. Nuove speranze di cura,​​ Milano, Adelphi, 1989; Scapini F. - R. Campan,​​ E., Bologna, Zanichelli, 2005.

D. Antonietti - J. M. Maíllo