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EMPATIA

 

EMPATIA

L’e. è la capacità di comprendere cosa un’altra persona sta provando. La parola deriva dal greco (empateia) e veniva usata inizialmente per indicare il rapporto emozionale di partecipazione che legava l’autore-cantore al suo pubblico (condivisione estetica). Nelle scienze umane, l’e. designa un atteggiamento verso gli altri caratterizzato da uno sforzo di comprensione dei loro vissuti che esclude ogni forma di giudizio morale. In senso generale, essa esprime la tendenza ad identificarsi emozionalmente con un’altra persona, mantenendo, al contempo, la consapevolezza del confine interindividuale. Le espressioni metaforiche di mettersi nei panni dell’altro e di calzare le scarpe dell’altro traducono in modo semplice, ma pregnante, il significato di essa.

1. Circa la​​ natura​​ dell’e. gli autori offrono interpretazioni diverse: alcuni la considerano uno stato emozionale, altri un processo cognitivo, altri ancora un processo cognitivo-affettivo, altri, infine, una competenza interazionale. Coloro che interpretano l’e. come uno​​ stato esperienziale,​​ la definiscono come reazione emozionale, come un immedesimarsi nel vissuto soggettivo dell’altro fino a sperimentarlo come proprio. In tale interpretazione le funzioni percettive e cognitive assumono un ruolo del tutto secondario. L’e., così intesa, è sostenuta – secondo gli autori – da processi diversi: istintivi, inconsci di identificazione, di partecipazione riflessiva allo stato affettivo dell’altro (Lipps, 1909; Greenson, 1960; Rogers, 1957, cit. in Franta et al. 1992, 42-43). Coloro che interpretano l’e. come un​​ processo cognitivo​​ la definiscono essenzialmente come comprensione cognitiva, ossia come capacità di assumere il ruolo dell’altro così da vedere il mondo dal suo punto di vista, senza tuttavia sperimentarne necessariamente gli stati emozionali (Mead, 1934; Borke, 1971; Schreiber, 1977, cit. in Franta et al., 1992, 44). Per molti autori la discussione relativa al fatto se l’e. consista nel vivere lo stato esperienziale di un altro o se consista, invece, nell’assunzione, attraverso processi mentali, del ruolo o della prospettiva di un altro, è del tutto priva di senso. Così secondo Deutsch-Madle (1975, cit. in Franta et al. 1992, 45) il comportamento empatico appare come il risultato sia di processi mentali che emozionali; pertanto, attribuirlo ad un solo tipo di funzioni psichiche significa limitarne notevolmente la complessità. Gli autori del terzo orientamento preferiscono, quindi, interpretare l’e. come un​​ processo cognitivo-affettivo.​​ Essi lasciano però aperto il problema di come interagiscano le due categorie di funzioni; non è chiarito, infatti, se nella comprensione empatica precedano le funzioni cognitive o quelle affettive e in che modo vada ponderato il loro influsso nell’interdipendenza reciproca.

2. Coloro, infine, che interpretano l’e. come una​​ competenza interazionale,​​ tendono a porre l’accento sulle unità processuali che la operativizzano. L’e. viene così a coincidere con la capacità di seguire e di accompagnare il flusso delle esperienze dell’altro in interazione, verbalizzandole momento per momento (Rogers, 1975 cit. in Franta et al., 1992, 46). Al di là delle differenze esistenti nelle varie interpretazioni dell’e. considerate, è presente in ciascuna di esse il tentativo di risolvere la dicotomia soggetto-oggetto. Le differenze interpretative, infatti, sono da attribuirsi, in ultima analisi, alle convinzioni circa il modo migliore per​​ unirsi​​ all’altro pur​​ restandone separato.​​ Come afferma Schuster (1979, 73) la base dell’e. risiede nella risoluzione della dicotomia soggetto-oggetto. Secondo le neuroscienze il substrato anatomico funzionale dell’e. è rappresentato dai neuroni specchio, un gruppo di cellule localizzate in una precisa parte del cervello aventi la capacità di potersi attivare sia per eseguire una determinata azione, sia in seguito di una osservazione simile compiuta da un altro individuo. Così esperienze recenti indicano che osservare un consimile che esprime un’emozione, stimola nell’osservatore i medesimi centri cerebrali che si attivano quando lui stesso presenta una reazione emotiva analoga. In particolare il centro neuronale deputato a questa funzione sarebbe l’insula, una zona del cervello dove sono rappresentati gli stati interni del corpo e dove si attua l’interazione viscero-motoria (Rizzolatti-Sinigaglia, 2006).

Bibliografia

Schuster R.,​​ Empathy and mindfullness,​​ in «Journal of Humanistic Psychology» 19 (1979) 71-77; Franta H. - A. R. Colasanti - R. Mastromarino,​​ Formazione al rapporto terapeutico. Relazione e comunicazione empatica,​​ Roma, IFREP, 1992; Rizzolatti G. - C. Sinigaglia,​​ So quel che fai. Il cervello che agisce e i neuroni specchio,​​ Milano, Cortina, 2006.

A. R. Colasanti




EMPIRISMO

 

EMPIRISMO

Il termine indica un fondamentale atteggiamento di pensiero che fa derivare dall’esperienza (empeiria)​​ ogni conoscenza.

1. L’e., che trova le sue radici nella teoria aristotelica, fa dell’esperienza sensibile ed empirica la precondizione essenziale della conoscenza intellettuale e teorica e, al pari dell’​​ ​​ innatismo, si presenta nella storia della filosofia occidentale in versioni più o meno ristrette e radicali. Nel pensiero filosofico moderno l’orientamento empirista trova la sua più compiuta espressione nell’e. inglese, ricollegabile in parte alle posizioni sostenute da F. Bacon (1561-1626), che legava strettamente la prospettiva empirista al metodo e agli scopi della ricerca scientifica. A sua volta​​ ​​ Locke considerato il caposcuola dell’e. inglese, identifica nell’origine e nella validità della conoscenza il problema centrale della filosofia e in polemica con il razionalismo cartesiano dimostra l’insostenibilità del concetto di idea innata. Riconducendo inoltre alla​​ sensazione​​ la conoscenza del mondo esterno e alla​​ riflessione​​ (o introspezione come successivamente sarà indicata) la conoscenza del mondo interno della mente, Locke considera l’associazione di idee, e cioè i collegamenti e le connessioni che «naturalmente si creano tra le idee», la sostanza della conoscenza razionale; in tal modo egli dà inizio a quella analisi introspettiva della mente che per duecento anni costituirà il metodo principale della psicologia.

2. G. Berkeley (1685-1753) porta al limite le posizioni di Locke. I suoi contributi più significativi sono essenzialmente riassumibili: a) nella teoria della percezione spaziale (Essay towards a new theory of vision,​​ 1709), che rappresenterà la base di tutte le successive teorie della percezione visiva, da quella di Helmholtz nel XIX sec. a quelle di Gibson, Gregory,​​ ​​ Piaget, Held, e b) nella teoria dei segni (Treatise on the principles of human knowledge,​​ 1710). Berkeley fa coincidere percezione ed esperienza, riducendo la realtà delle cose al loro essere percepite (esse est percipi).​​ D. Hume (1711-1776), approfondendo le posizioni di Berkeley, spiega il funzionamento mentale dell’uomo e dell’animale sulla base delle leggi che regolano l’associazione delle idee e finisce quindi per minare alla base la fiducia stessa nelle capacità razionali della mente umana. Identificando nelle sensazioni, negli istinti, nelle abitudini e nei pregiudizi l’unica guida per il pensiero metterà infatti in discussione la possibilità stessa dell’induzione scientifica, negando in definitiva la possibilità di scoprire una qualsiasi connessione necessaria tra causa ed effetto. Individuando nelle associazioni per​​ somiglianza,​​ per​​ contiguità​​ e per​​ causalità​​ i processi fondamentali che regolano l’intelletto, ritiene che i «legami segreti» che si stabiliscono tra le idee portino la mente a congiungerle con maggiore frequenza. Sostenendo inoltre che la conoscenza si limita necessariamente alla conoscenza dei processi fondamentali della mente, che può tutt’al più inferire l’esistenza di oggetti reali e di altre menti, riducendo poi il soggetto impegnato nell’attività conoscitiva ad un grumo o collezione di percezioni differenti, che si succedono l’un l’altra con incredibile velocità e che sono in perpetuo flusso e movimento, getterà l’e. nel vicolo cieco dello scetticismo radicale.

3. Nella sua polemica contro le posizioni di Hume, il filosofo scozzese T. Reid (1710-1796), che fa derivare la possibilità stessa del ragionamento dalla esistenza di una dotazione innata di istinti e di intuizioni e che rivolge particolare attenzione allo studio delle strutture del linguaggio nonché al corso dell’azione e della condotta umana, modifica l’e. radicale introducendovi una serie di presupposti innatisti. In particolare Reid identifica nel​​ ​​ senso comune – e cioè nella credenza condivisa nell’esistenza di un mondo oggettivo dotato di qualità secondarie, nella consapevolezza della propria identità ed esistenza reale e della persistenza delle altre persone – la base di tutta la filosofia e la garanzia della conoscenza.

4. Il suo pensiero, da cui T. Brown prenderà le mosse per formulare le leggi della associazione secondaria, influenzerà profondamente l’associazionismo di​​ ​​ James e J. S. Mill (1806-1873). In particolare Mill, che propone nel suo​​ Analysis of the phenomena of the human mind​​ (1829) – «la più pura espressione della filosofia associazionista» – il principio della «associazione sincrona», considera gli oggetti della nostra conoscenza come costituiti da una somma di sensazioni diverse che, associate strettamente l’una all’altra costituiscono i «percetti» e quindi le «idee». A sua volta Mill, con la sua «chimica mentale» estende il principio delle idee sincrone anche alla formazione delle idee complesse e reintroduce nella prospettiva empirista elementi che riconoscono alla mente una possibilità di attività autonoma. Per Mill dunque – che nel​​ Sistema di logica​​ (1843) sostiene la plausibilità della «scienza della natura umana» e cioè della psicologia – proprio l’esperienza fornisce l’idea della uniformità dei fenomeni naturali: sino a che tale idea non venga di fatto smentita, si ha dunque il diritto di estendere universalmente il valore delle conoscenze particolari acquisite sulla base della osservazione induttiva, nonché di confermare la validità, sia pure provvisoria, delle leggi e dei concetti scientifici.

5. L’orientamento empirista, che si era manifestato in Francia in forme estreme ed esasperate nel sensismo di Condillac, nel meccanicismo di La Mettrie nonché nel riduzionismo di Cabanis e di Helvetius, assumerà in Germania caratteristiche peculiari. L’e., dunque, sottolineando il ruolo della sensazione e dell’esperienza nella formazione delle idee, contribuirà a determinare la definizione wundtiana dell’oggetto e del metodo della psicologia e costituirà non solo il riferimento teorico privilegiato della teoria wundtiana e dello strutturalismo di E. B. Titchener, del funzionalismo e del comportamentismo watsoniano, ma continuerà ad esercitare, in forme spesso non facilmente riconoscibili, un notevole peso nell’impostazione del problema del rapporto tra esperienza e strutture innate che si presenta ancor oggi come di non facile soluzione.

Bibliografia

Geymonat L.,​​ Storia del pensiero filosofico e scientifico,​​ Milano, Garzanti, 1976; Mecacci L.,​​ Storia della psicologia del novecento,​​ Roma / Bari, Laterza, 1992; Danzinger K.,​​ La costruzione del soggetto,​​ Ibid., 1995; Sellars W.,​​ E. e filosofia della mente, Torino, Einaudi, 2004.

F. Ortu - N. Dazzi




EMPIRISMO METODOLOGICO

 

EMPIRISMO METODOLOGICO

L’espressione sta ad indicare un approccio di sociologia della scuola che, pur collocandosi sostanzialmente nell’ambito del​​ ​​ funzionalismo, assume caratteristiche proprie rispetto ad altri orientamenti presenti nello stesso quadro teorico.

1. Gli elementi distintivi vanno ricercati nell’uso sofisticato del metodo​​ quantitativo​​ e nell’oggetto che è costituito dal problema della diseguaglianza delle opportunità nell’istruzione. Sulla nascita di tali prospettive ha influito il​​ contesto​​ degli anni ’60. Lo​​ ​​ Stato sociale è in piena crescita e assume sempre più un atteggiamento interventistico anche nell’istruzione ai fini di realizzare una maggiore eguaglianza. Esso intende procedere sulla base di indicazioni scientificamente corrette: pertanto, potenzia gli investimenti pubblici nella ricerca anche educativa.

2. L’approccio sotto esame concentra la sua attenzione sul problema delle​​ disparità​​ tra i ceti nell’educazione, cercando di misurare con più precisione la loro consistenza e di identificare i fattori che le condizionano. Questi ultimi vengono individuati in genere nella classe di appartenenza, mentre le posizioni divergono circa l’impatto della scuola, anche se prevale l’opinione che le attribuisce un ruolo significativo. Il metodo utilizzato è principalmente numerico, empirico, statistico; al tempo stesso, non mancano esempi di ricerca-azione nella forma di una quasi sperimentazione.

Bibliografia

Karabel J. - A. H. Halsey (Edd.),​​ Power and ideology in education,​​ New York, Oxford University Press, 1977; Morgagni E. - A. Russo (Edd.),​​ L’educazione in sociologia.​​ Testi scelti,​​ Bologna, CLUEB, 1997; Schizzerotto A. - C. Barone,​​ Sociologia dell’istruzione, Bologna, Il Mulino, 2006.

G. Malizia