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EMANCIPAZIONE

 

EMANCIPAZIONE

Superamento di una condizione di subordinazione e di dipendenza, per una condizione di​​ ​​ libertà da condizionamenti e di​​ ​​ autonomia nel modo di agire e di pensare.

1. Tratto dal mondo giuridico, in cui sta ad indicare l’atto con cui il figlio (o lo schiavo) è sciolto dal potere paterno ed acquista lo stato di​​ ​​ adulto (e di libero), lungo il corso della storia il termine ha assunto una connotazione politico-sociale, come è nelle espressioni e. dell’umanità, e. della borghesia, e. della classe operaia, e. della​​ ​​ donna, ecc.: l’idea di fondo è la liberazione da una condizione di inferiorità giuridica, sociale, civile, umana rispetto all’assetto sociale dominante. In questa linea, dall’età moderna in poi, si è esaltata la funzione emancipativa dell’istruzione e dell’educazione (ma anche il suo potere di subordinazione e di dominazione).

2. Negli anni ’70, soprattutto negli ambienti tedeschi, l’e. è diventata una categoria centrale in sede educativa e pedagogica. Essa è stata considerata sinonimo di liberazione del soggetto dall’ignoranza e da ogni minorità, in vista dell’autonomia personale e di una società libera e comunicativa. Più specificamente l’e. ha dato forza ispirativa a quegli indirizzi pedagogici, di diverso riferimento culturale, che allora furono etichettati globalmente come pedagogia della «nuova sinistra». Essa si muove nella linea dell’alternativa pedagogico-educativa. Si contesta sia l’educazione tradizionale, considerata repressiva e autoritaria, sia la pedagogia accademica, considerata strumento di conservazione e di riproduzione degli assetti e della cultura dominante. La liberazione dai condizionamenti soggettivi è proiettata nel globale processo di liberazione dai condizionamenti strutturali e istituzionali, nella lotta politico-culturale contro le alienazioni del potere. In sede educativa si privilegia una comunicazione anti-autoritaria, una didattica critica, forme di autogestione. Pedagogisti ed educatori sono proposti come «avvocati» dell’educando e come «teorici critici» che stimolano la presa di coscienza e la partecipazione alla comune lotta di e.

3. Per solito, ma non necessariamente, il quadro di riferimento ideologico è vicino ad un​​ ​​ marxismo libertario o alle forme estreme della teoria critica della​​ ​​ Scuola di Francoforte e della loro dialettica «negativa». Queste posizioni pedagogiche riprendono intenzioni liberatrici, illuministiche, solidaristiche, di inserimento dell’e. nei concreti processi storico-culturali, ma appaiono piuttosto limitate per la debolezza e vaghezza dei riferimenti, per il carattere quasi solo contestativo e reattivo al potere dominante e per la subordinazione dell’educazione alla politica.

Bibliografia

Mollenhauer K.,​​ Erziehung und Emanzipation,​​ München, Juventa, 1968; Lempert W.,​​ Leistungsprinzip und Emanzipation,​​ Frankfurt, Suhrkamp, 1975;​​ Brezinka W.,​​ La pedagogia della nuova sinistra,​​ Roma, Armando,​​ 21980; Veca S.,​​ Cittadinanza: riflessioni filosofiche sull’idea di e., Milano, Feltrinelli, 1990; Vattimo G.,​​ Nichilismo ed e., Milano, Garzanti, 2003.

C. Nanni




EMARGINAZIONE

 

EMARGINAZIONE

Per e. si intende la mancata integrazione nel sistema sociale da parte di soggetti o gruppi che vengono discriminati sulla base della loro diversità. I motivi dell’e. possono essere di ordine etnico, culturale, religioso, economico o comportamentale. L’e. è un processo sociale e relazionale che tende a spingere gli individui al confine della normalità e della legalità (​​ devianza). Dal punto di vista educativo l’e. può produrre condizioni di svantaggio e di fallimento nel​​ ​​ processo educativo specie in relazione all’​​ ​​ insuccesso scolastico.

1. La Scuola di Chicago, animata da Lynd e Lynd, Burgess, Park, McKenzie, Anderson, Zorbaugh, Shaw, ha studiato il meccanismo attraverso cui si attua l’e. nelle aree urbane e lo descrive come «trasmissione culturale» dei valori e dei comportamenti. Dentro gli​​ slums​​ i giovani apprendono atteggiamenti e modalità di comportamento che hanno visto esercitate dagli adulti e imitandoli; scoprono poi di poter trarre un’utilità, anche economica, da tali comportamenti e li trasformano in condotte stabili. Nel​​ ​​ funzionalismo la società è invece descritta come un complesso sistema di relazioni personali o tra gruppi e di ruoli: essa, infatti, si sviluppa storicamente attraverso un processo di differenziazione sociale. Quando la divisione del lavoro sociale aumenta progressivamente, il processo di produzione di funzioni sociali specializzate può risultare più veloce della capacità di creare o riadattare le norme ed i valori che aiutano l’individuo e le collettività a stare insieme. Pertanto sono marginali coloro che cercano di adottare senza successo mete e valori del gruppo di cui vogliono far parte. Particolare accento ai processi razionali e consapevoli dei soggetti viene posto da Cohen (1969) nell’interpretare marginalità e devianza. Esse sono sintomo del conflitto tra classi sociali in quanto prodotte dalla presa di coscienza della disparità nel raggiungere le mete e nelle opportunità di utilizzare mezzi istituzionali. Per questo motivo le classi inferiori si autoemarginano e sono convinte di non farcela a raggiungere le mete proposte da quelle dominanti. Di conseguenza emergono diversi valori di riferimento: quelli borghesi dei giovani della classe superiore o media e quelli alternativi dei giovani appartenenti alla classe lavoratrice.

2. Attualmente con la categoria dell’e. si tende a leggere le presenze deboli nella società – povertà, devianza, immigrazione, condizione degli anziani, ecc. – come fenomeni conseguenti all’articolazione strutturale della società post-industriale e globalizzata. Dall’e. vista come un fenomeno interstiziale relativo alla mancanza di integrazione sociale si è pervenuti alla sua lettura come condizione permanente ed irreversibile per un alto numero di persone nella società post-industriale (Paci, 1978; Ginatempo, 1983). Tale espansione è conseguenza dell’espulsione dai processi produttivi, comunicativi ed integrativi di quote crescenti di popolazione, tagliate fuori dai nuovi modelli di sviluppo. Ciò porta ad un cambiamento di significato dell’e. che, nel suo progressivo diffondersi, diventa meno visibile, più sommersa e contribuisce alla caduta dei processi integrativi di una società priva di centro. Sempre meno persone si sentono inserite nei processi integrativi della società. Non si tratta di devianza, né di esplicita e. dal contesto sociale, quanto di una oggettiva esclusione dai processi considerati rilevanti nell’economia della vita quotidiana, dalle mete di successo proposte dalla cultura contemporanea e dalle garanzie offerte ai soggetti integrati in modo pieno. La strada rimasta per ottenere garanzia ed integrazione per le quote marginali della popolazione è quella di accedere ai benefici ed ai diversi sussidi proposti dalle strutture assistenziali dello​​ ​​ Stato sociale. Questo propone già una contraddizione poiché se il marginale riesce a riscattare la sua condizione e ad uscire dalla deprivazione per volontà di intraprendenza e di iniziativa personale, perde contemporaneamente anche le forme di assistenza che lo aiutavano. Dunque egli è, in qualche modo, costretto a rimanere dentro la sua dimensione marginale poiché ogni mutamento gli propone un aggravio di problemi. Non sembra invece possibile intravedere una nuova utilizzazione della marginalità come esercito di riserva. Infatti, la marginalità, come ha spiegato Milanesi, «viene definita in termini di effettiva esclusione, isolamento, neutralizzazione dei giovani che è l’effetto più o meno intenzionale di obiettiva e. gestito dal sistema sociale nel suo complesso e spesso rafforzato da fenomeni di autoemarginazione posti in atto da aliquote minoritarie dei giovani stessi. I segni dell’e. sono numerosi: il soggiorno artificiosamente prolungato nelle strutture formative, l’esclusione dal lavoro legale, lo sfruttamento nel lavoro illegale, la condanna a funzioni di consumo coatto, la limitazione ed esclusione dalle diverse opportunità di partecipazione protagonista e lo svuotamento ed esclusione dalle forme stesse di partecipazione subalterna» (1985, 11).

3. Altri interpretano l’e. ancora più esplicitamente come conseguenza della mancata realizzazione di quei bisogni ed aspirazioni post-materialistici individuati nello storico studio «La rivoluzione silenziosa» da Inglehart (1983). In questa prospettiva la marginalità non è un semplice status sociale ed economico ma una condizione esistenziale. Inglehart riprende la scala dei​​ ​​ bisogni individuata da​​ ​​ Maslow ed afferma che i bisogni post-materialistici espressi specialmente dai giovani contemporanei sono così marcati da portarli, ove privi di risposte, a vivere una condizione marginale. La dimensione di marginalità è quindi una conseguenza del mancato coinvolgimento esistenziale nelle sfere del sociale che circondano i soggetti. Tutto ciò, non a seguito di qualche particolare problema, né di qualche trauma, né di qualche etichettamento o, comunque, di difficoltà contingenti, ma per mancanza di qualcosa che non è materialmente accessibile perché si colloca nella sfera delle motivazioni, delle aspirazioni e dei desideri. I bisogni post-materialistici sono paradossalmente la mancanza di desideri e di mete.

Bibliografia

Cohen A. K.,​​ Controllo sociale e comportamento deviante,​​ Bologna, Il Mulino, 1969; Ginatempo N.,​​ Marginalità e classi sociali,​​ Milano, Angeli, 1983; Inglehart R.,​​ La rivoluzione silenziosa,​​ Milano, Rizzoli, 1983; Milanesi G. C.,​​ La condizione giovanile tra lotta per l’e. e lotta per l’identità,​​ in «Orientamenti Pedagogici» 32 (1985) 7-22; Rossini V.,​​ Marginalità al centro: riflessioni pedagogiche e percorsi formativi, Roma, Carocci, 2002; Mozzanica C. M.,​​ Marginalità e devianza,​​ itinerari educativi e percorsi legislativi, Saronno, Monti, 2002; Barone P.,​​ Pedagogia della marginalità e della devianza: modelli teorici e specificità minorile, Milano, Guerini, 2004.

V. Masini - G. Vettorato