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EDUCANDO

 

EDUCANDO

Il termine è oggi in crisi in quanto fa pensare al vecchio modello dell’​​ ​​ educatore che plasma e forma chi, per definizione, è da nutrire o da aiutare a tirar fuori le proprie potenzialità. In teoria il binomio educatore-e. resta utile semplificazione del discorso, ma è da superare sia evidenziando il ruolo attivo dei soggetti (al singolare e al plurale) da educare sia mettendo in conto la dimensione dinamica del​​ ​​ rapporto educativo. Il gerundio lat. (educandus,​​ «da educare») richiama la doverosità di una entità processuale che richiede un «prendersi cura» (si veda anche​​ ​​ soggetti dell’educazione).

1. La soggettività è una categoria centrale del pensiero moderno occidentale. La psicologia mostra molti volti dell’essere e del divenire della soggettività (ad es. dinamico, psichico, relazionale, comportamentale, etico, spirituale, ecc.). Per lo più il volto moderno del soggetto esalta la sua vitalità attiva già in possesso di strutture native latenti e di domande esplicite, di esigenze che vengono pedagogicamente assunte a norma di progetti e di interventi educativi. Da una concezione ricettiva e consenziente, si è passati a una concezione antropo-biologica che vede la partenza della​​ ​​ vita da patrimoni interiori genetici e generatori in interazione o in dialettica evolutiva e formativa con 1’​​ ​​ ambiente, con la cultura sociale, con la vita socio-politica. Secondo alcuni il risultato di tale interazione mostra fortemente i segni (se proprio non il risultato) del condizionamento ambientale e sociale. Ad evitare un pericoloso sbilanciamento che porterebbe alla negazione della libertà soggettiva, è pertanto necessario lungo il cammino educativo favorire la partecipazione attiva all’educazione, prima impegnando la tensione interiore al divenire, al crescere e al maturare in direzioni umanamente degne, poi stimolando ad assumere ruoli e funzioni di soggettività protagonista auto-educatrice e co-educatrice in dialogo con gli agenti esterni: non solo consentendo, ma esprimendo creativamente bisogni, interessi, desideri, motivi, ideali, prese di posizione, scelte, impegni, responsabilità solidali.

2. Queste affermazioni devono essere mantenute dentro un quadro realistico che vede il protagonismo di collaborazione o l’iniziativa del soggetto in condizioni di progressività, di difficoltà, di rischio e perfino di errore. Conseguono la necessità o l’opportunità di interventi di orientamento, di guida, di correzione, di stimolo, di chiarificazione; e, sempre e in ogni caso, amorevoli forme di accompagnamento. È bene osservare che l’equilibrio sinergico educatore-e. è e deve essere voluto e promosso decrescente nel primo termine e crescente nel secondo. L’educatore diventa lungo il processo d’educazione «progressivamente superfluo» (Pio XII). In ogni caso è da promuovere e sostenere l’equilibrio nei processi di​​ ​​ sviluppo personale, dove la spinta interiore gioca una funzione spontanea naturalmente maturante e formativa, ma richiede l’apporto di buone forme di cultura, in una sorta di ermeneutica vitale, traducibile concretamente in comprensione, ricostruzione intelligente, valutazione critica, reazione creatrice, originalità ideativa e comportamentale.

Bibliografia

Rogers C.,​​ Potere personale. La forza interiore e la sua forza rivoluzionaria,​​ Roma, Astrolabio, 1978; Rossi B.,​​ Identità e differenza. I compiti dell’educazione,​​ Brescia, La Scuola, 1994; Giussani L.,​​ Il rischio educativo, Milano, Rizzoli, 2005; Nosengo G.,​​ La persona umana e l’educazione, Brescia, La Scuola,​​ 22006.

P. Gianola




EDUCATIVA DI STRADA

 

EDUCATIVA DI STRADA

Il lavoro educativo di strada rappresenta un notevole mutamento in ordine alle tradizionali logiche secondo le quali era possibile formare i soggetti in età evolutiva solamente all’interno degli appositi ambiti e luoghi istituzionali, come la scuola, l’oratorio, l’associazione, ecc. In questi ultimi anni, invece, si sta sempre più diffondendo e consolidando la possibilità di incontrare bambini, adolescenti, giovani, ed i loro gruppi, nei contesti informali dove questi trascorrono parte significativa del proprio quotidiano. Tutto ciò rappresenta una vera opportunità educativa nonostante le difficoltà da superare. In ambito civile il lavoro di strada avvia in Italia il suo percorso evolutivo all’inizio degli anni Ottanta in riferimento alle situazioni di disagio e di difficoltà sociale. Parallelamente a questo movimento, alla fine degli anni Novanta, anche in ambito ecclesiale gli operatori di pastorale giovanile, constatando l’allontanamento delle nuove generazioni dalla Chiesa, si domandano cosa poter fare per ristabilire un dialogo con i giovani. Sempre più esplicitamente si fa presente il bisogno di andare nei luoghi informali dove i giovani amano incontrarsi. Si apre così un tempo di sperimentazione anche a livello ecclesiale.

1.​​ I modelli del lavoro di strada. Come documentato da Maurizio (1999, 12-15), in questi anni sono andate diffondendosi varie tipologie di interventi che vanno, secondo un​​ continuum, da quelli atti a promuovere le risorse dei gruppi e dell’ambiente a quelli orientati alla riduzione del danno provocato da comportamenti devianti, passando attraverso quelli centrati sulle situazioni a rischio. Il primo modello dell’e.​​ territoriale​​ intende promuovere le competenze e le risorse presenti nella comunità per risolvere suoi specifici problemi in riferimento, per esempio, alla sicurezza, alla vivibilità, al senso di appartenenza e di partecipazione dei cittadini alla comunità. Il secondo modello propriamente detto​​ e.d.s.​​ o​​ animazione di strada​​ ha la finalità educativa di prevenire il disagio degli adolescenti e dei giovani affiancando il gruppo dei pari in modo da promuoverne le risorse e favorirne l’inserimento nella comunità. Il terzo modello relativo agli interventi di​​ riduzione del danno​​ ha lo scopo pragmatico di diminuire il rischio rispetto a specifiche e urgenti problematiche, come quella della trasmissione dell’Aids.

2.​​ L’obiettivo. L’e.s.​​ si propone di accompagnare gli adolescenti nella loro​​ ricerca​​ d’identità e di senso tramite degli educatori che sappiano porsi con discrezione al loro fianco e che, riconoscendo le loro attese e potenzialità, siano capaci di far emergere, nonostante le varie contraddizioni, quel desiderio di autenticità che è in ogni adolescente. La ricerca, infatti, perché sia incentivata deve essere riconosciuta nel dialogo. In particolar modo, è l’ascolto a riconoscere l’altro come portatore di significati ed ad offrirgli l’opportunità di capire meglio se stesso. Nel momento in cui si racconta, la persona è obbligata a prendere contatto con la propria interiorità e a chiarire anzitutto a se stesso ciò che desidera, ad oggettivare le proprie fantasie. La narrazione di sé in altre parole favorisce la presa di coscienza e la visibilizzazione della propria ricerca interiore offrendo ad essa parole e significati che la definiscano. È una ricerca che acquista sicurezza proprio perché riconosciuta dall’ascolto e dall’interesse di un adulto. Quando poi la narrazione si fa reciproca la ricerca ha l’opportunità di approfondirsi grazie al valore aggiunto portato dall’esperienza dell’altro, dalla sua storia e dalle sue idee.

3.​​ Il luogo d’incontro. Lo spazio per eccellenza scelto dagli adolescenti e dai giovani per stare insieme agli amici nel proprio tempo libero è la strada o la piazza. Secondo i risultati della ricerca​​ La gioventù negata​​ ben il 71% dei ragazzi e delle ragazze passa in questi luoghi una porzione significativa della propria vita di relazione e del proprio tempo libero (Fondazione Labos & Ministero dell’Interno, 1994). La strada è l’ambiente dove incontrarsi per parlare e confrontarsi, dove esprimere idee e passioni, dove raccontare sogni ed emozioni, dove poter stare vicini anche senza dirsi nulla. Qui si scherza, si conversa del più e del meno e si prendono decisioni importanti. La strada offre l’opportunità di condividere la propria storia con quella degli altri divenendo così un potenziale luogo di riflessione oltre che di distrazione. Gli adolescenti ed i giovani abitano la strada e la piazza portandovi il loro carico di speranza e di delusione. È qui che pongono domande e cercano risposte. Per questo l’incontro in questo luogo di quotidianità dei giovani, può rappresentare un evento di grande portata educativa.

4.​​ La strategia. Il percorso dell’e.d.s. prevede cinque tappe​​ (Cazzin, 1999). La​​ mappatura:​​ previamente all’intervento diretto su un gruppo gli educatori osservano le aggregazioni giovanili informali presenti sul territorio. Lo scopo è quello di individuarne le prime caratteristiche e per scegliere la compagnia con la quale tentare l’aggancio. L’aggancio: i due educatori si presentano al gruppo prescelto chiedendo di poterlo incontrare altre volte. Chiaramente questa tappa è assai delicata perché preclusiva a tutto il percorso. Il​​ consolidamento della relazione: superato positivamente l’aggancio c’è bisogno ora di un adeguato tempo perché gli educatori e gli adolescenti possano conoscersi ed aumentare la stima e la confidenza reciproca. In questa fase si sta col gruppo condividendo quanto i ragazzi fanno, ascoltando e dialogando con loro, aiutandoli ad approfondire le proprie domande. Questa fase è molto importante come tempo di approfondimento dei significati. La​​ progettualità: stando insieme educatori e adolescenti stabiliscono una relazione che abbia una certa valenza affettiva. A questo punto gli educatori divenendo un punto di riferimento per l’intero gruppo possono provocarlo nella realizzazione di un progetto che risponda ai suoi interessi ed alle sue capacità. Può nascere in tal senso un’azione in cui gli adolescenti siano i primi protagonisti, si pongano in interazione col proprio ambiente e sperimentino alcuni valori. Anche questa fase ha un valore a riguardo dei significati da elaborare oltre che innescare un processo di socializzazione fra il gruppo e la comunità allargata. È una fase importante anche perché il gruppo prende coscienza delle proprie potenzialità, che è possibile portare a termine i propri sogni o progetti. Il ruolo degli animatori in questa fase è solo quello di facilitare il gruppo nel proprio fare piuttosto che assumere un ruolo attivo di leadership. Il​​ distacco: durante la realizzazione ed alla fine del progetto è importante che gli animatori siano in grado di aiutare gli adolescenti a riflettere su quanto stanno facendo perché tutto ciò li aiuti a prendere consapevolezza di sé, della propria realtà e dei significati sottesi. A questa fase di verifica corrisponde l’elaborazione del distacco degli animatori dal gruppo. Passaggio delicato in cui i ragazzi e le ragazze prendendo consapevolezza delle proprie risorse si proiettano in avanti, verso ulteriori progetti ed interazioni, prendendo spunto e forza da quanto hanno realizzato in compagnia degli educatori.

Bibliografia

Fondazione Labos e Ministero dell’Interno,​​ La gioventù negata,​​ Roma, TER, 1994; Maurizio R.,​​ Il lavoro di strada in Italia: rassegna di eventi e temi,​​ in​​ In strada con i bambini e i ragazzi. Quaderni del Centro nazionale di documentazione ed analisi per l’infanzia e l’adolescenza,​​ n. 12, Firenze, Istituto degli innocenti, 1999; Cazzin A.,​​ Quattro fasi del lavoro di strada con gli adolescenti,​​ in «Animazione Sociale» (1999) 1, 58-63; Bertolino S. - G. Gocci - F. Ranieri,​​ Strada facendo,​​ Milano, Angeli, 2000; Gambini P.,​​ L’animazione di strada,​​ Leumann (TO), Elle Di Ci, 2002; Regoliosi L.,​​ La strada come luogo educativo,​​ Milano, Unicopli, 2002.

P. Gambini




EDUCATORE

 

EDUCATORE

In termini ideali si potrebbe dire che è e. chi educa, vale a dire chi guida i processi di liberazione del potenziale vitale, di crescita e maturazione organica e funzionale, d’inserimento libero e attivo nella realtà della vita, di costruzione di sistemi personali di cultura. Con funzione di​​ ​​ formatore aiuta il soggetto (​​ educando e​​ ​​ soggetti dell’educazione) a dotarsi di buone forme d’essere, di sapere, di agire, di comportarsi, di fare, riferendosi all’esperienza e alla cultura.

1.​​ Tipi di e.​​ Possiamo distinguere diversi tipi di e. a) E.​​ per natura​​ sono i​​ ​​ genitori. Prolungano la generazione nell’educazione, gestendola in condizioni privilegiate affettive, morali, sociali e perciò anche pedagogiche, perché primarie ed esemplari, anche se con insufficienze inevitabili che richiedono l’integrazione esterna di istituzioni e di operatori esterni. Validità e efficacia dipendono dalla​​ ​​ maturità globale generativa consapevole e intenzionale a riguardo dei figli e in relazione al proprio dovere e compito. Dipendono inoltre dal possesso iniziale e progressivamente aggiornato dei requisiti per proseguirla. Oggi nell’educazione dei figli emergono impreparazioni, influssi culturali e sociali negativi, rapporti difficili con le integrazioni esterne. Si è fatto urgente per i genitori un grave compito di educazione preventiva, di accompagnamento, di integrazione. A padre e madre si aggiungono le altre figure familiari e parentali e in certo senso i gruppi di convivenza stretta, incominciando da una presenza quasi naturale dei coetanei, anche di diverso sesso. b) E.​​ per professione​​ voluti dalla società in rapporto alla complessificazione e differenziazione dei compiti sociali. I loro titoli sono l’esperienza e la loro competenza professionale. Nel loro caso i programmi e i metodi sono da costruire, i buoni rapporti e il consenso da meritare, sia quando sostengono, aiutano o integrano la famiglia, sia quando sviluppano impegni educativi autonomi di​​ ​​ scuola, animazione, consulenza e orientamento, formazione professionale, terapia e rieducazione (insegnanti, animatori, orientatori, e. professionali, formatori, terapeuti, ecc.).

2.​​ Qualità dell’e.​​ Un quadro indicativo (che può valere come criterio di selezione e di reclutamento e che può essere utile per progettare la formazione o l’aggiornamento degli e.) include: – il possesso, proporzionato al compito, almeno sufficiente, della scienza e dell’arte dell’​​ ​​ educazione: – la capacità pedagogica di leggere e interpretare, nelle situazioni, i bisogni e le possibilità, di definirvi finalità e obiettivi a medio e breve termine, di progettare contenuti e processi per le varie dimensioni della​​ ​​ persona e della vita da educare. In passato si collegava l’immagine del buon e. con la sua capacità di vedere, valutare e aprirsi affettivamente e relazionalmente agli educandi. Oggi si bada anche alla personalità profonda dell’e. che, emergendo dal suo intimo cosciente o inconscio, condiziona la percezione dei giovani e la relazione con essi, tende a tradursi in peculiare clima interpersonale, relazionale ed ambientale. L’e., con il suo messaggio affettivo e dinamico caratteriale, di personalità globale, mette in gioco idee e mentalità, percezioni e convinzioni, identità e immagini di ruolo, desideri palesi e nascosti, soprattutto motivazioni del suo essere e agire come e. in generale e nella situazione concreta. W. Schraml parla di necessaria «igiene mentale dell’e.». Possiede esigenze ideali o le presume e quasi pretende? Si lascia guidare da esse o le impone? Sviluppa controtransfert, ansia, proiezioni, sublimazioni? Come supera i pericoli dei propri limiti, delle proprie vulnerabilità? Manifesta maturità adulta o residui di onnipotenza infantile o di instabilità adolescenziale? In positivo si desiderano 1’​​ ​​ accettazione profonda e incondizionata dei giovani nella loro realtà dinamica educazionale; l’attenzione alle persone; la capacità di​​ ​​ amicizia educante; il dono paziente e formativo di stima, fiducia, libertà, responsabilità, iniziativa; la capacità di comporre ascendente personale e concentrazione sui​​ ​​ valori proposti e sulla maturazione personale.

3.​​ Gli stili educativi dell’e.​​ A seconda degli stili educativi che assume, si possono distinguere diversi «volti» o «figure» di e. Nel concreto, si tratta per lo più non di estremizzazioni ideali, ma di accentuazioni variamente componibili. a) Il​​ trasmettitore:​​ riproduce tradizioni e sistemi, ripete direttive, è docile e fedele nel conservare. Non critica, non innova. Parla a memoria, chiede memoria. Esalta l’autorità, si propone con autorità. Interroga, non dialoga. b) L’​​ ​​ animatore:​​ libera forze intime vitali, facilita la crescita, guida la ricerca e la riflessione, impegna a scelte. Spesso è meno attento ai contenuti e più alle dinamiche relazionali, personalizza i rapporti e i messaggi. c) Il​​ mediatore:​​ sviluppa la vitalità e accentua la guida nel dialogo / confronto con le realtà esterne (natura, società, tecnica, cultura, fede) e nell’interazione dinamica di conoscenza, affettività, valutazione, operatività efficiente ed efficace. Forse è lo stile più completo. d) Il​​ manager:​​ organizza quadri, progetti, piani, programmi, istituzioni, esperienze. Spesso è meno attento alle persone e agli stessi valori. e) Lo​​ ​​ psicopedagogista:​​ si concentra sui processi formali; si preoccupa di sanità personale e di normali approcci mentali, affettivi, comportamentali; sblocca situazioni cliniche complicate. f) L’operatore sociale:​​ ama le situazioni ambientali, contestuali; considera le reti causali e solutive; condivide i problemi e cerca soluzioni comunitarie; tende a progetti e metodi socio-pedagogici, investendovi tecniche raffinate di ricerca e analisi dei bisogni e delle condizioni, preparando programmi adeguati di fattori agenti, strutture, mezzi, procedimenti. g) Il​​ carismatico:​​ ha fascino e ascendente di consenso e seguito. La sua personalità tende a diventare criterio di verità e valore. Parole, gesti, modi di pensare e fare diventano di tutti, fino a sembrare originali. h) L’accentratore personale:​​ fa tutto da sé e attorno a sé. i) Il​​ distributore comunitario organico:​​ preferisce la collaborazione a ogni livello. Ricordando con simpatia l’«e. nato» di​​ ​​ Spranger, si pensa oggi a superare figure parziali d’e., quali l’erudito, il moralista, lo psicologo, il sociologo, l’animatore, ricercando figure polivalenti o meglio capaci di operare in​​ ​​ reti educative.

4.​​ Soggetti-e.​​ Sono e.: a) I​​ ​​ giovani come autoeducatori o coeducatori.​​ I giovani sono veri soggetti attivi della propria educazione in quanto investono nei processi il proprio potenziale di vitalità fisica, psichica, mentale, affettiva, spirituale, di pensiero e amore, progetto e condotta. Lo sono quando possono partecipare in modo attivo e responsabile alla propria educazione e formazione; quando colgono senso e valore nei messaggi altrui, li interpretano con significati personali, li traducono in comportamenti fluidi e condotte quotidiane; quando operano con libertà impegnata e guidata le scelte che decidono della loro vita, identità, appartenenze e compartecipazioni. Questa​​ ​​ co-educazione, che passa alla autoeducazione, può crescere fino a rendere sempre meno necessario l’e. b) Le​​ comunità educatrici.​​ L’e. unico è una astrazione, dopo le figure patetiche dei pedagoghi di famiglia. Chi educa è in realtà un​​ sistema e.​​ di persone che convergono con ruoli e qualifiche molteplici e differenziati a un fine comune (famiglia, scuola, la comunità ecclesiale, la città e la società educante, il sistema della comunicazione sociale, del divertimento, dello sport, del lavoro, della politica). I​​ singoli e.​​ hanno personalità e attività ben individualizzata, ma il senso e il valore del loro agire sta nel coordinarsi organico e integrarsi in unità sempre maggiori di progetti e processi convergenti e divergenti, perfino risultando reciprocamente correttivi, comunicando però idealmente quadri organici di valori, giudizi, condotte e operando, come oggi si dice, in rete. La comunità educativa vede tutti i soggetti, adulti e giovani, interni e di contesto, impegnati in un progetto comune di lavoro, convergere in una intesa istituzionale esplicita di consenso, di partecipazione collettiva e differenziata nella unità plurale di progetto, programma, metodo. c) Oggi si diffonde la presenza sistematica di​​ ​​ esperti e consulenti​​ specializzati, non per i casi difficili, ma per la buona impostazione preventiva. Tutti, a proprio modo, collaborano al progetto, verificano e valutano per decidere se proseguire, correggere, migliorare l’intero sistema o qualche fattore di esso, provano miglioramenti ed eventuali sperimentazioni innovative.

5.​​ L’e. in azione.​​ L’e. non è solo una persona, ma un ruolo che svolge una specifica funzione nel processo formativo: a)​​ Informa.​​ La promozione della consapevolezza precede ogni altro sviluppo educativo. Dare coscienza e conoscenza è la prima funzione che impegna l’e. Si estende all’io e alla vita intima, agli universi di appartenenza, alle situazioni e accadimenti, ai contenuti di scienza e notizia. Non è semplice informazione. Punta a comprensione, interpretazione, giudizio di valutazione oggettiva, soggettiva, personale. Implica conseguenze di adesione e azione, ricerca di sintesi di quadri e sequenze, comparazioni, progetti. Richiede all’e., il dominio esperto di molti mezzi, opportunità e tecniche di informazione. b)​​ Motiva.​​ Ben al di là di premi e castighi, guida con autorevolezza la valutazione e la valorizzazione oggettiva, soggettiva, personale di ciò che va assunto, assimilato, condiviso, preferito, scartato. c)​​ Guida esperienze educanti.​​ Oggi, più che per la vita, educa la vita, nella vita. Sa intrecciare positivamente le esperienze spontanee quotidiane con i momenti critici e significativi, ne aggiunge altre capaci di completare l’arco formativo. d)​​ Anima.​​ Supera la​​ ​​ direttività del pensare, giudicare, decidere, scegliere e comportarsi, per farsi animatore esperto e promozionale degli stessi atti, aiutandone la personalizzazione intelligente, responsabile, libera.

6.​​ Formare gli e.​​ L’e. è un po’ la chiave di volta dell’intero sistema e processo formativo. Ne vengono di conseguenza l’urgenza e l’importanza di una sua preparazione e formazione (iniziale, in processo, in continuo aggiornamento). Tale opera di formazione è diretta all’intera personalità dell’e. quale «contesto» del suo ruolo. Ma certo meritano particolare attenzione il ruolo e la funzione per se stessi. Sono frutto di formazione adeguata le​​ competenze scientifiche​​ antropologiche sui giovani d’oggi: facilità e difficoltà, condizioni sociali, culturali, ideologiche e prammatiche del vivere quotidiano, situazioni di convergenza o divergenza con le offerte educative. Ma è pure necessaria la competenza di​​ ​​ metodologia pedagogica, per l’intervento nei vari campi di valori e problemi; il saper raccogliere informazioni e domande, il saper preparare progetti e programmi, piani di lavoro; il saper eseguire l’azione educante, verificare, valutare, migliorare. Oltre che la scienza e la strategia, occorrono anche l’arte e la tattica di agganciare, mettere in crisi negativa e positiva, sviluppare proposte, condurre dialettiche e dialoghi di transazione, ottenere consensi e adesioni, destrutturare e ristrutturare, percorrere lunghi cammini di ricerca e sviluppo.

Bibliografia

Schraml W. J.,​​ Introduzione alla pedagogia psicanalitica,​​ Roma, Città Nuova, 1973; Peters R.,​​ Il nuovo volto dell’autorità,​​ Roma, Armando, 1975;​​ Berset A.,​​ Le maître éveilleur,​​ Paris, Centurion, 1978; Toraille R. (Ed.),​​ L’équipe éducative,​​ Paris, ESF,​​ 1981; Postic M.,​​ La relazione educativa: oltre il rapporto maestro-scolaro,​​ Roma, Armando, 1983; Bertolini P. (Ed.),​​ L’operatore pedagogico. Problemi e prospettive,​​ Bologna, Cappelli, 1984; Franta H.,​​ Atteggiamenti dell’e. Teoria e training per la prassi educativa,​​ Roma, LAS, 1988; Gianola P.,​​ Il campo e la domanda,​​ il progetto e l’azione. Per una pedagogia metodologica.​​ Edizione a cura di C. Nanni, Ibid., 2003; Biasin C.,​​ L’ e. Identità,​​ etica,​​ deontologia, Padova, CLEUP, 2005; Ascenzi A. - M. Corsi,​​ Professione e. / formatori. Nuovi bisogni educativi e nuove professionalità pedagogiche, Milano, Vita e Pensiero, 2005; Maccario D.,​​ Le nuove professioni educative, Roma, Carocci, 2005; Occulto R.,​​ Il lavoro di e. Formazione,​​ metodologia,​​ nuovi scenari sociali, Ibid., 2007.

P. Gianola




EDUCATORE CRISTIANO

 

EDUCATORE CRISTIANO

L’espressione e.c. è qui intesa come un singolare collettivo, i cui referenti sono sia la persona singola che il gruppo, la comunità, l’istituzione, considerati nelle loro attività educativo-formative della generazione in crescita in funzione della sua maturazione umano-cristiana.

1. Nell’e.c., in modo analogo a quello che avviene nell’​​ ​​ educazione cristiana, devono essere presenti, distinte ma non separate né separabili, le due componenti che ne definiscono la natura: anzitutto quel complesso di doti umane, unite a una sufficiente preparazione professionale, che lo rendano vero e.; in secondo luogo ciò che lo qualifica come «cristiano». Potremmo definirlo: la persona o la comunità, le quali, avendo già fatto un cammino di crescita umano-cristiana ed essendo già impegnate in un’azione di testimonianza evangelica e di promozione umana, sono in grado di inserire, all’interno del processo di​​ ​​ conversione e crescita cristiana dell’educando, un autentico processo di maturazione umana, e viceversa; però in modo tale che, in ambedue i casi, i due processi, nella persona concreta dell’educando, diventino un unico processo di maturazione umano-cristiana. Per la prima componente rinviamo alla voce relativa (​​ maturazione).

2. La realizzazione degli obiettivi e della meta a cui tende l’educazione cristiana esige che vi partecipino, sia pure con responsabilità e contributi diversi, tutte le componenti della comunità ecclesiale: i pastori, nella loro funzione di animazione e guida delle altre componenti della comunità, la famiglia, la scuola, i gruppi giovanili, le associazioni, i movimenti ecclesiali, ecc. Le comunità ecclesiali diventano ambiente adatto per la maturazione umano-cristiana della generazione in crescita alle seguenti condizioni: se sono vere comunità a misura d’uomo; se è presente in esse una forte tensione evangelizzatrice, non disgiunta da un autentico sforzo di promozione umana; e infine se la vita dei loro membri si svolge in un clima di dialogo come atteggiamento, comunicazione e comunione collaborativa. Quest’ultima condizione è molto importante per una maturazione umano-cristiana, che eviti nel giovane, durante il suo processo di crescita cristiana, l’arresto della sua maturazione umana. Il dialogo / atteggiamento si identifica ultimamente con l’apertura e l’accettazione della persona dell’altro e si realizza in concreto quando l’e.c., di fronte ai comportamenti giovanili è capace di risposte, verbali o gestuali, franche e sincere, che non includano tuttavia giudizi negativi sulle persone. Il dialogo / comunicazione, reso possibile dall’accettazione e dalla stima reciproca, realizza un vero rapporto interpersonale tra l’e. e l’educando. Mediante una tale comunicazione il giovane non si sente emarginato, cresce in lui il sentimento di appartenenza alla​​ ​​ Chiesa, condizione questa oggi molto importante per potere attuare un processo di maturazione umano-cristiana in un mondo sempre più secolarizzato e scristianizzato. Conseguenza delle due disposizioni precedenti è la realizzazione, tra i vari partner della comunità educativa, di un’autentica comunione / collaborazione, fatta di disponibilità reciproca, di capacità di modificazione dei propri stereotipi e delle proprie abitudini in favore di imprese comuni, che esigono sacrifici da parte di tutti. I membri della comunità, accettandosi reciprocamente e potendo comunicare in profondità tra loro, sono in grado di aiutarsi reciprocamente per il raggiungimento dello scopo della loro conversione: crescere in Cristo, maturando come uomini; attuare la loro missione di evangelizzazione e di promozione umana nel mondo.

Bibliografia

Galli N. (Ed.),​​ L’educazione cristiana negli insegnamenti degli ultimi pontefici. Da Pio XI a Giovanni Paolo II,​​ Milano, Vita e Pensiero, 1992; Gatti G.,​​ Professione: e.c., Leumann (TO), Elle Di Ci, 1995; Giussani L.,​​ Il rischio educativo come creazione di personalità e di storia, Torino, SEI, 1995; Tonelli R.,​​ Educhiamo i giovani a vivere da cristiani adulti, Leumann (TO), Elle Di Ci, 2000; Domínguez Prieto X. M.,​​ Etica del docente,​​ Roma, LAS, 2007.

G. Groppo




EDUCATORE PROFESSIONALE

 

EDUCATORE PROFESSIONALE

Oggi emerge sempre più chiaramente il bisogno di «professionisti dell’educazione». Con la crisi delle agenzie educative tradizionali e la perdita della centralità della scuola, il compito educativo diviene sempre più differenziato e complesso, e questo rende ardua la precisazione di identità, compiti, competenze e attività specifiche del professionista dell’educazione.

1. Per una comprensione meno superficiale e settoriale, riportiamo la specificazione del profilo dell’e.p. fatta dall’ANEP (Associazione Nazionale Educatore Professionale): «L’e.p. è l’operatore che, in base ad una specifica preparazione di carattere teorico e tecnico-pratico, svolge la propria attività mediante la formulazione e la realizzazione di progetti educativi, caratterizzati da intenzionalità e continuità, volti a promuovere lo sviluppo equilibrato della personalità e delle potenzialità, il recupero ed il reinserimento sociale di soggetti portatori di menomazioni psico-fisiche e di persone in situazione di disagio o esposte a rischio di emarginazione sociale o di devianza». In questa definizione sono presenti gli elementi essenziali del compito dell’e.p., che egli può svolgere «in strutture e servizi socio-sanitari e socio-educativi pubblici e privati, sul territorio, nelle strutture residenziali e semiresidenziali in regime di dipendenza o libero professionale», come precisa il decreto legislativo n. 520 del 1998 del Ministero della Sanità.

2. Le attività specifiche dell’e.p. possono consistere in relazioni «dirette» con le persone con cui egli condivide il quotidiano e che, attraverso una relazione educativa significativa, accompagna verso un cambiamento. In questo tipo di attività, l’e.p. deve essere attento a comprendere come viene percepito il suo intervento perché il / i soggetto / i preso / i in cura siano veri protagonisti del processo di crescita. La sua attività professionale può anche essere di tipo «indiretto», in quanto può vederlo impegnato in analisi, progettazione, organizzazione e processi di intervento, di verifica e / o di valutazione di attività educative. Vengono invece indicate come attività di secondo livello quelle nelle quali l’e.p. è impegnato nella formazione, nel coordinamento e / o supervisione di altri operatori che svolgono attività educative nel sociale.

3. Per poter rispondere al compito e svolgerlo con efficacia, l’e.p. ha bisogno di adeguate competenze educative che si riferiscono a tre aree principali: quella cognitiva (tutta l’area delle scienze umane, i diversi tipi di soggetti con cui potrà operare), quella metodologica (capacità di azione che richiederà l’acquisizione di abilità di uso di metodi e tecniche fondamentali per il lavoro personale, di équipe e di rete), e personale (qualità e capacità personali riferite a relazione, comunicazione, controllo, attenzione a diversità culturale, al cambiamento, alla diversità di contesto ambientale e di vita personale, ecc.).

Bibliografia

Groppo M. (Ed.),​​ L’e.p. oggi,​​ Milano, Vita e Pensiero, 1994; Bassa Poporat M. T. - F. Lauria,​​ Professione e. Modelli,​​ metodi,​​ strategie d’intervento, Pisa, ETS, 1998; Santerini M.,​​ L’e. tra professionalità pedagogica e responsabilità sociale, Brescia, La Scuola, 1998; Brunori P. et al.,​​ La professione di e. Ruolo e percorsi formativi, Roma Carocci, 2001; Biasin C.,​​ L’e. Identità,​​ etica e deontologia, Padova, CLEUP, 2003; Cardini M. - L. Molteni (Edd.),​​ L’e.p. Guida per orientarsi nella formazione e nel lavoro, Roma, Carocci Faber, 2003; Prever F. C. - M. Pidello - L. Ronda (Edd.),​​ La responsabilità dell’e.p. Etica e prassi del lavoro socio-educativo, Ibid., 2003; Brandani W. - P. Zuffinetti (Edd.),​​ Le competenze dell’e.p., Ibid., 2004.

V. Orlando




EDUCAZIONE

 

EDUCAZIONE

Promozione, strutturazione e consolidamento delle capacità personali fondamentali per vivere la vita in modo cosciente, libero, responsabile e solidale, nel mondo e con gli altri, nel fluire del tempo e delle età, nell’intreccio delle relazioni interpersonali e nella vita sociale storicamente organizzata, tra interiorità personale e trascendenza.

1.​​ Etimologia ed uso del termine.​​ L’etimologia​​ incerta, tra​​ educare​​ (nutrire, allevare, coltivare) ed​​ educere​​ (tirar fuori, sviluppare), fa riferimento ad un intervento promozionale, riferito nel primo caso più agli aspetti organici (allevamento, custodia, assistenza, cura, nutrizione, igiene) ed invece nel secondo caso agli aspetti più interiori (immaginazione, osservazione, intelletto, ragione, senso critico, emotività, relazionalità, espressività, operatività). L’uso storico​​ evidenzia la polisemia del termine, considerato sinonimo di​​ ​​ sviluppo, crescita, apprendimento, formazione, socializzazione, inculturazione, istruzione, insegnamento, addestramento, aggiornamento; ed evoca ambienti istituzionali particolari come la famiglia, la scuola, le chiese, i gruppi, le associazioni, i movimenti, ma investe anche la responsabilità sociale nel suo complesso: il sistema dei mass-media e dei new media in particolare. Nelle lingue moderne, l’ingl.​​ Education​​ è molto vicino a istruzione o comunque a e. scolastica, mentre si usa​​ Bringing up​​ per il far crescere (specie in famiglia) e​​ Training​​ per la capacitazione ad agire. A sua volta il ted.​​ Erziehung​​ sottolinea l’intervento sul processo di trasformazione umana.

2.​​ Le molte facce dell’e.​​ L’e. può essere intesa in più sensi, accentuando questo o quello dei molteplici aspetti secondo cui può essere considerata. Nell’uso quotidiano, quando si parla di e., s’intende anzitutto una particolare​​ attività​​ umana, connessa a determinate figure e a ruoli particolari, come genitori, maestri, insegnanti, sacerdoti, istitutori, educatori, all’interno di un​​ rapporto​​ interpersonale particolare, e rivolta a nutrire, curare, formare individui della generazione in crescita. È senz’altro l’uso più antico del termine, cui sembra riferirsi l’incerta etimologia (​​ azione educativa, azione didattica). Sempre più insistentemente nell’epoca moderna e contemporanea, l’e. viene vista come attività e compito di chi appartiene alla generazione in crescita, e pertanto si è portati ad identificarla con il processo di crescita personale, accentuandone l’aspetto attivo (​​ formazione, auto-formazione). In certi casi, riferendosi alla situazione in cui si dispiega l’attività educativa, la si vede come un​​ processo,​​ cioè una sequenza organizzata di attività finalizzate alla strutturazione e al consolidamento della personalità e della sua vita relazionale (​​ processo educativo). Altre volte si parla di e. volendo indicare il​​ risultato​​ complessivo e della rilevanza politica di tale attività in un soggetto o in una pluralità di soggetti (come quando si parla di e. in genere o di e. scolastica, di e. classica, di e. tecnico-scientifica o di e. primaria, secondaria, ecc.). Tuttavia, nel linguaggio dell’opinione corrente, per lo più, quando si parla di e. si fa riferimento ad un​​ sistema​​ o insieme di strutture, istituzioni, persone, procedure sociali, in cui si realizzano tutti o in parte i significati enunciati precedentemente (​​ sistema formativo, sistema educativo di istruzione e di formazione). Così ad es. si parla di un’e. differente da nazione a nazione (e. europea, asiatica, americana, ecc.); da periodo storico a periodo storico (e. antica, medioevale, moderna); attuata da differenti istituzioni o in diverse situazioni (e. familiare, scolastica, ecclesiale); o secondo particolari modalità, regole di funzionamento o di gestione, (e. pubblica o privata; neutra o confessionale; centralizzata o decentralizzata). Anzi non è raro il caso in cui e. venga intesa puramente come equivalente a scuola e a processi d’istruzione scolastica, soprattutto nella letteratura anglofona o nella pedagogia accademica tradizionale.

3.​​ Novità nella pratica e nei significati di e.​​ Queste diverse prospettive, secondo cui è inteso il termine e., si sono arricchite nel nostro tempo di nuove connotazioni. Per quanto riguarda l’e. intesa come​​ sistema,​​ si va prendendo coscienza del moltiplicarsi delle cosiddette agenzie e situazioni educative. L’e. si compie non solo o non tanto in famiglia o a scuola o in parrocchia o nelle associazioni tradizionali, ma anche e spesso nella strada, nella vita del quartiere, nei gruppi di coetanei o più ancora in quelli che vengono detti gruppi spontanei; nei momenti di gioco e di tempo libero; attraverso la lettura di giornali, fumetti, riviste, libri; nelle discoteche, al cinema, attraverso la radio e la televisione; e oggi soprattutto navigando nella rete telematica con il computer e gli altri strumenti «hi-fi», lo sport, il divertimento, il turismo, ecc. Anche per quanto riguarda l’e. intesa come​​ attività​​ educante non ci si riduce più all’azione e alla presenza degli educatori tradizionali. Accanto ad essi acquistano sempre più valore il gruppo, i leaders, l’eroe del fumetto, la star del cinema o della canzone, i capi carismatici di movimenti o partiti, i campioni sportivi. Così pure prendono coscienza della loro valenza educativa gli operatori sociali, gli animatori socio-culturali, i terapeuti. E, in genere, si assiste ad un rapido moltiplicarsi e specializzarsi dei ruoli e delle figure educative professionali specifiche quali gli​​ ​​ educatori professionali, gli esperti di processi formativi, i pedagogisti, gli animatori, i mediatori culturali, i tutor, i mentor, ecc. Se poi ci si colloca dal punto di vista dell’e. come​​ intervento sui processi​​ di crescita personale, oggi si mette in risalto, accanto all’assimilazione e all’adattamento, l’aspetto attivo e creativo di colui che è soggetto di e., perlomeno nel senso che, per quanto gli è dato dall’età e dalle doti personali e contestuali, prende sempre più posizione rispetto ai processi di crescita ed ai molteplici interventi formativi o comunque sociali con cui viene ad interagire o in cui si trova a vivere, provando e tentando, spesso rischiando anche gravemente o compromettendo l’avvenire, ed in ogni caso facendosi le sue esperienze; e questo non soltanto nel periodo circoscritto che va dall’età del cosiddetto uso della ragione alla maggiore età. I tempi dell’e. si sono dilatati sia verso il basso che verso l’alto. Si prende sempre più coscienza di una fondamentale coestensività di esistenza e di e., sia pure con modalità diversificate dal punto di vista cronologico e strutturale. Tale coscienza e convinzione sono veicolate dalle categorie di e. prescolastica, di prolungamento dell’e. scolare, di e. ricorrente, di e. degli adulti, di e. per la terza età o, globalmente, di​​ e. permanente​​ (che viene sempre più intesa come e.​​ per​​ tutta la vita,​​ di​​ tutta la vita,​​ in​​ tutte le situazioni di vita).​​ Accanto all’e. formale (intenzionale e organizzata, come l’e. scolastica) si evidenzia il rilevante significato dell’e. non formale (intenzionale ma non troppo organizzata, come in famiglia, nei movimenti, nei centri formativi e sociali) e dell’e. informale (né intenzionale né organizzata, come nel mondo dei vissuti urbani, del divertimento o del mondo del virtuale). Anche l’e. come​​ rapporto​​ oggi è sempre meno compresa come evento atomistico, senza storia, o binomio astrattamente preso: la coppia educando / educatore (o quella relativa allievo / maestro) per lo più è vista e trattata come realtà plurale o collettiva in entrambi i termini del rapporto:​​ ​​ la comunità educativa viene pensata e voluta come soggetto ultimo dell’e. A sua volta lo stesso rapporto interpersonale tra educando ed educatore, anche quando è visto nella sua singolarità, viene ricompreso nel suo intreccio con il mondo della natura e della cultura, con l’immaginario collettivo e con il mondo del virtuale, e nel suo rapporto con le strutture sociali, economiche, politiche, religiose. I recenti sviluppi delle scienze umane (etologia, psicologia, sociologia, antropologia culturale, linguistica), della psicoterapia ed in particolare delle scienze della comunicazione aiutano a comprendere sempre meglio le dinamiche complesse e profonde della relazione e della​​ ​​ comunicazione educativa. E sulla base della vasta interazione e reciprocità che tale relazione comporta e induce, si va parlando anche di​​ ​​ coeducazione: non tanto nel senso tradizionale di strategia educativa che fa interagire ragazzi e ragazze, quanto piuttosto come momento del comune processo storico di liberazione e qualificazione umana. Anche l’e. come​​ risultato​​ mostra nuove connotazioni. Le moderne pratiche e concezioni educative hanno tentato di superare l’unilateralità di certe impostazioni tradizionali, troppo spesso eccessivamente moralistiche o, all’opposto, troppo esclusivamente intellettualistiche; oppure troppo umanistiche o, all’opposto, troppo tecniche. Si è ricuperato il carattere pluridimensionale dell’e., in cui si connettono sviluppo fisico-biologico, maturazione psicologica, formazione culturale, crescita morale, maturità religiosa, inserimento, ambientale partecipazione storica e così via, nella prospettiva di una e. integrale della persona, coerente con l’esistenza comunitaria storica. Una maggiore attenzione viene data alle diverse condizioni di vita (​​ donna, condizione giovanile, adultità, terza età, anziani) o a chi si trova in condizioni vitali particolari (​​ disabilità, disagio, devianza, emarginazione, tossicodipendenza, bulimia, anoressia, malati di AIDS, ecc.). La complessità e i mutamenti in atto nella vita sociale, invitano a prestare speciale attenzione ad alcune dimensioni od aspetti della e. personale e sociale: si parla in tal senso di​​ «nuove e.»​​ (​​ e. ambientale, sessuale, alla convivenza democratica, alla legalità, allo sviluppo, alla pace, al pluralismo e alla multiculturalità, ecc.). La globalizzazione e l’informatizzazione generalizzata fanno parlare di società della conoscenza ed enfatizzano la razionalità tecnologica: nuove forme di apprendimento si impongono e nuove competenze si rendono necessarie. Si invoca perciò da tutte le parti e a tutti i livelli una generale riforma dell’apprendimento e dell’insegnamento.

4.​​ La specificità educativa.​​ In questi contesti per tanti versi del tutto nuovi si parla di emergenza educativa. Invero l’età moderna e contemporanea ha esaltato, ma anche aspramente criticato e contestato (​​ descolarizzazione, marxismo, psicoanalisi) l’azione sociale dell’e. Pur tuttavia, le nazioni e le organizzazioni internazionali connettono strettamente sviluppo sociale ed e., coscienti della funzione sociale dell’e. e del suo essere uno dei diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino. Alla problematicità di sempre, collegata con la diversità generazionale, con la disparità di esperienza e di vita tra educatori ed educandi, con le interferenze date dalle innovazioni e dai mutamenti che subentrano nel tempo e nelle diverse età della vita, oggi si affianca quella derivata dalla particolarità del vissuto sociale contemporaneo. Questo dilatarsi di prospettiva e di impegno, ma anche di problematicità, richiede a livello logico un supplemento di chiarificazione e precisione, ad evitare confusioni, eccessività, incomprensioni, guasti. Dopo​​ ​​ Rousseau si è preso a parlare di e. della natura, delle circostanze, oltre che di e. come opera dell’uomo sull’uomo. Allo stesso scopo, ma con volontà di una maggior precisione, dopo gli anni venti, i pedagogisti cominciarono a distinguere tra​​ e. intenzionale​​ e​​ e. funzionale.​​ Con quest’ultima (o con le terminologie affini di e. non formale e di e. informale) s’intendono le incidenze più svariate sulla personalità in sviluppo, che sortiscono senza un programma preciso (e senza troppa chiara coscienza educativa) dalle forze socio-culturali, politiche, economiche o dall’ambiente. Con e. intenzionale (o con i termini affini di e. formale, di e. sistematica e di e. organizzata) invece si vuole caratterizzare quella serie di azioni e interventi voluti e specifici, predisposti esplicitamente secondo un certo ordine metodico e posti da chi ha compiti e responsabilità educative, individualmente e / o collettivamente, in vista di favorire e promuovere il processo formativo della personalità dei soggetti di e. La crescita personale e la sua formazione impegnano istituzioni e persone in un vasto spettro di azione. All’interno di esso, l’e. sembra caratterizzarsi per l’attenzione alla globalità e alla unitarietà della vita personale. Proprio per questo, ha da tener conto dell’intera gamma di rapporti di cui è intessuta la vita umana (in tal senso si parla di​​ forme dell’e.:​​ fisica, psichica, intellettuale, morale, estetica, religiosa, tecnico-professionale, ecc.). Anzi l’e. sembra trovare il suo​​ proprium,​​ diretto e specifico, nel riferirsi alla​​ strutturazione organica della personalità umana e del suo comportamento storico,​​ cosciente,​​ libero,​​ responsabile​​ e oggi, in un contesto di globale interdipendenza di vita,​​ proattivamente solidale.​​ In questo orizzonte di senso vengono ad essere qualificate educativamente le altre attività formative (l’apprendimento, l’insegnamento, la formazione culturale, gli interventi metodici di socializzazione e d’inculturazione, l’addestramento, l’allevamento, il sano sviluppo biopsichico, ecc.): in modo tale che l’essere umano sano, colto, socializzato, competente, professionista sia persona e viva autenticamente la sua esistenza storica in apertura alla trascendenza. Per tali motivi è da dire che forse solo mediante un’indagine approfondita sulla vita e la libertà umana si potrà comprendere meglio e più adeguatamente il significato specifico dell’e.: nel senso che si fa opera propriamente educativa solo quando si aiuta a crescere in «umanità», quando si agisce per la «genesi della persona», quando si fa opera d’iniziazione all’agire eticamente valido e operativamente capace. Ma è evidente che a questo livello risulta preponderante l’influsso delle concezioni che si hanno del mondo e della vita e più in particolare dell’immagine che si ha dell’​​ ​​ uomo e del suo destino: storico e religiosamente trascendente.

Bibliografia

Corallo G.,​​ L’e., Torino, SEI, 1961; Peters R. S. (Ed.),​​ Analisi logica dell’e.,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1971; Brezinka W.,​​ La scienza dell’e.,​​ Roma, Armando, 1976; De Giacinto S.,​​ E. come sistema,​​ Brescia, La Scuola, 1977; Soltis J. F.,​​ An introduction to the analysis of educational concepts,​​ London, Addison-Wesley, 1978; Lena M.,​​ Lo spirito dell’e.,​​ Brescia, La Scuola, 1986; Massa R.,​​ Le tecniche e i corpi,​​ Milano, Unicopli, 1986; Mialaret G. (Ed.),​​ Introduzione alle scienze dell’e.,​​ Roma / Bari, Laterza, 1989; Nanni C.,​​ L’e. tra crisi e ricerca di senso,​​ Roma, LAS, 1990; Delors J. (Ed.),​​ Nell’e. un tesoro, Roma, Armando, 1997; Morin E.,​​ I sette saperi necessari all’e. del futuro, Milano, Cortina, 2001; Angelini G.,​​ Educare si deve,​​ ma si può?, Milano, Vita e Pensiero, 2002; Callari Galli M. - F. Cambi - M. Ceruti,​​ Formare alla complessità, Roma, Carocci, 2003;​​ Briones G.,​​ Epistemología y teorías de las ciencias sociales y de la educación, México D.F. / Alcalá de Guadaíra (Sevilla), Trillas / MAD, 2006;​​ Steiner R.,​​ L’ e. dei figli, Milano, Mondadori, 2007.

C. Nanni




EDUCAZIONE AFFETTIVA

 

EDUCAZIONE AFFETTIVA

La componente affettiva esce dall’intimità vitale profonda, tesa alla conservazione e alla espansione totale. Investe la vita e gli incontri ricavandone stati di gratificazione, piacere, gioia e​​ ​​ felicità o​​ ​​ frustrazione, dolore, dispiacere, sofferenza.

1. L’e.a., che è sempre della persona, promuove maturità e ordine in quella componente e dimensione personale che è l’affettività (​​ e. sessuale,​​ ​​ emozioni,​​ ​​ amore). Essa guida la persona a ottenere la massima disponibilità di carica vitale a tutti i livelli, corporeo, psichico, spirituale, operativo, offrendole condizioni di libertà e stimoli crescenti per sentire bisogni, avere interessi, esprimere desideri, provare emozioni, vivere passioni; ed aiuta l’integrazione della​​ ​​ personalità. In tal senso l’e.a. integra il mondo dell’emotività e dell’apertura all’altro nelle funzioni ordinatrici di percezione, interpretazione, giudizio, valutazione oggettiva e soggettiva, progetto, ecc. Assicura loro validità di espressione, non imbrigliandoli e soffocandoli, ma investendoli produttivamente dentro sistemi di valori, fini e scopi, fino a prospettive etiche e religiose. L’e.a. attraversa le fasi di prima e seconda infanzia, fanciullezza, pubertà, adolescenza, giovinezza, età adulta, anzianità. Privilegia la relazione con se stessi e con le figure parentali, l’amicizia e l’amore in tutte le espressioni. Ne sono luoghi privilegiati i coetanei, la famiglia, la scuola, i gruppi e movimenti, le comunità, lo sviluppo della relazione qualificata maschile-femminile, fino alle dimensioni più larghe della​​ ​​ solidarietà sociale, ideale, religiosa.

2. Sulla dimensione affettiva della personalità e della condotta incidono fattori ereditari, pulsionali profondi, ambientali culturali e modali, esperienziali, favorevoli o conflittuali, conoscenze frutto di riflessione interna o di riferimento assiologico, interpretativo, valutativo e progettuale totale. Da questo punto di vista, l’e.a. è come l’energia delle potenzialità interiori di sviluppo personale, corregge o induce fissazioni e insicurezze, può essere fattore di rieducazione o addirittura di terapia nei casi di evidente deviazione. Sono decisivi la costruzione previa o contemporanea di quadri di interpretazione valida, il possesso convinto di progetti di identità, relazione, appartenenza, partecipazione, l’acquisizione di motivi e criteri di autocontrollo, la possibilità e l’esercizio concreto di espressività affettiva libera e positiva Gli educatori che possiedono​​ ​​ maturità affettiva ne fanno ambiente, stile, stimolo per i soggetti in e., singoli e collettività. Nella situazione attuale dell’esistenza individuale e collettiva tutto ciò non è assolutamente scontato e facile da realizzare.

Bibliografia

Bednarski F. A.,​​ L’e. dell’affettività alla luce della psicologia di S. Tommaso d’Aquino,​​ Milano, Massimo, 1986; Del Re G.,​​ E. sessuale e relazione affettiva,​​ Trento, Erickson, 1994; Ianes D. - H. Demo,​​ Educare all’affettività, Ibid., 2007.

P. Gianola




EDUCAZIONE AI MEDIA

 

EDUCAZIONE AI MEDIA

Per e.a.m. si intende il processo attraverso il quale vengono acquisite, da una parte, competenze per il consumo citico e per la decostruzione dei «testi» mediali e, dall’altra, il processo attraverso il quale vengono acquisite competenze per la creazione di «testi» mediali. L’e.a.m. va perseguita sullo sfondo della comprensione della natura della comunicazione con particolare riferimento ai mass media e alle telecomunicazioni. Un soggetto educato ai meda conosce le caratteristiche strutturali dei media e come esse tendano ad influenzare il contenuto dei media stessi.

1.​​ Cenni storici.​​ L’alfabetizzazione ai media, iniziata negli anni Trenta secondo il paradigma «inoculatorio» o di protezione dai loro effetti, ha seguito, negli anni Sessanta, il paradigma detto «delle arti popolari», volto ad enfatizzarne il potere all’interno della cultura popolare. Negli anni Ottanta si è riscontrata una presa di coscienza circa il potere ideologico dell’immagine, legato alla sua naturalizzazione, con conseguente nascita del paradigma «rappresentazionale» della realtà attraverso il consumo delle immagini. Lo studio sui media quale campo scientifico ha un’origine recente. Dagli anni Novanta, grazie all’analisi investigativa,​​ l’e.a.m.​​ è entrata in una fase di autonomia critica, come delineato da Masterman (1994) che considera l’e.a.m. come una delle poche armi che una società possiede per sfidare il divario di conoscenza e di potere creato dai media stessi. Se negli anni Ottanta la preoccupazione degli educatori era quella di un insegnamento dei media regolamentato, nella scuola primaria e secondaria, la questione oggi si è spostata più sul come operare per trasformare l’esperienza dell’e.a.m. in un processo globale che duri tutta la vita. Inoltre, dalla seconda metà degli anni Novanta è andata sempre più stringendosi l’alleanza fra i media tradizionali – stampa di massa, televisione, radio e cinema – e i nuovi media. Multimedialità e telematica sono sempre più due ambiti concettuali che si intersecano integrandosi. L’urgenza di educare all’uso dei media vecchi e nuovi si rivela più che mai un’urgenza prioritaria dell’e. nella società globalizzata. Varie sono le ottiche dalle quali collocarsi per educare ai media vecchi e nuovi.

2.​​ La​​ media education​​ è una strategia per gestire al meglio l’e. alla cittadinanza nella società dell’informazione. Per formare alla comunicazione è necessario immettersi nel flusso di riflessione e proporre strategie operative riferite ai media intesi come risorsa integrale per l’intervento formativo. La​​ media education​​ non si esplicita solo nella scuola, ma anche nella famiglia e nel​​ non profit​​ nelle sue diverse forme. Il termine​​ media education​​ e la corrente culturale dei​​ media educators​​ o educatori ai media ha origine negli anni Settanta in Australia ed è presente in alcune iniziative dell’UNESCO. Nel 1978 viene fondata in Canada l’Association for Media Literacy​​ che sviluppa, nello stato dell’Ontario, riflessioni teorico-pratiche che confluiscono, nel 1989, nel volume​​ Media literacy, libro-guida per le scuole superiori. Gli anni Ottanta vedono nel britannico Len Masterman il teorico più accreditato. Il testo-base che guida il movimento della​​ media education​​ è​​ Teaching the media​​ del 1985. Masterman, in un contributo del 1994, fa osservare che il punto focale dell’e.a.m. è quello di sviluppare nei bambini sicurezza in se stessi e maturità critica per formulare giudizi motivati sui programmi televisivi e, in seguito, anche su articoli di giornali. Gli educatori di tutto il mondo hanno compreso l’importanza dell’e.a.m. in tal senso, tuttavia la realizzazione concreta di corsi finalizzati a tale scopo è ancora agli inizi nella maggior parte dei Paesi, con l’eccezione forse di Scozia, Canada e Australia. Masterman offre ai​​ media educator​​ un quadro concettuale robusto per l’introduzione della​​ media education​​ nella scuola, fondato sulle convinzioni che: i media nella scuola vanno studiati con sistematicità come ogni altra realtà della cultura; i media non sono la realtà, ma una sua rappresentazione, una costruzione di un’immagine di realtà. Con la conseguenza che il primo compito della​​ media education​​ è quello di «decostruire» tale costruzione artificiale della realtà. Per Masterman, quattro grandi categorie guidano il processo di decostruzione: a) gli elementi strutturali presenti nella comunicazione mediale; b) il linguaggio proprio usato dai media, che va insegnato ed appreso; c) i fattori ideologici ed economici ai quali i media sono strettamente legati, che li rendono capaci di far passare come realtà una costruzione «interessata» della realtà; d) La «negoziazione» che il pubblico opera sui significati trasmessi dai media sulla base delle proprie conoscenze, valori e ideologie. In questo senso il pubblico, soprattutto giovanile, va preparato ad essere fruitore critico dei media. Nel 2006 l’UNESCO e la Commissione Europea danno il via al progetto MENTOR, un programma che riunisce esperti e professionisti della​​ media education​​ del bacino mediterraneo e discute sulla formazione dei formatori mettendo a fuoco strategie nazionali e internazionali per lo sviluppo della​​ media education. MENTOR è diventata un’associazione professionale per lo sviluppo della​​ media education​​ nel mondo. Prezioso è il volume​​ Handbook on Information Literacy​​ pubblicato dal Consiglio d’Europa. In Italia, l’associazione MED (Giannatelli e Rivoltella, 2003) crea uno spazio d’incontro e di progettazione tra Scienze dell’E. e Scienze della Comunicazione.

3. La scelta della​​ media literacy​​ o alfabetizzazione ai media potrebbe essere considerata un punto d’arrivo dopo anni di​​ media education​​ (Felini, 2004). La​​ media literacy​​ è il processo di analisi, valutazione e creazione di messaggi sotto una grande varietà di forme. Utilizza un modello basato sull’inchiesta, attraverso il porsi domande circa ciò che si guarda e si legge. L’e. alla lettura dei media è un mezzo per sviluppare la​​ media literacy. Offre strumenti per aiutare le persone ad analizzare criticamente i messaggi veicolati dai grandi mezzi di comunicazione di massa, a scoprire dove si nasconde la propaganda, a cogliere valori e non valori delle notizie e a capire come le grandi emittenti influenzano le informazioni presentate. La​​ media literacy​​ ha come obiettivo l’abilitazione delle persone ad essere creatrici competenti e produttrici di messaggi di massa. Trasformando il processo del consumo dei media in un processo attivo e critico, i giovani in formazione acquisiscono una maggiore presa di coscienza del potenziale di manipolazione dei media stessi e capiscono il ruolo dei mass media e dei media partecipativi come la Rete, nella costruzione di visioni particolari della realtà. In sintesi, la​​ media literacy​​ è un approccio all’e. del XXI sec. Offre un quadro di riferimento teorico per accedere, analizzare, valutare e creare messaggi in una grande varietà di forme – dalla stampa a Internet. La​​ media literacy​​ costruisce una comprensione del ruolo dei media nella società e offre abilità fondamentali per la critica e per l’espressione di sé, indispensabili per la cittadinanza e per la democrazia.

4. Con il termine​​ Medienpädagogik​​ sono intesi tutti gli ambiti nei quali i media hanno una rilevanza pedagogica in riferimento all’e., all’istruzione, all’aggiornamento e alla formazione continua. La​​ Medienpädagogik​​ comprende tutte le riflessioni e misure di carattere socio-pedagogico, socio-politico, socio-culturale e tutte le proposte per bambini, adolescenti e adulti che fanno riferimento ai loro interessi culturali e alle loro potenzialità di manifestazione, che riguardano le loro personali opportunità di crescita e di sviluppo, come anche le loro possibilità sociali e politiche di espressione e di partecipazione democratica (Hug, 2001). La​​ Medienpädagogik​​ è praticata soprattutto nell’area linguisitico-culturale tedesca.

5.​​ L’educomunicazione​​ è l’insieme delle politiche e delle azioni inerenti alla pianificazione, all’attuazione e alla verifica di processi e prodotti destinati a creare e rinforzare ecosistemi comunicativi negli ambienti educativi «in presenza» o «virtuali». Tra queste azioni si includono preferenzialmente lo studio sistematico dei mezzi di comunicazione (media education) fra le pratiche educative, e allo stesso modo ogni sforzo per migliorare il coefficiente espressivo e comunicativo delle azioni educative, comprese quelle destinate all’utilizzazione dei mezzi d’informazione nel processo di apprendimento (information literacy) (De Oliveira Soares, 2001). In America Latina il concetto di educomunicazione è stato utilizzato dal ricercatore uruguaiano M. Kaplún ed è stato messo in discussione nell’International Congress on Communication and Education​​ dalla ricercatrice francese Geneviève Jacquinot, docente all’Università di Parigi 8. Nel suo intervento la ricercatrice affermava che l’educomunicatore non è soltanto un professore specializzato con l’incarico del corso di e. ai mass media, ma un professore del ventunesimo secolo, capace di integrare i diversi mezzi nella sua pratica pedagogica. L’educommunicazione, in realtà, si caratterizza per la ricerca permanente di risposte concettuali e prammatiche alle complesse questioni presenti nelle condizioni di vita della società contemporanea. Il nuovo campo si trova ancora nella fase di definizione della propria identità, essendo elementi fondamentali il carattere interdiscorsivo e interdisciplinare del suo impianto teorico e il livello multiculturale del suo intervento sociale.

6.​​ Educare ai nuovi media.​​ Rappresentazioni informative e concettuali che non sono più lineari e piane affascinano le giovani menti. Nuove competenze cognitive, abilità mentali inedite, modi diversi di parlare e di scrivere si propagano a macchia d’olio e raggiungono i margini della scuola e delle agenzie formative. Cambiano il modo di concettualizzare e sentire e agire nonostante le agenzie formative e contro le stesse (Moeglin, 2005). Il tema della comunicazione mediata dal computer è racchiuso nell’acronimo scientifico CMC ovvero​​ Computer Mediated Communication. Qui la riflessione sulla formazione alla comunicazione diventa d’obbligo. Le dinamiche comportamentali e le modalità di interazione che emergono dalla CMC aprono finestre sul mondo giovanile e chiedono di conoscere e di essere presenti a fianco di chi trascorre il proprio tempo libero in Rete perché sappia costruire relazioni interpersonali autentiche e gratificanti e sappia sviluppare una costruttiva comunicazione di gruppo.

6.1.​​ Educare all’uso dei videogiochi. Gli studiosi sono unanimi nel riconoscere che si può imparare molto videogiocando. In prima istanza, la manipolazione del mouse, della tastiera e dei diversi sistemi di interazione con il​​ software​​ è propedeutica all’uso del computer​​ tout-court. Competenze quali la rapidità di reazione, l’azione in​​ multi-tasking, la velocità nella raccolta e manipolazione di informazioni, l’esercizio della decisionalità e dell’elaborazione di strategie sono un dato di fatto. Altra straordinaria valenza positiva è il contatto sociale. I ragazzi giocano raramente da soli. La pratica dei videogiochi è un’opportunità di contatto sociale e di interazione con gli altri. Le comunità cosiddette​​ gaming communities​​ o comunità di gioco si stanno moltiplicando sulla Rete perché la più gran parte dei videogiochi è​​ multiplayer. I videogiochi sono un argomento di discussione molto frequente nelle scuole o nei luoghi di aggregazione fuori dalla scuola, con la felice conseguenza di rinforzare le reti di socializzazione. L’uso dei videogiochi forma a un pensiero associativo, reticolare; apre a una visione pluriprospettica e multidimensionale; favorisce l’approccio multi-interdisciplinare ai domini di conoscenza, la riflessione, l’autocontrollo, l’autonomia, l’intenzionalità, la flessibilità cognitiva, il lavoro collaborativo-cooperativo, nonché l’opportunità di sviluppare tutte le dimensioni «meta» del pensiero (Cangià, 2001). In riferimento al contenuto dei videogiochi, esso è spesso formativo come nei giochi che utilizzano tecniche di Intelligenza Artificiale. Con il miglioramento dell’attenzione visiva, delle abilità iconiche e spaziali, con l’affinamento del coordinamento occhio-mano, delle competenze di​​ ​​ problem-solving​​ e dell’interazione sociale, viene velocizzata l’attività dei percorsi neurali. In una tipica sessione di gioco il giocatore raccoglie informazioni sull’ambiente, le analizza e prende decisioni basate sulle proprie analisi, poi agisce cambiando lo​​ status​​ dell’ambiente di gioco e iniziando un nuovo ciclo interattivo (Cangià, 2003). Il videogioco infine, mettendo i giovani a contatto con modelli simulativi, li abitua ad avvicinarsi ai fenomeni secondo un approccio complessivo e sintetico, e, in alcuni casi, stimola all’uso di immaginazione e fantasia; abitua infine alla logica, al rigore e alla serietà. I grandi scenari di gioco sviluppati in ambienti «virtuali», come il MUD e il MOO, sono vere e proprie forme di comunicazione molto ricercate e praticate da ragazzi e adolescenti. All’interno di tali scenari gli utenti vivono avventure ricche di sorprese basate su regole e istruzioni predefinite dagli inventori del gioco, ma soprattutto comunicano.

6.2.​​ Educare all’uso della Rete. La riflessione pedagogico-educativa sulla pratica delle chat si sta svolgendo in parallelo con ricerche sugli aspetti psicologici implicati in detta pratica (Turlow, Lengel e Tomic, 2004). Formare alla comunicazione richiede istruire anche sulle ricadute a livello psicologico, richiede un dialogo aperto e continuo con gli adolescenti circa i «luoghi» virtuali che frequentano, richiede interrogarsi sulla qualità della comunicazione che vi si svolge. La «Rete» è la punta dell’iceberg di una tecnologia già collaborativa, simbolo del nuovo paradigma accettato e diffuso in vari settori della società e delle discipline scientifiche. L’ecosistema della Rete sta evolvendosi verso una configurazione che sta trasformando radicalmente il sapere. La Rete effettiva di macchine, di menti, di cyborg è fatta dai bambini, dai ragazzi e dai giovani che frequentano gli ambienti educativi nei quali operano gli educatori. Per questa ragione l’e.a.m. non può prescindere da una seria e approfondita indagine sugli effetti del consumo della Rete che possono arrivare fino a situazioni di vera e propria dipendenza.

Bibliografia

Masterman L.,​​ Teaching the media education,​​ London, Routledge, 1985; Id., «Media education and its future», in C. J. Hamelink - O. Linné (Edd.),​​ Mass communication research: on problems and policies,​​ Norwood, Ablex Publishing, 1994, 309-322; Id.,​​ A scuola di media: e.,​​ media e democrazia nell’Europa degli anni ’90, Brescia, La Scuola, 1997;​​ Hugh T.,​​ Medienpädagogik, in​​ «Einführung in die Medienwissenschaft Opladen», Berlin, Westdeutscher Verlag,​​ 2001; Soares I. O.,​​ Educomunicación: un concepto y una práctica de red y relaciones, Quito (Ecuador), Redes Gestión y Ciudadania,​​ 2001, 37-52; Cangià C.,​​ Educare alla comunicazione interpersonale,​​ ambientale,​​ mediate di massa e manuale-espressiva, in «Orientamenti Pedagogici» 49 (2002) 405-420; Id.,​​ Videogiochi e insegnamento / apprendimento: una sinergia inesplorata, in «Orientamenti Pedagogici» 50 (2003) 737-755; Gonnet J.,​​ Education aux medias: les controverses fécondes, Paris, Hachette éducation, Centre national de documentation pédagogique,​​ 2003; Giannatelli R. - P. C. Rivoltella (Edd.),​​ Media educator,​​ nuovi scenari dell’e.,​​ nuove professionalità, Roma, DESK, 2003; Felini D.,​​ Pedagogia dei media, Brescia, La Scuola, 2004; Turlow C. - L. Lengel - A. Tomic,​​ Computer mediated communication, London, Sage Publication, 2004;​​ Moeglin P.,​​ Outils et médias éducatifs. Une approche communicationnelle, Grenoble, Presses Universitaires de Grenoble, 2005;​​ Cangià C.,​​ La formazione alla comunicazione, in «Orientamenti Pedagogici» 53 (2006) 21- 35.

C. Cangià




educazione ai SACRAMENTI

 

SACRAMENTI: educazione ai

I s. sono azioni di Cristo e della​​ ​​ Chiesa in cui i credenti scoprono nella fede che Gesù Cristo è presente ed operante in esse per la salvezza dell’umanità. Rivelano globalmente il processo, come paradigma esemplare, che aiuta a riconoscere Dio che accompagna l’uomo sulle strade del mondo.

1.​​ Descrizione.​​ Il​​ Battesimo​​ rivela il momento dell’alleanza che innesta il dono della​​ vita​​ di Dio in ciò che c’è di più prezioso per l’uomo: la sua stessa vita umana. L’innesto provoca la fondamentale trasformazione divina della vita, dall’infanzia alla vecchiaia. La​​ Confermazione​​ ha la radice nella libertà attiva, ed appare come il s. delle scelte personalizzate per un progetto di​​ vita,​​ nel momento in cui ognuno sperimenta il dramma delle decisioni personali: appello tutto particolare alla vita impegnata nella Chiesa. L’Eucaristia​​ fa accostare la​​ vita​​ dell’uomo, individuale e collettiva, il più vicino possibile alla vita di Cristo, perfezionando il bisogno di comunione umana. La​​ Riconciliazione​​ raggiunge la dimensione fondamentale della coscienza umana. Stimolata dalla celebrazione penitenziale, la coscienza viene impegnata nell’intimo della​​ vita​​ di relazione con Dio e con i suoi fratelli. Le crisi del rapporto, gli egoismi lasciano posto all’invincibile speranza di una vita più conforme alle attese di Dio. L’Unzione degli infermi​​ assume la situazione umana particolarmente importante della​​ vita​​ durante la malattia, ed eventualmente dell’età avanzata con la preparazione alla​​ ​​ morte: il conforto e la speranza del dono di Dio penetra nell’intimo stesso della decadenza fisica e prepara il credente per la vita che non finisce. Il​​ Matrimonio​​ celebra il progetto a due della​​ vita​​ d’amore inaugurata dagli sposi che ricevono la missione di svelare le qualità dell’amore di Cristo per l’umanità, intesa come famiglia delle famiglie. L’Ordine sacro​​ trae il suo senso dalla sua funzione di servizio alla​​ vita​​ umana nella sua dimensione sociale ed ecclesiale. I ministri ordinati significano per tutta la Chiesa la sottomissione a Cristo, la fedeltà alla fede apostolica e la comunione delle comunità.

2.​​ Le scelte pedagogiche.​​ Se i s. aggiungono il di più del dono di Dio alla vita già vissuta e celebrata attraverso simboli e riti, l’educatore cristiano predispone un itinerario educativo che porti progressivamente a riscoprire e valorizzare i beni più autentici dell’umanità ed a comprendere il linguaggio dei segni e dei riti. È il compito della​​ ​​ catechesi che cerca di sviluppare i dinamismi più profondi della persona: si indirizza al cuore, là dove sono le radici segrete dell’essere; aguzza la vista per far scoprire un’altra riva, un altro senso delle realtà vissute, perché la verità non finisce dove arriva la vista umana; apre lo spirito all’intelligenza del mistero della vita, appreso come mistero di felicità e di salvezza. La catechesi organizza una: a)​​ pedagogia della fedeltà a quella dimensione della vita​​ in cui si innesta il s.: fedeltà fatta di un’attenzione piena di delicatezza, di capacità di inventare e mettere in atto delle tecniche di servizio per favorire questa crescita vitale: amore, partecipazione, scoperta dell’altro, ricerca ed offerta di senso, perdono; b)​​ pedagogia del risveglio e dell’esplorazione​​ dei valori umani più nascosti per cercare, su una strada piena di mille messaggi, le tracce di una vita più evangelica; per aprire al gusto di Dio presente nei segni, un invito a vivere un’esperienza umana forte; c)​​ pedagogia dell’interiorizzazione attraverso varie attività​​ (inchieste, canti, espressioni gestuali, visione di quadri e pittura...), per favorire la contemplazione e la lode; per imparare ad ascoltare la parola e farla risuonare come un’eco; per dar modo alla parola di purificare, liberare e far vivere; per favorire il desiderio di incontrare Dio col corpo; per investire non solo intelligenza ma anche cuore e sensi; d)​​ pedagogia del desiderio​​ per suscitare l’interesse religioso e far scoprire la gratuità del dono di Dio, per far gustare il «sapore» delle cose di Dio prima ancora del «sapere» le cose di Dio; per aprire alla sorpresa perché la coscienza della lontananza da un bene apre all’alterità di Dio che appare molto più grande dei desideri; e)​​ pedagogia dei segni,​​ perché la salvezza di Dio in definitiva viene all’uomo attraverso simboli e riti (segni) di diversa efficacia salvifica, e così rende familiari i segni della vita che portano alla familiarità umana con i segni del mistero e quindi con i segni sacramentali.

3.​​ Le modalità di iniziazione ai s.​​ La catechesi aiuta a far vivere i s. anche con alcune modalità di​​ ​​ iniziazione: a) una prima modalità porta a far riflettere sul contenuto, sul senso dei s. non indipendentemente dalla celebrazione. Cioè la catechesi di iniziazione ai s. avviene prima durante e dopo la celebrazione, per introdurre ai gesti simbolici e alle diverse parti della celebrazione, servendosi anche di tecniche e strumenti di animazione (pannelli, elementi decorativi, oggetti simbolici); b) una seconda è l’animazione esperienziale​​ ma reale: le iniziazioni-catechesi sono praticabili nella misura in cui i credenti di una comunità possono già vivere da se stessi i s. Qui si tratta di una specie di laboratorio: proporre ad un gruppo di vivere, con una costruzione artificiale, momenti simili ai s. ma vissuti ed evocati da incontri della vita reale (come ad es. il perdono, la condivisione, il superamento delle difficoltà, l’impegno); c) una terza modalità è l’animazione di sintesi:​​ viene vivamente consigliata come animazione dei gruppi che sono stati iniziati ai s., per permettere di fissare nel cuore, nella mente e nell’intelligenza, i processi sacramentali precedentemente percorsi, come sintesi di ciò che si è vissuto. Non in maniera intellettualistica, ma come partecipazione di esperienze, ricordo di un vissuto lontano, visione di diapomontaggi, pannelli e foto, con interviste, memorie sonore, valutazioni. Proprio perché punti di incontro tra i doni di Dio e la realtà umana, i s. non sempre trovano una facile applicazione nella prassi pastorale. Ad es., c’è oggi chi sostiene che non bisogna amministrare il s. del Battesimo ai bambini ignari, che è necessario ritardare la prima confessione all’età della crescita morale dei fanciulli. Giustificazioni teologiche e pedagogiche entrano in conflitto e non sempre si trova una giusta mediazione. In genere la pastorale dell’iniziazione ai s. viene regolata da Vescovi o Conferenze episcopali e dai progetti catechistici locali.

4.​​ Gli elementi costitutivi che favoriscono la celebrazione e la comprensione dei s.,​​ da evidenziare e preparare sono: a)​​ la festa:​​ ogni s. si colloca nel clima di una festa che deve essere tale per la vita. Non per nulla i s. non sono mai dei segni individualistici ma suppongono una «celebrazione»: decoro, oggetti simbolici, stile di invito, canti; b)​​ l’evento da celebrare:​​ il segno sacramentale è sempre in relazione ad un’esperienza di vita che va puntualizzata: il perdono, la vita divina, la responsabilità e la libertà, i ministeri nella Chiesa, la lotta contro il male; c)​​ l’assemblea comunitaria:​​ la celebrazione deve essere fatta da una convocazione assembleare, come occasione privilegiata che unisce gli amici di Gesù e ne celebra la presenza attraverso i riti (segni e gesti); d)​​ la libertà di partecipazione​​ che serve a collocare nella responsabilità delle scelte, a favorire le motivazioni e a coinvolgere nella condivisione e nella realizzazione; e)​​ la preparazione della celebrazione​​ col gruppo che rende possibile una migliore celebrazione del s. ed una più grande intromissione nella dinamica sacramentale, su due versanti: quello della riflessione comune sullo scorrere generale del ritmo sacramentale che permette di vivere i valori della fede; quello più pratico, una specie di cantiere con elementi relativi alla riflessione: pannelli, testi, montaggi, gesti, canti, suoni; f)​​ la partecipazione attiva​​ dei membri del gruppo che dovranno diventare attori e protagonisti del proprio cammino di vita e di fede, da cogliere anche attraverso il richiamo alla riflessione precedente; g)​​ la scelta di parole e gesti​​ significativi perché i valori celebrati non appaiano lontani, complicati, ma siano evocativi di situazioni reali, e gesti e segni posti dai partecipanti, che parlino da se stessi senza la mediazione di troppe parole.

Bibliografia

Chauvet L. M.,​​ Linguaggio e simbolo. Saggio sui s.,​​ Leumann (TO), Elle Di Ci, 1982; Mosso D.,​​ Vivere i s.,​​ Cinisello Balsamo (MI), Paoline, 1992; Gerardi R.,​​ I s. della fede cristiana,​​ Roma, Istituto di Teologia a distanza, 1995; Gelineau J.,​​ Le assemblee liturgiche,​​ che cosa sono,​​ come devono essere, Leumann (TO), Elle Di Ci, 2000; Ucn,​​ Incontro ai catechismi. Itinerario per la vita cristiana, Città del Vaticano, LEV, 2000; Morante G.,​​ Preadolescenti,​​ adolescenti e confermazione, Leumann (TO), Elle Di Ci, 2002; Canova M. - F. Rampazzi,​​ Cantare la liturgia,​​ vol. 2.​​ L’anno liturgico. La celebrazione dei s., Padova, Messaggero, 2003; Caspani P. - P. Sartor,​​ L’iniziazione cristiana oggi. Linee teologiche e proposte pastorali, Milano, Centro Ambrosiano, 2005; Fontana A.,​​ Il mondo è cambiato: cambiamo la pastorale, Leumann (TO), Elle Di Ci, 2006.

G. Morante




educazione al SENSO CRITICO

 

SENSO CRITICO: educazione al​​ 

Educazione al s.c.: istanza formativa che valorizza il potenziamento dell’intelligenza per l’acquisizione di autonomia di pensiero e di azione. Il​​ focus​​ educativo è riferito alla promozione di capacità di pensare in maniera rigorosa, razionalmente fondata. Si attribuisce all’esercizio critico un ruolo essenziale nella vita dei singoli e della società in quanto favorisce scelte rispettose dell’uomo e dell’ambiente, aiuta a far fronte al flusso crescente di informazioni, supporta le scelte personali in situazioni complesse, esistenziali e professionali.​​ 

1.​​ Costrutto.​​ È​​ pensiero di secondo livello, che si esercita su​​ processi​​ cognitivi di base (ad es. i processi induttivi e deduttivi) ed interviene nelle strategie di pensiero complesse, costituite da sequenze di operazioni (ad es. processi di​​ ​​ problem solving), di cui favorisce il coordinamento. È implicato anche nella valutazione di​​ prodotti​​ dell’apprendimento, quali enunciati, azioni, artefatti. Si esplica come​​ valutazione​​ fondata su​​ criteri​​ (di correttezza, efficacia, coerenza, etici, estetici...),​​ dati​​ o​​ indotti, a carattere​​ logico-formale​​ o​​ riferiti al reale​​ (esperito direttamente o in forma mediata dai saperi scientifico-disciplinari). L’esercizio valutativo (capacità critica), per divenire atteggiamento consolidato (s.c.) (Siegel, 1988), richiede disposizioni di ordine affettivo-motivazionale, quali il riconoscimento delle emozioni implicate nei processi di pensiero, la «perseveranza ed il coraggio intellettuale», ecc. (Paul, 1989), ed attitudini, come l’«apertura di spirito», la disponibilità a modificare le proprie posizioni, ecc. (Ennis, 1987).​​ 

2. S.c. e insegnamento.​​ L’educazione al s.c. è riconosciuta quale compito della scuola, che può intervenire secondo due fondamentali modalità. Gli​​ approcci di tipo diretto​​ propongono​​ training​​ a partire da materiali relativamente neutri rispetto ai contenuti d’insegnamento; gli​​ approcci per impregnazione​​ si avvalgono dei contenuti disciplinari. In generale, le strategie didattiche raccomandate valorizzano il confronto​​ inter​​ ed​​ intra​​ soggettivo, l’impiego di forme di rappresentazione logico-iconica della conoscenza (mappe concettuali e schemi), una gestione della comunicazione formativa improntata alla reciprocità dialogica (cfr. anche​​ ​​ critica, pensiero critico).

Bibliografia

Guilford J. P.,​​ The nature of human intelligence, London, McGraw-Hill, 1967; Calonghi L.,​​ La capacità critica. Diagnosi e sviluppo, Roma, CRISP, 1979; Ennis R. H., «A Taxonomy of critical thinking dispositions and abilities», in J. B. Baron. - R. J. Sternberg (Edd.),​​ Teaching thinking skills: theory and practice, New York, W.H. Freeman, 1987, 9-25; Siegel H.,​​ Educating reason:​​ rationality,​​ critical thinking,​​ and education, New York, Routledge, 1988; Paul R.W. et al.,​​ Critical thinking handbook: High school. A Guide for redesigning instruction,​​ Rohnert Park (CA), Center for Critical Thinking and Moral Critique, Sonoma State University, 1989.

D. Maccario