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ECONOMIA E EDUCAZIONE

 

ECONOMIA E EDUCAZIONE

Nelle moderne società complesse – caratterizzate da elevato tasso di sviluppo industriale, da innovazione tecnologica e da squilibri occupazionali – è sempre più ricorrente la trasposizione all’area educativo-formativa di lessemi terminologici, che hanno diretto riferimento alle discipline economiche: risorsa umana e investimento nell’educazione, domanda e offerta formativa, bisogno e fabbisogno educativo-formativo, produttività e indicatori di qualità educativo-formativa, valore aggiuntivo dell’educazione, managerialità nella conduzione delle istituzioni educative, e quant’altro.

1.​​ La prospettiva economica.​​ Fin dalle origini gli stessi economisti, nell’intento di contribuire a ricercare regole organiche intorno all’attività economica, non hanno trascurato di considerare l’incidenza della variabile educativo-formativa nell’elaborazione dei vari modelli interpretativi dei fattori economici. Così è accaduto che la prima sistemazione teorica dell’e. moderna, quale scienza che studia le scelte razionali ordinate all’impiego dei mezzi economici, abbia tenuto conto del contesto socioculturale inglese della seconda metà del sec. XVIII, perché in quell’epoca scrissero Smith, Ricardo e gli altri «padri» dell’e. cosiddetta «classica». In particolare Smith (1723-1790) riconduceva a tre principi le sue ipotesi di lavoro: la vita degli uomini è retta dall’ordine naturale e provvidenziale; la libertà economica è conseguenza della naturale libertà degli individui; la divisione del lavoro rende minimi i costi e produce la prosperità. Analogo procedimento metodologico, anche se in opposizione diretta ai presupposti del modello degli economisti classici, è stato adottato da un altro insigne economista inglese, J. M. Keynes (1883-1946), costretto a confrontarsi con le contraddizioni emergenti dalla grave crisi economica degli anni 1920-1930. Nel suo saggio​​ La fine del lasciar fare,​​ pubblicato nel 1926, Keynes esplicitava gli elementi fondanti del proprio modello di analisi economica: «Non è vero che gli individui dispongano per diritto di una libertà naturale nel loro operare economico; il mondo non è governato dall’alto in modo tale da far coincidere sempre l’interesse privato con quello sociale, né è amministrato quaggiù in modo tale che i due interessi coincidano in pratica; non è corretto dedurre dai principi dell’e. che un “illuminato” interesse particolare operi sempre nell’interesse pubblico; [...] Avanzo quindi l’ipotesi che il progresso consista nello sviluppo e nel riconoscimento di organismi semiautonomi all’interno dello Stato». I due riferimenti metodologici, risultano emblematici allorché si intenda individuare la qualità, la natura e l’estensione dei rapporti interattivi tra analisi socio-economica e azioni formativo-educative. La rilevanza della conoscenza del quadro di riferimento, a cui si ispirano i diversi modelli di analisi economica, è bene esplicitata dall’economista austriaco J. Schumpeter (1883-1950), che distingueva tre fasi principali nel lavoro dell’economista: la fase di «visione preanalitica», orientata a rilevare i problemi da studiare; la fase di «concettualizzazione», in cui si tenta di razionalizzare la complessità dei problemi emersi e si creano categorie mentali utili a dar rilievo agli aspetti più significativi; infine la fase della «teorizzazione» vera e propria, in cui si collegano in strutture logiche​​ ​​ in modelli​​ ​​ gli elementi emersi nella fase precedente. Tuttavia, «le differenze tra approcci economici diversi vengono spesso affrontate considerando solo l’ultima delle tre fasi di lavoro indicate da Schumpeter, cioè i modelli teorici» (Roncaglia-Sylos Labini, 1993), mentre l’educatore e il formatore dovrebbero essere maggiormente motivati a fondare i rapporti interattivi con le scienze economiche partendo prioritariamente dai procedimenti di astrazione-concettualizzazione per cogliere la concezione di uomo e di società, che vi è sottesa. Infatti, se «è necessario far emergere nell’opera educativa in modo vigoroso la dignità e la centralità della persona umana, l’importanza del suo agire critico in libertà e responsabilità», bisogna anche aggiungere che «il​​ ​​ processo educativo non approda a risultati significativi senza un preciso riferimento alle condizioni concrete di realizzazione di tali ideali in un dato contesto culturale e socio-economico» (CEI, 1994). In rapporto a tali esigenze, il processo di accumulazione scientifica della​​ ​​ sociologia dell’educazione ha proceduto secondo varie direzioni.

2.​​ La prospettiva della sociologia dell’educazione.​​ Una prima direttrice di indagine generale, rappresentata da​​ ​​ Durkheim, afferma una generica e, in un certo senso, astratta​​ dipendenza eufunzionale​​ del sistema educativo dall’intera società e dalla specifica situazione industriale. Un secondo orientamento, rappresentato da​​ ​​ Weber, assegna all’educazione una più stretta dipendenza rispetto alle esigenze della​​ struttura di potere​​ carismatica, tradizionale o legale, cui corrisponderà l’ideale educativo dell’uomo iniziato, dell’uomo colto o dello specialista. Una terza direttrice, derivata dall’analisi di Marx (​​ marxismo pedagogico), pone l’educazione, al pari di qualsiasi altro elemento o processo culturale, nell’ordine sovrastrutturale​​ e, come tale, derivante dall’ordine strutturale, più precisamente dai rapporti di produzione che evidenziano sempre la contrapposizione dicotomica tra due classi, quella degli sfruttatori e quella degli sfruttati. Una quarta tendenza, sostenuta principalmente da T. Parsons (1956), configura il rapporto educazione-e. secondo il principio dell’interdipendenza​​ tra sottosistema educativo e altri sottosistemi, tra cui quello economico, interagenti con il sistema sociale globale e generale di riferimento. In una prospettiva dinamica ed attuale, il rapporto di interdipendenza tra educazione ed e. si rende più complesso, instabile e problematico a causa di alcuni fenomeni strettamente connessi tra di loro: l’imporsi di un settore quaternario, centrato sulla ricerca e l’innovazione; il venir meno di una equilibrata corrispondenza fra​​ ​​ sistema formativo e sistema occupazionale; l’estendersi della disoccupazione tecnologica e della dequalificazione dei titoli di studio. Tali dinamiche costituiscono attualmente l’oggetto di un sempre più ampio dibattito, le cui posizioni possono essere ricondotte a due orientamenti fondamentali. Da una parte la posizione di chi, in modo più o meno consapevole, assegna all’istruzione-educazione un valore prevalentemente «strumentale», che può essere espresso secondo la ben nota relazione: quanto più un individuo studia, tanto più potrà accedere a posizioni occupazionali di prestigio e conseguire quindi redditi più elevati. Altri, pur non negando la presenza di una dimensione strumentale, privilegiano quella «espressiva» orientata, però, all’acquisizione di specifici «ruoli professionali» supportati da una crescente capacità critica «sull’intero ciclo produttivo, dalla politica degli investimenti alle scelte operative riguardanti la vendita del prodotto e, ancor più a monte, sull’intero sistema produttivo e sul significato che esso assume entro uno specifico sistema socio-politico-culturale» (Milanesi, 1979, 742). Dall’esito del confronto in atto, tra dimensione strumentale e dimensione espressiva arricchita dell’educazione in rapporto ai sistemi economici, dipenderà il destino e la configurazione del sistema formativo in generale e il ruolo specifico assegnato alla formazione nelle società ad alto sviluppo industriale.

Bibliografia

Durkheim É.,​​ Éducation et sociologie,​​ Paris, Alcan, 1922; Schumpeter J.,​​ Storia dell’analisi economica,​​ 4 voll., Torino, UTET, 1960; Morselli E. - G. Stefani,​​ E. politica,​​ Padova, Cedam, 1965; Ardigò A. (Ed.),​​ Sociologia dell’educazione: Questioni di sociologia,​​ 2 voll., Brescia, La Scuola, 1966; Keynes J. M.,​​ Esortazioni e profezie,​​ Milano, Mondadori, 1968; Cesareo V.,​​ Sociologia dell’educazione,​​ Milano, Hoepli, 1972; Gallino L., «E.», in​​ Dizionario di sociologia,​​ Torino, UTET, 1978; Milanesi G. C.,​​ Educazione e professionalità,​​ in «Orientamenti Pedagogici» 26 (1979) 740-745; Frey L.,​​ Guida all’analisi economica dell’occupazione,​​ Roma, Lavoro, 1980; Roncaglia A. - P. Sylos Labini, «E.», in​​ Enciclopedia delle scienze sociali,​​ 3 voll., Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1993; CEI,​​ Democrazia economica,​​ sviluppo e bene comune,​​ Leumann (TO), Elle Di Ci, 1994.

P. Ransenigo




ECUMENISMO

 

ECUMENISMO

Nel Concilio Vaticano II si afferma che «per “movimento ecumenico” si intendono le attività e le iniziative che, a seconda delle varie necessità della Chiesa e l’opportunità dei tempi, sono suscitate e ordinate a promuovere l’unità dei cristiani» (UR, n. 4).

1. L’unità, ritenuta dai padri conciliari «uno dei principali intenti del Sacro Concilio», è urgente perché la divisione tra i credenti contraddice apertamente la volontà di Cristo, è motivo di scandalo per il mondo e danneggia la predicazione del vangelo ad ogni creatura (UR, n. 1). In rapporto a questa esigenza la riflessione pedagogica è promossa ad almeno quattro livelli interdipendenti. Il primo è relativo all’educazione in sé. In un contesto di pluralismo confessionale, religioso e culturale sempre più complesso è opportuno ridefinire il dover-essere educativo, elaborando nuove e più adeguate teorie capaci di attuare un’aggiornata mediazione culturale tra le diverse concezioni. Il secondo livello di riflessione riguarda i contenuti di un’educazione ecumenica, costituiti dai nuclei centrali e generatori della rivelazione cristiana. Per questo si proporrà integralmente la figura di Cristo ed il suo mistero di salvezza, la dottrina della Chiesa Cattolica e, con rispetto e lealtà, quella delle altre Chiese e Comunità cristiane. Il terzo livello di studio riguarda gli atteggiamenti da formare nelle persone. Si promuoverà un vero desiderio interiore di unità, di rispetto nei confronti dei fratelli separati, di interesse e di stima per i valori cristiani che lo Spirito può suscitare in loro, di ascolto e di dialogo che superi pregiudizi storici, autocritica e conversione per quanto nel passato e nel presente può aver impedito il realizzarsi della preghiera di Gesù «perché tutti siano una sola cosa» (Gv 17,11). Il quarto livello di interesse è più immediatamente operativo, e concerne gli ambiti, le strutture, i metodi educativi usati per la ricerca e la promozione dell’unità. Le esortazioni ricorrenti, nella letteratura specializzata, sono per l’attenzione alle concrete situazioni delle persone, dei gruppi, delle loro sensibilità ed effettive possibilità di maturazione. Ambiti che oggi meritano particolare attenzione sono quelli della scuola e della famiglia. Nella scuola, dove possibile, è opportuno promuovere la collaborazione ecumenica nell’istruzione religiosa, presentando con obiettività, pacatezza e senza pregiudizi i punti comuni e le diversità. Allo stesso modo è auspicabile che si operi nell’educazione dei figli, nel caso di matrimoni misti interconfessionali o interreligiosi, evitando l’assunzione di linee educative di fatto agnostiche, neutrali o confuse, che non favoriscono certo l’educazione religiosa.

2. Nel promuovere iniziative e nel fissare e perseguire obiettivi di valenza ecumenica si è chiamati a duttilità, gradualità, e continuità. Prima di altri, strumenti di formazione ecumenica restano l’ascolto e lo studio della Parola di Dio, la predicazione, la​​ ​​ catechesi, la liturgia, la vita spirituale, la carità, capaci di introdurre nel cuore dell’esperienza di fede cristiana più autentica e comune.

Bibliografia

Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani,​​ Direttorio per l’applicazione dei principi e delle norme sull’e., in AAS​​ 85 (1993) 1039-1119; Pobee J. S., «Educazione e rinnovamento», in​​ Dizionario del movimento ecumenico, ediz. it. a cura di G. Cereti - A. Filippi - L. Sartori, Bologna, Dehoniane, 1994, 464-470; Kasper W.,​​ Vie dell’unità: prospettive per l’e., Brescia, Queriniana, 2006.

R. Rezzaghi