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educazione degli ADULTI

 

ADULTI: educazione degli

L’educazione degli a. indica le iniziative che permettono a questi di sviluppare le proprie conoscenze, qualificazioni, atteggiamenti e comportamenti per una piena realizzazione personale e sociale. A volte si parla piuttosto di «formazione degli a.», specialmente come qualificazione per un ruolo o compito (per es.​​ ​​ formazione degli insegnanti).

1. Storicamente l’educazione degli a. si è sviluppata in Francia (fine del XVIII sec.), nei paesi scandinavi (sec. XIX), e in Inghilterra (e altri Paesi europei) all’inizio del sec. XX, specialmente sotto la spinta della rivoluzione industriale. Dopo il 1945 l’educazione degli a. riceve un impulso nuovo grazie all’Unesco che, con le sue conferenze internazionali, apre orizzonti nuovi d’​​ ​​ alfabetizzazione e promozione. L’Unesco ha lanciato il vasto progetto di​​ ​​ educazione permanente per un impegno educativo globale della società, allo scopo di rispondere all’urgente domanda di formazione globale.

2. L’interesse per l’a. è diventato ormai generale nel campo educativo e didattico, nella​​ ​​ formazione professionale e anche nell’ambito pastorale ed ecclesiale (​​ catechesi e formazione religiosa degli a.). Le principali cause: la difficoltà di essere a. oggi, in una società complessa e dinamica; il rischio dell’obsolescenza dei saperi e delle competenze; le nuove conoscenze sulla psicologia e l’apprendimento dell’a. Alcune esigenze tipiche dell’educazione degli a. sono: necessità di adeguata motivazione (spesso vi ricorrono di meno coloro che più ne hanno bisogno); rispetto delle esigenze dell’a. (autonomia, partecipazione, esperienza); attenzione alle tappe o periodi della vita adulta; opposizione ad ogni forma di strumentalizzazione.

Bibliografia

Faure E. (Ed.),​​ Rapporto sulle strategie dell’educazione,​​ Roma, Armando, 1973; Knowles M. S.,​​ Quando l’adulto impara. Pedagogia e andragogia, Milano, Angeli, 1993; Delors J. (Ed.),​​ Nell’educazione un tesoro, Paris / Roma, UNESCO / Armando, 1997; Demetrio D.,​​ Manuale di educazione degli a., Roma / Bari, Laterza, 1997; De Natale M. L.,​​ Educazione degli a., Brescia, La Scuola, 2001.

E. Alberich




EDUCAZIONE DI GENERE

 

EDUCAZIONE DI GENERE

I termini sesso e genere non sono sinonimi: con il primo si designano i fondamenti biologici che differenziano i maschi e le femmine; il secondo rimanda invece allo stato psicologico che rispecchia il senso interiore di essere maschio o femmina e alle aspettative sociali nei confronti dei due sessi.

1. Durante l’adolescenza, periodo fisicamente e psicologicamente convulso, fatto di incertezze e di insicurezze, l’identità personale, maschile o femminile, è in fase di piena costituzione (Besozzi, 2007). Il determinarsi secondo il proprio sesso biologico è di primaria importanza e si configura diversamente in ragazzi e ragazze nelle inevitabili ambivalenze tipiche della fase adolescenziale. La difficoltà che molti adolescenti incontrano a maturare la loro​​ ​​ identità di genere in modo coerente e naturale con la loro identità sessuale rimanda a tre fondamentali ragioni (Poterzio, 2007): la mancata identificazione in valide figure genitoriali durante l’infanzia nelle quali si possa riflettere un chiaro e felice rapporto​​ ​​ uomo-donna; il non potersi rispecchiare durante l’adolescenza in persone autentiche, da un punto di vista esistenziale, del loro stesso sesso; la carenza grave di amicizie dello stesso sesso durante l’adolescenza e la giovinezza. Una quarta ragione consiste nel fatto che oggi si sta radicando una nuova interpretazione della realtà sessuale: si vuole negare quello che ha costituito sempre uno dei presupposti fondamentali di ogni cultura, vale a dire che la differenza maschile / femminile è una categoria originaria e fisicamente «involontaria» (non è frutto di una scelta, ma ci è data, al momento della nascita) o per meglio dire, è una realtà biologica e fisiologica fattualmente obiettiva, in quanto cognitivamente ed esperienzialmente verificabile.

2. La scelta pedagogica di differenziare la metodologia educativa in funzione del sesso​​ degli alunni implica la condivisone previa di un’antropologia filosofica. L’uomo, individuato ed incarnato in una corporeità sessuale (maschile o femminile), manifesta la sua esigenza strutturale del rapporto con l’​​ ​​ alterità per potersi esprimere in modo compiuto. In questo senso la diversità sessuale non si riduce a rilevazione di un dato estrinseco e funzionale, ma assume il significato di modalità strutturale per la qualificazione della soggettività umana, maschile o femminile. L’uomo, proprio in quanto essere sessuato, mostra e conosce (in sé e nell’altro) la sua incompletezza: la condizione esistenziale sessuata e la presa di coscienza di essere maschi o femmine, apre sia l’uomo che la donna alla consapevolezza della propria finitezza e particolarità (ossia alla presa di coscienza di essere una polarità, finita e non infinita, una parte e non il tutto).

3. Mediante il confronto con l’alterità, l’uomo e la donna acquisiscono coscienza della impossibilità di chiudersi autarchicamente in sé stessi, di pretendere che vi sia un solo modo di osservare, di agire e di essere nel mondo: in questo senso la sessualità costituisce una spinta a trascendere la propria particolarità, nel confronto con la prospettiva dell’altro-da-sé, sessualmente differente e complementare. In questa prospettiva la differenza dei sessi non è intesa come modalità irriducibile e radicale, bensì come modalità relazionale: anzi, si può dire che è la modalità ove la relazionalità dell’io diviene più rilevante sul piano esistenziale; sessualità, alterità e percezione fondante dell’io vengono così a coappartenersi nella dinamica bipolare (maschile / femminile) dell’essere umano. Affinché gli alunni ottengano il massimo beneficio possibile dall’esperienza scolastica, il docente dovrebbe prendere in considerazione anche le caratteristiche della loro identità di genere.

Bibliografia

Castilla B.,​​ La complementariedad varón-mujer. Nuevas hipótesis, Madrid, Rialp, 1993; Barrio Maestre J. M. (Ed.),​​ Educación diferenciada,​​ una opción razonable,​​ Pamplona, EUNSA,​​ 2005;​​ Dee T.,​​ The why chromosome: How a teacher’s gender affects boys and girls, in «Education Next»​​ 6 (2006) 4, 68-75; Besozzi E.,​​ Il genere come risorsa comunicativa.​​ Maschile e femminile nei processi di crescita,​​ Milano, Angeli,​​ 22007; Poterzio F.,​​ Relazioni interpersonali e identità di genere, in «Quaderni Scienza & Vita» del 9-03-2007.

A. La Marca




EDUCAZIONE EXTRASCOLASTICA

 

EDUCAZIONE EXTRASCOLASTICA

L’insieme delle occasioni, delle esperienze, degli interventi e delle agenzie formative che non hanno nella scuola (nei suoi curricoli, spazi, orari, funzionamenti) il loro punto di riferimento. In sostanza, tutto quanto avviene, per finalità educative, esternamente alla scuola e al di fuori della sua struttura istituzionale.

1.​​ Opposizione e continuità.​​ L’e.e. si definisce innanzitutto attraverso la distinzione rispetto a quella scolastica, che può assumere un significato puramente descrittivo e di rilevazione di fatto (ciò che non avviene a scuola) oppure un senso più approfonditamente qualitativo e «modale» (ciò che non avviene nei modi e con gli stili della scuola). Seguendo questa seconda accezione, occorre partire dall’analisi di una contrapposizione che ha percorso larghi tratti della pedagogia contemporanea. I sostenitori della pedagogia non direttiva, della​​ ​​ pedagogia istituzionale e della teoria della​​ ​​ descolarizzazione hanno sostenuto il primato del non scolastico sullo scolastico, mentre i fautori dello​​ ​​ strutturalismo, del​​ ​​ marxismo e del​​ ​​ personalismo hanno difeso quello della scuola. L’esperienza extrascolastica – per gli uni – consente di realizzare l’apprendimento come acquisizione di significati personali, libera da canalizzazioni rigidamente e deterministicamente precostituite, improntata a dinamismi di flessibilità ed elasticità, aperta ad una pluralità di risorse e di ambienti, rafforzata dalla gratuità delle occasioni personali di contatto e dall’assenza di apparati esterni di controllo e di autorizzazione. Il tirocinio scolastico – per gli altri – assicura le condizioni di un apprendimento culturalmente rilevante e metodologicamente provveduto, ripulito da ogni incrostazione di dilettantismo ed improvvisazione, orientato all’ acquisizione degli strumenti di analisi e riflessione critica personale. È chiaro, allora, che ad una visione «burocratica» della scuola si contrappone un’immagine «caotica» ed inaffidabile dell’e.e. Se questa contrapposizione risultasse incomponibile, diventerebbe impossibile pensare ad una sintesi tale da riunire in una composita ma armonica visione educativa tutte le diverse «sfere vitali» (​​ Pestalozzi) nelle quali si distende e si esplica l’esistenza della persona. La condizione prima di un​​ ​​ progetto formativo adeguato alla complessità ed alla controversa multilateralità della nostra esperienza consiste, invece, proprio nel prospettare il reciproco concorso del mondo della scuola e degli universi dell’ extrascolastico per la formazione dell’uomo in un orizzonte di​​ ​​ valori comuni e nel rispetto della diversità dei linguaggi e delle potenzialità. Lo scolastico può richiamare dall’extrascolastico la maggior distensione ed autenticità delle relazioni interpersonali, la concretezza dei contenuti, la naturalità delle motivazioni, il rispetto del desiderio esplorativo e l’assenza di formalismi; a sua volta, l’extra-scolastico può recepire dallo scolastico il rispetto della competenza, la stimolazione all’autonomia critica, la ricerca di mediazioni scientifico-razionali, il controllo del coinvolgimento emotivo, l’acquisizione di procedure rigorose di indagine, il perfezionamento degli strumenti espressivi. Non si nega, quindi, la scuola, ma non la si assolutizza; non si ignora, a sua volta, la vita, ma non si abbandona l’extrascolastico ad un puro e semplice gioco di forze ed influssi in contrasto fra loro e spesso privi di un orientamento formativo responsabile.

2.​​ Identità dell’extrascolastico.​​ L’«autodidassi» rappresenta l’elemento distintivo fondamentale dell’esperienza extrascolastica, in cui – come dice P. Furter – «l’obiettivo principale è quello di suscitare, sostenere e prolungare un processo attivo di acquisizione continua di ogni individuo all’interno di ciascuna delle situazioni che egli affronta per trasformare il suo vissuto culturale». A questo riguardo, si delineano due principali campi di attenzione: il fenomeno della «formazione diffusa» da una parte e le prospettive della «post-alfabetizzazione» dall’altra. Sul primo piano, è possibile constatare la presenza di un vasto ed articolato mondo di presenze culturali, comprensivo di un arco di contributi quanto mai composito – enti locali ed enti di decentramento, agenzie di divulgazione, agenzie culturali, cinema, musica, teatro, arte, storia, iniziative di aggiornamento tecnico-professionale, strutture di​​ ​​ educazione permanente e ricorrente – fino a poter parlare di sovrabbondanza, di dispersione e di diffrazione delle offerte. Nasce da qui l’esigenza di coordinamento e di razionalizzazione, che sembra aver trovato nel principio della «territorializzazione» il più produttivo criterio unificante. Resta, ad ogni modo, il problema di definire le strutture di autorevolezza e di potere cui affidare il coordinamento: enti locali, amministrazioni decentrate, libere associazioni di volontariato e / o professionali? Il tema della post-alfabetizzazione, poi, invita a riflettere sull’importanza di concepire l’e.e. come insieme di opportunità in grado di affrontare efficacemente impegni di consolidamento della preparazione alfabetica di base, di aprirsi a tutte le opportunità di alfabetizzazione in senso culturale, di includere delle possibilità di applicazione e di finalizzazione personale per tutti e di potenziare lo sviluppo delle comunità. Da entrambi i versanti appare evidente che il nodo centrale è costituito dalla messa in atto – per stare ancora con Furter – di «reti formative» intese come «insieme coerente, ma non necessariamente centralizzato o uniformizzato, di tutti gli insegnamenti che si indirizzano a differenti clientele in differenti momenti della loro vita in differenti situazioni». Al centro di questa ideazione, infine, sta la costruzione di una pedagogia dell’​​ ​​ e. permanente estesa a tutte le età della vita e, al suo interno, la fondazione di una vera e propria andragogia (teoria della formazione dell’adulto), che si concretizza nell’autovalutazione iniziale dei bisogni di formazione da parte dei destinatari stessi, nella loro partecipazione alla gestione della formazione e nell’organizzazione collettiva di essa.

Bibliografia

Furter P.,​​ «La formation extrascolaire et le développement dépendent», in​​ Les modes de transmission. Du didactique à l’extrascolaire,​​ Paris / Genève, PUF-IED,​​ 1976,18-102; Massa R.,​​ L’e.e.,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1977; Associazione Pedagogica Italiana,​​ E.​​ scolastica ed extrascolastica oggi,​​ Atti del XIII Congresso Nazionale di Pedagogia, Bologna, Pàtron, 1979;​​ Furter P.,​​ Les systèmes de formation dans leur contextes,​​ Berne, Lang,​​ 1980, 157-191; 315-332; Scurati C. (Ed.),​​ L’e.e. Problemi e prospettive,​​ Brescia, La Scuola, 1986; Cisem,​​ La formazione diffusa,​​ Milano, Angeli, 1986;​​ Pain A.,​​ Éducation informelle,​​ Paris, L’Harmattan,​​ 1993;​​ Lamata Cotanda R. - R. Domínguez Aranda (Edd.),​​ La construcción de procesos formativos en educación no formal,​​ Madrid, Narcea, 2003.

C. Scurati




EDUCAZIONE FISICA

 

EDUCAZIONE FISICA

Il concetto di e.f. appartiene a vari campi d’intervento: fisiologico, pedagogico, ludico, ecologico. Ciò che tuttavia accomuna questi differenti settori è il concetto di fondo secondo cui l’e.f. rientra nel più generale processo educativo sotteso alla stretta correlazione che passa tra attività fisica e psichica.

1. Scaturiscono da qui alcune delle principali prerogative dell’e.f.: in primo luogo essa mira ad un miglioramento «globale» dell’organismo, in una visione armonica ed integrale di tutte le sue componenti; in quanto attività pratica, abbraccia tutti quegli esercizi che tendono ad esaltare nell’individuo le doti fisiche (agilità, plasticità, destrezza, armonia delle forme...) unitamente alle qualità bio-psichiche, intellettuali e socio-relazionali; in quanto attività svolta generalmente in gruppo, essa contribuisce alla maturazione dell’uomo non solo come singolo ma anche come persona pienamente integrata nel sociale; infine in quanto indirizzata a tutti, uomini e donne, bambini, giovani e adulti, sani e ammalati, deboli e forti presenta un significativo carattere di universalità. Di conseguenza anche la pratica dell’e.f. e gli esercizi a cui fa capo vanno intesi essenzialmente come «mezzi» per raggiungere le finalità sottese. Pertanto essa non può essere un’attività svolta in modo episodico e frammentario, ma va piuttosto «disciplinata» nel tempo e nello spazio.

2. In particolare l’inserimento dell’e.f. tra le varie​​ ​​ discipline scolastiche corrisponde agli obiettivi di far acquisire il valore della corporeità in funzione della formazione di una personalità equilibrata ed in grado di relazionarsi con gli altri; di consolidare una cultura motoria intesa come prevenzione; di favorire un completo sviluppo psicomotorio della persona; di promuovere lo sviluppo di abilità trasferibili anche all’esterno della scuola e / o della pratica dell’e.f. (nel campo del lavoro, della salute, del tempo libero...).

Bibliografia

Azzolini D. - F. Manfrin,​​ L’officina del movimento. I laboratori didattici di educazione fisica: verso una nuova epistemologia disciplinare, Azzano San Paolo (BG), Ed. Junior, 2004; Zedda M.,​​ Pedagogia del corpo. Introduzione alla ricerca teorica in e.f., Pisa, ETS, 2006.

V. Pieroni




EDUCAZIONE INTELLETTUALE

 

EDUCAZIONE INTELLETTUALE

Si può definire come l’insieme degli interventi intesi a realizzare lo sviluppo dell’intelligenza attraverso procedure educative e didattiche.

1.​​ Approcci.​​ L’accostamento pedagogico riflette le concezioni dell’​​ ​​ intelligenza in generale, che si possono collocare in un arco i cui estremi sono rappresentati, da una parte, dalla nozione di «facoltà» e, dall’altra, dall’idea dell’intelligenza come «strumento mentale» complesso e multilaterale, di cui l’uomo può disporre per qualificare la propria esistenza. Sviluppare e potenziare l’intelligenza, allora, significa garantire lo sviluppo dell’umanità nella sua stessa radice, per cui interesse primario dell’uomo è di imparare a servirsi intelligentemente della propria intelligenza. Le teorie pedagogiche seguono anch’esse una diramazione che va dal particolare-settoriale al complessivo-generale, per cui da una visione dell’e.i. come arredamento e coltivazione di facoltà od abilità settorialmente specifiche si passa ad una prospettiva che tende piuttosto a vederla come sviluppo della razionalità in senso globalmente personale.

2.​​ Impianti.​​ La dinamica approcci ristretti-approcci estesi si ritrova anche nei modelli didattici, che possono essere riassunti in questo quadro:

approcci ristretti

 

approcci estesi

 

• acquisizione di abilità

• compiti cognitivi limitati

• contesti naturali

• controllo dello studente

• limitazione dell’errore

• soluzione di problemi

• compiti cognitivi ampi

• contesti disciplinari

• controllo del sistema

• utilizzo dell’errore

In definitiva, abbiamo impianti di tipo addestrativo, orientati allo specifico e non fallibilisti, di contro ad impianti di tipo esplorativo, progettuale e fallibilista.

3.​​ Dimensioni.​​ La prospettiva più rilevante consiste nel connettere l’e.i. con il quadro degli studi cognitivi più avanzati (​​ cognitivismo), dai quali emergono i temi centrali della concettualizzazione, della​​ ​​ metacognizione, della molteplicità delle intelligenze (Gardner) e dello sviluppo del pensiero, che confluiscono nella proposta integrata di una e. alla​​ ​​ «comprensione» in tutte le varie forme e nei vari stili possibili alla mente.

Bibliografia

Bruner J. S.,​​ Verso una teoria dell’istruzione, Roma, Armando, 1967;​​ De La Garandèrie A.,​​ Comprendre et imaginer. Les gestes mentaux et leur mise en oeuvre,​​ Paris, Centurion,​​ 1987; Argenton A. - L. Messina,​​ Concettualizzazione e istruzione,​​ Bologna, Il Mulino, 1990; Gardner H.,​​ L’e. delle intelligenze multiple, Milano, Anabasi, 1995; Lipman M.,​​ Educare al pensiero, Milano, Vita e Pensiero, 2005.

C. Scurati




EDUCAZIONE INTERCULTURALE

 

EDUCAZIONE INTERCULTURALE

Il termine e.i. entra in maniera diffusa nel patrimonio linguistico italiano allargato, non solo pedagogico, inizialmente alla fine degli anni ’70 ed acquista sempre maggiore risonanza nel decennio successivo per poi raggiungere il suo culmine negli anni ’90 in concomitanza a fenomeni di grande portata come: i nuovi movimenti migratori internazionali; lo stato di guerra in diversi paesi del mondo; la richiesta di pace avanzata da singoli e da gruppi organizzati; il dialogo tra Europa occidentale ed orientale; la missione ecumenica delle chiese; la caduta delle ideologie; lo sfaldamento dell’assetto politico-geografico successivo alla seconda guerra mondiale; la demistificazione del​​ Welfare State;​​ il potere crescente dei mezzi di comunicazione di massa; l’accorciamento delle distanze sia in termini di vicinanza tra popoli e culture, sia in termini di mobilità sociale, nel passaggio da una classe sociale all’altra.

1.​​ Precedenti storici.​​ L’e.i. viene citata nei testi universitari degli anni ’50, che si occupano di e. internazionale, di e. allo​​ ​​ sviluppo, e diviene parte dei corsi intesi a leggere la storia e la società secondo un’ottica aperta. Nella scuola italiana l’e.i. è presente ma poco visibile, salvo rare eccezioni, come parte generica, talvolta sperimentale, dei contenuti didattici ampliati o ristretti dagli insegnanti più o meno sensibili a questo aspetto. Nella storia della pedagogia è difficile non trovare accenni all’e.i., anche se le dizioni potrebbero essere diverse: e. alla vita sociale e politica (​​ Platone); affermazione della dignità umana (​​ Kant); importanza dell’insegnamento e dell’apprendimento linguistico, studio delle lingue straniere (​​ Pestalozzi); ricerca dell’unità nella molteplicità (​​ Fröbel); spiritualità ed eticità dell’e. (​​ Lambruschini); scuola e società (​​ Gabelli,​​ ​​ Dewey). In tappe storiche come la Dichiarazione di Indipendenza americana, la Rivoluzione francese, le guerre mondiali e nelle fasi del colonialismo e della decolonizzazione di interi continenti, l’e.i. ha avuto un suo ruolo ed una sua collocazione non sempre univoca e coerente con l’accezione attuale. Ad es. durante il nazionalsocialismo in Europa, l’e.i. negli USA si presenta come la risposta alla campagna antisemita di Hitler e successivamente, negli anni ‘60 si parla di pluralismo culturale, abbandonando la dizione precedente e distinguendo l’una e l’altro dal concetto di e. multiculturale. Con riferimento al materiale storico va detto che l’approccio interculturale è nella sostanza stessa dell’e. intesa, da Socrate in poi, anche se con toni diversi, come intervento, processo, aperto e dinamico in continua trasformazione finalizzato allo sviluppo completo dell’essere umano. Da questa nozione di base conseguono innumerevoli corollari che spaziano dal bilinguismo all’idea di dimensione mondiale dell’e., dal​​ ​​ volontariato allo scambio tra studenti delle scuole secondarie e dell’università, dall’insegnamento della religione come disciplina scolastica al dialogo interreligioso, dalla cittadinanza alla cultura costituzionale. Né va trascurato che molta della letteratura dell’infanzia è costituita da racconti e da fiabe nate in terre lontane, rispetto all’Italia ad es., che hanno lo scopo, tra l’altro, di far entrare in un fantastico costruito con elementi estranei alla quotidianità del bambino.

2.​​ Stato della questione.​​ In generale l’e.i. si riferisce all’e. rivolta a due o più gruppi etnici. Le​​ ​​ organizzazioni internazionali la promuovono costantemente. Per una parte della pedagogia italiana, l’e.i. è un nuovo approccio teorico e pratico all’e., un’ipotesi di lavoro più che una metodologia; per la didattica non è una materia curricolare da introdurre nella scuola, ma uno sguardo in trasversale alle varie materie d’insegnamento; per la sociologia essa rimanda alle tesi sulla società multiculturale e sul razzismo, forse nuove per l’Italia preindustriale del dopoguerra, ma non certo per le grandi metropoli europee e non europee; per la politica si spiega con azioni concrete intese alla reciprocità tra culture, oppure con la modificazione della vita urbana e del mercato del lavoro; per l’antropologia si parla di etnocentrismo, di relativismo culturale, di pregiudizio etnico; per la psicologia si ricorre alle categorie della differenza e dell’integrazione. Il tutto dimostra che l’e.i. non sembra essere codificabile in regole di nuovo genere, rispetto a concetti portanti propri delle varie discipline. Ciò che invece risulta originale e da osservare e valutare con sensibilità pedagogica è la particolare conformazione interdisciplinare che assume oggi in Italia ed in altri Paesi questo tipo di e. Ci si rende così conto che in ogni contesto la tradizione pedagogica orienta decisamente l’accostamento inter-multi-culturale (multietnico, multirazziale, antirazzista, polisemantico) al punto da far variare notevolmente espressioni, significati, interpretazioni. Lo spazio definito dall’​​ ​​ e. comparata si arricchisce di denominazioni generali dal contenuto etico-giuridico come la convivenza civile.

Bibliografia

Secco L. et al.,​​ Pedagogia interculturale. Problemi e concetti, Brescia, La Scuola, 1992; Gobbo F.,​​ Pedagogia interculturale: il progetto educativo nelle società complesse, Roma, Carocci, 2000; Venza M.,​​ Nuove prospettive dell’e. all’intercultura, Messina, EDAS, 2003; Chistolini S.,​​ Pedagogia e carisma nella globalizzazione, Lecce, Pensa MultiMedia, 2003; Nanni A. - S. Curci,​​ Buone pratiche per fare intercultura, Bologna, EMI, 2005; Chistolini S., (Ed.),​​ Pedagogia della cittadinanza. Lo sviluppo dell’intercultura nella formazione universitaria degli insegnanti, Lecce, Pensa MultiMedia, 2007.

S. Chistolini

EDUCAZIONE INTERNAZIONALE​​ ​​ Educazione comparata​​ ​​ Educazione interculturale




EDUCAZIONE LIBERATRICE

 

EDUCAZIONE LIBERATRICE

L’e. è sempre stata concepita come una​​ ​​ liberazione (e​​ ​​ libertà) da condizionamenti personali e dipendenze esterne per uno sviluppo pieno della​​ ​​ persona.

1. L’e.l. però risulta originale perché nasce e si sviluppa in una situazione sociale concreta: quella dell’​​ ​​ America Latina. Tale situazione genera, riproduce e fissa attraverso le strutture e la cultura un rapporto di sfruttamento tra i singoli e i gruppi sociali. Ne segue un ordine sociale ingiusto: una violenza culturale da una parte, una dipendenza interiorizzata dall’altra. L’e.l. si propone di aiutare a superare la dipendenza e instaurare tra gli individui e nella società un rapporto di intersoggettività piuttosto che di «cose». Elementi di tale pedagogia si trovano in diverse esperienze, ma il rappresentante di maggiore spicco è Paulo​​ ​​ Freire. Alla sua diffusione, con opportune correzioni, ha contribuito non poco il movimento educativo cattolico sostenuto dalla Conferenza Episcopale Latinoamericana​​ (cfr. II Conferencia General, Medellín:​​ Documentos finales,​​ 1968, IV.​​ Educación)​​ e dalla riflessione sulla liberazione che si svolgeva in discipline e aree di azione collegate con la pedagogia (teologia, storia, sociologia).

2. Nell’e.l. è determinante la concezione della persona: soggetto del proprio sviluppo e destino, essere in divenire, che tende a trascendersi ed essere di più; che si trova però sotto pesanti condizionamenti a cui rischia di adeguarsi e arrendersi. Il primo obiettivo è aiutarla a superare la paura della propria libertà, a emanciparsi dalle categorie che la cultura ha fatto interiorizzare e dalle dipendenze che il sistema sociale ha legittimato, e a pensare autonomamente. Per questo non serve un’e. di trasmissione, che riproduce atteggiamenti, rapporti e norme: ci vuole una pedagogia problematizzante, fatta di comunicazione e di dialogo, e che ha il suo luogo più adatto nel gruppo. Il linguaggio diventa allora una ricerca, un cammino verso il pensiero critico, lo strumento principale della presa di coscienza e della prassi. Si tratta di ridare la parola al soggetto aiutandolo a superare il mutismo linguistico. Capire la portata concettuale e concreta dei termini in uso porta a scoprire i meccanismi di oppressione e dipendenza, mette in questione l’interpretazione che si ha della realtà e ispira la sua trasformazione. Le parole dunque vanno conosciute, decodificate e ricodificate. A partire da quelle che sono generatrici di nuovi significati e di conseguenze pratiche si costruisce una nuova e vera immagine della realtà. E. e coscientizzazione vanno di pari passo.

3. L’e.l. ha una forte accentuazione politica e utopica. La liberazione infatti è un impegno della persona e dei soggetti popolari; non può essere ottenuta dal singolo isolatamente. L’azione educativa e culturale include un progetto e un’intenzione politica di trasformazione delle strutture, dei rapporti e delle norme sociali.

Bibliografia

Freire P.,​​ L’e. come pratica della libertà,​​ Milano, Mondadori,​​ 1975;​​ Celam,​​ Educación evangelizadora,​​ Bogotá, Celam, 1980; Freire P.,​​ Pedagogia da esperança,​​ Rio de Janeiro, Paz e Terra, 1992; Aráujo Freire A.M. (Ed.),​​ La pedagogia de la liberación em Paulo Freire, Barcelona, Graó, 2004;​​ Torres Novoa C.A. (Ed.),​​ Lectura crítica de Paulo Freire. Materiales para una crítica de la pedagogía problematizadora de Paulo Freire,​​ Xátiva, Institut Paulo Freire CREC, 2006.

J. E. Vecchi




EDUCAZIONE MORALE

 

EDUCAZIONE MORALE

Ogni vera intenzione educativa ha come obiettivo ultimo, almeno implicito, la promozione dell’uomo in quanto​​ ​​ uomo, cioè la sua crescita; il fatto educativo e quello morale sono quindi inscindibilmente connessi (​​ educazione). Ogni influsso educativo ha una sua valenza etica: esercita una certa influenza, fosse pure impercettibile, sulla​​ ​​ personalità morale dell’educando. Ogni forma di e., anche solo settoriale, produce sempre​​ ​​ formazione (o magari deformazione) morale.

1. Le​​ ​​ scienze dell’e. hanno dedicato in questi ultimi decenni un’attenzione sempre più rilevante, a questa dimensione etica del fatto educativo così che il termine e.m. non indica più soltanto una realtà di fatto da sempre presente al centro dell’attenzione degli educatori veri, ma anche un campo di ricerca e di sapere in via di rapida espansione ed approfondimento, che si articola sia su un piano teoretico, come studio prevalentemente psicologico dello​​ ​​ sviluppo morale, sia su un piano normativo, come guida metodologica alla prassi pedagogica. Il discorso sullo sviluppo morale che precede e condiziona il discorso più propriamente pedagogico sconfina facilmente nel campo specifico della filosofia morale: esso rimanda sempre a una qualche​​ ​​ antropologia e non può evitare di prendere posizione sul senso e sulla natura profonda dell’impegno etico.

2. Riserve particolari può suscitare a questo proposito il carattere decisamente unilaterale della concezione della personalità e del vissuto morale soggiacente ad alcune di queste teorie: esse riconducono molto spesso tutto il complesso dinamismo dell’esperienza morale a una sola istanza psichica, sia essa la pulsionalità (come​​ ​​ Freud), il condizionamento riflesso (come il behaviorismo) o le strutture cognitive (come​​ ​​ Kohlberg). Alcune di queste unilateralità comportano tra l’altro una qualche forma di determinismo etico: il determinismo delle pulsioni, quello della ragione oppure quello del puro e semplice condizionamento sociale. Non pochi studiosi, più attenti alla complessità del vissuto psicologico umano, stanno elaborando visioni dello sviluppo morale che superano queste unilateralità e i corrispettivi determinismi, attraverso forme diverse di sincretismo (ma sarebbe meglio dire di «olismo psichico») che ricuperano gli aspetti positivi delle diverse teorie, e li integrano in una visione più completa del vissuto etico.

3. Nel loro insieme, queste teorie possono comunque fornire un utile punto di riferimento per una migliore comprensione dei rapporti tra il fatto educativo e quello morale, mettendo in risalto il carattere essenzialmente autoeducativo dell’impegno morale. La loro decisa focalizzazione del discorso etico sul soggetto del fatto morale costituisce uno stimolo a superare la «morale della terza persona» dominante nell’era moderna, esclusivamente tesa alla determinazione inequivoca di ciò che è moralmente «corretto» (e perciò alla fondazione e alla elaborazione delle norme), in favore di una «morale della prima persona», orientata alla crescita progressiva del soggetto morale. Nella prospettiva della «prima persona», l’atto morale non è più valutato soltanto in base alla sua efficienza nel produrre risultati, ma anche e più in quanto atto di un soggetto concreto, che ne rimane più o meno profondamente segnato, diventando, attraverso di esso, più o meno maturo, più o meno realizzato in quanto​​ ​​ persona.

4. Una conseguenza rilevante di questa nuova prospettiva sarà il ruolo che viene ad assumere nell’e. il «principio di gradualità». Le diverse teorie dello sviluppo sono abbastanza concordi nell’indicare gli assi principali dello sviluppo morale in alcune polarità, fondamentalmente riconducibili alle seguenti: «eteronomia-autonomia», «prerazionalità-razionalità» ed «egocentrismo-autotrascendimento». Naturalmente una simile scelta orienta, sul piano della​​ ​​ metodologia pedagogica, alla svalutazione di alcune forme tradizionali di e., troppo esclusivamente fondate sull’indottrinamento e sulla repressione. I dinamismi educativi privilegiati saranno invece riassumibili nell’amore accogliente (e quindi non condizionante e non possessivo), nella testimonianza della vita (accompagnata peraltro da una qualche forma di insegnamento morale che, senza scadere a indottrinamento abbia il coraggio umile di chiamare per nome i valori in cui crede), in un ambiente educativo fatto di ordine, affidabilità e serenità (che garantisca all’educando sicurezza interiore e dominio di sé), nella presenza di modelli credibili di identificazione e nell’iniziazione al senso di responsabilità attraverso l’impegno in compiti di percepibile utilità sociale e come tali socialmente riconosciuti.

Bibliografia

Erikson E. H.,​​ Introspezione e responsabilità,​​ Roma, Armando, 1968; Bull N.,​​ Moral education,​​ London, Routledge & Kegan, 1969; Galli N.,​​ E.m. e crescita dell’uomo,​​ Brescia, La Scuola, 1979; Kohlberg L.,​​ Essays on moral development,​​ 3 voll., S. Francisco, Harper & Row, 1981; Arto A.,​​ Crescita e maturazione morale,​​ Roma, LAS, 1984; Gatti G.,​​ E.m.,​​ etica cristiana,​​ Leumann (TO), Elle Di Ci, 1994; Lapseley D. - P. Power (Edd.),​​ Character psychology and character education, Notre Dame, Ind., University of Notre Dame Press, 2005.

G. Gatti




EDUCAZIONE PERMANENTE

 

EDUCAZIONE PERMANENTE

Con il concetto di e.p. si comprendono molteplici ambiti educativi che si prefiggono di sviluppare soprattutto in età adulta e anziana apprendimenti, comportamenti e atteggiamenti in precedenza già acquisiti o del tutto nuovi.

1. Fanno parte del variegato campo scolastico ed extra-scolastico dell’e.p. l’e. degli adulti (il settore si occupa sia del recupero di coloro che, in età giovanile, non hanno conseguito titoli di istruzione, sia di promuovere i bisogni formativi, culturali, tecnologici e di socializzazione presso categorie privilegiate o svantaggiate di cittadini); l’e. p. e ricorrente (si rivolge a giovani adulti e ad adulti dell’età di mezzo nelle situazioni di lavoro per scopi di aggiornamento professionale e riqualificazione). Tuttavia, l’e.p. è anche una filosofia dell’e. dalle antiche origini: rintracciabili nella tradizione classica, medioevale e moderna. Soprattutto in​​ ​​ Platone,​​ ​​ Seneca,​​ ​​ Agostino,​​ ​​ Montaigne,​​ ​​ Comenio e in correnti di pensiero quali il pitagorismo, lo stoicismo, l’utopismo (​​ Campanella e Moro), l’empirismo, il marxismo e l’esistenzialismo; nelle religioni rivelate; nel variegato universo delle dottrine orientali, nonché nei movimenti ereticali e fideistici (sette, gruppi misterici o anacoretici); nelle dottrine politiche di ispirazione diversa e nelle idealità democratiche, socialiste, libertarie e cristiano-sociali. Ogniqualvolta infatti concezioni e visioni dell’individuo, dell’umanità, di talune classi sociali hanno messo in luce l’intrinseca imperfezione e incompiutezza (personale, intellettuale, morale, sociale) dell’uomo, l’e. è sempre stata reputata un mezzo e un fine non riducibile alla prima fase della vita.

2. Accanto ai valori da apprendere anche nel corso del periodo adulto di fronte a necessità di diverso ordine (speculative, civili, conflittuali e associative, ecc.), attinenti le credenze e le interpretazioni da divulgare, trasmettere, perpetuare l’e.p. rappresenta un analizzatore antropologico. La​​ ​​ ricerca educativa più recente si serve delle categorie che le sono proprie per studiare fenomeni quali il cambiamento, l’apprendimento, le differenze di genere tra uomo e donna, 1’autorealizzazione. Benché l’introduzione del concetto – preceduto da quello di e. degli adulti (già presente alla fine dell’800 nei Paesi anglofoni e del nord Europa) – risalga alla prima metà del XX sec. e voglia ancor oggi esprimere soprattutto un’istanza ideale (diritto allo studio per tutta la vita, ridistribuzione del sapere, emancipazione culturale) o economico-sociale (adattamento alla rapidità dei mutamenti, competizione intellettuale, innovazione tecnologica ricorsiva) l’e.p. ha un valore soprattutto euristico. Qualora venga difatti applicata ad indagini sulla condizione adulta rivela di essa l’intrinseca dinamicità, l’ulteriore volontà di progredire nella conoscenza e nell’affermazione di se stessi; in altri casi – ad es. in psicologia e psicoanalisi – lo studio attiene allo sblocco di situazioni patologiche che si risolvono in domande di riabilitazione e apprendimento, in richieste di integrazione sociale o rimotivazione. Ne consegue che l’e.p., ben lungi dall’essere soltanto un orientamento critico volto a decifrare e riconoscere i luoghi, le circostanze, i programmi che consentono all’adulto di tornare in formazione, si va rivelando un prezioso indicatore a livelli diversi. Sul piano concettuale suggerisce l’adozione di modelli teorici ispirati alle nozioni di mutamento e divenire (mai nulla si rivela statico ed uguale a se stesso e tanto meno l’identità o il sé dell’​​ ​​ adulto); sul piano istituzionale e legislativo questa prospettiva generale suggerisce di elaborare proposte educative che tengano conto di tutte le età della vita, delle disparità e delle disuguaglianze affinché il singolo possa facilmente trovare quanto gli occorre per migliorare; sul piano planetario l’e.p. invita a considerare la formazione uno dei più importanti, e collaterali, fattori di progresso, di e. alla pace, alla solidarietà, alla lotta contro l’analfabetismo che costituisce ancora una delle cause più drammatiche della povertà e del sottosviluppo. Inoltre i processi educativi, quando vengono esaminati secondo i principi dell’e.p., si palesano nella loro intrinseca evoluzione: per tale motivo gli educatori, anche dell’infanzia e dell’adolescenza, che li fanno propri, si interrogano sull’esito «permanente» dei loro insegnamenti, su quali obiettivi pedagogici saranno in grado più di altri di alimentare nei loro allievi una domanda ulteriore di apprendimento al termine del loro tragitto scolastico.

3. L’e.p. ha poi stimolato indagini nuove rispetto a problemi quali: la conoscenza dell’identità dell’adulto, dei suoi ruoli sociali, delle sue responsabilità, nonché della vita anziana oggi destinataria di molteplici attenzioni di tipo formativo (animazione socio-culturale, università della terza età, ecc.); le condizioni che favoriscono l’apprendimento degli adulti e le forme specifiche attraverso le quali la mente adulta elabora la conoscenza; lo studio degli effetti della sovraesposizione massmediale sui comportamenti adulti, con particolare riferimento a fenomeni quali la manipolazione, la disaffezione alla lettura, il condizionamento sociopolitico, la crisi del tempo libero «impegnato». Non ultime vanno ricordate le suggestioni provenienti da una disciplina (andragogia:​​ lett. scienza della formazione in età adulta) introdotta dall’americano M. Knowles negli anni ’70, in merito alla definizione delle strategie e delle tecniche didattiche ottimali per suscitare negli adulti il desiderio di conoscere e la valorizzazione della loro esperienza, con la conseguente introduzione nel vocabolario delle scienze dell’e. del concetto di​​ adultità.​​ Esso si mostra come un neologismo che esprime la complessità dell’essere adulti nelle società attuali e, nondimeno, la necessità di riconoscere nell’età matura manifestazioni ed aspetti che ne contraddicono i compiti ad essa tradizionalmente attribuiti: quali il bisogno di gioco, la trasgressione, l’irresponsabilità, ecc.

Bibliografia

Mencarelli M.,​​ Dall’e.p. di base all’e. dell’adulto,​​ Brescia, La Scuola, 1970; Lorenzetto A.,​​ Lineamenti storici e teorici dell’e.p.,​​ Roma, Studium, 1976; Susi F. - S. Meghnagi,​​ L’e.p.,​​ Rimini, Guaraldi, 1977; De Sanctis F. M.,​​ L’e.p.,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1980; Pagnoncelli L. (Ed.),​​ L’e. dell’adulto: nuove frontiere,​​ Teramo, Lisciani, 1984; Demetrio D.,​​ L’età adulta,​​ Roma, NIS, 1990; Knowles M.,​​ Quando l’adulto impara,​​ Milano, Angeli, 1993; Demetrio D.,​​ L’e. nella vita adulta,​​ Roma, NIS, 1995; Gelpi E.,​​ Lavoro futuro. La formazione come progetto politico, Milano, Guerini, 2002; Alberici A.,​​ Imparare sempre nella società conoscitiva. Dall’e. degli adulti all’apprendimento durante il corso della vita, Milano, Mondadori, 2002; Alberici A. - D. Demetrio,​​ Istituzione di e. degli adulti, Milano, Guerini, 2004.

D. Demetrio




EDUCAZIONE POPOLARE

 

EDUCAZIONE POPOLARE

Di solito aggettivare l’e. significa facilitarne la comprensione precisandone la prospettiva. Non sembra che avvenga la stessa cosa quando le si accosta l’aggettivo popolare, perché esso risulta piuttosto equivoco e suscita atteggiamenti ambivalenti.

1.​​ La scelta di una prospettiva.​​ È indispensabile anzitutto scegliere la prospettiva di approfondimento e precisare il significato di popolare, anche se questo non è semplice. Si potrebbe parlare di e.p. richiamando alcuni aspetti del pensiero di​​ ​​ J. H. Pestalozzi, «apostolo dell’e.p.», e gli approfondimenti di​​ ​​ E. Spranger; si potrebbe fare riferimento all’esperienza di Don​​ ​​ Bosco e della scuola di Barbiana con Don​​ ​​ Milani; non si può tralasciare il richiamo alla «pedagogia degli oppressi» di P. Freire (​​ e. liberatrice) o alla stessa esperienza delle «scuole popolari». Tra tutte queste elaborazioni ed esperienze, scegliamo di precisare il significato di e.p. a partire dalla prospettiva socioculturale, richiamando alcuni aspetti dell’e. in ambienti a prevalente cultura tradizionale, e di fare un rapido richiamo dell’e. emancipatrice / liberatrice.

2.​​ E.p.,​​ una modalità tipica di e.​​ Nella prospettiva socioantropologica la denominazione e.p. rimanda al passato e fa pensare a contesti, soggetti, contenuti e metodi che rischiano di essere sminuiti o idealizzati, perché difficilmente riscontrabili nella realtà attuale. I «contesti» evocati sono realtà territoriali alquanto circoscritte che coinvolgevano tutti i livelli sociali, anche se con notevoli differenziazioni circa le prassi di vita. In essi, gli ambienti e la cultura, costituiscono il «paesaggio umano» progressivamente esplorato in cui non si avverte nulla di estraneo e di avverso perché tutto appare familiare e come espansione dei confini della famiglia. In questi contesti ricchi di presenze, l’individuo realizza, per assimilazione progressiva, l’apprendistato della vita, fa sua quell’arte di vivere che costituisce il senso e il contenuto fondamentale della cultura ambientale. Si tratta di una trasmissione e di un’assimilazione esperienziale realizzate a partire dalla condivisione delle esperienze e attraverso il coinvolgimento progressivo nella vita degli adulti. Se da una parte, quindi, nel contesto ambientale tutti sono educatori, perché trasmettono il modo di essere insieme al fare, i metodi educativi sono semplificati al massimo in quanto richiedono attenzione alle modalità del vivere e capacità di assimilazione. Attualmente, questi contesti ambientali sono attraversati da profondi cambiamenti e il processo educativo condivide le fragilità e precarietà di quei paesaggi umani che hanno perso la dimensione comunitaria e stentano a trovare modalità significative di esperienza umana condivisa.

3.​​ E.p. «liberatrice ed emancipatrice».​​ Dallo sconvolgimento di questo mondo e da ciò che si è prodotto come conseguenza, non si può non pensare a una e.p. che aiuti a prendere coscienza dei nuovi rischi di emarginazione e di esclusione conseguenti alla globalizzazione. La prospettiva attuale dell’Eco-Pedagogia considera l’essere umano in un rapporto armonico con il contesto al quale appartiene e questo pone una sfida molto importante alla e.p.: elaborare e costruire alternative alla realtà attuale; un altro mondo è possibile se si riesce a far crescere il numero di coloro che pensano, condividono, partecipano, mettono in atto e socializzano. È la speranza che si fonda anche sul «tesoro» riscoperto nell’e.

Bibliografia

Spranger E.,​​ Ambiente e cultura. Lo spirito caratteristico della scuola elementare,​​ Roma, Armando, 1964; Santomauro G.,​​ Civiltà ed e. nel mondo contadino meridionale,​​ Bari, Adriatica Editrice, 1974; Colonna S.,​​ Prospettive della società educante,​​ Lecce, Milella, 1979; Delors J. (Ed.),​​ Nell’e. un tesoro, Roma, Armando, 1997; Fuentes N., «E.p. liberatrice ed emancipatrice», in A. Surian (Ed.),​​ Un’altra e. è possibile. Forum Mondiale dell’E. di Porto Alegre, Roma, Editori Riuniti, 2002, 237-248.

V. Orlando