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educazione alla PREGHIERA

 

PREGHIERA: educazione alla

Le numerose definizioni di p.​​ rispecchiano altrettante forme con cui la persona si rapporta con il soprannaturale; anche in ambito cristiano la p.​​ assume connotazioni diverse secondo l’atteggiamento spirituale del fedele, le sue motivazioni, il rapporto tra p. e vita, la relazione che intercorre tra p.​​ personale e p.​​ comunitaria.

1.​​ Un quadro di riferimento.​​ Il cammino di educazione alla p. va visto in un contesto che tenga presenti le tappe che iniziano con il fanciullo e l’adolescente, per continuare poi con i giovani, gli adulti, gli anziani. Ciò richiede un atteggiamento di​​ progettuale continuità​​ della proposta educativa. La continuità ha senso quando si pone all’interno di un​​ quadro di riferimento​​ cui converge e da cui prende senso lo specifico cammino educativo: la evangelizzazione e la liturgia. La prima è la base per le iniziali esperienze di p. (lode, ringraziamento, benedizione, supplica). La seconda è un’esperienza più raffinata e impegnativa di p.​​ cristiana, in quanto il sacramento, l’anno liturgico, la liturgia delle Ore e la pietà popolare costituiscono ambiti privilegiati di p.,​​ che realizzano un contatto più o meno profondo con il Dio dell’alleanza.

2.​​ La p. cristiana.​​ È​​ ascolto​​ di Dio che parla;​​ contemplazione​​ dei segni della sua presenza nei fratelli e nelle più diverse realtà;​​ dialogo​​ con Chi per primo si è già mosso per venire incontro;​​ progressiva comunione​​ con il Tutt’Altro che già è presente nell’intimo di ogni persona. Alla precisazione dell’essenza della p. cristiana si accompagnano cinque interrogativi:​​ Chi​​ prega? Il fedele che ha realizzato un minimo di conoscenza del Dio di Gesù Cristo.​​ Come​​ pregare? Le modalità sono diversificate; la storia arricchisce l’oggi con una pluralità di forme che rispondono all’ampia gamma di attese spirituali del singolo.​​ Dove​​ pregare? I luoghi più adatti possono essere in rapporto con situazioni personali o con occasioni comunitarie e ufficiali.​​ Quando​​ pregare? La p.​​ cristiana ufficiale ha ritmi orari, ma il fedele prega sempre quando fa delle scelte ordinarie della propria vita una risposta sincera e totale al Dio dell’alleanza.​​ Perché​​ pregare? La comprensione delle dimensioni della p. cristiana (ascolto, contemplazione, dialogo, comunione) offre la risposta più convincente: nella p. il cristiano​​ accoglie​​ la voce di Dio,​​ trasfigura​​ le realtà quotidiane dando loro il più genuino significato,​​ intesse​​ un rapporto con Dio e con le realtà create contribuendo a realizzare quella​​ comunione​​ che la storia della salvezza esprime e declina attorno alla categoria dell’alleanza.

3.​​ Alcuni punti fermi.​​ Nell’ambito cristiano​​ il culmine e​​ insieme​​ la fonte della p. è l’Eucaristia,​​ perché lì la proposta divina e la risposta umana trovano il loro punto d’incontro. Non per nulla la p. eucaristica, che racchiude tutti i temi della​​ p.​​ cristiana, è chiamata da sempre la p.​​ per eccellenza. In secondo luogo,​​ il nutrimento della p.​​ è dato principalmente dalla Parola divina sia per l’esperienza esemplare che essa offre, sia perché aiuta a leggere le situazioni della vita riportandole nella prospettiva del progetto originario dato da Dio ed espresso nelle condizioni dell’alleanza. In terzo luogo, va evidenziato​​ il ruolo del silenzio​​ come condizione di incontro, spazio di ascolto, occasione di dialogo e motivo di approfondimento. In questo dinamismo non può essere trascurato l’aiuto offerto dal​​ corpo,​​ dallo​​ spazio,​​ dalle «cose»​​ che stanno intorno, dai​​ tempi​​ e dai​​ ritmi​​ della vita. Nessuna lezione teorica, comunque, potrà mai esaurire tutta la problematica, le attese, i timori, le sconfitte che si incontrano in questo itinerario. Le esperienze porteranno ad una sintesi personale in cui il fedele troverà un modo di rapportare le diverse situazioni della propria esistenza nella logica del Dio Trinità che si è fatto storia perché l’uomo potesse realizzare un cammino di divinizzazione.

Bibliografia

Bianchi E., «P.», in M. Sodi - A. M. Triacca (Edd.),​​ Dizionario di omiletica, Leumann (TO) / Gorle (Bg), Elle Di Ci / Velar, 2002, 1249-1252; Calati B., «P.», in L. Borriello et al. (Edd.),​​ Dizionario di Mistica, Città del Vaticano, LEV, 1998, 1033-1038; Castellano J., «P. e liturgia», in D. Sartore - A. M. Triacca - C. Cibien (Edd.),​​ Liturgia,​​ Cinisello Balsamo (MI), San Paolo, 2001, 1492-1511; Wright J. H., «P.», in M. Downey - L. Borriello (Edd.),​​ Nuovo Dizionario di Spiritualità, Città del Vaticano, LEV, 2003, 564-574.

M. Sodi




educazione alla RESPONSABILITÀ

 

RESPONSABILITÀ: educazione alla

L’educazione alla r. rappresenta una delle risposte educative di maggiore importanza, in una congiuntura storica i cui tratti di negatività presentano, sotto il profilo pedagogico, una più che abbondante serie di rilevazioni (tramonto d’epoca; età dell’incertezza; disordine esistenziale; cultura della frammentazione, dell’indifferenza, del piacere; epoca senza linguaggio; antiumanesimo tecnocentrico, cultura «liquida») e le cui manifestazioni (solo per ricordarne alcune: caduta del rispetto per la vita; risorgere di conflitti religiosi, etnici e razziali; aumento del divario fra ricchezza e povertà e formazione di grandi sacche di disagio, esclusione e marginalità) non possono non suscitare le più ansiose preoccupazioni sul presente e sul futuro della nostra civiltà.

1.​​ Fondamenti.​​ In una visione di tipo personalistico, la r. si colloca nel quadro dell’​​ ​​ educazione morale, di cui riprende i motivi e le giustificazioni essenziali. Si tratta, infatti, di porsi nella prospettiva dei comportamenti di natura relazionale, che impegnano, cioè, la​​ ​​ libertà e l’intersoggettività della​​ ​​ persona ed il suo rapporto con regole, norme, confini, prescrizioni e diritti. In questo senso, l’educazione alla r. si può leggere come una delle espressioni dell’educazione alla​​ ​​ alterità in senso generale e alla libertà in particolare. Una prima fascia di attenzione è costituita dall’avvertenza a reagire ad alcune tipiche deformazioni – come quella collettivistica ed impersonalistica (bisogna sempre chiamare in causa la società o il sistema), quella legalistica (basta rispettare le norme consuetudinarie o convenzionali senza andare oltre) e quella egocentristica (l’unico problema è di soddisfare le proprie esigenze e le proprie aspirazioni) – che tendono a snaturare ed a svilire l’idea stessa di r. nei suoi connotati più profondi. Una solida e consistente educazione alla r. può incidersi soltanto in un terreno di riferimento ai​​ ​​ valori come elemento fondante positivo, in cui esercita una funzione di ordinamento centrale l’ideale universalistico dell’umanità come «possibilità di comunicazione universale, di comprensione transculturale […] diritto universale [...] che consente ad ogni uomo, qualunque sia il suo livello di cultura, di moralità, perfino di ragione, di essere riconosciuto come uomo»: in una parola, come «solidarietà concreta» (Réboul, 1995). Da ciò può dipanarsi una molteplicità di itinerari educativi, che vanno collocati lungo un continuum di attività, di esperienze e di proposte da disporre nei due assi dello sviluppo cognitivo da una parte e di quello affettivo dall’altra per arrivare a sbocchi comportamentali e a stili di vita. È infatti necessario, in un senso, «far conoscere e comprendere al soggetto [...] le condizioni di interdipendenza umana, cioè la trama dei rapporti che intessono la condizione sociale dell’uomo [...] perché l’assunzione di r. deve muovere sempre da una consapevolezza crescente del complesso dei compiti e delle funzioni che sono derivanti dalle leggi, dai princìpi, dalle regole, cioè dagli elementi normativi del quadro socio-istituzionale in cui egli è collocato»; ma è altrettanto indispensabile, in un altro, «promuovere nel soggetto la capacità di collocarsi nella prospettiva della obbligazione [...] cioè l’esigenza di uscire verso una volontà di “risposta” attuativa dei compiti assunti» (Massaro, 1993). Intelligenza, emozione ed azione sono ugualmente chiamate in causa in una sinergia di concetti, sentimenti, decisioni, disposizioni e capacità operative.

2.​​ Campi.​​ Possiamo quindi dire che l’educazione alla r. assume in sé tutte le potenzialità e le risoluzioni inerenti a ciò che concerne la dimensione della​​ reciprocità.​​ I campi specifici ai quali questa formazione inerisce con una particolare pregnanza di accenti e di urgenze sono: pace; mondialità (interculturalità, sviluppo, internazionalismo); socialità, civismo, politica; economia; diritti umani e giustizia; salute; ecologia; diffusione dell’informazione; legalità. In ognuno di essi, infatti, la r. si configura come un elemento trasversalmente costitutivo, rappresentandone, in ultima analisi, il solvente pedagogico di base. Sul piano curricolare e metodologico, infine, non bisogna dimenticare l’invito a non rifiutare il confronto con i temi che toccano la conflittualità, la divergenza ed il contrasto, a non appiattirsi in un cognitivismo informativistico privo di forza morale e ad incoraggiare in ogni modo tutte le forme di partecipazione, di impegno e di volontariato capaci di far reagire all’isolamento ed all’autocentrazione egoistica.

Bibliografia

Zavalloni R.,​​ Educarsi alla r.,​​ Milano, Paoline, 1986; Bosello A. P.,​​ Scuola e valori,​​ Leumann (TO), Elle Di Ci, 1991; Massaro G.,​​ L’educazione personalistica per un più complesso senso della r.,​​ in «Pedagogia e Vita» 51 (1993) 24-42; Réboul O.,​​ I valori dell’educazione,​​ Milano, Ancora / Fondazione Baden, 1995; Chionna A.,​​ Pedagogia della r., Brescia, La Scuola, 2002; Orsi M.,​​ Educare alla r., Parma, EMI, 2002.

C. Scurati




educazione alla SALUTE

 

SALUTE: educazione alla

L’​​ ​​ educazione comporta non una semplice informazione né solo accorgimenti di tutela passivizzante, ma una valida azione stimolatrice sui singoli soggetti, sui gruppi e sull’intera società, tale da ottenere un’attivazione intelligente di tutte le forze disponibili a promuovere la s. individuale e collettiva.

1. Come concetto iniziale di s. assumiamo quello espresso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), e andremo necessariamente ampliandolo ed esplicitandolo per meglio adeguarlo all’argomento trattato: «S. è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale». Non consiste soltanto in un’assenza di malattia e di infermità, bensì in una condizione dinamica che, mentre evita i deterioramenti e gli invalidamenti, tende di continuo a consolidare e a migliorare le condizioni di equilibrio, di benessere e di efficienza sia durante la crescita che nell’età adulta. Nel declino della vecchiaia tenterà di rallentare i processi invalidanti e di conservare quanto più efficienti possibile le energie sia fisiche sia psichiche, in modo che i soggetti anziani possano gestire la loro esistenza con sufficiente autonomia. È ormai un dato acquisito che la s. è un bene sia individuale che collettivo, perciò è interesse di tutti perseguirlo. È un bene a cui si ha diritto e verso cui si hanno dei doveri. L’educazione alla s. dovrà quindi illustrare il valore di tale bene e le modalità più consone per garantirlo contro ogni aggressione. Illustrerà anche le norme di igiene generale e speciale, la valorizzazione dello​​ ​​ sport, della distensione, della capacità di autogratificazione e di eterogratificazione e di qualsiasi altro accorgimento che possa concorrere validamente allo scopo.

2. Come ormai fanno notare molti autori, mantenendo sempre la centralità della persona, l’educazione va portata anche sull’​​ ​​ ambiente circostante e va intesa come un intervento ordinario quale l’alfabetizzazione e la scuola e non come un intervento straordinario da adottare solo in alcuni casi di emergenza. L’educazione alla s. si propone così di creare una mentalità per cui tutti e ciascuno si sentono invitati a svolgere con dedizione e competenza la propria parte. Occorre altresì una pianificazione, un coordinamento e dei controlli periodici da parte dei responsabili. Il concetto ingloba quello di​​ ​​ prevenzione con cui si intende tutta una serie di provvedimenti atti ad evitare i rischi e le cause di disturbi dell’adattamento e a soddisfare i bisogni autentici con le modalità più adeguate.

Bibliografia

Baronio V. (Ed.),​​ Principi e metodologia dell’educazione sanitaria,​​ Torino, Edizioni Medico-Scientifiche, 1981; Ferrara M. - G. Zincone (Edd.),​​ La s. che noi pensiamo,​​ Bologna, Il Mulino, 1986; Donati P.,​​ S.,​​ famiglia e decentramento dei servizi,​​ Milano, Angeli, 1988; Casena D.,​​ Chiesa e s.,​​ Milano, Ancora, 1991; Cairo M. T.,​​ Persona e s. Itinerari educativi,​​ Ibid., 1994; Merenda P.,​​ Educazione alla s. e scuola,​​ Torino, SEI, 1995; Ghedin E.,​​ Quando si sta bene: educazione alla s. e adolescenza, Milano, Angeli, 2004;​​ Qualità della vita ed etica della s.: Atti dell’Undicesima Assemblea Generale della Pontificia Accademia per la Vita (Città del Vaticano, 21-23 febbraio 2005), Città del Vaticano, LEV, 2006.

V. Polizzi




educazione alla VERITÀ

 

VERITÀ: educazione alla

Ogni uomo, con l’uso della ragione, si pone domande sul senso della vita; perché non potrebbe vivere senza darsi delle risposte, senza il desiderio di sapere. Ma che cos’è la sapienza? Il sapere, come definizione conoscitiva di tale ricerca, a partire dal mondo classico, si caratterizza come ricerca della v.

1. La scienza, il diritto e la religione, cercano di scoprire in che cosa consiste la v. Il suo studio in sé appartiene alla logica filosofica, e in modo più pertinente alla metafisica, epistemologia e filosofia del linguaggio. Ma anche l’esperienza religiosa insegna a cercare risposte alla domanda: che cosa è la v.? La​​ ​​ Bibbia afferma che «la v. è Dio», e solo in lui è possibile conoscere la v. del mondo in cui l’uomo è posto, la v. dell’uomo dotato di intelligenza e di libertà, la v. degli altri con cui ogni persona è in cammino nella storia. L’educazione alla v. diventa quindi un compito arduo nella cultura attuale che vede la caduta delle ideologie frantumando il concetto stesso di v.: ciascuno diventa per se stesso criterio di v., perché ciascuno ha la «sua v.». Si fa così strada una pericolosa confusione che fa intendere la v. in modo molto ridotto, quasi una somma di v. parziali ritenute tali dall’esaltazione del metodo scientifico, che non esaurisce certamente da solo tutta la v. Così nella crisi del concetto di v. viene coinvolta anche l’identità della​​ ​​ persona, che viene distratta dal non essenziale e invasa da uno scetticismo generalizzato e da un facile relativismo. Si dà per scontato che ognuno può possedere delle piccole v., che possono assurgere a criteri di scelte morali e che nessuno è possessore di tutta la v.

2. Su questi presupposti culturali gli educatori dovranno orientare le scelte che regolano la ricerca, agendo ragionevolmente prima di tutto sui focolai di crisi del concetto di v., e proponendo itinerari di inversione di tendenza: a) favorire la dimestichezza con la metafisica, come incontro che aiuterà l’intelligenza a cercare la v. che ci trascende, contro le trappole del relativismo e del soggettivismo; b) proporre la​​ ​​ testimonianza come capacità di dare senso vero alle parole, perché esse recuperino il loro intrinseco significato. Se il​​ ​​ metodo scientifico è la via di accesso alla conoscenza del mondo materiale, la testimonianza è la via di accesso alla conoscenza delle v. che sono di ordine diverso (la v. di se stessi, degli altri, di Dio); c) rispettare l’oggettività della v., contro forme di spontaneismo, operando un rovesciamento di quella prospettiva che nella moderna cultura ha sostituito l’oggettività della v. col punto di vista soggettivo della «sincerità personale»; d) rendere valido il criterio della v. oggettiva ridimensionando quello dell’efficacia scientifica. La v. agisce nell’interno della persona umana; una v. che non può essere messa sullo stesso piano dell’indagine empirica e misurata con gli stessi strumenti.

3. Il metodo che favorirà lo sviluppo delle tappe di questi cammini culturali si deve configurare come: a) ricerca del bene-vero-bello delle culture del passato, recuperando una radice storica di continuità contro ogni forma di presentismo: i​​ ​​ valori della storia non possono essere beni effimeri; sono trascendenti, sempre riproponibili anche se in modi diversi nelle diverse culture, perché sempre attuali; b) riappropriazione dei valori umani profondi che sono legati al criterio di v. su cui è fondata l’umanità: la fiducia nella v. che si trascende e la fedeltà a questa v. Per la Bibbia è vero ciò che resiste all’usura del tempo; c) inserimento graduale nella dinamica di ricerca della v., dove l’uomo è il punto di partenza e la v. di Dio il traguardo di arrivo; d) sostituzione dei concetti devianti e talvolta subdoli che nella storia del pensiero hanno preso il posto della v.: ciò che è vero, è vero per sempre, perché la v. è immutabile; e) purificazione degli aspetti sociali, politici ed economici della vita umana da tutto ciò che è estraneo al concetto di v. ed ai valori che esso racchiude e dei quali è portatore, per fare dell’uomo un essere vero ed un essere libero; f) coinvolgimento della libertà intellettuale nel lasciarsi educare dalla v. ed educare alla v., esperienza umana che deve diventare il cuore vitale della cultura: aprirsi al senso degli esseri e delle cose, della vita, dell’amore, della morte, dell’aldilà.

Bibliografia

Poupard P.,​​ Chiesa e culture. Orientamenti per una pastorale della intelligenza, Milano, Vita e Pensiero, 1985; Mura G.,​​ Ermeneutica e v., Roma, Città Nuova, 1990; Id.,​​ Cercare la v. nella cultura contemporanea, Ibid., 1994; Giovanni Paolo II,​​ Fede e ricerca. Testo integrale dell’Enciclica «Fides et ratio»​​ con introduzione e commento di Antonio Livi, Roma, Edizioni Romane di Cultura, 1998; Swirnov A.,​​ La filosofia mistica e la ricerca della v., Roma, Simmetria, 2005; Grosso M.,​​ Alla ricerca della v. La filosofia cristiana​​ in É. Gilson e J. Maritain, Roma, Città Nuova, 2006.

G. Morante




educazione allo SPORT

 

SPORT: educazione allo

In relazione al termine s. sono possibili due definizioni in senso descrittivo: una di largo respiro, l’altra di stretta interpretazione. Circa la prima si può affermare che lo s. è l’insieme delle situazioni ludiche e motorie di confronto competitivo (con se stessi, le leggi della natura, gli altri) in vario modo regolamentate; in questa accezione, quattro sono gli elementi caratterizzanti: il​​ ​​ gioco, il movimento, la competizione, la regola (che, a ben vedere, è già insita nel gioco non essendo concepibile gioco – nel senso di «game» – senza regole). Relativamente alla seconda definizione, lo s. riduce invece il suo campo interpretativo a quelle situazioni ludiche e motorie di confronto competitivo, le cui regole sono codificate e controllate da istituzioni che la storia mostra essere un tratto specifico e caratteristico delle società occidentali contemporanee.

1.​​ S. come fatto culturale.​​ Al di là delle interpretazioni scientifiche che contrappongono una cultura del​​ play​​ ed una cultura del​​ game​​ e le rispettive «filosofie» sull’uomo a cui tali approcci si ispirano, oggi, al di là del necessario dibattito teorico, su un fatto tutti sembrano concordare: lo s. è diventato un​​ fenomeno culturale​​ dalle notevoli proporzioni e incidenze. È passato il tempo in cui lo s. apparteneva alla fantasia dell’evasione individuale. Lo si trova ormai strettamente legato – ora causa ora effetto – ai dati dei grandi problemi la cui soluzione condiziona l’avvenire della nostra civiltà. In questa ottica lo s. è un indubbio fatto culturale, sia perché è prodotto umano e pratica presente nei singoli individui e nei gruppi umani organizzati, sia perché esprime modelli di comportamento e valori, collegati per l’appunto ad una imprescindibile attività umana: quella​​ motoria,​​ caratterizzata, come si è detto, dalle variabili del «gioco», della «competizione», delle «regole». In più, partendo dal fatto che l’uomo è unitario e inscindibile nelle sue componenti psico-fisiche, la stessa «corporeità» viene rivalutata, perché lo s. è sì strumento, tra l’altro, di salute fisica e igiene mentale, ma è soprattutto salute e igiene mentale per l’uomo,​​ visto nella sua completezza e unitarietà: nell’esercizio del​​ ​​ corpo, infatti, è tutta la persona che si visibilizza. Fare​​ cultura sportiva umanizzante​​ significa, allora, proporre e realizzare sempre più «modelli culturali sportivi» in cui l’essere umano, a fatti e non con retoriche parole, è veramente la «variabile indipendente», per cui l’attività sportiva con le sue dimensioni di movimento, di​​ ​​ ludicità, di competizione e di regole, contribuisce – accanto ad altri fattori e valori – alla crescita umana.

2.​​ S. come valore socializzante.​​ Che lo s., analizzato nella sua concezione originaria, abbia in sé elementi valoriali nei confronti del sé, degli altri e della natura umana, è realtà assodata. Ma come tutte le realtà umane, anche lo s. è valore con caratteristiche ambivalenti: può essere eticamente autenticato o svilito, a seconda del​​ come​​ è attualizzato al servizio dell’uomo. In una prospettiva umanizzante lo s. può essere vera scuola di salute, di igiene mentale, di autodominio, di socialità, di disciplina, di libertà, di creatività, di soddisfazione, di divertimento, di gioia, di catarsi, di emulazione, di festa; esso può essere, in una parola, uno​​ stile di vita​​ che ha innanzitutto valore in sé e per sé. Certo, fare s., soprattutto per alcuni strati giovanili, può significare anche arricchirsi di «anticorpi» per evitare comportamenti di tipo distruttivo di carattere «esogeno», come le varie forme di violenza, e di tipo «endogeno» come i casi che si riferiscono all’uso dell’alcool e della droga, e tutto ciò è sacrosanto per una società civile; ma la dimensione valoriale dello s. deve essere vista innanzitutto per quello che «è» e rispettata come valore umano in sé e solo dopo per quello che «serve». La socializzazione sportiva è dunque uno dei fattori più rilevanti e di notevole spessore umano della realtà sportiva, ma «socializzare» non è ancora​​ educare in modo compiuto.

3.​​ S. come valore educante.​​ Pensando comunque soprattutto all’età giovanile (fanciulli, adolescenti, giovani) occorre avere il fermo obiettivo di innestare nella pratica sportiva l’elemento della ludicità come «unica variabile indipendente» attorno a cui trasformare ogni attività sportiva in dimensione umana e perciò in esperienza autenticamente educativa contrassegnata dai seguenti fattori: spontaneità, gratuità, creatività, libertà, soddisfazione e divertimento, liberazione del corpo, festività. Realisticamente occorre dire che innumerevoli oggi sono gli ostacoli per vivere questo modello ludico-sportivo; infatti la «logica» culturale olimpica (degenerata), a cui si rifà sostanzialmente il modello culturale di s. corrente, è quella di puntare non tanto sulla «qualità» gestuale che vale, ma sulla «quantità» di richieste che si desiderano dal proprio fisico; è quella di costruire il «campione» più che di pensare a realizzare un «uomo-atleta» e uno «sportivo-umanizzato». La ludicità deve diventare per ogni formatore o allenatore l’obiettivo fondante di ogni attività sportiva, a cui le stesse categorie della «vittoria» e della «sconfitta», della «tecnica» e della «regola» devono essere subalterne. Non importa, cioè, se si è vinto o si è perso, vale invece​​ come​​ si è giocato,​​ come​​ si è agito durante la gara. L’educazione ludica nello s. si concentra maggiormente più sul piacere del «fare» che sulla voglia incontrollata del «vincere» o sulla paura del «perdere». Ciò non significa abolire un certo «agonismo», ma accentuare la cosiddetta​​ competizione indiretta​​ che dà più ampie possibilità di apprendere educativamente l’alfabeto della vera cooperazione sociale, anche attraverso l’attività sportiva, che è un fatto​​ di​​ tutti e​​ per​​ tutti e a tutte le età.

Bibliografia

Huizinga J.,​​ Homo ludens,​​ Milano, Il Saggiatore, 1966; Bucciarelli C.,​​ Lo s. come ideologia,​​ Roma, AVE, 1974; Thill E.,​​ S. e personalità,​​ Roma, Armando, 1975; Bonistalli E. et al.,​​ Vincere o giocare,​​ Roma, Bulzoni, 1979; Zanon R.,​​ Gioco s. educazione,​​ Roma, Società Stampa Sportiva, 1981; Gius E. - A. Salvini, «S.», in​​ Nuovo​​ dizionario di sociologia,​​ Roma, Paoline, 1987; Ricciardi P. M.,​​ Stress,​​ s.,​​ training autogeno,​​ Torino, Cortina, 1990; PGS,​​ A che gioco giochiamo?,​​ Roma, PGS, 1991; Mazza E. - D. Olmetti,​​ S. e educazione, Roma, CSI, 1996; Greganti A. (Ed.),​​ Cent’anni di storia nella realtà dello s. italiano,​​ Ibid., 2006.

C. Bucciarelli




educazione allo SVILUPPO

 

SVILUPPO: educazione allo

Il concetto di s. presenta una complessità e un’ambiguità come pochi altri ed evoca un ricco campo semantico che comprende altri concetti, come quelli di progresso, crescita, evoluzione, autosufficienza, benessere, emancipazione, cambiamento, qualità della vita, ecc.

1. L’educazione allo s. (= e.a.s.) ha attraversato in Italia diversi momenti e ha coinvolto un numero crescente di soggetti, organismi non governativi, scuole, associazioni culturali, gruppi di cooperazione, Unicef, movimenti ecologici, missionari e caritativi. Dalla fine degli anni ’60 del sec. scorso ad oggi si sono venuti moltiplicando gradualmente programmi e convegni, esperienze ed attività, corsi di aggiornamento / formazione e momenti di confronto internazionale, scambi culturali e produzione di materiali didattici, riviste e collane editoriali, sussidi audiovisivi e campagne di opinione. Per la sua dinamica interna, l’e.a.s. ha favorito l’apertura della scuola ai problemi sociali e l’interazione fra educazione formale ed extrascolastica. L’e.a.s. si è venuta trasformando visibilmente nel tempo. Da un nucleo tematico che originariamente veniva ristretto ai fenomeni della povertà, della fame e del sottosviluppo, il cerchio si è allargato includendo problemi come la pace, la giustizia tra i popoli, il rispetto della dignità umana, la cura dell’ambiente naturale, la qualità della vita, l’esigenza di un nuovo ordine internazionale, i diritti umani, il valore della differenza e, in anni più recenti, l’accoglienza degli immigrati e l’interculturalità.

2. Oggi l’e.a.s. considera e valuta le teorie e i modelli di s. alla luce dei cosiddetti criteri di sostenibilità e di compatibilità. Il passaggio dalla cultura del vecchio «terzomondismo» degli anni ’60 e ’70 alla cultura della «interdipendenza» ha aperto la strada ad una nuova metodologia e didattica dello s. Il fenomeno dell’immigrazione dai Paesi del Sud del mondo ha provocato una ridefinizione che vede l’incrocio fecondo dei due paradigmi: la cooperazione Nord-Sud e l’immigrazione del Sud nel Nord. S., allora, non vuol dire soltanto cooperazione, ma accoglienza, ospitalità, apertura all’altro, interculturalità. Negli ultimi anni l’e.a.s. si è venuta sempre più configurando come educazione alla cittadinanza globale, valorizzando le dimensioni della partecipazione e della responsabilità piuttosto che quelle della crescita economica e della competitività. Ciò che conta per misurare lo s. non è perciò il PIL ma la qualità della vita. Vengono in primo piano i problemi dell’acqua e del clima, ad es. Si è pervenuti all’elaborazione di nuovi paradigmi concettuali come quelli della sostenibilità, della decrescita e della sobrietà. Affrontare i temi dello s. equivale dunque a farsi carico di un progetto educativo capace di futuro e relativo a molteplici sfide: dalla globalizzazione al potere mediatico, dal multiculturalismo alla tecnica, dall’ambiente alla​​ governance.​​ Nel frattempo si è dissolto il linguaggio che si riferiva al primo, secondo, terzo e quarto mondo. È esploso, invece, l’impero di Cindia (Cina e India). Grandi progetti varati nel 2000 da 109 Capi di Stato, come gli Obiettivi del Millennio, si sono dissolti ben prima di arrivare al 2015, mentre è venuto crescendo dal basso un forte movimento democratico per un altro mondo possibile (Porto Alegre).

3. Anche in seguito alle pressioni del coordinamento degli organismi non governativi si sono avuti interventi legislativi e ministeriali che hanno rinforzato gli orientamenti dell’e.a.s. nella scuola italiana: alludiamo alla L. 49 del 1987 (art. 2, comma 3, lettera «h») e alla circolare del Ministero P.I. n. 348 del 1989 avente come oggetto appunto le attività di e.a.s. Da molti anni è maturato il tempo per riformare questa legge e per aggiornare la nozione di s. coniugandola con le questioni della mondialità e della pace, dell’ecologia e dell’interculturalità, dei diritti umani e della democrazia. In definitiva, educare a / per lo s. significa contribuire alla formazione di una «coscienza planetaria» che consenta di vivere da «cittadini del Mondo».

Bibliografia

Focsiv,​​ Bozza programmatica per la costituzione di una rete per l’e.a.s. in Italia,​​ Milano, Quaderni Focsiv, 1985; Comitato italiano Unicef,​​ L’avventura dell’e.a.s.,​​ Roma, 1988; Chiappero Martinetti E. - A. Semplici (Ed.),​​ Umanizzare lo s., Torino, Rosenberg & Sellier, 2001; Bonaiuti M.,​​ Obiettivo decrescita, Bologna, EMI, 2005; Lanza A.,​​ Lo s. sostenibile, Bologna, Il Mulino, 2006; Meadows D. - D. Meadows - J. Randers,​​ I nuovi limiti dello s. La salute del pianeta nel terzo millennio, Milano, Mondadori, 2006; Elamé E. - J. David,​​ L’educazione interculturale per lo s. sostenibile, Bologna, Il Mulino, 2007; Latouche S.,​​ La scommessa della decrescita, Milano, Feltrinelli, 2007.

A. Nanni




EDUCAZIONE AMBIENTALE

 

EDUCAZIONE AMBIENTALE

Il significato del lemma richiama l’idea di e., intesa come il processo di formazione dell’uomo nel suo rapporto con l’​​ ​​ ambiente che lo circonda. Si tratta di una relazione in cui il soggetto è parte dell’ambiente, ma al contempo viene orientandosi ad esplorarlo e conoscerlo. L’e.a., pertanto, risponde a quel processo d’interpretazione e conoscenza dell’ambiente nelle sue caratteristiche morfologiche, geografiche, ecologiche, sociali e, più ampiamente, culturali il cui fine si colloca nello sviluppo di una​​ coscienza ambientale diffusa​​ che favorisca la protezione, il rispetto e la valorizzazione dell’habitat naturale e umano.

1.​​ L’ambiente naturale.​​ Compito di una corretta e.a. sarà allora quello di far maturare la consapevolezza secondo cui l’uomo è parte integrante e certo fondamentale dell’ambiente, senza per questo esserne l’elemento unico, prioritario, assoluto. Al contempo, proprio sull’uomo grava la​​ responsabilità​​ morale di adempiere al processo di salvaguardia dell’integrità ambientale in ogni suo aspetto. La prima direzione prevista dall’e.a. è quella che conduce alla conoscenza della natura sotto il profilo biologico (animale, vegetale, minerale), antropologico ed ecologico, affinché il giovane comprenda l’importanza – per se stesso e per la specie – di una natura conservata e preservata dalla distruzione, dallo sfruttamento cieco delle sue risorse, dalle differenti forme d’inquinamento.

2.​​ L’ambiente storico-economico e sociopolitico.​​ Una seconda direzione predispone la formazione umana verso l’ambiente nelle sue condizioni economiche, storiche, sociali, politiche. La​​ città​​ e le sue molteplici funzioni acquisiscono qui una «eminenza» pedagogica dovuta ai riflessi antropologici riverberati sull’ambiente modificato dall’uomo.

3.​​ L’ambiente estetico ed etico.​​ Questa terza direzione include sia il carattere morale e valoriale su cui ogni corretta e.a. viene impostandosi, sia le peculiarità estetiche rivelate dall’ambiente. Le zone archeologiche, i siti d’interesse speleologico, i beni culturali e l’arte disseminata nell’ambiente ne suggellano una lettura capace di riconoscerlo anche per queste sue apprezzabili dimensioni di​​ ​​ bellezza e di godimento estetico. Le tre direzioni conoscitive dell’e.a. sopra riassunte implicano un’adeguata​​ ricerca d’ambiente.​​ Questa salda la scuola all’extrascolastico colto nelle sue molteplici sfaccettature, riconducendo il mondo di vita del soggetto in corso di formazione verso l’ambiente circostante e quotidiano, ma anche alla volta di territori naturali, sociali, estetici, geograficamente o / e psicologicamente distanti. L’e.a. si apre così: a) alla​​ pedagogia del viaggio​​ vissuto attraverso l’esplorazione e la scoperta; b) all’​​ ​​ e. scientifica per mezzo della quale studiare l’ambiente; c) all’e. estetica (​​ e. artistica) con cui comprendere l’estetica dell’ambiente in quanto linguaggio dell’e.; d) alla​​ pedagogia ecologica​​ intesa come occasione di formazione dell’uomo nell’esercizio della conoscenza degli ecosistemi, dei biosistemi e dei sociosistemi in cui vive.

Bibliografia

Scurati C. (Ed.),​​ L’e. extrascolastica,​​ Brescia, La Scuola, 1986; Gennari M. (Ed.),​​ Beni culturali e scuola,​​ Ibid., 1988; Id.,​​ Estetiche dell’ambiente,​​ Genova, Sagep, 1988; Jonas H.,​​ Il principio di responsabilità,​​ Torino, Einaudi, 1990; Zucchini G. L.,​​ Educare all’ambiente,​​ Firenze, La Nuova Italia, 1990;​​ Gutiérrez Pérez J.,​​ La educación ambiental,​​ Madrid, La Muralla,​​ 1995; Gennari M.,​​ Trattato di pedagogia generale, Milano, Bompiani, 2006.

M. Gennari




EDUCAZIONE ARTISTICA

 

EDUCAZIONE ARTISTICA

Affine nel significato ad espressioni quali «e. estetica», «e. visiva», «e. iconico-grafico-pittorica», «e. all’immagine», l’e.a. è stata tradizionalmente suddivisa in una e. all’arte e in una e. attraverso l’arte.

1. H. Read nel suo​​ Education through art​​ (1943), osserva come percezione e immaginazione si coniughino negli assetti psichici della persona che compie l’esperienza estetica. Un sistema motorio e un sistema affettivo fanno sì che sensazioni e sentimenti sottendano al rapporto tra il soggetto e l’arte. Il primo può accostarsi all’altra fruendone significanti e significati. Inoltre, può anche entrare nel mondo dell’arte producendo personalmente forme e contenuti esteticamente e artisticamente ricchi di bellezza.

2. Quanto detto avvia una fondamentale connessione: quella tra​​ ​​ pedagogia e​​ arte.​​ Con essa si chiarisce l’importanza dei percorsi estetico-artistici nel processo di​​ ​​ formazione del soggetto. L’arte vi assume i contorni di una esperienza vitale propria dell’umano, in cui il soggetto si forma e si trasforma entrando in una relazione del tutto personale con il testo estetico-artistico, a sua volta riflesso di un mondo che si specchia in altri mondi: intersoggettivi, interculturali, interrazziali. Ludicità fantastica e pensiero creativo, immaginazione e invenzione, fantasia e progettualità costituiscono alcuni capitoli del discorso sull’e.a. Esso si serve della​​ parola,​​ dell’immagine,​​ del​​ suono,​​ del​​ gesto,​​ del​​ numero;​​ con questi dà luogo ad un intreccio di​​ testi​​ scritti nel linguaggio complesso e affascinante dell’arte. La scuola ha il compito di avvicinare l’uomo, in ogni età della vita, alle dimensioni del messaggio artistico al fine di gustarlo, viverlo, conoscerlo per poi apprendere a generarlo oltre che riceverlo. L’istituzione scolastica si approssima a quelle istituzioni extrascolastiche in cui i beni artistici sono assunti in quanto​​ beni culturali.​​ Musei, pinacoteche, palazzi, chiese, biblioteche, centri storici, cineteche, mediateche, teatri: questi​​ ambienti educativi​​ facilitano il contatto con l’arte nelle sue manifestazioni più significative: la figurazione, la musica, la letteratura, il cinema, la danza. La sua istituzionalizzazione nella scuola ha da fare i conti con una mentalità prevalentemente tecnologistica e utilitaristica, piuttosto ostica verso questo ambito della cultura e della formazione.

3. Le principali linee operative di una​​ didattica dell’arte​​ aprono varie direzioni di lavoro, fra cui non vanno trascurati: a) le civiltà del passato e del presente studiate sotto il profilo della loro cultura artistica ed estetica; b) il collegamento tra linguaggi visivi, arti figurative e ulteriori percorsi estetici quali la poesia, il canto, il​​ ​​ teatro; c) il mondo dei​​ media,​​ articolato in​​ selfmedia,​​ multimedia,​​ ipermedia;​​ d)​​ l’incontro delle forme estetiche dell’arte con quelle della natura; e) l’incontro delle forme estetiche dell’arte con quelle della scienza; f) lo studio dell’opera d’arte a partire dall’artista per giungere al suo fruitore o a partire dal testo onde pervenire alla sua storia; g) le pratiche concrete e continuative dell’arte, che ogni uomo può realizzare soltanto se gli si offre la possibilità di farlo; h) un’abitudine​​ all’invenzione estetica​​ usando materiali, procedimenti, tecniche e tecnologie con lo scopo di narcotizzare lo stereotipo e l’iterazione, liberando invece la scoperta, il viaggio, l’attenzione estetica al cosmo nel mondo umano, la ricerca negli universi dell’arte.

Bibliografia

Burkardt H.,​​ Zur visuellen Kommunikation in der Grundschulpraxis,​​ Ravensburg, Otto Maier,​​ 1974;​​ Martin M.,​​ Sémiologie de l’image et pédagogie,​​ Paris, PUF, 1982;​​ Gennari M.,​​ Lo sguardo iconico,​​ Brescia, La Scuola, 1984; Quintana Cabanas J. Mª,​​ Pedagogía estética,​​ Madrid, Dykinson, 1993; Gennari M.,​​ L’e. estetica,​​ Milano, Bompiani, 1994; Eco U.,​​ Storia della bellezza, Ibid., 2004;​​ Medina Benítez Mª D.,​​ Educación artística. y su didáctica, Las Palmas de Gran Canaria, Universidad de Las Palmas de​​ Gran​​ Canaria, Vicerrectorado de Planificación y Calidad, 2007.

M. Gennari




EDUCAZIONE COMPARATA

 

EDUCAZIONE COMPARATA

È la disciplina delle​​ ​​ scienze dell’e. che studia i fenomeni e i fatti educativi nelle loro relazioni con il contesto sociale, applicando un metodo di ricerca che paragona i sistemi formativi e i loro elementi per chiarire convergenze e divergenze, al fine di migliorare la conoscenza sia delle loro peculiarità sia degli aspetti comuni e di rendere più efficace l’e. È una disciplina perché ha oggetto e metodo propri, tuttavia, la tesi prevalente è che abbia natura pluridisciplinare. Comprende tre ambiti: le idee pedagogiche, i contenuti e metodi, i sistemi formativi; siccome non rileva della sola pedagogia, si preferisce parlare di e.c. piuttosto che di pedagogia comparativa. Non si può invece dire che ci sia una teoria o un metodo in cui si riconoscano tutti i suoi cultori.

1.​​ Tendenze principali nel passato.​​ L’e.c., è nata dal desiderio di sapere di più sugli altri popoli e sulle loro usanze educative, un bisogno che ha trovato una sua prima risposta nei​​ rapporti dei viaggiatori. Si tratta, però, di una letteratura che spesso manca di sistematicità e di valore esplicativo. La nascita come disciplina è generalmente collegata con quella dei sistemi nazionali di e. nel sec. XIX e le sue origini vengono fatte risalire a una pubblicazione dell’illuminista francese Jullien (1817). L’opera è rimasta di fatto sconosciuta fin quasi alla metà del ’900 quando fu scoperta per caso e rivalutata: per questo motivo alcuni autori ritengono che Jullien non possa essere considerato come il padre o l’iniziatore dell’e.c., ma solo come un precursore. Secondo Jullien essa ha una natura scientifico-sperimentale e svolge una funzione pragmatica. Il metodo consiste nel raccogliere attraverso questionari, dati e osservazioni sui sistemi formativi e nell’organizzarli sulla base di tavole sintetiche. Jullien appartiene alla fase dell’evoluzione detta del​​ «prestito educativo»,​​ che occupa tutto il sec. XIX, e ne condivide meriti e limiti. Gli Stati sono impegnati nella costruzione dei sistemi scolastici nazionali e l’e.c. intende favorirla suggerendo le strutture educative da assumere da altri paesi. Gli studiosi più attenti hanno indicato le condizioni per tale trasposizione: tener conto della diversità dei contesti; scegliere solo gli aspetti validi degli altri sistemi. Comunque, molta della produzione presenta valore scientifico limitato per il suo carattere enciclopedico, la scarsa capacità esplicativa delle conclusioni e la natura meccanica delle trasposizioni. All’inizio del XX sec. si afferma un nuovo approccio, quello​​ dell’analisi dei fattori.​​ Il sistema formativo fa un tutt’uno con la società e, pertanto, va analizzato in relazione con il contesto nel quale si è sviluppato. Essendo il risultato dell’insieme delle forze presenti nell’ambiente, sono queste ultime che vanno identificate se si vuole conoscere meglio la situazione attuale e predire l’evoluzione futura. L’e.c. consente di delimitare con più precisione i fattori operanti in uno o più Paesi. Più in particolare, per Sadler essa aiuta a comprendere lo spirito dei sistemi formativi, secondo Hans il suo scopo è di identificare i principi sottostanti o fattori che regolano lo sviluppo di tutti i sistemi formativi, mentre Mallinson ha fondato l’e.c. sui caratteri nazionali. L’analisi dei fattori appare dotata di potere esplicativo e di validità scientifica; i suoi limiti vanno visti in un certo determinismo della causalità sociale e storica e nella difficoltà di misurare il peso relativo di ciascun fattore. Un altro stadio dello sviluppo, contemporaneo al precedente, è costituito dalla​​ «cooperazione internazionale», che abbraccia quattro ambiti: lo studio dei problemi educativi in prospettiva transnazionale; la raccolta delle statistiche che gradatamente raggiunge un livello elevato di qualità ad opera delle​​ ​​ organizzazioni internazionali tra cui primeggia l’Unesco; l’individuazione delle tendenze internazionali; la promozione dell’e. internazionale o allo sviluppo. In particolare va ricordato Rosselló che attribuisce all’e.c. il compito di delineare le correnti che qualificano il movimento educativo, di definire cioè le tendenze che caratterizzano lo sviluppo dei sistemi formativi, conferendo all’e.c. un approccio prospettico. Questa accentuazione costituisce anche il limite di Rosselló che ha dato troppa rilevanza alla statistica e ai metodi sperimentali, trascurando la natura umanistica dell’e.c.

2.​​ L’evoluzione recente.​​ Dopo la seconda guerra mondiale l’e.c. sperimenta un vero balzo in avanti, connesso con l’esplosione dell’e., l’internazionalizzazione dei problemi, la competizione tra l’Ovest e l’Est e il processo di decolonizzazione del Terzo Mondo. Incominciano a nascere e a diffondersi le associazioni professionali dei comparatisti, si moltiplicano le università che offrono studi e strutture di insegnamento e di ricerca, aumentano le organizzazioni nazionali e internazionali che promuovono investigazioni e progetti nell’ e.c. e vengono fondate nuove riviste specializzate. Sul piano disciplinare è soprattutto l’introduzione del metodo positivo delle scienze sociali a consentire il salto di qualità. Nell’evoluzione recente è possibile distinguere tre gruppi di posizioni che corrispondono anche a fasi diverse dello sviluppo.

2.1.​​ Le posizioni tradizionali.​​ Si affermano negli anni ’50 e soprattutto ’60 e sono caratterizzate da una prospettiva funzionalista ed evolutiva. Per Bereday (1964) l’e.c. è una geografia politica delle scuole. Il metodo è articolato in due fasi maggiori, gli studi di area o regionali e quelli comparativi, a loro volta distribuite in due ulteriori stadi. Nella prima ciascun paese viene analizzato separatamente dagli altri. In proposito, si dovrà anzitutto procedere alla descrizione, cioè alla raccolta dei dati educativi secondo una griglia elaborata in precedenza e che deve essere la stessa per tutti i Paesi; Bereday insiste sulla preparazione del comparativista che dovrebbe tra l’altro padroneggiare il metodo di una o più scienze sociali, conoscere la lingua dell’area e risiedere per un periodo nella zona. Il secondo momento è dato dall’interpretazione, cioè dalla valutazione delle informazioni disponibili sulla base degli approcci delle varie scienze sociali allo scopo di identificare cause e connessioni. Gli studi comparativi, la seconda grande fase, esaminano più Paesi contemporaneamente. Con la giustapposizione ogni griglia è avvicinata alle altre per individuare somiglianze e differenze e arrivare all’elaborazione di un’ipotesi. Questa viene verificata nel quarto momento attraverso il trattamento simultaneo di molti o di tutti i Paesi: il risultato dovrebbe essere quello dell’enunciazione di leggi o di tipologie. I meriti di Bereday sono la scientificità, la logicità e la chiarezza dell’approccio, mentre i limiti vanno ricercati nell’enfasi induttivistica per cui l’ipotesi non viene presupposta fin dal principio del processo comparativo, nella ricerca esasperata della simmetria e nella pretesa di una conoscenza enciclopedica nel comparativista. King respinge la possibilità di elaborare una metodologia chiara e precisa nel senso che questa non può essere definita una volta per sempre, ma cambia secondo il tipo di indagine e gli obiettivi perseguiti. Rimane il carattere pragmatico dell’e.c. che mira ad elaborare strategie per risolvere problemi concreti. Se va apprezzato il recupero della natura anche ideografica dell’e.c. e dell’importanza dell’intuizione, l’impostazione di King trova il suo punto debole nell’assenza di una rigorosa strumentazione sul piano scientifico. Quest’ultima è presente in modo pieno in Noah ed Eckstein (1969). L’e.c. consiste nell’utilizzare dati desunti da varie nazioni per verificare ipotesi sull’e. e sui rapporti tra e. e società. Il metodo è articolato nelle fasi tipiche dell’analisi delle scienze sociali: identificazione del problema, formulazione di un’ipotesi, operazionalizzazione dei concetti, scelta dei casi, raccolta dei dati relativi agli indicatori e ai Paesi, verifica dell’ipotesi e determinazione delle implicazioni sul piano teorico. Se all’inizio sono stati ricordati i meriti della proposta, non vanno dimenticati gli aspetti discutibili come il rischio di trasformare l’e.c. in una sociologia dell’e. comparata e l’eccessiva quantificazione. Il «problem approach» di Holmes non si fonda né sul positivismo né sull’induzione, ma sul pensiero riflessivo di​​ ​​ Dewey, in particolare sul​​ ​​ «problem solving», e su Popper, da cui mutua il metodo ipotetico-deduttivo e il dualismo critico che distingue tra leggi sociologiche, regolarità che sfuggono all’intervento umano, e convenzioni, prodotte dall’uomo e da lui modificabili (1981). Inoltre, non ricerca le cause dei fatti, ma studia gli eventi in quanto predittivi. L’approccio è articolato in cinque momenti principali: l’analisi del problema che nasce dal divario tra norme e fatti o tra le norme; l’identificazione dei fattori rilevanti, quelli cioè che spiegano il problema; la formulazione di proposte politiche alternative, le ipotesi cioè; la predizione logica dei risultati delle strategie in relazione con le condizioni significative dei contesti sotto esame; la comparazione dei risultati predetti con gli avvenimenti osservabili. Punti forti di Holmes sono il metodo ipotetico-deduttivo e per problemi e la focalizzazione sulla predizione; meno convincenti risultano la trattazione degli aspetti quantitativi e le oscillazioni nella definizione delle fasi del metodo.

2.2.​​ Una critica radicale.​​ All’inizio degli anni ’70 la teoria funzionalista e il metodo positivista, su cui poggiavano le posizioni tradizionali, vengono messi in discussione da una società che è divenuta conflittuale e da una scuola che mostra gravi crepe, mentre sul piano scientifico essi sono raggiunti da critiche radicali. Il paradigma umanista sostiene l’origine sociale di tutte le teorie in contrasto con l’approccio realista dell’e.c. tradizionale. Il funzionalismo radicale, ispirandosi alle interpretazioni neo-marxiste, attribuisce alla scuola la funzione di riprodurre le strutture capitaliste per cui ogni tentativo di riformarla che non sia preceduto da una rivoluzione nel modo di produzione è destinato all’insuccesso. Appaiono le posizioni di un umanesimo radicale che attinge alle riflessioni della​​ ​​ Scuola di Francoforte: in questo quadro si situano le analisi del femminismo che rimprovera all’e.c. tradizionale il silenzio circa il ruolo dell’e. nella riproduzione dell’ineguaglianza tra i sessi. Si diffondono paradigmi interpretativi, alcuni dei quali propongono l’alternativa etnometodologica, cioè lo studio di come gli individui operino nel processo di costruzione della realtà sociale. L’approccio dell’e.c. deve passare dal piano macro al micro, da una impostazione realista ad una relativista e interessarsi della vita quotidiana. In sostanza alla fine della decade ’80 si riscontra nell’e.c una situazione di confusione e malessere sul piano metodologico.

2.3.​​ Verso il​​ ​​ pluralismo e la complementarità.​​ Negli anni ’90 e ancor più nella attuale decade viene accettata l’eterogeneità delle posizioni e la complementarità dei diversi paradigmi. Nessuna teoria può pretendere il monopolio della verità, ma tutte contribuiscono alla conoscenza di una società sempre più complessa. A questo punto mi limito a ricordare solo le posizioni nuove. Il neofunzionalismo mira a coniugare l’ortodossia parsonsiana con paradigmi anche opposti: in particolare ha accettato le interpretazioni conflittuali e ha riconosciuto la centralità delle diseguaglianze strutturali. Le teorie critiche hanno attaccato il carattere repressivo della cultura e della società occidentale, mettendo in evidenza soprattutto le distorsioni prodotte nella coscienza e l’oppressione sessuale. Nelle versioni post-strutturalista e post-moderna esse hanno affermato la natura frammentata della realtà sociale, la superiorità del paradosso, della diversità, dell’ambiguità e del caso, l’attenzione al contesto locale. Le posizioni interpretative si sono mosse o nel senso del rifiuto di ogni teoria totalizzante e dell’accettazione di una pluralità di metodi o nella direzione della valorizzazione della coscienza, della creatività e dell’emozionalità. In conclusione, le critiche radicali degli anni ’70 e ’80 e l’eterogeneità degli anni ’90 e 2000 se hanno avuto il merito di allargare gli orizzonti e gli strumenti della ricerca, non sembra siano riuscite a elaborare costruzioni metodologiche compiute, capaci di sostituire quelle tradizionali.

Bibliografia

Jullien M.-A.,​​ L’esquisse et vues préliminaires d’un ouvrage sur l’éducation comparée,​​ Paris, Colas, 1817; Bereday G. Z. F.,​​ Comparative method in education,​​ New York, Rinehart and Winston, 1964; Holmes B.,​​ Problems in education. A comparative approach,​​ London, Routledge and Kegan Paul, 1965; Noah H. - M. A. Eckstein,​​ Toward a science of comparative education,​​ London, Macmillan, 1969; Sinistrero V.,​​ Il​​ Vaticano II e l’e.,​​ Leumann (TO), Elle Di Ci, 1970; Holmes B.,​​ Comparative education: some considerations of method,​​ London, George Allen and Unwin, 1981;​​ García Garrido J. L.,​​ Fundamentos de educación comparada,​​ Madrid, Dykinson,​​ 1986; Schriewer J. - B. Holmes (Edd.),​​ Theories and methods in comparative education,​​ Frankfurt a.M., Lang, 1988; Paulston R. G., «Comparative and international education: paradigms and theories», in T. Husen - L. N. Postlethwaite (Edd.),​​ The International encyclopedia of education,​​ Oxford, Pergamon Press,​​ 21994, 923-933; Maseman V. - A. Welch (Edd.),​​ Tradition,​​ modernity and postmodernity. Special double issue, in «International Review of Education» 43 (1997) 5-6; Crossley M. - P. Jarvis (Edd.),​​ Comparative education for the Twenty-first century. Special Number, in «Comparative Education» 37 (2001) 4; Bray M. (Ed.),​​ Comparative education. Continuing traditions,​​ new challenges,​​ and new paradigms, Dordrecht, Kluwer, 2003.

G. Malizia




EDUCAZIONE CRISTIANA

 

EDUCAZIONE CRISTIANA

Le espressioni e.c. e «e. dei cristiani» sono due modi corretti per indicare l’azione educativo-formativa, esercitata dalle comunità cristiane e dal singolo cristiano, lungo la storia, sulle nuove generazioni in funzione di una loro maturazione umano-cristiana nei differenti contesti culturali (​​ Cristianesimo,​​ ​​ Chiesa,​​ ​​ educatore cristiano).

1.​​ Parola di Dio,​​ tradizione ecclesiale ed e.​​ La Parola di Dio, contenuta nella​​ ​​ Bibbia e trasmessa dalla Chiesa, non contiene una​​ pedagogia rivelata​​ valida per tutti i tempi, i luoghi e le culture, ma solo alcune esigenze fondamentali, a partire dalle quali e ispirandosi ad esse, le comunità cristiane sono chiamate ad impostare la loro prassi educativa nei differenti contesti culturali in cui devono vivere. La determinazione della natura, dei contenuti e della meta dell’e., cioè della​​ ​​ maturità, la scoperta dei metodi e dei mezzi adatti per raggiungerla, la configurazione delle istituzioni educative, sia di quelle naturali, come la famiglia, sia delle altre prodotte dalla cultura, come la scuola, sono lasciate all’inventiva delle generazioni cristiane operanti nelle diverse culture. Questo spiega perché nell’ambito dell’unica fede cristiana, di fatto e di diritto esistano prassi e istituzioni educative e scolastiche plurime, differenti tra loro e tuttavia compatibili con la suprema saggezza contenuta nella Parola di Dio, quindi tali da potersi legittimamente qualificare come​​ cristiane​​ (​​ pedagogia cristiana). La Chiesa, lungo la sua storia bimillenaria, pur occupandosi di e. e di pedagogia, non l’ha fatto attraverso interventi dottrinali del magistero quanto piuttosto mediante esortazioni e direttive di tipo pastorale oppure mediante la promozione di esperienze educative e di istituzioni scolastiche, ispirate dalla Parola di Dio. Solo nell’epoca contemporanea la Chiesa ha affrontato il problema dell’e.c., in due importanti documenti: l’Enc.​​ Divini Illius Magistri​​ (1929-1930) di Pio XI e la Dichiarazione​​ Gravissimum Educationis​​ (= GE) (1965) del Conc. Vaticano II.

2.​​ Dimensioni e obiettivi dell’e.c. oggi.​​ L’e.c. deve essere intesa come un processo unitario di maturazione umana e di crescita cristiana. In esso le due componenti o dimensioni, quella umana e quella specificamente cristiana, pur essendo distinte a livello concettuale, non possono essere separate nella realtà concreta del processo educativo, il quale, a sua volta, riguarda non solo le persone singole ma anche le comunità ecclesiali, perché solo all’interno di queste ultime e mediante la loro capacità educativo-formativa, le persone singole possono crescere e maturare a livello umano e cristiano.

2.1.​​ Prima e fondamentale componente​​ dell’e.c. è la sua dimensione autenticamente umana e attuale. Deve essere un’e. la quale, pur differenziandosi all’interno delle diverse culture, miri a formare uomini maturi. «Tutti gli uomini di qualunque razza, condizione ed età, in forza della loro dignità di persona hanno il diritto inalienabile ad una e. che risponda al proprio fine, convenga alla propria indole, alla differenza di sesso, alla cultura e alle tradizioni del loro paese, e insieme aperta ad una fraterna convivenza con gli altri popoli al fine di garantire una vera unità e la vera pace sulla terra» (GE, 1). Non va dimenticato, però, che oggi i processi educativo-formativi devono realizzarsi in contesti culturali, caratterizzati da un pluralismo esasperato a tutti i livelli, da una conflittualità ideologica e religiosa che giustifica l’uso della violenza; da forme di sincretismo alla​​ New Age,​​ nelle quali l’identità della fede cristiana tende gradualmente a dissolversi. Per conseguenza l’e. dovrà essere concepita come un processo di crescente maturazione delle persone singole e delle comunità, orientato ad una migliore «qualità della vita» e a tipi di promozione e liberazione umana, definiti razionalmente nell’orizzonte delle supreme finalità cristiane.​​ Primo obiettivo​​ di un’e. così intesa è quello di sviluppare, nei giovani e negli adulti, una​​ crescente capacità critica​​ di fronte alle attese, alle aspirazioni e ai progetti di vita, che le agenzie di socializzazione e inculturazione diffondono largamente a tutti i livelli attraverso i mass-media, particolarmente la TV, per la sua diffusione capillare e la sua efficacia persuasiva. Tale obiettivo si raggiunge solo se si riesce a suscitare, particolarmente nel mondo giovanile, un tale amore per la verità da essere disposti a porla al di sopra di tutti gli altri interessi. Occorre aiutare i giovani a convincersi che la certezza sul vero senso della vita e l’impegno definitivo a servizio della verità e del bene sono raggiungibili, nonostante il diffuso scetticismo al riguardo. Il​​ secondo obiettivo​​ è quello di aiutare la generazione in crescita a costruirsi un progetto di vita autenticamente umano e ad acquisire quelle disposizioni psichiche che ne rendono possibile la realizzazione, anche quando il primo e le seconde risultino in contrasto con il quadro dei valori, dei progetti di vita e dei comportamenti, veicolati dal sistema culturale dominante.​​ Terzo obiettivo​​ infine di un’e. autenticamente umana e attuale è quello di coltivare nei giovani aspirazioni verso un mondo più umano, libero dalle oppressioni, che escluda i metodi della violenza, rispetti le persone, eviti le emarginazioni dei poveri, per poi orientarli verso un impegno serio e realistico a favore di qualche processo concreto di umanizzazione del mondo. Questi tre obiettivi dovrebbero essere attuati secondo una progettazione pedagogica che trovi la sua giustificazione nelle Scienze dell’e. in dialogo interdisciplinare tra loro e con la teologia (​​ epistemologia pedagogica).

2.2. La​​ seconda componente​​ dell’e.c. è data da ciò che, a livello ontologico e teleologico, la specifica in quanto «cristiana». Ora il cristiano è la persona che, mediante la fede e il battesimo, è diventata una nuova creatura in Cristo, un figlio di Dio, però allo stato germinale, per cui è impegnato ad attuare un continuo processo di​​ ​​ conversione e di crescita nella fede, speranza e carità, avendo come meta la perfezione in Cristo o santità (Ef 4,13), concepita però in modo tale da includere al suo interno le finalità e gli obiettivi propri della maturazione umana. Gli obiettivi pertanto dell’e.c., in quanto tale, devono mirare al raggiungimento di una autentica maturazione umana all’interno di una crescita continua verso la perfezione cristiana o santità. Potremmo riassumerli nei seguenti quattro.​​ Primo obiettivo​​ che l’educatore cristiano deve prefiggersi è un annuncio efficace dei contenuti del kerygma cristiano (​​ catechesi) alla generazione in crescita, per provocare, con l’aiuto della grazia, un vero processo di conversione, fondamento di ogni crescita cristiana. Si tratta di iniziare soprattutto adolescenti e giovani, gradualmente ma costantemente, ad una comprensione sempre più completa della visione cristiana della vita e del mondo e ad una accettazione sempre più matura della Parola salvifica di Dio in Cristo, mediante una fede viva e operosa, che tende a diventare sempre più matura. Il​​ secondo obiettivo​​ dell’e.c. è una vera iniziazione dei giovani alla vita liturgico-sacramentale delle comunità ecclesiali, che porti con gradualità le nuove generazioni a comprendere e a vivere coscientemente la dimensione cultuale e misterica della vita cristiana attraverso i segni liturgici (​​ preghiera,​​ ​​ sacramenti). I giovani devono essere aiutati ad acquisire una religiosità sempre più matura e a superare la dissociazione perniciosa tra l’aspetto cultuale e gli aspetti profani della vita.​​ Terzo obiettivo​​ è l’apprendimento di una vita morale autenticamente cristiana mediante un vero tirocinio di pratica cristiana e, contemporaneamente a tale pratica, l’acquisizione di una conoscenza corretta delle dimensioni profonde del comportamento cristiano e un convincimento personale del suo valore, fondato su motivazioni non solo oggettivamente valide, ma anche percepite soggettivamente come tali (​​ e. religiosa). Infine il​​ quarto obiettivo​​ specificamente cristiano dell’e. è l’iniziazione dei giovani all’apostolato ecclesiale, finalizzato alla crescita delle comunità cristiane nella loro dimensione «misterica», all’attuazione del loro fondamentale compito missionario agli uomini d’oggi (= la nuova evangelizzazione) e alla promozione di continui processi di liberazione dalle molteplici oppressioni cui le persone singole e le varie comunità umane sono soggette (​​ Chiesa). È evidente che alla realizzazione di questi obiettivi devono partecipare tutte le componenti delle comunità cristiane, dalla famiglia alla scuola, dai gruppi giovanili alle associazioni e ai movimenti ecclesiali.

3.​​ Il processo unitario di maturazione umano-cristiana.​​ Il processo di maturazione umano-cristiana che dovrebbe caratterizzare l’e. dei cristiani, differenziandola dalle altre, va concepito come una realtà complessa, profondamente unitaria, all’interno della quale tuttavia sono distinguibili (ma non separabili) componenti personali e componenti comunitarie. Riteniamo che le componenti personali di un tale processo siano l’opzione globale di fede, il progetto di vita umano-cristiano e l’acquisizione di quei dinamismi permanenti che rendono possibile una vita umano-cristiana. Ciò che invece abilita le comunità ecclesiali ad essere l’ambiente adatto per la maturazione delle persone va ricercato nella loro dimensione a misura d’uomo, nella presenza in esse di una forte tensione evangelizzatrice non disgiunta da un autentico sforzo di promozione umana e in un clima di dialogo come atteggiamento, comunicazione e comunione collaborativa. L’opzione globale di fede con cui ci si converte al Cristo nella Chiesa, a causa del suo carattere radicale e totalizzante, viene ad essere di fatto un vero progetto di vita ed ha una funzione unificante di tutta la personalità. Proprio per questo possiede una valenza educativa, nel senso che può contribuire efficacemente alla maturazione della persona, purché il processo di conversione e crescita cristiana non sia a scapito della maturazione umana. Infatti il nuovo progetto di vita, incluso nella scelta di fede, provoca generalmente nel convertito un profondo sconvolgimento sul piano del pensiero e dell’azione, esigendo nuovi modi di vedere e giudicare la realtà e nuovi comportamenti. Si crea in lui una situazione conflittuale tra ciò che era prima («l’uomo vecchio», di cui parla S. Paolo) e ciò che è diventato ora («l’uomo nuovo») convertendosi. È una situazione che va superata, ma non a spese dell’umano, nell’accettazione sincera delle aspirazioni autenticamente umane del nostro tempo, nel rispetto di quei valori umani che l’umanità di tutti i tempi ha sempre stimato come mete dello sforzo etico della persona. Convertirsi significa iniziare un cammino di fede, speranza e amore-agape, mediante il quale il convertito si sforza di tradurre nella concretezza esistenziale della sua vita gli impegni che nascono dalla sua scelta radicale e totalizzante. Però, anche quando l’opzione globale di fede si è trasformata gradualmente in progetto cristiano di vita, non per questo si è già arrivati a colmare il vuoto che esiste tra ciò che si vuole essere (la nuova creatura in Cristo) e ciò che di fatto si è ancora; tra la mentalità di fede che si vorrebbe possedere e il modo di pensare e giudicare, che si aveva prima; tra la condotta ideale che ci si propone e quella effettiva, messa in opera nel grigiore della quotidianità. L’itinerario di maturazione cristiana implica ancora un lungo e faticoso lavoro di acquisizione di quelle strutture dinamiche o disposizioni permanenti, che nel linguaggio cristiano sono dette virtù, che orientano il cristiano a valutare e ad agire costantemente secondo gli obiettivi, remoti o prossimi, contenuti nel progetto di vita, ispirato alla fede. Si tratta di un vero «apprendistato» della vita cristiana. Perché il processo di maturazione umano-cristiana del convertito possa realizzarsi, deve avvenire all’interno di famiglie autenticamente cristiane, nelle quali i genitori hanno raggiunto una sufficiente maturità umana; famiglie, coadiuvate da gruppi ecclesiali a misura d’uomo, nei quali l’elemento «comunione» tra i membri sia reale ed evidente, senza escludere una piena apertura all’intera comunità cristiana e al mondo. Si esige inoltre, all’interno di questi gruppi, la presenza di un certo numero di persone umanamente mature, che abbiano già fatto un cammino di crescita della loro esperienza di fede e siano impegnate in un’azione di testimonianza evangelizzatrice e di promozione umana. Sono appunto queste persone quelle che realizzano la figura del vero educatore cristiano. Esse, con la loro autorevolezza, umana e cristiana, possono donare, ai giovani, un efficace aiuto educativo, offrendo loro le condizioni ideali per una conversione e crescita in Cristo, che contenga, al suo interno, un vero processo di maturazione umana.

Bibliografia

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G. Groppo