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E-LEARNING

 

E-LEARNING

Processo di apprendimento complesso che, attraverso la mediazione di un supporto basato su ICT, favorisce lo sviluppo di conoscenze, abilità e competenze della persona che partecipa all’esperienza.

1. La lettera «e» è da intendersi per molti l’abbreviazione di​​ electronic learning​​ (scritta in modi diversi: elearning, e-l., eLearning, «e»learning, ecc.). È un termine che secondo M. de Leeuwe è continuamente in evoluzione.​​ Per l’American Society for Training and Development (ASTD) il termine e. ricopre applicazioni e processi quali:​​ open distance learning​​ (ODL),​​ computer based training​​ (CBT),​​ web based training​​ (WBT),​​ supported on-line learning,​​ informal on-line learning, e molti altri ancora.

2. Con questo termine è possibile quindi designare approcci che vanno dall’erogazione di contenuti attraverso Internet o supporti Cd / Dvd, all’interazione dialogica mediata dalle ICT, alla simulazione di sistemi del mondo reale attraverso laboratori virtuali, alla produzione collaborativa di contenuti in Rete, alla conduzione dell’insegnante di attività in classe supportate dalle tecnologie infotelematiche (si veda la riflessione dal gruppo DELG, Distributed and Electronic Learning Group, per l’LSC, Learning and Skills Council, 2002).

3. La progettazione di un buon sistema di e-l. non può evitare di affrontare molti aspetti che secondo B. H. Khan sono in sintesi riconducibili alle seguenti dimensioni: pedagogica, tecnologica, istituzionale, etica, gestionale, valutativa, relativa alle risorse e al progetto dell’interfaccia. Un punto di partenza fondamentale è costituito dalle scelte pedagogiche e didattiche, le quali devono essere guidate dall’analisi dei contesti e dei destinatari della formazione. La sola selezione di tecnologie di supporto all’apprendimento (piattaforme LMS o ambienti di apprendimento personalizzati PLE) non è sufficiente a garantire il successo nell’apprendimento.

Bibliografia

Rossett A.,​​ The ASTD E-L. Handbook, New York, McGraw-Hill, 2002; Clark R. C. - R. E. Mayer,​​ E-l. and the science of instruction. Proven guidelines for consumers and designers of multimedia learners, San Francisco, CA, Pfeiffer, 2003; Trentin G.,​​ Apprendimento in rete e condivisione delle conoscenze, Milano, Angeli, 2004; Khan B. H.,​​ E-l.: progettazione e gestione, Trento, Erickson, 2004; Aldrich C.,​​ Simulations and the future of learning. An innovative (and perhaps revolutionary) approach to e-l., San Francisco, CA, Pfeiffer, 2004; Bruschi B. - M. L. Ercole,​​ Strategie per l’e-l.​​ Progettare e valutare la formazione on-line, Roma, Carocci, 2005; Associazione Nazionale dell’Editoria Elettronica (Anee),​​ Osservatorio ANEE / ASSINFORM e-l.,​​ Milano, Editori per la Finanza, 2006 (http: / / www.anee.it); Trinchero R.,​​ Valutare l’apprendimento nell’e-l., Trento, Erickson, 2006; Calvani A. (Ed.),​​ Rete,​​ comunità e conoscenza. Costruire e gestire dinamiche collaborative, Ibid., 2006.

M. Bay - R. Trinchero




EBRAISMO

 

EBRAISMO

Per E. si intende il mondo di idee e di vita di quanti, specificamente dopo i tempi biblici, aderiscono alla religione ebraica, da cui tale mondo, anche per quanto riguarda l’educazione, è radicalmente segnato (​​ Bibbia). Si tenga presente che l’E. è un fenomeno storico-culturale di quasi due millenni, vissuto in aree diverse di tutti i continenti. Per cui occorre riconoscere differenze ed evoluzione nelle idee e nelle forme educative. Qui ci limitiamo a quelli che sono i principali aspetti condivisi.

1.​​ Presupposto e avvio​​ dell’educazione nell’E.​​ è la conoscenza e la pratica del volere divino​​ espresso dalla Bibbia, segnatamente dalla Torah (o Pentateuco) e dalla tradizione dei padri o antenati. Tutto ciò è raccolto anzitutto nel Talmud, ma viene sempre vivificato da una rilettura attuale, in particolare tramite le feste e i riti. La continuità di credo, i connotati di una intensa spiritualità (nell’E. liberale), l’affermata identità etnica e la fedeltà alla memoria donano all’educazione ebraica i tratti di una vincolante unità.

2. Il legame alla tradizione, orale e scritta, ha determinato, specie nel passato, una forte attenzione all’educazione come istruzione,​​ dunque al momento didattico, all’insegnamento dettagliato e minuzioso, quasi formale, per cui l’educazione riceve un’impronta scolastica, bilanciando così la soggettività personale e l’inevitabile influsso delle culture nelle varie epoche e mantenendo una adesione e comprensione amorosa di un’eredità ricevuta. La scuola nel mondo ebraico gode di una giusta fama da ormai due millenni, dalle elementari alle accademie rabbiniche (Jeshivot).

3. In profonda sintonia con la rivelazione biblica, anche in quelle correnti moderne dell’E. che si distaccano dalla forma ortodossa,​​ l’attenzione all’uomo,​​ alla sua persona, alla sua dignità, al suo mistero sta al centro dell’educazione ebraica.​​ ​​ M. Buber, A. Heschel, E. Lévinas, F. Rosenzweig ne sono noti testimoni. In tale prospettiva, nell’educazione giocano un peculiare ruolo – insieme alla scuola – diversi altri fattori: la famiglia, vero luogo vitale di ogni educazione; l’impegno etico per cui l’educazione viene intesa come lotta tra inclinazione cattiva e inclinazione buona, determinando così una concezione dello sviluppo umano in termini fortemente morali, con particolare riferimento alla tappa dell’adolescenza, quando l’ebreo diventa​​ bar mitzwah, «figlio della legge», capace di ubbidienza alla norma e dunque di responsabilità; la cura del perfezionamento di sé, grazie in particolare ad una permanente istruzione degli adulti.

4. Dal punto di vista della​​ storia dell’educazione,​​ si distinguono il periodo del Talmud (I-VII sec. d.C.), medievale o Gaonico (dal nome del rettore delle accademie ebraiche), moderno, comprensivo delle correnti ortodosse come i​​ chassidim​​ dell’Europa orientale (sec. XVIII) e liberali o riformato nell’area nord-atlantica.

5. Nell’educazione in generale, in quella cristiana in specie, l’E. diventa passaggio obbligato anzitutto per il suo originale umanesimo, oggi tanto ignorato, ma anche per contrastare ogni forma di​​ antisemitismo, ancora ben radicato. Con esso si intende un atteggiamento negativo di fronte agli ebrei pensati come razza inferiore e dannosa. La Shoah od Olocausto ne è testimonianza terribile. A questo scopo è importante liberare previamente dall’antigiudaismo, ossia da un’interpretazione antiebraica dei testi del NT. Il Vaticano II (Nostra Aetate, 4) e il successivo Magistero segnano nella Chiesa una svolta decisiva.

Bibliografia

Toaff E. e A.,​​ L’educazione presso gli ebrei, Milano, Vallardi, 1971; Cavalletti S., «L’educazione ebraica», in​​ Nuove questioni di storia della pedagogia,​​ vol. I, Brescia, La Scuola, 1977, 11-62; Meghnagi S., «Ebraica, educazione», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica,​​ vol. III, Brescia, La Scuola, 1989, 4153-4158; Pontificia Commissione Biblica,​​ Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana, Roma, LEV, 2001.

C. Bissoli




ECONOMIA E EDUCAZIONE

 

ECONOMIA E EDUCAZIONE

Nelle moderne società complesse – caratterizzate da elevato tasso di sviluppo industriale, da innovazione tecnologica e da squilibri occupazionali – è sempre più ricorrente la trasposizione all’area educativo-formativa di lessemi terminologici, che hanno diretto riferimento alle discipline economiche: risorsa umana e investimento nell’educazione, domanda e offerta formativa, bisogno e fabbisogno educativo-formativo, produttività e indicatori di qualità educativo-formativa, valore aggiuntivo dell’educazione, managerialità nella conduzione delle istituzioni educative, e quant’altro.

1.​​ La prospettiva economica.​​ Fin dalle origini gli stessi economisti, nell’intento di contribuire a ricercare regole organiche intorno all’attività economica, non hanno trascurato di considerare l’incidenza della variabile educativo-formativa nell’elaborazione dei vari modelli interpretativi dei fattori economici. Così è accaduto che la prima sistemazione teorica dell’e. moderna, quale scienza che studia le scelte razionali ordinate all’impiego dei mezzi economici, abbia tenuto conto del contesto socioculturale inglese della seconda metà del sec. XVIII, perché in quell’epoca scrissero Smith, Ricardo e gli altri «padri» dell’e. cosiddetta «classica». In particolare Smith (1723-1790) riconduceva a tre principi le sue ipotesi di lavoro: la vita degli uomini è retta dall’ordine naturale e provvidenziale; la libertà economica è conseguenza della naturale libertà degli individui; la divisione del lavoro rende minimi i costi e produce la prosperità. Analogo procedimento metodologico, anche se in opposizione diretta ai presupposti del modello degli economisti classici, è stato adottato da un altro insigne economista inglese, J. M. Keynes (1883-1946), costretto a confrontarsi con le contraddizioni emergenti dalla grave crisi economica degli anni 1920-1930. Nel suo saggio​​ La fine del lasciar fare,​​ pubblicato nel 1926, Keynes esplicitava gli elementi fondanti del proprio modello di analisi economica: «Non è vero che gli individui dispongano per diritto di una libertà naturale nel loro operare economico; il mondo non è governato dall’alto in modo tale da far coincidere sempre l’interesse privato con quello sociale, né è amministrato quaggiù in modo tale che i due interessi coincidano in pratica; non è corretto dedurre dai principi dell’e. che un “illuminato” interesse particolare operi sempre nell’interesse pubblico; [...] Avanzo quindi l’ipotesi che il progresso consista nello sviluppo e nel riconoscimento di organismi semiautonomi all’interno dello Stato». I due riferimenti metodologici, risultano emblematici allorché si intenda individuare la qualità, la natura e l’estensione dei rapporti interattivi tra analisi socio-economica e azioni formativo-educative. La rilevanza della conoscenza del quadro di riferimento, a cui si ispirano i diversi modelli di analisi economica, è bene esplicitata dall’economista austriaco J. Schumpeter (1883-1950), che distingueva tre fasi principali nel lavoro dell’economista: la fase di «visione preanalitica», orientata a rilevare i problemi da studiare; la fase di «concettualizzazione», in cui si tenta di razionalizzare la complessità dei problemi emersi e si creano categorie mentali utili a dar rilievo agli aspetti più significativi; infine la fase della «teorizzazione» vera e propria, in cui si collegano in strutture logiche​​ ​​ in modelli​​ ​​ gli elementi emersi nella fase precedente. Tuttavia, «le differenze tra approcci economici diversi vengono spesso affrontate considerando solo l’ultima delle tre fasi di lavoro indicate da Schumpeter, cioè i modelli teorici» (Roncaglia-Sylos Labini, 1993), mentre l’educatore e il formatore dovrebbero essere maggiormente motivati a fondare i rapporti interattivi con le scienze economiche partendo prioritariamente dai procedimenti di astrazione-concettualizzazione per cogliere la concezione di uomo e di società, che vi è sottesa. Infatti, se «è necessario far emergere nell’opera educativa in modo vigoroso la dignità e la centralità della persona umana, l’importanza del suo agire critico in libertà e responsabilità», bisogna anche aggiungere che «il​​ ​​ processo educativo non approda a risultati significativi senza un preciso riferimento alle condizioni concrete di realizzazione di tali ideali in un dato contesto culturale e socio-economico» (CEI, 1994). In rapporto a tali esigenze, il processo di accumulazione scientifica della​​ ​​ sociologia dell’educazione ha proceduto secondo varie direzioni.

2.​​ La prospettiva della sociologia dell’educazione.​​ Una prima direttrice di indagine generale, rappresentata da​​ ​​ Durkheim, afferma una generica e, in un certo senso, astratta​​ dipendenza eufunzionale​​ del sistema educativo dall’intera società e dalla specifica situazione industriale. Un secondo orientamento, rappresentato da​​ ​​ Weber, assegna all’educazione una più stretta dipendenza rispetto alle esigenze della​​ struttura di potere​​ carismatica, tradizionale o legale, cui corrisponderà l’ideale educativo dell’uomo iniziato, dell’uomo colto o dello specialista. Una terza direttrice, derivata dall’analisi di Marx (​​ marxismo pedagogico), pone l’educazione, al pari di qualsiasi altro elemento o processo culturale, nell’ordine sovrastrutturale​​ e, come tale, derivante dall’ordine strutturale, più precisamente dai rapporti di produzione che evidenziano sempre la contrapposizione dicotomica tra due classi, quella degli sfruttatori e quella degli sfruttati. Una quarta tendenza, sostenuta principalmente da T. Parsons (1956), configura il rapporto educazione-e. secondo il principio dell’interdipendenza​​ tra sottosistema educativo e altri sottosistemi, tra cui quello economico, interagenti con il sistema sociale globale e generale di riferimento. In una prospettiva dinamica ed attuale, il rapporto di interdipendenza tra educazione ed e. si rende più complesso, instabile e problematico a causa di alcuni fenomeni strettamente connessi tra di loro: l’imporsi di un settore quaternario, centrato sulla ricerca e l’innovazione; il venir meno di una equilibrata corrispondenza fra​​ ​​ sistema formativo e sistema occupazionale; l’estendersi della disoccupazione tecnologica e della dequalificazione dei titoli di studio. Tali dinamiche costituiscono attualmente l’oggetto di un sempre più ampio dibattito, le cui posizioni possono essere ricondotte a due orientamenti fondamentali. Da una parte la posizione di chi, in modo più o meno consapevole, assegna all’istruzione-educazione un valore prevalentemente «strumentale», che può essere espresso secondo la ben nota relazione: quanto più un individuo studia, tanto più potrà accedere a posizioni occupazionali di prestigio e conseguire quindi redditi più elevati. Altri, pur non negando la presenza di una dimensione strumentale, privilegiano quella «espressiva» orientata, però, all’acquisizione di specifici «ruoli professionali» supportati da una crescente capacità critica «sull’intero ciclo produttivo, dalla politica degli investimenti alle scelte operative riguardanti la vendita del prodotto e, ancor più a monte, sull’intero sistema produttivo e sul significato che esso assume entro uno specifico sistema socio-politico-culturale» (Milanesi, 1979, 742). Dall’esito del confronto in atto, tra dimensione strumentale e dimensione espressiva arricchita dell’educazione in rapporto ai sistemi economici, dipenderà il destino e la configurazione del sistema formativo in generale e il ruolo specifico assegnato alla formazione nelle società ad alto sviluppo industriale.

Bibliografia

Durkheim É.,​​ Éducation et sociologie,​​ Paris, Alcan, 1922; Schumpeter J.,​​ Storia dell’analisi economica,​​ 4 voll., Torino, UTET, 1960; Morselli E. - G. Stefani,​​ E. politica,​​ Padova, Cedam, 1965; Ardigò A. (Ed.),​​ Sociologia dell’educazione: Questioni di sociologia,​​ 2 voll., Brescia, La Scuola, 1966; Keynes J. M.,​​ Esortazioni e profezie,​​ Milano, Mondadori, 1968; Cesareo V.,​​ Sociologia dell’educazione,​​ Milano, Hoepli, 1972; Gallino L., «E.», in​​ Dizionario di sociologia,​​ Torino, UTET, 1978; Milanesi G. C.,​​ Educazione e professionalità,​​ in «Orientamenti Pedagogici» 26 (1979) 740-745; Frey L.,​​ Guida all’analisi economica dell’occupazione,​​ Roma, Lavoro, 1980; Roncaglia A. - P. Sylos Labini, «E.», in​​ Enciclopedia delle scienze sociali,​​ 3 voll., Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1993; CEI,​​ Democrazia economica,​​ sviluppo e bene comune,​​ Leumann (TO), Elle Di Ci, 1994.

P. Ransenigo




ECUMENISMO

 

ECUMENISMO

Nel Concilio Vaticano II si afferma che «per “movimento ecumenico” si intendono le attività e le iniziative che, a seconda delle varie necessità della Chiesa e l’opportunità dei tempi, sono suscitate e ordinate a promuovere l’unità dei cristiani» (UR, n. 4).

1. L’unità, ritenuta dai padri conciliari «uno dei principali intenti del Sacro Concilio», è urgente perché la divisione tra i credenti contraddice apertamente la volontà di Cristo, è motivo di scandalo per il mondo e danneggia la predicazione del vangelo ad ogni creatura (UR, n. 1). In rapporto a questa esigenza la riflessione pedagogica è promossa ad almeno quattro livelli interdipendenti. Il primo è relativo all’educazione in sé. In un contesto di pluralismo confessionale, religioso e culturale sempre più complesso è opportuno ridefinire il dover-essere educativo, elaborando nuove e più adeguate teorie capaci di attuare un’aggiornata mediazione culturale tra le diverse concezioni. Il secondo livello di riflessione riguarda i contenuti di un’educazione ecumenica, costituiti dai nuclei centrali e generatori della rivelazione cristiana. Per questo si proporrà integralmente la figura di Cristo ed il suo mistero di salvezza, la dottrina della Chiesa Cattolica e, con rispetto e lealtà, quella delle altre Chiese e Comunità cristiane. Il terzo livello di studio riguarda gli atteggiamenti da formare nelle persone. Si promuoverà un vero desiderio interiore di unità, di rispetto nei confronti dei fratelli separati, di interesse e di stima per i valori cristiani che lo Spirito può suscitare in loro, di ascolto e di dialogo che superi pregiudizi storici, autocritica e conversione per quanto nel passato e nel presente può aver impedito il realizzarsi della preghiera di Gesù «perché tutti siano una sola cosa» (Gv 17,11). Il quarto livello di interesse è più immediatamente operativo, e concerne gli ambiti, le strutture, i metodi educativi usati per la ricerca e la promozione dell’unità. Le esortazioni ricorrenti, nella letteratura specializzata, sono per l’attenzione alle concrete situazioni delle persone, dei gruppi, delle loro sensibilità ed effettive possibilità di maturazione. Ambiti che oggi meritano particolare attenzione sono quelli della scuola e della famiglia. Nella scuola, dove possibile, è opportuno promuovere la collaborazione ecumenica nell’istruzione religiosa, presentando con obiettività, pacatezza e senza pregiudizi i punti comuni e le diversità. Allo stesso modo è auspicabile che si operi nell’educazione dei figli, nel caso di matrimoni misti interconfessionali o interreligiosi, evitando l’assunzione di linee educative di fatto agnostiche, neutrali o confuse, che non favoriscono certo l’educazione religiosa.

2. Nel promuovere iniziative e nel fissare e perseguire obiettivi di valenza ecumenica si è chiamati a duttilità, gradualità, e continuità. Prima di altri, strumenti di formazione ecumenica restano l’ascolto e lo studio della Parola di Dio, la predicazione, la​​ ​​ catechesi, la liturgia, la vita spirituale, la carità, capaci di introdurre nel cuore dell’esperienza di fede cristiana più autentica e comune.

Bibliografia

Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani,​​ Direttorio per l’applicazione dei principi e delle norme sull’e., in AAS​​ 85 (1993) 1039-1119; Pobee J. S., «Educazione e rinnovamento», in​​ Dizionario del movimento ecumenico, ediz. it. a cura di G. Cereti - A. Filippi - L. Sartori, Bologna, Dehoniane, 1994, 464-470; Kasper W.,​​ Vie dell’unità: prospettive per l’e., Brescia, Queriniana, 2006.

R. Rezzaghi




EDILIZIA SCOLASTICA

 

EDILIZIA SCOLASTICA

In senso largo, il complesso delle costruzioni abitabili e dei servizi annessi, comunque messo a disposizione della scuola. In senso stretto, quanto detto ma con destinazione​​ specifica​​ all’esclusivo uso scolastico, con servizi annessi (uffici, biblioteche, laboratori, palestre, piscine, infermeria, ecc.). Con la stessa locuzione si intende anche indicare una specializzazione all’interno delle discipline ingegneristiche e architettonico-urbanistiche, e una denominazione di capitoli di bilancio del Ministero della Pubblica Istruzione (​​ amministrazione scolastica).

1. Nel passato, la scuola dei primi gradi veniva ospitata dove era possibile, per lo più in stanzoni forniti di sgabelli e poco più; essendo essa affidata al clero, non di rado trovava spazio nei locali adiacenti alle chiese. Più tardi, estendendosi al mondo laico, trovò sede presso i municipi, ma talvolta anche in locali d’emergenza adattati, come magazzini, depositi e perfino stalle, vagoni ferroviari in disarmo. Molte scuole medie fino ai nostri giorni sono state provvisoriamente sistemate in appartamenti ordinari di case d’abitazione, civili ma angusti. L’esigenza di edifici appositi venne avvertita a partire dal risveglio scolastico della Riforma protestante e cattolica, quando furono erette le sedi di grandi ginnasi-licei, per lo più coesistenti con collegi-convitti (​​ collegio), molti dei quali ancora esistenti. Talvolta in essi erano ospitate anche le scuole di grado inferiore.

2. Con il sec. XIX la pubblica istruzione venne intesa come una funzione pubblica affidata agli enti locali (Comuni, Province) ed allo Stato, e furono allora costruite scuole per ogni livello. Per ultima venne una​​ legislazione​​ organica che fissava norme tassative di abitabilità e di funzionalità, e in molti casi i capitolati di appalto per i costruttori. Oggi i Comuni più attenti alle sorti delle scuole destinano ad esse complessi edilizi integrati immersi nel verde, che comprendono scuola materna, elementare e media, con alcune economie per l’unificazione di certi servizi.

3. Le aule devono avere una cubatura adeguata, con aerazione e riscaldamento, ampie finestre, sedili e tavoli (o banchi) ergonomici tali da non indurre a posture scorrette ed a paramorfismi e in alcuni casi (aule di fisica chimica e scienze e laboratori di istruzione professionale) le attrezzature necessarie. È anche opportuno che alle pareti si possano appendere carte e cartelloni, tavole di esposizione e scaffali per lavori in corso, bacheche, schermi per proiezioni.

4. L’insegnante deve poter disporre di una cattedra (in passato una specie di pulpito o almeno una scrivania su predella rialzata, oggi anche un semplice tavolo non necessariamente in posizione frontale o centrale) e di armadi e ripostigli, oltre che di mezzi di scrittura in grande formato. Servono a tale scopo una lavagna nera e / o di resina sintetica con gessetti o pennarelli, ovvero un maxi-blocco di fogli di carta su treppiede. Le scuole meglio attrezzate possono disporre di una​​ ​​ lavagna luminosa, registratore magnetico, un proiettore, un televisore e un computer, utilizzabili a turno, ovvero uno per aula (​​ mezzi didattici).

Bibliografia

Cicconcelli C.,​​ Scuole materne elementari secondarie,​​ Torino, 1958; Fagiolo M., «La casa della scuola», in L. Volpicelli (Ed.),​​ La pedagogia,​​ vol. IX, Milano, Vallardi, 1970, 507-567; Titone R. (Ed.),​​ Questioni di tecnologia didattica,​​ Brescia, La Scuola, 1974; Oreto P. (Ed.),​​ E.s., con CD-ROM, Palermo, Grafill, 2004.

M. Laeng




EDITORIA SCOLASTICA

 

EDITORIA SCOLASTICA

La produzione libraria di una azienda editoriale di media grandezza viene solitamente raggruppata in aree. Fra queste ne elenchiamo alcune possibili: e.s., e. varia, e. di grandi opere e, a partire dagli anni Ottanta, e. multimediale. In tal senso per e.s. si intende la produzione editoriale destinata alla scuola e da questa adottata per la realizzazione di programmi didattici fissati dai Governi e voluti dai consigli dei docenti delle singole scuole (​​ programmazione educativa / scolastica).

1. La scuola ingloba nei suoi piani di studio discipline varie e poiché garantisce un mercato sicuro, il contesto editoriale scolastico si presenta affollato e piuttosto complesso. Si tratta di un settore di lavoro in cui non si può improvvisare: fra tutti i libri funzionali infatti, quelli scolastici sono i più studiati e tecnicamente curati in quanto maggiormente esposti al controllo sociale e familiare e ad una serrata concorrenza. La funzionalità di tale produzione è legata ad una attenta analisi dei programmi ministeriali e alla loro interpretazione alla luce delle più attuali tendenze pedagogico-didattiche. La progettazione di nuove opere, l’esame di proposte di pubblicazione e la ricerca di autori devono rispondere ad un indirizzo editoriale ben preciso. Una valida editrice scolastica poi non può prescindere da costanti contatti con università, centri didattici e consulenti. Se la stampa, sin dalla sua invenzione, ha avuto un riferimento costante con la cultura è a partire dall’Otto / Novecento che diventa possibile parlare di e.s. vera e propria. Il sapere ideologico-culturale, i grandi avvenimenti politici, i profondi mutamenti sociali, nonché il complesso sviluppo industriale e capitalistico, favoriscono innovazioni tecnologiche in grado di lanciare il libro verso le grandi battaglie contro l’analfabetismo e a favore di una istruzione scolastica generalizzata. In tal senso fanno uso delle nuove tecnologie informatiche (combinandosi con l’e. multimediale).

2. In Italia lo sviluppo del libro scolastico è anche legato ad alcune riforme legislative. Così con la legge Coppino del 1877 l’Italia fu impegnata a rendere operante l’obbligo scolastico e venne data più attenzione ai problemi dell’istruzione tecnica e professionale; mentre la legge Daneo-Credaro intervenne sullo stato giuridico dei docenti e delle scuole elementari. Sono questi gli anni che vedono nascere editrici come Loescher, Paravia, Le Monnier, Zanichelli, Salani e altri. I primi del Novecento vedono nascere La Scuola di Brescia (1904), la SEI di Torino (1908), la Mondadori e la Rizzoli che con Bompiani e Vallecchi sapranno utilizzare validamente ai fini della loro crescita editoriale la Riforma Gentile che tra l’altro porterà nel 1932 all’istituzione dell’Ente Nazionale per le Biblioteche Popolari e Scolastiche. L’impegno di ricostruzione civile seguito alla seconda guerra mondiale vede anche il sorgere di nuove editrici: nascono così Curcio nel 1954, gli Editori Riuniti nel 1953 e la Mursia nel 1952. L’e.s. italiana è stata fortemente attenta alle riforme avviate dai suoi governi repubblicani e attraverso l’Associazione Italiana Editori (AIE) partecipa allo speciale Osservatorio del libro istituito presso il Ministero della Pubblica Istruzione.

Bibliografia

Bouvaist J. M.,​​ Pratiques et métiers de l’édition,​​ Paris, Cercle de la Librairie, 1991; Silva F. - M. Gamboro - G. C. Bianco,​​ Indagine sull’e.,​​ Torino, Fondazione Agnelli, 1992; Huenefeld J.,​​ The Huenefeld guide to book publishing,​​ Bedford, Mills & Sanderson Publishers, 1993; Cusmano A.,​​ E. Guida per chi vuole pubblicare,​​ Bologna, Zanichelli, 1994; Santoro M.,​​ Storia del libro italiano,​​ Milano, Editrice Bibliografica, 1994; Cavalli S. P. - G. Fioretti,​​ Come si fa l’editore,​​ Ibid., 1995.

G. Costa




EDUCANDO

 

EDUCANDO

Il termine è oggi in crisi in quanto fa pensare al vecchio modello dell’​​ ​​ educatore che plasma e forma chi, per definizione, è da nutrire o da aiutare a tirar fuori le proprie potenzialità. In teoria il binomio educatore-e. resta utile semplificazione del discorso, ma è da superare sia evidenziando il ruolo attivo dei soggetti (al singolare e al plurale) da educare sia mettendo in conto la dimensione dinamica del​​ ​​ rapporto educativo. Il gerundio lat. (educandus,​​ «da educare») richiama la doverosità di una entità processuale che richiede un «prendersi cura» (si veda anche​​ ​​ soggetti dell’educazione).

1. La soggettività è una categoria centrale del pensiero moderno occidentale. La psicologia mostra molti volti dell’essere e del divenire della soggettività (ad es. dinamico, psichico, relazionale, comportamentale, etico, spirituale, ecc.). Per lo più il volto moderno del soggetto esalta la sua vitalità attiva già in possesso di strutture native latenti e di domande esplicite, di esigenze che vengono pedagogicamente assunte a norma di progetti e di interventi educativi. Da una concezione ricettiva e consenziente, si è passati a una concezione antropo-biologica che vede la partenza della​​ ​​ vita da patrimoni interiori genetici e generatori in interazione o in dialettica evolutiva e formativa con 1’​​ ​​ ambiente, con la cultura sociale, con la vita socio-politica. Secondo alcuni il risultato di tale interazione mostra fortemente i segni (se proprio non il risultato) del condizionamento ambientale e sociale. Ad evitare un pericoloso sbilanciamento che porterebbe alla negazione della libertà soggettiva, è pertanto necessario lungo il cammino educativo favorire la partecipazione attiva all’educazione, prima impegnando la tensione interiore al divenire, al crescere e al maturare in direzioni umanamente degne, poi stimolando ad assumere ruoli e funzioni di soggettività protagonista auto-educatrice e co-educatrice in dialogo con gli agenti esterni: non solo consentendo, ma esprimendo creativamente bisogni, interessi, desideri, motivi, ideali, prese di posizione, scelte, impegni, responsabilità solidali.

2. Queste affermazioni devono essere mantenute dentro un quadro realistico che vede il protagonismo di collaborazione o l’iniziativa del soggetto in condizioni di progressività, di difficoltà, di rischio e perfino di errore. Conseguono la necessità o l’opportunità di interventi di orientamento, di guida, di correzione, di stimolo, di chiarificazione; e, sempre e in ogni caso, amorevoli forme di accompagnamento. È bene osservare che l’equilibrio sinergico educatore-e. è e deve essere voluto e promosso decrescente nel primo termine e crescente nel secondo. L’educatore diventa lungo il processo d’educazione «progressivamente superfluo» (Pio XII). In ogni caso è da promuovere e sostenere l’equilibrio nei processi di​​ ​​ sviluppo personale, dove la spinta interiore gioca una funzione spontanea naturalmente maturante e formativa, ma richiede l’apporto di buone forme di cultura, in una sorta di ermeneutica vitale, traducibile concretamente in comprensione, ricostruzione intelligente, valutazione critica, reazione creatrice, originalità ideativa e comportamentale.

Bibliografia

Rogers C.,​​ Potere personale. La forza interiore e la sua forza rivoluzionaria,​​ Roma, Astrolabio, 1978; Rossi B.,​​ Identità e differenza. I compiti dell’educazione,​​ Brescia, La Scuola, 1994; Giussani L.,​​ Il rischio educativo, Milano, Rizzoli, 2005; Nosengo G.,​​ La persona umana e l’educazione, Brescia, La Scuola,​​ 22006.

P. Gianola




EDUCATIVA DI STRADA

 

EDUCATIVA DI STRADA

Il lavoro educativo di strada rappresenta un notevole mutamento in ordine alle tradizionali logiche secondo le quali era possibile formare i soggetti in età evolutiva solamente all’interno degli appositi ambiti e luoghi istituzionali, come la scuola, l’oratorio, l’associazione, ecc. In questi ultimi anni, invece, si sta sempre più diffondendo e consolidando la possibilità di incontrare bambini, adolescenti, giovani, ed i loro gruppi, nei contesti informali dove questi trascorrono parte significativa del proprio quotidiano. Tutto ciò rappresenta una vera opportunità educativa nonostante le difficoltà da superare. In ambito civile il lavoro di strada avvia in Italia il suo percorso evolutivo all’inizio degli anni Ottanta in riferimento alle situazioni di disagio e di difficoltà sociale. Parallelamente a questo movimento, alla fine degli anni Novanta, anche in ambito ecclesiale gli operatori di pastorale giovanile, constatando l’allontanamento delle nuove generazioni dalla Chiesa, si domandano cosa poter fare per ristabilire un dialogo con i giovani. Sempre più esplicitamente si fa presente il bisogno di andare nei luoghi informali dove i giovani amano incontrarsi. Si apre così un tempo di sperimentazione anche a livello ecclesiale.

1.​​ I modelli del lavoro di strada. Come documentato da Maurizio (1999, 12-15), in questi anni sono andate diffondendosi varie tipologie di interventi che vanno, secondo un​​ continuum, da quelli atti a promuovere le risorse dei gruppi e dell’ambiente a quelli orientati alla riduzione del danno provocato da comportamenti devianti, passando attraverso quelli centrati sulle situazioni a rischio. Il primo modello dell’e.​​ territoriale​​ intende promuovere le competenze e le risorse presenti nella comunità per risolvere suoi specifici problemi in riferimento, per esempio, alla sicurezza, alla vivibilità, al senso di appartenenza e di partecipazione dei cittadini alla comunità. Il secondo modello propriamente detto​​ e.d.s.​​ o​​ animazione di strada​​ ha la finalità educativa di prevenire il disagio degli adolescenti e dei giovani affiancando il gruppo dei pari in modo da promuoverne le risorse e favorirne l’inserimento nella comunità. Il terzo modello relativo agli interventi di​​ riduzione del danno​​ ha lo scopo pragmatico di diminuire il rischio rispetto a specifiche e urgenti problematiche, come quella della trasmissione dell’Aids.

2.​​ L’obiettivo. L’e.s.​​ si propone di accompagnare gli adolescenti nella loro​​ ricerca​​ d’identità e di senso tramite degli educatori che sappiano porsi con discrezione al loro fianco e che, riconoscendo le loro attese e potenzialità, siano capaci di far emergere, nonostante le varie contraddizioni, quel desiderio di autenticità che è in ogni adolescente. La ricerca, infatti, perché sia incentivata deve essere riconosciuta nel dialogo. In particolar modo, è l’ascolto a riconoscere l’altro come portatore di significati ed ad offrirgli l’opportunità di capire meglio se stesso. Nel momento in cui si racconta, la persona è obbligata a prendere contatto con la propria interiorità e a chiarire anzitutto a se stesso ciò che desidera, ad oggettivare le proprie fantasie. La narrazione di sé in altre parole favorisce la presa di coscienza e la visibilizzazione della propria ricerca interiore offrendo ad essa parole e significati che la definiscano. È una ricerca che acquista sicurezza proprio perché riconosciuta dall’ascolto e dall’interesse di un adulto. Quando poi la narrazione si fa reciproca la ricerca ha l’opportunità di approfondirsi grazie al valore aggiunto portato dall’esperienza dell’altro, dalla sua storia e dalle sue idee.

3.​​ Il luogo d’incontro. Lo spazio per eccellenza scelto dagli adolescenti e dai giovani per stare insieme agli amici nel proprio tempo libero è la strada o la piazza. Secondo i risultati della ricerca​​ La gioventù negata​​ ben il 71% dei ragazzi e delle ragazze passa in questi luoghi una porzione significativa della propria vita di relazione e del proprio tempo libero (Fondazione Labos & Ministero dell’Interno, 1994). La strada è l’ambiente dove incontrarsi per parlare e confrontarsi, dove esprimere idee e passioni, dove raccontare sogni ed emozioni, dove poter stare vicini anche senza dirsi nulla. Qui si scherza, si conversa del più e del meno e si prendono decisioni importanti. La strada offre l’opportunità di condividere la propria storia con quella degli altri divenendo così un potenziale luogo di riflessione oltre che di distrazione. Gli adolescenti ed i giovani abitano la strada e la piazza portandovi il loro carico di speranza e di delusione. È qui che pongono domande e cercano risposte. Per questo l’incontro in questo luogo di quotidianità dei giovani, può rappresentare un evento di grande portata educativa.

4.​​ La strategia. Il percorso dell’e.d.s. prevede cinque tappe​​ (Cazzin, 1999). La​​ mappatura:​​ previamente all’intervento diretto su un gruppo gli educatori osservano le aggregazioni giovanili informali presenti sul territorio. Lo scopo è quello di individuarne le prime caratteristiche e per scegliere la compagnia con la quale tentare l’aggancio. L’aggancio: i due educatori si presentano al gruppo prescelto chiedendo di poterlo incontrare altre volte. Chiaramente questa tappa è assai delicata perché preclusiva a tutto il percorso. Il​​ consolidamento della relazione: superato positivamente l’aggancio c’è bisogno ora di un adeguato tempo perché gli educatori e gli adolescenti possano conoscersi ed aumentare la stima e la confidenza reciproca. In questa fase si sta col gruppo condividendo quanto i ragazzi fanno, ascoltando e dialogando con loro, aiutandoli ad approfondire le proprie domande. Questa fase è molto importante come tempo di approfondimento dei significati. La​​ progettualità: stando insieme educatori e adolescenti stabiliscono una relazione che abbia una certa valenza affettiva. A questo punto gli educatori divenendo un punto di riferimento per l’intero gruppo possono provocarlo nella realizzazione di un progetto che risponda ai suoi interessi ed alle sue capacità. Può nascere in tal senso un’azione in cui gli adolescenti siano i primi protagonisti, si pongano in interazione col proprio ambiente e sperimentino alcuni valori. Anche questa fase ha un valore a riguardo dei significati da elaborare oltre che innescare un processo di socializzazione fra il gruppo e la comunità allargata. È una fase importante anche perché il gruppo prende coscienza delle proprie potenzialità, che è possibile portare a termine i propri sogni o progetti. Il ruolo degli animatori in questa fase è solo quello di facilitare il gruppo nel proprio fare piuttosto che assumere un ruolo attivo di leadership. Il​​ distacco: durante la realizzazione ed alla fine del progetto è importante che gli animatori siano in grado di aiutare gli adolescenti a riflettere su quanto stanno facendo perché tutto ciò li aiuti a prendere consapevolezza di sé, della propria realtà e dei significati sottesi. A questa fase di verifica corrisponde l’elaborazione del distacco degli animatori dal gruppo. Passaggio delicato in cui i ragazzi e le ragazze prendendo consapevolezza delle proprie risorse si proiettano in avanti, verso ulteriori progetti ed interazioni, prendendo spunto e forza da quanto hanno realizzato in compagnia degli educatori.

Bibliografia

Fondazione Labos e Ministero dell’Interno,​​ La gioventù negata,​​ Roma, TER, 1994; Maurizio R.,​​ Il lavoro di strada in Italia: rassegna di eventi e temi,​​ in​​ In strada con i bambini e i ragazzi. Quaderni del Centro nazionale di documentazione ed analisi per l’infanzia e l’adolescenza,​​ n. 12, Firenze, Istituto degli innocenti, 1999; Cazzin A.,​​ Quattro fasi del lavoro di strada con gli adolescenti,​​ in «Animazione Sociale» (1999) 1, 58-63; Bertolino S. - G. Gocci - F. Ranieri,​​ Strada facendo,​​ Milano, Angeli, 2000; Gambini P.,​​ L’animazione di strada,​​ Leumann (TO), Elle Di Ci, 2002; Regoliosi L.,​​ La strada come luogo educativo,​​ Milano, Unicopli, 2002.

P. Gambini




EDUCATORE

 

EDUCATORE

In termini ideali si potrebbe dire che è e. chi educa, vale a dire chi guida i processi di liberazione del potenziale vitale, di crescita e maturazione organica e funzionale, d’inserimento libero e attivo nella realtà della vita, di costruzione di sistemi personali di cultura. Con funzione di​​ ​​ formatore aiuta il soggetto (​​ educando e​​ ​​ soggetti dell’educazione) a dotarsi di buone forme d’essere, di sapere, di agire, di comportarsi, di fare, riferendosi all’esperienza e alla cultura.

1.​​ Tipi di e.​​ Possiamo distinguere diversi tipi di e. a) E.​​ per natura​​ sono i​​ ​​ genitori. Prolungano la generazione nell’educazione, gestendola in condizioni privilegiate affettive, morali, sociali e perciò anche pedagogiche, perché primarie ed esemplari, anche se con insufficienze inevitabili che richiedono l’integrazione esterna di istituzioni e di operatori esterni. Validità e efficacia dipendono dalla​​ ​​ maturità globale generativa consapevole e intenzionale a riguardo dei figli e in relazione al proprio dovere e compito. Dipendono inoltre dal possesso iniziale e progressivamente aggiornato dei requisiti per proseguirla. Oggi nell’educazione dei figli emergono impreparazioni, influssi culturali e sociali negativi, rapporti difficili con le integrazioni esterne. Si è fatto urgente per i genitori un grave compito di educazione preventiva, di accompagnamento, di integrazione. A padre e madre si aggiungono le altre figure familiari e parentali e in certo senso i gruppi di convivenza stretta, incominciando da una presenza quasi naturale dei coetanei, anche di diverso sesso. b) E.​​ per professione​​ voluti dalla società in rapporto alla complessificazione e differenziazione dei compiti sociali. I loro titoli sono l’esperienza e la loro competenza professionale. Nel loro caso i programmi e i metodi sono da costruire, i buoni rapporti e il consenso da meritare, sia quando sostengono, aiutano o integrano la famiglia, sia quando sviluppano impegni educativi autonomi di​​ ​​ scuola, animazione, consulenza e orientamento, formazione professionale, terapia e rieducazione (insegnanti, animatori, orientatori, e. professionali, formatori, terapeuti, ecc.).

2.​​ Qualità dell’e.​​ Un quadro indicativo (che può valere come criterio di selezione e di reclutamento e che può essere utile per progettare la formazione o l’aggiornamento degli e.) include: – il possesso, proporzionato al compito, almeno sufficiente, della scienza e dell’arte dell’​​ ​​ educazione: – la capacità pedagogica di leggere e interpretare, nelle situazioni, i bisogni e le possibilità, di definirvi finalità e obiettivi a medio e breve termine, di progettare contenuti e processi per le varie dimensioni della​​ ​​ persona e della vita da educare. In passato si collegava l’immagine del buon e. con la sua capacità di vedere, valutare e aprirsi affettivamente e relazionalmente agli educandi. Oggi si bada anche alla personalità profonda dell’e. che, emergendo dal suo intimo cosciente o inconscio, condiziona la percezione dei giovani e la relazione con essi, tende a tradursi in peculiare clima interpersonale, relazionale ed ambientale. L’e., con il suo messaggio affettivo e dinamico caratteriale, di personalità globale, mette in gioco idee e mentalità, percezioni e convinzioni, identità e immagini di ruolo, desideri palesi e nascosti, soprattutto motivazioni del suo essere e agire come e. in generale e nella situazione concreta. W. Schraml parla di necessaria «igiene mentale dell’e.». Possiede esigenze ideali o le presume e quasi pretende? Si lascia guidare da esse o le impone? Sviluppa controtransfert, ansia, proiezioni, sublimazioni? Come supera i pericoli dei propri limiti, delle proprie vulnerabilità? Manifesta maturità adulta o residui di onnipotenza infantile o di instabilità adolescenziale? In positivo si desiderano 1’​​ ​​ accettazione profonda e incondizionata dei giovani nella loro realtà dinamica educazionale; l’attenzione alle persone; la capacità di​​ ​​ amicizia educante; il dono paziente e formativo di stima, fiducia, libertà, responsabilità, iniziativa; la capacità di comporre ascendente personale e concentrazione sui​​ ​​ valori proposti e sulla maturazione personale.

3.​​ Gli stili educativi dell’e.​​ A seconda degli stili educativi che assume, si possono distinguere diversi «volti» o «figure» di e. Nel concreto, si tratta per lo più non di estremizzazioni ideali, ma di accentuazioni variamente componibili. a) Il​​ trasmettitore:​​ riproduce tradizioni e sistemi, ripete direttive, è docile e fedele nel conservare. Non critica, non innova. Parla a memoria, chiede memoria. Esalta l’autorità, si propone con autorità. Interroga, non dialoga. b) L’​​ ​​ animatore:​​ libera forze intime vitali, facilita la crescita, guida la ricerca e la riflessione, impegna a scelte. Spesso è meno attento ai contenuti e più alle dinamiche relazionali, personalizza i rapporti e i messaggi. c) Il​​ mediatore:​​ sviluppa la vitalità e accentua la guida nel dialogo / confronto con le realtà esterne (natura, società, tecnica, cultura, fede) e nell’interazione dinamica di conoscenza, affettività, valutazione, operatività efficiente ed efficace. Forse è lo stile più completo. d) Il​​ manager:​​ organizza quadri, progetti, piani, programmi, istituzioni, esperienze. Spesso è meno attento alle persone e agli stessi valori. e) Lo​​ ​​ psicopedagogista:​​ si concentra sui processi formali; si preoccupa di sanità personale e di normali approcci mentali, affettivi, comportamentali; sblocca situazioni cliniche complicate. f) L’operatore sociale:​​ ama le situazioni ambientali, contestuali; considera le reti causali e solutive; condivide i problemi e cerca soluzioni comunitarie; tende a progetti e metodi socio-pedagogici, investendovi tecniche raffinate di ricerca e analisi dei bisogni e delle condizioni, preparando programmi adeguati di fattori agenti, strutture, mezzi, procedimenti. g) Il​​ carismatico:​​ ha fascino e ascendente di consenso e seguito. La sua personalità tende a diventare criterio di verità e valore. Parole, gesti, modi di pensare e fare diventano di tutti, fino a sembrare originali. h) L’accentratore personale:​​ fa tutto da sé e attorno a sé. i) Il​​ distributore comunitario organico:​​ preferisce la collaborazione a ogni livello. Ricordando con simpatia l’«e. nato» di​​ ​​ Spranger, si pensa oggi a superare figure parziali d’e., quali l’erudito, il moralista, lo psicologo, il sociologo, l’animatore, ricercando figure polivalenti o meglio capaci di operare in​​ ​​ reti educative.

4.​​ Soggetti-e.​​ Sono e.: a) I​​ ​​ giovani come autoeducatori o coeducatori.​​ I giovani sono veri soggetti attivi della propria educazione in quanto investono nei processi il proprio potenziale di vitalità fisica, psichica, mentale, affettiva, spirituale, di pensiero e amore, progetto e condotta. Lo sono quando possono partecipare in modo attivo e responsabile alla propria educazione e formazione; quando colgono senso e valore nei messaggi altrui, li interpretano con significati personali, li traducono in comportamenti fluidi e condotte quotidiane; quando operano con libertà impegnata e guidata le scelte che decidono della loro vita, identità, appartenenze e compartecipazioni. Questa​​ ​​ co-educazione, che passa alla autoeducazione, può crescere fino a rendere sempre meno necessario l’e. b) Le​​ comunità educatrici.​​ L’e. unico è una astrazione, dopo le figure patetiche dei pedagoghi di famiglia. Chi educa è in realtà un​​ sistema e.​​ di persone che convergono con ruoli e qualifiche molteplici e differenziati a un fine comune (famiglia, scuola, la comunità ecclesiale, la città e la società educante, il sistema della comunicazione sociale, del divertimento, dello sport, del lavoro, della politica). I​​ singoli e.​​ hanno personalità e attività ben individualizzata, ma il senso e il valore del loro agire sta nel coordinarsi organico e integrarsi in unità sempre maggiori di progetti e processi convergenti e divergenti, perfino risultando reciprocamente correttivi, comunicando però idealmente quadri organici di valori, giudizi, condotte e operando, come oggi si dice, in rete. La comunità educativa vede tutti i soggetti, adulti e giovani, interni e di contesto, impegnati in un progetto comune di lavoro, convergere in una intesa istituzionale esplicita di consenso, di partecipazione collettiva e differenziata nella unità plurale di progetto, programma, metodo. c) Oggi si diffonde la presenza sistematica di​​ ​​ esperti e consulenti​​ specializzati, non per i casi difficili, ma per la buona impostazione preventiva. Tutti, a proprio modo, collaborano al progetto, verificano e valutano per decidere se proseguire, correggere, migliorare l’intero sistema o qualche fattore di esso, provano miglioramenti ed eventuali sperimentazioni innovative.

5.​​ L’e. in azione.​​ L’e. non è solo una persona, ma un ruolo che svolge una specifica funzione nel processo formativo: a)​​ Informa.​​ La promozione della consapevolezza precede ogni altro sviluppo educativo. Dare coscienza e conoscenza è la prima funzione che impegna l’e. Si estende all’io e alla vita intima, agli universi di appartenenza, alle situazioni e accadimenti, ai contenuti di scienza e notizia. Non è semplice informazione. Punta a comprensione, interpretazione, giudizio di valutazione oggettiva, soggettiva, personale. Implica conseguenze di adesione e azione, ricerca di sintesi di quadri e sequenze, comparazioni, progetti. Richiede all’e., il dominio esperto di molti mezzi, opportunità e tecniche di informazione. b)​​ Motiva.​​ Ben al di là di premi e castighi, guida con autorevolezza la valutazione e la valorizzazione oggettiva, soggettiva, personale di ciò che va assunto, assimilato, condiviso, preferito, scartato. c)​​ Guida esperienze educanti.​​ Oggi, più che per la vita, educa la vita, nella vita. Sa intrecciare positivamente le esperienze spontanee quotidiane con i momenti critici e significativi, ne aggiunge altre capaci di completare l’arco formativo. d)​​ Anima.​​ Supera la​​ ​​ direttività del pensare, giudicare, decidere, scegliere e comportarsi, per farsi animatore esperto e promozionale degli stessi atti, aiutandone la personalizzazione intelligente, responsabile, libera.

6.​​ Formare gli e.​​ L’e. è un po’ la chiave di volta dell’intero sistema e processo formativo. Ne vengono di conseguenza l’urgenza e l’importanza di una sua preparazione e formazione (iniziale, in processo, in continuo aggiornamento). Tale opera di formazione è diretta all’intera personalità dell’e. quale «contesto» del suo ruolo. Ma certo meritano particolare attenzione il ruolo e la funzione per se stessi. Sono frutto di formazione adeguata le​​ competenze scientifiche​​ antropologiche sui giovani d’oggi: facilità e difficoltà, condizioni sociali, culturali, ideologiche e prammatiche del vivere quotidiano, situazioni di convergenza o divergenza con le offerte educative. Ma è pure necessaria la competenza di​​ ​​ metodologia pedagogica, per l’intervento nei vari campi di valori e problemi; il saper raccogliere informazioni e domande, il saper preparare progetti e programmi, piani di lavoro; il saper eseguire l’azione educante, verificare, valutare, migliorare. Oltre che la scienza e la strategia, occorrono anche l’arte e la tattica di agganciare, mettere in crisi negativa e positiva, sviluppare proposte, condurre dialettiche e dialoghi di transazione, ottenere consensi e adesioni, destrutturare e ristrutturare, percorrere lunghi cammini di ricerca e sviluppo.

Bibliografia

Schraml W. J.,​​ Introduzione alla pedagogia psicanalitica,​​ Roma, Città Nuova, 1973; Peters R.,​​ Il nuovo volto dell’autorità,​​ Roma, Armando, 1975;​​ Berset A.,​​ Le maître éveilleur,​​ Paris, Centurion, 1978; Toraille R. (Ed.),​​ L’équipe éducative,​​ Paris, ESF,​​ 1981; Postic M.,​​ La relazione educativa: oltre il rapporto maestro-scolaro,​​ Roma, Armando, 1983; Bertolini P. (Ed.),​​ L’operatore pedagogico. Problemi e prospettive,​​ Bologna, Cappelli, 1984; Franta H.,​​ Atteggiamenti dell’e. Teoria e training per la prassi educativa,​​ Roma, LAS, 1988; Gianola P.,​​ Il campo e la domanda,​​ il progetto e l’azione. Per una pedagogia metodologica.​​ Edizione a cura di C. Nanni, Ibid., 2003; Biasin C.,​​ L’ e. Identità,​​ etica,​​ deontologia, Padova, CLEUP, 2005; Ascenzi A. - M. Corsi,​​ Professione e. / formatori. Nuovi bisogni educativi e nuove professionalità pedagogiche, Milano, Vita e Pensiero, 2005; Maccario D.,​​ Le nuove professioni educative, Roma, Carocci, 2005; Occulto R.,​​ Il lavoro di e. Formazione,​​ metodologia,​​ nuovi scenari sociali, Ibid., 2007.

P. Gianola




EDUCATORE CRISTIANO

 

EDUCATORE CRISTIANO

L’espressione e.c. è qui intesa come un singolare collettivo, i cui referenti sono sia la persona singola che il gruppo, la comunità, l’istituzione, considerati nelle loro attività educativo-formative della generazione in crescita in funzione della sua maturazione umano-cristiana.

1. Nell’e.c., in modo analogo a quello che avviene nell’​​ ​​ educazione cristiana, devono essere presenti, distinte ma non separate né separabili, le due componenti che ne definiscono la natura: anzitutto quel complesso di doti umane, unite a una sufficiente preparazione professionale, che lo rendano vero e.; in secondo luogo ciò che lo qualifica come «cristiano». Potremmo definirlo: la persona o la comunità, le quali, avendo già fatto un cammino di crescita umano-cristiana ed essendo già impegnate in un’azione di testimonianza evangelica e di promozione umana, sono in grado di inserire, all’interno del processo di​​ ​​ conversione e crescita cristiana dell’educando, un autentico processo di maturazione umana, e viceversa; però in modo tale che, in ambedue i casi, i due processi, nella persona concreta dell’educando, diventino un unico processo di maturazione umano-cristiana. Per la prima componente rinviamo alla voce relativa (​​ maturazione).

2. La realizzazione degli obiettivi e della meta a cui tende l’educazione cristiana esige che vi partecipino, sia pure con responsabilità e contributi diversi, tutte le componenti della comunità ecclesiale: i pastori, nella loro funzione di animazione e guida delle altre componenti della comunità, la famiglia, la scuola, i gruppi giovanili, le associazioni, i movimenti ecclesiali, ecc. Le comunità ecclesiali diventano ambiente adatto per la maturazione umano-cristiana della generazione in crescita alle seguenti condizioni: se sono vere comunità a misura d’uomo; se è presente in esse una forte tensione evangelizzatrice, non disgiunta da un autentico sforzo di promozione umana; e infine se la vita dei loro membri si svolge in un clima di dialogo come atteggiamento, comunicazione e comunione collaborativa. Quest’ultima condizione è molto importante per una maturazione umano-cristiana, che eviti nel giovane, durante il suo processo di crescita cristiana, l’arresto della sua maturazione umana. Il dialogo / atteggiamento si identifica ultimamente con l’apertura e l’accettazione della persona dell’altro e si realizza in concreto quando l’e.c., di fronte ai comportamenti giovanili è capace di risposte, verbali o gestuali, franche e sincere, che non includano tuttavia giudizi negativi sulle persone. Il dialogo / comunicazione, reso possibile dall’accettazione e dalla stima reciproca, realizza un vero rapporto interpersonale tra l’e. e l’educando. Mediante una tale comunicazione il giovane non si sente emarginato, cresce in lui il sentimento di appartenenza alla​​ ​​ Chiesa, condizione questa oggi molto importante per potere attuare un processo di maturazione umano-cristiana in un mondo sempre più secolarizzato e scristianizzato. Conseguenza delle due disposizioni precedenti è la realizzazione, tra i vari partner della comunità educativa, di un’autentica comunione / collaborazione, fatta di disponibilità reciproca, di capacità di modificazione dei propri stereotipi e delle proprie abitudini in favore di imprese comuni, che esigono sacrifici da parte di tutti. I membri della comunità, accettandosi reciprocamente e potendo comunicare in profondità tra loro, sono in grado di aiutarsi reciprocamente per il raggiungimento dello scopo della loro conversione: crescere in Cristo, maturando come uomini; attuare la loro missione di evangelizzazione e di promozione umana nel mondo.

Bibliografia

Galli N. (Ed.),​​ L’educazione cristiana negli insegnamenti degli ultimi pontefici. Da Pio XI a Giovanni Paolo II,​​ Milano, Vita e Pensiero, 1992; Gatti G.,​​ Professione: e.c., Leumann (TO), Elle Di Ci, 1995; Giussani L.,​​ Il rischio educativo come creazione di personalità e di storia, Torino, SEI, 1995; Tonelli R.,​​ Educhiamo i giovani a vivere da cristiani adulti, Leumann (TO), Elle Di Ci, 2000; Domínguez Prieto X. M.,​​ Etica del docente,​​ Roma, LAS, 2007.

G. Groppo