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DISLESSIA

 

DISLESSIA

Disturbo o difficoltà permanente nell’apprendimento delle abilità di lettura. Esso può consistere: a) in una d. fonologica, nella difficoltà cioè di collegare fonemi a lettere, anche se si è in grado di leggere parole familiari (d. superficiale); b) in una d. di origine visiva, che si manifesta nella difficoltà a riconoscere correttamente le lettere di una parola; c) in una lettura senza significato, che si evidenzia in una capacità di lettura ad alta voce senza saper cogliere il significato di quello che si legge.

1. In ambito neuropsicologico si distingue tra d. acquisita e d. evolutiva e tra d. superficiale e d. profonda. La d. acquisita, come dice il nome, si riferisce a una difficoltà di lettura che interviene successivamente a uno sviluppo normale di tale capacità a causa di un trauma, di una emorragia o di un intervento chirurgico al cervello. La d. evolutiva, invece, emerge nel corso della crescita del soggetto, in genere quando egli apprende a scuola le tecniche di lettura. La d. superficiale si riferisce alla difficoltà di collegamento tra fonemi e grafemi, mentre quella profonda concerne la capacità stessa di riconoscere le parole e di collegarle al loro significato.

2. Le cause della d. sono state attribuite a vari fattori. Alcune correnti psicologiche la fanno risalire a disturbi emozionali legati alle relazioni interpersonali famigliari; altre, a disturbi nell’evoluzione biologica o a un minimo danno cerebrale; altre ancora, a mal funzionamento dei processi cognitivi. Da queste diverse interpretazioni della causa della d. derivano anche differenti indicazioni terapeutiche. Occorre però ricordare come gran parte dei soggetti che nel corso dei primi anni della scuola elementare manifestano forme di d. evolutiva superi tale disturbo negli anni scolastici seguenti. Gli studi sulle d. acquisite a seguito di lesioni cerebrali, dovute a incidenti, ictus o altro, forniscono indicazioni utili per interpretare i differenti fenomeni di d. registrati. Questo è un campo di indagine privilegiato degli studi di neuropsicologia cognitiva.

Bibliografia

Jadoulle A.,​​ Apprendimento della lettura e d.,​​ Roma, Armando, 1978;​​ Boltanski E.,​​ Dyslexie et dyslatéralité,​​ Paris, PUF, 1982;​​ Sartori G.,​​ La lettura: processi normali e d.,​​ Bologna, Il Mulino, 1984; Cornoldi C. (Ed.),​​ I disturbi dell’apprendimento,​​ Ibid., 1991; Reid D. K. - W. P. Hresko - H. L. Swanson,​​ A cognitive approach to learning disabilities,​​ Austin, Pro-Ed.,​​ 21991; Ellis A. W.,​​ Lettura,​​ scrittura e d.,​​ Torino, SEI, 1992; Leddomade B.,​​ La d.,​​ problema relazionale,​​ Roma, Armando, 1992; McCarthy R. A. - E. K. Warrington,​​ Neuropsicologia cognitiva,​​ Milano, Cortina, 1992; Stella G.,​​ D., Bologna, Il Mulino, 2004; Trisciuzzi L. - T . Zappaterra,​​ La d. Una didattica speciale per le difficoltà nella lettura, Milano, Guerini, 2005.

M. Pellerey




DISOCCUPAZIONE GIOVANILE

 

DISOCCUPAZIONE GIOVANILE

Limitando l’area di osservazione alle dimensioni europee della d.g., si rileva un primo elemento quantitativo diversificante: l’incidenza della d. di coloro che hanno meno di 25 anni e la portata dei suoi problemi variano notevolmente tra gli Stati membri della Unione Europea. «Il problema è particolarmente sentito in Italia, dove, nel maggio 1994, oltre la metà dei disoccupati era al di sotto dei 25 anni, anche se tale cifra risultava considerevolmente inferiore a quella registrata nel 1985, quando superava il 60%» (Commissione europea, 1994, 147).

1. Al di là di adeguate precisazioni sulle variazioni quantitative del fenomeno (decremento del tasso di natalità, permanenza prolungata o parcheggio nei sistemi formativi) e sulle indiscusse caratteristiche strutturali del medesimo, occorre rilevare come si sia attualmente più attenti a collegare le analisi economiche a quelle sociali e, per quanto attiene la d.g., alle situazioni problematiche della transizione dei​​ ​​ giovani alla vita attiva. Le categorie dei giovani dai 15 ai 29 anni, nella crisi strutturale dell’occupazione delle società industrializzate, vivono infatti esperienze personali diversificate per condizionamenti oggettivi e soggettivi, a cui si sommano spesso i ritardi e i limiti degli interventi istituzionali rivolti a discriminare positivamente le categorie svantaggiate culturalmente, socialmente, economicamente (giovani del Sud, ragazze, emigranti, disadattati,​​ drop-out...).

2. Nei Paesi del Nord Europa, come nel caso della Francia, le conclusioni di recenti indagini sulla situazione dei giovani disoccupati individuano due modelli estremi di precarietà giovanile. Il primo, riferito a giovani che si presentano sul mercato del lavoro con il solo titolo della scolarità dell’obbligo, si caratterizza per una situazione di «differimento subito» della tradizionale istantaneità e contemporaneità del reperimento di un’occupazione-matrimonio-autonomia dalla famiglia di origine. Un secondo modello, tipico dei giovani che dispongono di un titolo di livello secondario generico o con professionalità limitata, rivela situazioni di «istituzionalizzazione della precarietà», che potrebbero instaurare un processo di fissazione o di regresso rispetto al responsabile inserimento nella vita adulta.

3. Nei Paesi del Sud Europa le ricerche rilevano situazioni più diversificate, da cui non sono estranei i modelli culturali interiorizzati dai giovani durante il positivo o negativo percorso scolastico-formativo, la configurazione del mercato locale del lavoro, l’incidenza degli interventi normativi e legislativi rapportati a particolari situazioni di ragazze e ragazzi svantaggiati. Rispetto al ruolo del sistema scolastico, la sesta indagine Isfol sui «percorsi giovanili di studio e lavoro» conferma i risultati di varie ricerche rilevando come il sistema scolastico italiano, in tutte le sue articolazioni, tende a sovradimensionare le aspettative di inserimento-successo-soddisfazione professionale dei giovani, accanto ad un servizio insufficiente di orientamento, nonché ad un processo di selezione a più stadi di tipo non solo meritocratico, ma determinato dall’ambiente sociale e culturale di appartenenza, al quale si accompagna, però, una certa nuova tendenza dei giovani ad effettuare scelte formative in funzione (o in vista) di un dato progetto o obiettivo professionale, anche se realizzabile da una ristretta fascia giovanile (Isfol, 1989).

4. Quanto alla configurazione del mercato locale del lavoro, i risultati delle ricerche confermano empiricamente un ampliamento concettuale dell’occupazione / d.g., evidenziando un​​ continuum​​ di situazioni e di ruoli assunti da un medesimo soggetto, con conseguenti forme di lavori saltuari o precari assunte perlopiù da studenti che cercano poco attivamente lavoro e da quanti lo cercano ma ne accettano solo di un certo tipo, rifiutando ogni altra opportunità (Zucchetti, 1991).

5. Infine, nel raffronto tra le iniziative legislative e le politiche dell’Unione Europea – più orientate a sostenere e qualificare l’apprendistato (​​ formazione professionale), i contratti a tempo parziale, i contratti formazione / lavoro si constata in Italia il prevalere della tendenza ad affidare le soluzioni di tali problemi ad interventi settoriali o alle dinamiche del mercato del lavoro sia ufficiale, sia informale o sommerso (Censis, 1987). Le prospettive di contenimento, più che di soluzione, del problema della d.g., soprattutto in Italia, sembrano richiedere sia interventi complessivi ed articolati, che segnino un superamento della fase dell’emergenza, sia il potenziamento di strategie di progetto.

6. Tra la fine degli anni 2000 e l’inizio del nuovo millennio si sono registrati in Italia un aumento costante dell’occupazione e una riduzione corrispondente della d. e questo per effetto della vitalità e maggiore flessibilità del sistema (Censis, 2006). A sua volta, la d.g. (gruppo di età 15-24 anni) cala dal 27, 1% del 2002 al 20, 6% del 2006; come si vede, anche se il progresso è notevole, tuttavia l’entità del fenomeno rimane sempre grave in quanto il tasso si colloca intorno a un quarto della popolazione. Il dato inoltre presenta una notevole variabilità e il problema riguarda maggiormente le femmine, il Sud e i laureati. Nel confronto con gli altri Paesi dell’Europa, se è vero che l’Italia presenta una bassissima propensione al lavoro che la svantaggia nella competizione con gli altri Stati, è anche vero che al 2005 il tasso di d. era inferiore alla media europea.

Bibliografia

Cavalli A.,​​ La gioventù: condizione o processo?,​​ in «Rassegna Italiana di Sociologia» 21 (1980) 519-542; Censis,​​ Rapporto sulla situazione sociale del Paese,​​ Milano, Angeli, 1987; Isfol,​​ Percorsi giovanili di studio e lavoro, Ibid., 1989; Zucchetti E.,​​ Approccio locale al mercato del lavoro,​​ in «Professionalità» 11 (1991) 2; Commissione Europea,​​ L’occupazione in Europa 1994,​​ Lussemburgo, Comunità Europee, 1994; Minardi E.,​​ Dove va il lavoro in Italia, Faenza, Homeless Book, 1999; Censis,​​ 40° rapporto sulla situazione sociale del Paese. 2006, Milano, Angeli, 2006.

P. Ransenigo




disturbi dell’APPRENDIMENTO

 

APPRENDIMENTO: disturbi dell’

Difficoltà o incapacità di raggiungere i livelli scolastici attesi dall’ambiente socioculturale.

1. Si possono distinguere due tipi di disturbi: a)​​ disturbi generali di a.​​ e cioè difficoltà presenti in tutte le aree dell’a., per cui si verifica un rendimento scolastico globale inferiore alla media. È possibile individuare l’origine di tali disturbi nei fattori:​​ fisici​​ (lesioni cerebrali, sordità, cecità, o altri handicap di carattere organico);​​ intellettuali​​ (inibizione intellettiva);​​ affettivi​​ (carenze affettive, presenza di un elevato livello di​​ ​​ ansia, disturbi nevrotici o psicotici, stati depressivi, iperattività);​​ familiari​​ (disturbi psichici di uno o di entrambi i genitori, conflitti coniugali, separazione o​​ ​​ divorzio, elevate richieste e attese da parte dei genitori circa il rendimento scolastico o all’opposto loro incapacità a motivare adeguatamente i figli allo studio, eccessiva rivalità fraterna alimentata da sistematici confronti da parte dei genitori);​​ socio-culturali​​ (condizioni economiche sfavorevoli, basso livello sociale dove non è presente come valore l’istruzione scolastica); b)​​ disturbi specifici dell’a.,​​ per cui compaiono difficoltà in un settore particolare dell’attività scolastica. I soggetti interessati a tali disturbi abitualmente hanno un QI normale.

2. I principali disturbi specifici dell’a. sono: la​​ ​​ dislessia e la​​ ​​ discalculia. Il termine dislessia (dal gr.​​ dis:​​ difficile e​​ lexis:​​ parola) sta ad indicare la presenza di una difficoltà di lettura, per cui soggetti scolarizzati e d’intelligenza normale denunciano una grave difficoltà a decodificare le parole stampate. Non si può parlare di dislessia se non dopo i 7 anni. Prima di questa età infatti gli errori di lettura sono banali e frequenti. Tale disturbo è abitualmente accompagnato anche dalla​​ disortografia​​ e cioè da una difficoltà a scrivere correttamente. Inoltre esso è più presente nei maschi che nelle femmine, in rapporto da 4 a 1, e nei soggetti di età scolare lo si riscontra in una percentuale che oscilla tra il 5 e il 15%. Non si è di fronte ad una vera e propria dislessia, se la difficoltà di lettura è connessa con disturbi presenti anche in altri settori di a. (aritmetica, storia, geografia). Le principali modalità di espressione della dislessia sono: confusione di lettere con grafia simile (e-a, l-h, m-n); confusione di suoni simili (p-d, v-f); inversione cinetica di alcune lettere nella parola (in-ni, al-la); confusione di lettere graficamente simmetriche (n-u); omissione o aggiunta di lettere, sillabe o parole; contrazione e deformazione di sillabe, lettere o parole; righe saltate; punteggiatura e tono inesistenti; non distinzione delle parole simili tra loro. Da segnalare che oltre alla dislessia esiste anche il disturbo dell’iperlessia.​​ Esso consiste nella capacità, superiore alla media, di decodificare le parole senza però capirne il significato.

3. Circa l’eziologia​​ della dislessia ci sono due grandi correnti: a)​​ teoria del singolo fattore​​ che individua la causa in una disfunzione del processo visivo-spaziale; b)​​ teoria multifattoriale​​ che vede la dislessia come il risultato dell’influsso più o meno accentuato di due o più fattori tra loro connessi. Possono essere: fattori genetici, disturbi cerebrali, mancinismo contrastato, turbe della comunicazione verbale, cattivo orientamento visivo-spaziale, debolezza uditiva; disturbi dello schema corporeo, identificazione inadeguata, fissazione o regressione affettiva, inibizione intellettiva, turbe della funzione simbolica, carenze culturali. Relativamente al peso che i fattori elencati rivestono, si possono distinguere diversi tipi di dislessia: a)​​ costituzionale.​​ È la più grave e la più difficile da curare. Essa è collegata ad una cattiva lateralizzazione, a disturbi del linguaggio, a perturbazioni gravi a livello dell’orientamento, con conseguenti disturbi a livello intellettivo e di personalità; b)​​ evolutiva.​​ È determinata dalla mancata individuazione del mancinismo fin dai primi esercizi scolastici o da un metodo difettoso di apprendimento; c)​​ affettiva.​​ È legata ad un blocco affettivo-relazionale.

4. Rispetto alla dislessia, la discalculia è più rara. Essa consiste in una difficoltà a comprendere ed utilizzare i numeri e quindi in una incapacità di effettuare operazioni aritmetiche elementari (addizione, sottrazione, ecc.) e conseguentemente, nelle scuole superiori, in un insuccesso nel campo della geometria, della fisica e della chimica, pur in assenza di una compromissione delle altre forme di ragionamento logico e di simbolizzazione. La discalculia è più presente nelle femmine che nei maschi. Nelle espressioni più correnti la discalculia è associata alla disgnosia digitale (difficoltà di riconoscere le dita) e all’aprassia costruttiva (difficoltà a riconoscere e a riprodurre i gesti e le figure nello spazio, come, ad es., un triangolo o una croce). La forma più completa di tale disturbo è la​​ sindrome di Gerstmann.​​ Essa comprende i seguenti sintomi: discalculia, disgnosia digitale, difficoltà di strutturazione spaziale e cioè indistinzione sinistra-destra, disgrafia, aprassia costruttiva, disprassia digitale. Circa l’eziologia​​ della discalculia vale quanto detto a riguardo della dislessia.

5. Si calcola che il 10-15% dei soggetti in età scolare denunci dei disturbi generali dell’a. e che il 5-10% sia coinvolto in un qualche disturbo specifico.

Bibliografia

Salzberger-Wittenberg I. - G. Henry-Polacco - E. Osborne,​​ L’esperienza emotiva nei processi d’insegnamento e di a.,​​ Napoli, Liguori, 1987; Jadoulle A.,​​ A. della lettura e dislessia,​​ Roma, Armando, 1988; Leddomade B.,​​ La dislessia. Problema relazionale,​​ Ibid., 1988; Cornoldi C.,​​ I disturbi dell’a., Bologna, Il Mulino, 1991; Tarnopol L. (Ed.),​​ I disturbi dell’a. nell’infanzia,​​ Roma, Armando, 1993; Van Hout A. - C. Meljac,​​ Troubles du calcul et dyscalculies chez l’enfant, Paris, Masson, 2004; Martini A.,​​ Le difficoltà di a. della lingua scritta. Criteri di diagnosi e indirizzi di trattamento, Tirrenia, Edizioni del Cerro, 2004; Pratelli M.,​​ Le difficoltà di a. e dislessia. Diagnosi,​​ prevenzione,​​ terapia e consulenza alla famiglia, Bergamo, Junior, 2004; Catalano Sanchez R. - M. C. Ruffini Lasagna,​​ Disturbi dell’a. scolastico, Roma, Armando, 2004.

V. L. Castellazzi