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DOTTRENS Robert-Alexandre

 

DOTTRENS Robert-Alexandre

n. a Carouge, presso Ginevra, nel 1893 - m. nel 1984, pedagogista svizzero.

1. Maestro a venti anni, fu direttore didattico dal 1921 al ’27; nel 1931 conseguì il dottorato in sociologia e nel ’52 divenne ordinario di pedagogia all’Università di Ginevra. Fondò l’École du Mail, sede di innovazioni metodologico-didattiche, che funzionò dal 1925 al ’55, dapprima sotto la direzione sua e poi di suoi allievi. Ogni attività era scandita in osservazione, verifica e ricerca. I suoi contributi sono maturati in seno alla cosiddetta Scuola di Ginevra (​​ Claparède,​​ ​​ Ferrière, Bovet,​​ ​​ Piaget) e consistono sia in princìpi pedagogici ricavati dalla psicologia infantile, sia in procedure speciali da adattare a scuole comuni.

2. Buon conoscitore delle scienze umane e sociali, additò nella pedagogia un elemento propulsore di rinnovamento civile e di formazione democratica. Si occupò di organizzazione scolastica, aderendo al movimento delle​​ ​​ Scuole Nuove, con forte impulso alla didattica della lingua, a quella della scrittura, alla​​ ​​ docimologia. Sul piano delle riforme si occupò della​​ ​​ formazione degli insegnanti. D. è noto quale esponente della​​ ​​ pedagogia sperimentale (per cui si collega a​​ ​​ Buyse e Planchard) e quale promotore di un metodo individualizzato, ispirato in parte ad analoghi metodi di C. W. Washburne e di H. Parkhurst. Accolse anche le tecniche di​​ ​​ Freinet, studiò le principali riforme scolastiche ed esperienze pedagogiche in Inghilterra, Germania, Belgio ed Austria. Ebbe incarichi universitari anche all’estero. È stato autorevole membro dell’UNESCO (United Nations Educational Scientifical and Cultural Organisation),​​ del BIE (Bureau International d’Éducation)​​ e di altre istituzioni e associazioni.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ tra​​ le opere di D.:​​ L’enseignement individualisé,​​ Neuchâtel, Delachaux et Niestlé, 1936;​​ Éducation et démocratie, Ibid., 1946;​​ Instituteurs hier,​​ éducateurs demain!,​​ Bruxelles, 1966. b)​​ Studi:​​ Izzo D.,​​ R. D. e la pedagogia contemporanea,​​ Roma, Armando, 1968; Broccolini G.,​​ D., Brescia, La Scuola, 1971; Trombetta C., «D.R.A.», in M. Laeng (Ed.),​​ Enciclopedia pedagogica, Ibid., 1989, 4099-4101.

D. Izzo




DRAMMATIZZAZIONE

 

DRAMMATIZZAZIONE

La d. è una forma di letteratura, sia in prosa che in versi, solitamente scritta come dialogo, ma non finalizzata allo spettacolo pubblico (​​ teatro).

1.​​ D. e educazione.​​ La d. è applicata alle attività della classe o del gruppo dove la messa a fuoco non è sulla rappresentazione da fare in pubblico. Caratteristica della d. è perciò la scioltezza, spesso l’assenza di copione, senza problemi per la riuscita e, molte volte, senza prove. L’abbinamento d. ed istruzione / educazione, all’inizio del XX sec. è stato opera della filosofia educativa di Isadora Duncan e del lavoro di Emile Jacques Decloze, lo svizzero fondatore dell’euritmica. Nel XX sec., in Gran Bretagna, sono state esplorate e sviluppate varie attività alternative che vanno sotto il nome di «d. nell’istruzione e nell’educazione». Queste attività e questi corsi non hanno come scopo la rappresentazione di quanto preparato e non fanno alcuna distinzione tra chi recita e gli spettatori. Nei corsi si possono raggiungere vari obiettivi quali lo sviluppo fisico, l’espressione del sé e la d. del sé oltre alle relazioni dinamiche, il gioco dei ruoli all’interno del gruppo che la pratica; i bambini / ragazzi / giovani praticano la presa di decisioni e l’esplorazione della fantasia che aiuta a sviluppare l’immaginazione. Soprattutto in Gran Bretagna con Gavin Bolton e Dorothy Heathcote sono stati fatti notevoli sforzi per mettere al centro del curricolo le attività di d. e per utilizzarne le tecniche e la flessibilità con lo scopo di insegnare varie materie, soprattutto in riferimento alla lingua scritta e orale e alla letteratura. Nel contesto della d. trova collocazione l’espressione corporale che aiuta a migliorare le capacità di espressione e di comunicazione attraverso il proprio corpo, contribuendo non solo allo sviluppo fisico, ma anche allo sviluppo mentale ed emotivo. In America Latina, la d. è stata utilizzata per campagne di​​ ​​ alfabetizzazione e di sviluppo agricolo.

2.​​ Altri usi della d.​​ La terapia della d., o​​ ​​ psicodramma, utilizza tecniche di d. per promuovere la guarigione senza ricorrere all’analisi. Le stesse tecniche sono state utilizzate, soprattutto con pazienti giovani, per far rivelare i loro traumi mentali.

Bibliografia

Heathcote D. - C. O’Neill - L. Johnson (Edd.),​​ Collected writings on education and drama, Evanston (IL), Northwestern University Press, 1991; Bolton G.,​​ New perspectives on classroom drama,​​ Hemel Hempstead, Herter, Simon & Schuster Education, 1992; Heathcote D. - G. Bolton,​​ Drama for learning,​​ Portsmouth, Heinemann, 1994; Taylor P.,​​ Researching drama and arts education: paradigms and possibilities, London, Falmer Press, 2005.

C. Cangià




DROGA

 

DROGA

La d. è un particolare farmaco psicotropo – cioè ad azione sulla psiche – che può sconvolgere la mente e indurvi particolari «interreazioni» che la caratterizzano: abitudine o assuefazione, spesso tolleranza, fino alla dipendenza fisica e / o psichica.

1.​​ Effetti delle d.​​ Le d. producono effetti tossici organici e mentali acuti e cronici e comportamenti psichici devianti (​​ devianza), pericolosi per l’individuo che li assume e per la società. È importante precisare il significato dei tre tipi di legame che la d. stabilisce con l’organismo: a)​​ Abitudine o assuefazione:​​ sotto questo termine intendiamo uno stato biologico fisio-psichico, espressione dell’adattamento dell’organismo alla presenza della d., che induce un consumo ripetitivo a intervalli più o meno ravvicinati. b) La​​ tolleranza​​ è un fenomeno biologico per cui l’organismo deve aumentare progressivamente la dose della d. per ottenere gli stessi effetti gratificanti, riuscendo a tollerare in tale maniera quantitativi sempre più elevati al di sopra di quelli tossici e anche letali. La tolleranza è chiamata​​ funzionale​​ quando esiste un’assuefazione progressiva delle cellule bersaglio agli effetti del farmaco. È invece definita​​ metabolica​​ allorché è causata dall’attivazione crescente dei processi biologici che portano alla sua distruzione per cui, pur aumentando la dose assunta, la quantità attiva è sempre la stessa. c)​​ Dipendenza​​ (​​ tossicodipendenza): si produce quando la assuefazione ha raggiunto un livello tale che la privazione della d. fa insorgere una particolare condizione chiamata sindrome di astinenza.

2.​​ Classificazione delle d.​​ Le d. vengono classificate in varie maniere, di cui le più importanti sono le seguenti: a) secondo la natura:​​ naturali​​ o vegetali, cioè non manipolate;​​ estratti:​​ cioè un estratto attivo delle precedenti fino a raggiungere il semplice​​ componente attivo​​ (per es. morfina dall’oppio, cocaina dalla coca, tetraidrocannabinolo dall’hashish e dalla marijuana, ecc.);​​ semisintetiche,​​ per manipolazione di un componente attivo, come la diacetilazione della morfina in eroina; di​​ sintesi​​ come il metadone, le amfetamine, l’ecstasy, ecc.; b) secondo la liceità:​​ lecite​​ come alcool e tabacco,​​ illecite​​ come eroina e cocaina; le illecite, se hanno effetti terapeutici non sostituibili, possono essere consumate purché prescritte da medici su particolari ricette, come morfina e barbiturici; c) secondo la pericolosità:​​ leggere​​ come i cannabici e le benzodiazepine,​​ pesanti​​ come gli oppioidi e la cocaina; d) secondo gli effetti farmacologici predominanti:​​ sedativo-euforizzanti​​ come gli oppioidi e i barbiturici,​​ psicostimolanti​​ come cocaina, amfetamine, caffeina,​​ psicoalteranti​​ o allucinogeno-deliranti come LSD, mescalina, hashish; e) secondo la possibilità di acquisto:​​ da strada​​ (che più di frequente vengono tagliate) come eroina e ecstasy,​​ di farmacia​​ come morfina e barbiturici, di cui è garantita la purezza; f) secondo il gruppo chimico farmacologico e di uso: oppioidi, derivati della canapa indiana, coca e cocaina, psicofarmaci, allucinogeni e deliranti, anestetici e solventi volatili, alcool, tabacco, metilxantinici (te, caffè, ecc.).

3.​​ La d. e l’educazione.​​ L’uso della d. si perde nella notte dei tempi: tuttavia esso era limitato alle classi più elevate e gestito rigidamente. Dopo la metà del 1850 l’abuso si diffuse nei Paesi occidentali dapprima tra uomini di cultura e medici, poi tra adulti instabili o curiosi, provocando una serie di leggi, partite dagli USA con l’Harrison Act​​ e accolte da quasi tutte le nazioni con gli attuali accordi di Vienna, ratificati nel 1980. Dopo la seconda guerra mondiale e in particolare dopo il 1960, si è assistito ad una vera e propria rivoluzione. L’abuso ha coinvolto pesantemente i​​ ​​ giovani, divenendo fenomeno di massa. Ne sono scaturite gravissime implicazioni sociali, che hanno richiesto e richiedono l’intervento massivo educativo-pedagogico che si è svolto e si svolge sulla base di diverse posizioni e tendenze, con differenti molteplici approcci e strategie. Quelle basate sulla​​ ​​ prevenzione sono indirizzate ai soggetti più giovani, che si presume non abbiano ancora assunto la d. (prevenzione primaria). L’educazione, che in questo ambito è l’unico mezzo di approccio e strategia, si basa da un lato sulla descrizione dei danni ineluttabili della d. e dall’altro su una formazione in grado di resistere a questa tentazione. Un primo problema riguarda quali d. si debbano considerare come oggetto dell’insegnamento ad evitarne l’uso. Secondo alcuni solo le d. di abuso, cioè quelle dichiarate illecite. Secondo altri anche le lecite, che possono essere responsabili di comportamenti criminosi. Per altri ancora – e più correttamente – tutte le d., in quanto rappresentano un rischio sociale e tossico assai elevato per l’individuo e / o la comunità. In ogni caso, l’approccio e la strategia educativi debbono essere indirizzati – indipendentemente dal tipo di d. su cui si voglia esercitare la prevenzione – a formare soggetti capaci di rigettare l’uso di queste sostanze contro tutte le attuali suggestioni: moda, spaccio, curiosità, sperimentazione, ricreazione, uso strumentale ed espressivo, ecc.

Bibliografia

Malizia E.,​​ D. 80,​​ Torino, Edizioni Medico-Scientifiche,​​ 41985; Jones H. - M. Jones,​​ Drugs and the mind,​​ Cambridge (Mass.), Cambridge University Press, 1987; Nizzoli U. - M. Pissacroia (Edd.),​​ Trattato completo degli abusi e delle dipendenze, Padova, Piccin, 2003; Malizia E. - S. Borgo,​​ Le d., Roma, Newton Compton, 2006.

E. Malizia




DUPANLOUP Félix Antoine Philippe

 

DUPANLOUP Félix Antoine Philippe

n. a Saint-Félix nel 1802 - m. a Lacombe nel 1878, vescovo e pedagogista francese.

1.​​ La vita.​​ Venuto dalla Savoia, fece gli studi ecclesiastici e venne ordinato sacerdote a Parigi nel 1825; si dedicò alla pastorale catechistica parrocchiale fino al 1834 e continuò il lavoro educativo come direttore del seminario minore della diocesi di Saint-Nicholas du Chardonnet (divenuto un prestigioso ginnasio), dal 1837 al 1845. Dal 1849 vescovo di Orléans, fu nominato accademico di Francia nel 1854, membro dell’Assemblea Nazionale nel 1871 e senatore della Repubblica nel 1876. Nel 1870 al Concilio Vaticano I prese parte attiva alla discussione sul progetto del piccolo catechismo universale.

2.​​ Gli scritti pedagogici.​​ L’opera più organica che presenta il suo pensiero pedagogico è​​ De l’éducation​​ (1851). Egli vi espone il suo concetto di educazione,​​ azione creatrice,​​ in cui si fondono autorità e disciplina, opera dell’educatore e collaborazione dell’educando. L’educazione inizia dalla famiglia, ma viene completata dall’educazione scolastica e collegiale, e poi da quella nazionale ed ecclesiale. L’educazione pubblica deve essere organizzata dalle famiglie, senza intervento diretto dello Stato, che deve invece garantire la​​ ​​ libertà di insegnamento. Importante è la formazione filosofica e letteraria, anche se le si affiancano quella dell’immaginazione, della sensibilità, del carattere e della coscienza: imparare a ben pensare e a ben esprimersi è fondamentale per l’uomo e per la sua formazione spirituale e religiosa. D. si interessò anche dell’educazione femminile. Difese, contro Gaume e Veuillot, lo studio dei classici pagani.

3.​​ Il​​ contributo all’educazione religiosa.​​ Per la formazione pastorale del clero scrisse i tre volumi​​ Méthode générale de catéchisme​​ (1862) e poi altri due intitolati​​ L’Oeuvre par excellence ou entretiens sur le catéchisme​​ (1869). In questa seconda opera D. descrive dal vivo i catechismi che si facevano alla Madeleine secondo il metodo di Saint Sulpice. Il catechismo è concepito come una funzione religiosa, che si svolge in una cappella apposita in un ambiente di pietà, con momenti che vanno dalla recita alla spiegazione delle verità, alla lettura del vangelo con breve omelia, ai canti e alle preghiere. Il catechismo è opera di educazione cristiana completa, porta all’amore e alla sequela di Gesù Cristo, si trasforma in un «catecumenato della Prima Comunione», a cui segue per gli adolescenti e i giovani adulti un Catechismo di perseveranza, che li conferma nella fede e nella vita cristiana.

Bibliografia

Dutoit H.,​​ Les meilleurs textes de D.,​​ Paris, Desclée de Brouwer,​​ 1933; Viotto P., «La pedagogia dello spiritualismo nei paesi di lingua francese», in​​ Nuove questioni di storia della pedagogia,​​ vol. 3, Brescia, La Scuola, 1977, 637-696.

U. Gianetto




DURKHEIM Émile

 

DURKHEIM Émile

n. a Épinal nel 1858 - m. Parigi nel 1917, sociologo francese.

1.​​ Preparazione scientifica.​​ Si è formato all’École Normale di Parigi. Dopo aver ricevuto una preparazione sostanzialmente filosofica, si è spostato gradualmente verso interessi sociologici. Dal 1887 al 1902 ha insegnato sociologia e pedagogia a Bordeaux. In questo periodo pubblica​​ La division du travail social​​ (1893),​​ Les règles de la méthode sociologique​​ (1895),​​ Le suicide​​ (1897).​​ Nel frattempo (1896) fonda e dirige la rivista «L’Année Sociologique». Nel 1906 viene chiamato alla Sorbona di Parigi, per insegnare sociologia e scienze dell’educazione.

2.​​ Lo sviluppo del pensiero pedagogico.​​ Può essere scandito in quattro periodi: a)​​ La negazione della specificità del fenomeno educativo:​​ sulla base di un triplice riduzionismo, fisiologico-organicistico, evoluzionista-meccanicistico e deterministico, l’attività educativa era considerata una pura funzione del sistema sociale, letto positivisticamente in termini di «fisicalismo sociale». b)​​ Il​​ ricupero della possibilità del discorso pedagogico:​​ l’educazione viene percepita come l’imperativo che tende a modellare l’individuo sulla base delle esigenze sociali, in vista della creazione del consenso. La pedagogia viene percepita come strumento di superamento del meccanicismo deterministico. c)​​ L’educazione come rimedio all’anomia:​​ a partire dall’analisi del «suicidio» (prima verifica sperimentale di un fenomeno sociale), ipotizzato come sintomo delle gravi disfunzioni del sistema sociale, quali l’anomia e la caduta di consenso sui valori fondanti il vivere sociale, D. riconosce l’importanza dell’educazione come rimedio alla disgregazione e al miglior funzionamento della società. Non giunge ancora a percepirla come un’azione diretta alla promozione e all’​​ ​​ autorealizzazione dell’individuo. d)​​ Il​​ ricupero dell’autonomia della coscienza individuale​​ su quella collettiva: superando il meccanicismo determinista del primo periodo, D. riconosce all’educazione e successivamente all’etica (familiare, professionale, civica e universale) il compito di trasmettere atteggiamenti e norme a scopo esplicitamente integrativo, ma anche di stimolare nell’individuo le risorse di autonomia e di critica (in seguito enfatizzate dai fautori della sociologia critica) rispetto al determinismo sociale dei processi educativi.

3.​​ Valutazione.​​ Il cuore delle preoccupazioni di D. è quello di​​ conciliare​​ «coscienza collettiva» e «coscienza individuale», la prima derivante dalle esigenze della soggiacente impostazione «organicista», la seconda emergente dalle componenti «morali» del suo pensiero nella fase matura. D. quindi può essere considerato l’ideologo della «dipendenza educativa» e dell’​​ ​​ integrazione sociale, che orienta l’individuo al consenso sociale e alla solidarietà organica. Considera il conformismo come condizione di autorealizzazione fino al punto di mitizzare l’uomo ultrasocializzato, riducendo così il fatto educativo a funzione sociale.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ D. E.,​​ Éducation et sociologie,​​ Paris, Alcan, 1922 (postumo); Id.,​​ L’educazione morale,​​ Torino, UTET, 1977. b)​​ Studi:​​ Lukes S.,​​ E. D. his life and work. A historical and critical study,​​ London, Penguin Books, 1973; Giddens A.,​​ D., Bologna, Il Mulino, 1998; Crespi F.,​​ Il pensiero sociologico, Ibid., 2002; Poggi G.,​​ E. D., Ibid., 2003.

R. Mion