1

DISGRAFIA

 

DISGRAFIA

Disturbo dell’apprendimento nelle abilità di scrittura. Esso è spesso associato a forme di​​ ​​ dislessia. Più specificatamente si parla di d. quando si evidenziano difficoltà a riprodurre i segni alfabetici e numerici. In questo caso è coinvolto prevalentemente il grafismo dell’alunno, anche se si hanno conseguenze sulla difficoltà a seguire regole ortografiche e grammaticali. La diagnosi e la terapia conseguente prendono in considerazione le difficoltà di natura percettiva e di organizzazione spaziale e temporale, la lateralità e l’orientamento destra-sinistra, la rappresentazione dello​​ ​​ schema corporeo, la coordinazione motoria e la​​ ​​ memoria.

Bibliografia

Cornoldi C. (Ed.),​​ I disturbi dell’apprendimento,​​ Bologna, Il Mulino, 1991; Reid D. K. - W. P. Hresko - H. L. Swanson,​​ A cognitive approach to learning disabilities,​​ Austin, Pro-Ed,​​ 21991; Mc-Carthy R. A. - E. K. Warrington,​​ Neuropsicologia cognitiva,​​ Milano, Cortina, 1992; Pratelli M.,​​ D. e recupero delle difficoltà grafo-motorie,​​ Trento, Erickson, 1994; Brodini M.,​​ Le difficoltà di apprendimento, Tirrenia, Edizioni del Cerro, 1998; Basagli C. (Ed.),​​ La d. senza dislessia. Dalla diagnosi alla riabilitazione, Ibid., 2007.

M. Pellerey




DISLESSIA

 

DISLESSIA

Disturbo o difficoltà permanente nell’apprendimento delle abilità di lettura. Esso può consistere: a) in una d. fonologica, nella difficoltà cioè di collegare fonemi a lettere, anche se si è in grado di leggere parole familiari (d. superficiale); b) in una d. di origine visiva, che si manifesta nella difficoltà a riconoscere correttamente le lettere di una parola; c) in una lettura senza significato, che si evidenzia in una capacità di lettura ad alta voce senza saper cogliere il significato di quello che si legge.

1. In ambito neuropsicologico si distingue tra d. acquisita e d. evolutiva e tra d. superficiale e d. profonda. La d. acquisita, come dice il nome, si riferisce a una difficoltà di lettura che interviene successivamente a uno sviluppo normale di tale capacità a causa di un trauma, di una emorragia o di un intervento chirurgico al cervello. La d. evolutiva, invece, emerge nel corso della crescita del soggetto, in genere quando egli apprende a scuola le tecniche di lettura. La d. superficiale si riferisce alla difficoltà di collegamento tra fonemi e grafemi, mentre quella profonda concerne la capacità stessa di riconoscere le parole e di collegarle al loro significato.

2. Le cause della d. sono state attribuite a vari fattori. Alcune correnti psicologiche la fanno risalire a disturbi emozionali legati alle relazioni interpersonali famigliari; altre, a disturbi nell’evoluzione biologica o a un minimo danno cerebrale; altre ancora, a mal funzionamento dei processi cognitivi. Da queste diverse interpretazioni della causa della d. derivano anche differenti indicazioni terapeutiche. Occorre però ricordare come gran parte dei soggetti che nel corso dei primi anni della scuola elementare manifestano forme di d. evolutiva superi tale disturbo negli anni scolastici seguenti. Gli studi sulle d. acquisite a seguito di lesioni cerebrali, dovute a incidenti, ictus o altro, forniscono indicazioni utili per interpretare i differenti fenomeni di d. registrati. Questo è un campo di indagine privilegiato degli studi di neuropsicologia cognitiva.

Bibliografia

Jadoulle A.,​​ Apprendimento della lettura e d.,​​ Roma, Armando, 1978;​​ Boltanski E.,​​ Dyslexie et dyslatéralité,​​ Paris, PUF, 1982;​​ Sartori G.,​​ La lettura: processi normali e d.,​​ Bologna, Il Mulino, 1984; Cornoldi C. (Ed.),​​ I disturbi dell’apprendimento,​​ Ibid., 1991; Reid D. K. - W. P. Hresko - H. L. Swanson,​​ A cognitive approach to learning disabilities,​​ Austin, Pro-Ed.,​​ 21991; Ellis A. W.,​​ Lettura,​​ scrittura e d.,​​ Torino, SEI, 1992; Leddomade B.,​​ La d.,​​ problema relazionale,​​ Roma, Armando, 1992; McCarthy R. A. - E. K. Warrington,​​ Neuropsicologia cognitiva,​​ Milano, Cortina, 1992; Stella G.,​​ D., Bologna, Il Mulino, 2004; Trisciuzzi L. - T . Zappaterra,​​ La d. Una didattica speciale per le difficoltà nella lettura, Milano, Guerini, 2005.

M. Pellerey




DISOCCUPAZIONE GIOVANILE

 

DISOCCUPAZIONE GIOVANILE

Limitando l’area di osservazione alle dimensioni europee della d.g., si rileva un primo elemento quantitativo diversificante: l’incidenza della d. di coloro che hanno meno di 25 anni e la portata dei suoi problemi variano notevolmente tra gli Stati membri della Unione Europea. «Il problema è particolarmente sentito in Italia, dove, nel maggio 1994, oltre la metà dei disoccupati era al di sotto dei 25 anni, anche se tale cifra risultava considerevolmente inferiore a quella registrata nel 1985, quando superava il 60%» (Commissione europea, 1994, 147).

1. Al di là di adeguate precisazioni sulle variazioni quantitative del fenomeno (decremento del tasso di natalità, permanenza prolungata o parcheggio nei sistemi formativi) e sulle indiscusse caratteristiche strutturali del medesimo, occorre rilevare come si sia attualmente più attenti a collegare le analisi economiche a quelle sociali e, per quanto attiene la d.g., alle situazioni problematiche della transizione dei​​ ​​ giovani alla vita attiva. Le categorie dei giovani dai 15 ai 29 anni, nella crisi strutturale dell’occupazione delle società industrializzate, vivono infatti esperienze personali diversificate per condizionamenti oggettivi e soggettivi, a cui si sommano spesso i ritardi e i limiti degli interventi istituzionali rivolti a discriminare positivamente le categorie svantaggiate culturalmente, socialmente, economicamente (giovani del Sud, ragazze, emigranti, disadattati,​​ drop-out...).

2. Nei Paesi del Nord Europa, come nel caso della Francia, le conclusioni di recenti indagini sulla situazione dei giovani disoccupati individuano due modelli estremi di precarietà giovanile. Il primo, riferito a giovani che si presentano sul mercato del lavoro con il solo titolo della scolarità dell’obbligo, si caratterizza per una situazione di «differimento subito» della tradizionale istantaneità e contemporaneità del reperimento di un’occupazione-matrimonio-autonomia dalla famiglia di origine. Un secondo modello, tipico dei giovani che dispongono di un titolo di livello secondario generico o con professionalità limitata, rivela situazioni di «istituzionalizzazione della precarietà», che potrebbero instaurare un processo di fissazione o di regresso rispetto al responsabile inserimento nella vita adulta.

3. Nei Paesi del Sud Europa le ricerche rilevano situazioni più diversificate, da cui non sono estranei i modelli culturali interiorizzati dai giovani durante il positivo o negativo percorso scolastico-formativo, la configurazione del mercato locale del lavoro, l’incidenza degli interventi normativi e legislativi rapportati a particolari situazioni di ragazze e ragazzi svantaggiati. Rispetto al ruolo del sistema scolastico, la sesta indagine Isfol sui «percorsi giovanili di studio e lavoro» conferma i risultati di varie ricerche rilevando come il sistema scolastico italiano, in tutte le sue articolazioni, tende a sovradimensionare le aspettative di inserimento-successo-soddisfazione professionale dei giovani, accanto ad un servizio insufficiente di orientamento, nonché ad un processo di selezione a più stadi di tipo non solo meritocratico, ma determinato dall’ambiente sociale e culturale di appartenenza, al quale si accompagna, però, una certa nuova tendenza dei giovani ad effettuare scelte formative in funzione (o in vista) di un dato progetto o obiettivo professionale, anche se realizzabile da una ristretta fascia giovanile (Isfol, 1989).

4. Quanto alla configurazione del mercato locale del lavoro, i risultati delle ricerche confermano empiricamente un ampliamento concettuale dell’occupazione / d.g., evidenziando un​​ continuum​​ di situazioni e di ruoli assunti da un medesimo soggetto, con conseguenti forme di lavori saltuari o precari assunte perlopiù da studenti che cercano poco attivamente lavoro e da quanti lo cercano ma ne accettano solo di un certo tipo, rifiutando ogni altra opportunità (Zucchetti, 1991).

5. Infine, nel raffronto tra le iniziative legislative e le politiche dell’Unione Europea – più orientate a sostenere e qualificare l’apprendistato (​​ formazione professionale), i contratti a tempo parziale, i contratti formazione / lavoro si constata in Italia il prevalere della tendenza ad affidare le soluzioni di tali problemi ad interventi settoriali o alle dinamiche del mercato del lavoro sia ufficiale, sia informale o sommerso (Censis, 1987). Le prospettive di contenimento, più che di soluzione, del problema della d.g., soprattutto in Italia, sembrano richiedere sia interventi complessivi ed articolati, che segnino un superamento della fase dell’emergenza, sia il potenziamento di strategie di progetto.

6. Tra la fine degli anni 2000 e l’inizio del nuovo millennio si sono registrati in Italia un aumento costante dell’occupazione e una riduzione corrispondente della d. e questo per effetto della vitalità e maggiore flessibilità del sistema (Censis, 2006). A sua volta, la d.g. (gruppo di età 15-24 anni) cala dal 27, 1% del 2002 al 20, 6% del 2006; come si vede, anche se il progresso è notevole, tuttavia l’entità del fenomeno rimane sempre grave in quanto il tasso si colloca intorno a un quarto della popolazione. Il dato inoltre presenta una notevole variabilità e il problema riguarda maggiormente le femmine, il Sud e i laureati. Nel confronto con gli altri Paesi dell’Europa, se è vero che l’Italia presenta una bassissima propensione al lavoro che la svantaggia nella competizione con gli altri Stati, è anche vero che al 2005 il tasso di d. era inferiore alla media europea.

Bibliografia

Cavalli A.,​​ La gioventù: condizione o processo?,​​ in «Rassegna Italiana di Sociologia» 21 (1980) 519-542; Censis,​​ Rapporto sulla situazione sociale del Paese,​​ Milano, Angeli, 1987; Isfol,​​ Percorsi giovanili di studio e lavoro, Ibid., 1989; Zucchetti E.,​​ Approccio locale al mercato del lavoro,​​ in «Professionalità» 11 (1991) 2; Commissione Europea,​​ L’occupazione in Europa 1994,​​ Lussemburgo, Comunità Europee, 1994; Minardi E.,​​ Dove va il lavoro in Italia, Faenza, Homeless Book, 1999; Censis,​​ 40° rapporto sulla situazione sociale del Paese. 2006, Milano, Angeli, 2006.

P. Ransenigo




disturbi dell’APPRENDIMENTO

 

APPRENDIMENTO: disturbi dell’

Difficoltà o incapacità di raggiungere i livelli scolastici attesi dall’ambiente socioculturale.

1. Si possono distinguere due tipi di disturbi: a)​​ disturbi generali di a.​​ e cioè difficoltà presenti in tutte le aree dell’a., per cui si verifica un rendimento scolastico globale inferiore alla media. È possibile individuare l’origine di tali disturbi nei fattori:​​ fisici​​ (lesioni cerebrali, sordità, cecità, o altri handicap di carattere organico);​​ intellettuali​​ (inibizione intellettiva);​​ affettivi​​ (carenze affettive, presenza di un elevato livello di​​ ​​ ansia, disturbi nevrotici o psicotici, stati depressivi, iperattività);​​ familiari​​ (disturbi psichici di uno o di entrambi i genitori, conflitti coniugali, separazione o​​ ​​ divorzio, elevate richieste e attese da parte dei genitori circa il rendimento scolastico o all’opposto loro incapacità a motivare adeguatamente i figli allo studio, eccessiva rivalità fraterna alimentata da sistematici confronti da parte dei genitori);​​ socio-culturali​​ (condizioni economiche sfavorevoli, basso livello sociale dove non è presente come valore l’istruzione scolastica); b)​​ disturbi specifici dell’a.,​​ per cui compaiono difficoltà in un settore particolare dell’attività scolastica. I soggetti interessati a tali disturbi abitualmente hanno un QI normale.

2. I principali disturbi specifici dell’a. sono: la​​ ​​ dislessia e la​​ ​​ discalculia. Il termine dislessia (dal gr.​​ dis:​​ difficile e​​ lexis:​​ parola) sta ad indicare la presenza di una difficoltà di lettura, per cui soggetti scolarizzati e d’intelligenza normale denunciano una grave difficoltà a decodificare le parole stampate. Non si può parlare di dislessia se non dopo i 7 anni. Prima di questa età infatti gli errori di lettura sono banali e frequenti. Tale disturbo è abitualmente accompagnato anche dalla​​ disortografia​​ e cioè da una difficoltà a scrivere correttamente. Inoltre esso è più presente nei maschi che nelle femmine, in rapporto da 4 a 1, e nei soggetti di età scolare lo si riscontra in una percentuale che oscilla tra il 5 e il 15%. Non si è di fronte ad una vera e propria dislessia, se la difficoltà di lettura è connessa con disturbi presenti anche in altri settori di a. (aritmetica, storia, geografia). Le principali modalità di espressione della dislessia sono: confusione di lettere con grafia simile (e-a, l-h, m-n); confusione di suoni simili (p-d, v-f); inversione cinetica di alcune lettere nella parola (in-ni, al-la); confusione di lettere graficamente simmetriche (n-u); omissione o aggiunta di lettere, sillabe o parole; contrazione e deformazione di sillabe, lettere o parole; righe saltate; punteggiatura e tono inesistenti; non distinzione delle parole simili tra loro. Da segnalare che oltre alla dislessia esiste anche il disturbo dell’iperlessia.​​ Esso consiste nella capacità, superiore alla media, di decodificare le parole senza però capirne il significato.

3. Circa l’eziologia​​ della dislessia ci sono due grandi correnti: a)​​ teoria del singolo fattore​​ che individua la causa in una disfunzione del processo visivo-spaziale; b)​​ teoria multifattoriale​​ che vede la dislessia come il risultato dell’influsso più o meno accentuato di due o più fattori tra loro connessi. Possono essere: fattori genetici, disturbi cerebrali, mancinismo contrastato, turbe della comunicazione verbale, cattivo orientamento visivo-spaziale, debolezza uditiva; disturbi dello schema corporeo, identificazione inadeguata, fissazione o regressione affettiva, inibizione intellettiva, turbe della funzione simbolica, carenze culturali. Relativamente al peso che i fattori elencati rivestono, si possono distinguere diversi tipi di dislessia: a)​​ costituzionale.​​ È la più grave e la più difficile da curare. Essa è collegata ad una cattiva lateralizzazione, a disturbi del linguaggio, a perturbazioni gravi a livello dell’orientamento, con conseguenti disturbi a livello intellettivo e di personalità; b)​​ evolutiva.​​ È determinata dalla mancata individuazione del mancinismo fin dai primi esercizi scolastici o da un metodo difettoso di apprendimento; c)​​ affettiva.​​ È legata ad un blocco affettivo-relazionale.

4. Rispetto alla dislessia, la discalculia è più rara. Essa consiste in una difficoltà a comprendere ed utilizzare i numeri e quindi in una incapacità di effettuare operazioni aritmetiche elementari (addizione, sottrazione, ecc.) e conseguentemente, nelle scuole superiori, in un insuccesso nel campo della geometria, della fisica e della chimica, pur in assenza di una compromissione delle altre forme di ragionamento logico e di simbolizzazione. La discalculia è più presente nelle femmine che nei maschi. Nelle espressioni più correnti la discalculia è associata alla disgnosia digitale (difficoltà di riconoscere le dita) e all’aprassia costruttiva (difficoltà a riconoscere e a riprodurre i gesti e le figure nello spazio, come, ad es., un triangolo o una croce). La forma più completa di tale disturbo è la​​ sindrome di Gerstmann.​​ Essa comprende i seguenti sintomi: discalculia, disgnosia digitale, difficoltà di strutturazione spaziale e cioè indistinzione sinistra-destra, disgrafia, aprassia costruttiva, disprassia digitale. Circa l’eziologia​​ della discalculia vale quanto detto a riguardo della dislessia.

5. Si calcola che il 10-15% dei soggetti in età scolare denunci dei disturbi generali dell’a. e che il 5-10% sia coinvolto in un qualche disturbo specifico.

Bibliografia

Salzberger-Wittenberg I. - G. Henry-Polacco - E. Osborne,​​ L’esperienza emotiva nei processi d’insegnamento e di a.,​​ Napoli, Liguori, 1987; Jadoulle A.,​​ A. della lettura e dislessia,​​ Roma, Armando, 1988; Leddomade B.,​​ La dislessia. Problema relazionale,​​ Ibid., 1988; Cornoldi C.,​​ I disturbi dell’a., Bologna, Il Mulino, 1991; Tarnopol L. (Ed.),​​ I disturbi dell’a. nell’infanzia,​​ Roma, Armando, 1993; Van Hout A. - C. Meljac,​​ Troubles du calcul et dyscalculies chez l’enfant, Paris, Masson, 2004; Martini A.,​​ Le difficoltà di a. della lingua scritta. Criteri di diagnosi e indirizzi di trattamento, Tirrenia, Edizioni del Cerro, 2004; Pratelli M.,​​ Le difficoltà di a. e dislessia. Diagnosi,​​ prevenzione,​​ terapia e consulenza alla famiglia, Bergamo, Junior, 2004; Catalano Sanchez R. - M. C. Ruffini Lasagna,​​ Disturbi dell’a. scolastico, Roma, Armando, 2004.

V. L. Castellazzi




DIVERTIMENTO

 

DIVERTIMENTO

Le moderne enciclopedie definiscono ancora oggi il d. in rapporto a ciò che serve a svagare, a distrarre, a rallegrare lo spirito, a sollevare l’animo dalle cure quotidiane, dalle fatiche del lavoro, dalle preoccupazioni.

1. Dal punto di vista storico-fenomenologico, in realtà ogni civiltà ha saputo creare da sempre i propri «spazi» per divertirsi: i greci con le olimpiadi, i romani con i​​ circenses,​​ i medioevali con i tornei. Ai giorni nostri le occasioni per divertirsi sono espresse in variegate forme, contesti e dimensioni: si va dai d. che si possono fare nella​​ privacy​​ della propria abitazione alle palestre e ai ben attrezzati campi da gioco, dalla stampa ai programmi televisivi fino all’utilizzo di sofisticati​​ software​​ informatici, dall’ascolto individualizzato della musica alle discoteche / balere e ai concerti in piazza, dalle scampagnate al turismo organizzato, dalla partecipazione ad un gruppo informale di amici ai d. di massa. A seconda dei casi, quindi, il d. può essere suddiviso in base a differenti settori e bacini d’utenza; prolificano le associazioni ed i clubs con l’unico scopo di far divertire; l’organizzazione di feste e di spettacoli di massa rientra sempre più nei piani e nei bilanci delle amministrazioni pubbliche e degli Enti patrocinanti. Da quando c’è più tempo per divertirsi l’«industria del d.» ha moltiplicato le opportunità a tal punto da diventare un settore trainante dell’economia, della cultura e dell’immagine stessa di una società o di un Paese.

2. Dal canto suo, la sociologia ha predetto da anni l’avanzare di una «civiltà del d.», i cui macrofenomeni emergenti sono dati dalla diffusione del​​ ​​ consumismo, dalla universalizzazione dei prodotti attraverso la produzione di massa, dalla commercializzazione delle informazioni su base mass-mediale. Ma la gente si diverte davvero, ed inoltre si può considerare il d. un fattore fine a se stesso? Nell’inquadrare il fenomeno dal punto di vista psico-pedagogico, la concezione edonistico-evasiva del d. appare del tutto riduttiva, soprattutto se considerata in funzione delle potenziali opportunità formative che può offrire il d. Autori come J. Dumazedier tendono infatti a superare tale visione per inquadrarlo nell’insieme delle occupazioni circoscritte al tempo libero alle quali l’individuo si dedica sia per riposarsi e per svagarsi, ma anche per cogliere l’opportunità di formarsi, di partecipare alla vita sociale, di sviluppare le proprie capacità di libera espressione. Che differenza c’è allora tra il d. ed il​​ ​​ tempo libero? Effettivamente risulta difficile operare una distinzione tra i due concetti dal momento che il tempo libero ingloba anche il d., ed entrambi risultano strettamente correlati al fattore «tempo»: con l’aumentare del tempo libero e con il suo espandersi a livello di massa si sono moltiplicate parallelamente anche le occasioni (e / o le ragioni) per consumarlo divertendosi.

3. Tutto ciò richiama all’urgenza di intervenire in questo settore anche con delle proposte «formative». È questo il motivo per cui oggi il d. non può più essere considerato un semplice «momento accessorio» della società attuale, ma ne rappresenta piuttosto una funzione di vitale importanza in quanto è in grado di incidere e di contribuire alla trasformazione della stessa giocando al suo interno un proprio ruolo protagonista, facendosi cioè «spazio» e «momento» educativo. A questo punto il tentativo di inquadrare il d. in una «dimensione formativa» si fa tanto più urgente quanto maggiori sono le occasioni della sua espansione a livello di massa. Spetta adesso agli educatori riuscire ad occupare un tale spazio affinché diventi anch’esso un’«occasione-per-educare» (e non solo per divertire), riscoprendone i valori autentici di raccordo con la «qualità della vita», ed evitando al tempo stesso di relegarlo alla semplice funzione catartica di sfogo / evasione dai problemi del quotidiano.

Bibliografia

Huizinga H.,​​ Homo ludens,​​ Torino, Einaudi, 1968; Johannis T. B. Jr. - C. Neil Bull (Edd.),​​ Sociology of leisure,​​ Beverly Hills / London, Sage, 1971; Friedman M. et al.,​​ Gli ideali educativi.​​ Saggi di storia del pensiero pedagogico,​​ Brescia, La Scuola, 1972; Dumazedier J.,​​ Sociologia del tempo libero,​​ Milano, Angeli, 1985; Piccinelli R.,​​ Guida al piacere e al d., Ancona, EXA Media, 2005.

V. Pieroni




DIVORZIO

 

DIVORZIO

Il d. è, sotto il profilo giuridico, l’atto emesso da un’autorità riconosciuta con cui si pone termine al vincolo matrimoniale durante la vita dei coniugi, accordando ad essi il diritto di contrarre un nuovo matrimonio. Non vanno confusi con il d. né l’atto di​​ annullamento del matrimonio,​​ con il quale si dichiara che tra i coniugi non è mai esistito un legame coniugale, né la​​ separazione legale,​​ che consente o impone ai coniugi di condurre un’esistenza separata, ma non scioglie il vincolo matrimoniale.

1. In​​ Italia​​ il d. è stato introdotto per la prima volta con la legge 898 / 70 e confermato dal consenso popolare nel referendum del 12 / V / 1974. Lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio veniva regolato da precise condizioni, modificate poi a seguito dell’entrata in vigore della legge 151 / 75 di Riforma del Nuovo Diritto di Famiglia e soprattutto con la legge 74 / 87 che riducendo a tre anni (dai cinque già fissati) dalla separazione il termine minimo per presentare la domanda di d., ne ha semplificato il processo ed abbreviato i tempi. In tutti i​​ paesi occidentali​​ per il forte aumento della fragilità della famiglia e dell’instabilità coniugale il numero dei d. e delle separazioni legali è andato fortemente aumentando dal 1965 ad oggi. In​​ Italia​​ siamo passati dalle 5.600​​ separazioni​​ del 1965, alle 42.000 nel 1989, alle 45.754 nel 1992 (oltre 80 ogni 100.000 ab.), alle 48.198 del 1993, alle 60.281 del 1997, alle 71.969 del 2000, alle 79.642 del 2002. Per quanto riguarda i d.​​ l’andamento ha le stesse proporzioni, ridotte però di metà, e cioè dai 33.342 del 1997, ai 37.573 del 2000, ai 41.835 del 2002.

2.​​ Fattori concausali​​ nel processo di d. si ritrovano generalmente nei mutamenti storici dell’organizzazione economico-sociale, nell’individualismo affettivo, nella riduzione dell’interdipendenza economica tra marito e moglie, nell’ingresso sistematico della donna nel mercato del lavoro, nella maggior attenzione accordata alla ricerca della propria felicità individuale attribuita al matrimonio e a percorsi alternativi, nella riduzione del controllo e della riprovazione sociale, nella più ampia possibilità di contatti con l’ambiente esterno alla famiglia e di rapporti paritari all’interno della coppia, nello stesso rito civile di celebrazione delle nozze. Il d. giuridico però è sempre preceduto dal d. affettivo e psicologico che lascia sempre effetti negativi sia sui coniugi che sui figli.

3. In una prospettiva​​ psicologica ed educativa​​ il d. è percepito come un fallimento personale per non avere potuto realizzare quella felicità attesa e progettata nei primi tempi. Ammettere tale insuccesso, a sé, agli amici e ai parenti contribuisce a indebolire la propria immagine di sé. Sui figli la separazione dei genitori sconvolge la struttura delle identificazioni e delle relazioni oggettuali, provoca reazioni di aggressività, sensi di colpa e operazioni difensive e insieme protettive. Tutto ciò avviene anche se il d. è vissuto in forme differenziate secondo l’età, il sesso, la qualità del legame familiare, l’educazione ricevuta e la capacità di tollerare relazioni parentali non più lineari, ma traversate da forti interferenze. Forte però è il rischio che i figli riproducano nella propria coppia le stesse interazioni patologiche occorse ai genitori.

Bibliografia

Maggioni G.,​​ Il​​ d. in Italia,​​ Milano, Angeli, 1991; Barbagli M. - C. Saraceno,​​ Separarsi in Italia, Bologna, Il Mulino, 1998; Van Cutsem Ch.,​​ Le famiglie ricomposte, Milano, Cortina, 1999; Istat,​​ L’instabilità coniugale in Italia: evoluzione e aspetti strutturali, Roma, Istat, 2001; Bauman Z.,​​ Amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi, Roma / Bari, Laterza, 2004; Iori V.,​​ Separazioni e nuove famiglie, Milano, Cortina, 2006; Istat,​​ Matrimoni,​​ separazioni e d.-2003, Roma, Istat, 2007.

R. Mion




DOCIMOLOGIA

 

DOCIMOLOGIA

H. Piéron ha proposto di chiamare d. (dal gr.​​ dokimázo,​​ valuto, stimo, e​​ lógos​​ discorso sistematico, scientifico) lo studio dei problemi posti dalla​​ ​​ valutazione. Il termine è rimasto prevalentemente nei Paesi francofoni. In genere si preferisce parlare di «studio della valutazione scolastica» o si ricorre a denominazioni più settoriali (studio dei​​ ​​ voti, degli​​ ​​ esami, del​​ ​​ profitto),​​ per trattare le funzioni e le carenze del valutare.

1. Gli studi docimologici inizialmente (dopo la metà dell’Ottocento) hanno evidenziato la mancanza di validità e di affidabilità delle abituali valutazioni scolastiche. Sono state documentate così le discordanze emergenti tra più correttori posti davanti allo stesso prodotto e dello stesso correttore chiamato a valutare la medesima prestazione in tempi o in situazioni diverse. È stata segnalata inoltre la scarsa predittività degli esami d’ammissione. J.M. Rice, uno dei pionieri della​​ ​​ pedagogia sperimentale, ha dato inizio alle grandi inchieste sul profitto degli alunni, utilizzando strumenti tipificati per poter così fondare conclusioni utili per migliorare il sistema scolastico e fornire ai docenti termini di confronto al di là della loro esperienza (​​ standard). Nel 1931 la Carnegie Corporation ha finanziato una ricerca internazionale sugli esami finali nella scuola secondaria affidandola al Teacher’s College della Columbia University. Sono stati così pubblicati vari studi nazionali di notevole impegno. In questo modo l’importanza della d. è stata ufficializzata e si è avviato lo scambio tra studiosi di diversi Paesi. Ben presto dalla disamina dei voti si è passati alle loro correzioni statistiche e alla revisione di tutto il processo di valutazione, attraverso la messa a punto di strumenti di rilevazione del profitto di tipo oggettivo. Si è transitati così dalla prima fase critica della d. a quella propositiva, detta del​​ Measurement.​​ A questa si sono affiancati successivamente studi centrati sugli aspetti formativi della valutazione che ne hanno esteso gli strumenti e arricchito le strategie (Evaluation). Si è cercato quindi d’individuare i fattori che producono i dissensi e le anomalie docimologiche con vari paradigmi (cfr. ricerche di​​ ​​ Calonghi, Noizet e Caverni per es.). Attualmente il focus si è spostato sulla necessità di valutare in forma integrata i saperi scolastici e le acquisizioni dell’esperienza secondo le istanze del mondo reale (valutazione autentica,​​ valutazione di competenze).

2. Di fatto la d. si è ispirata per alcune soluzioni ai principi della​​ ​​ psicometria, ma lo stimolo efficace per il suo pieno sviluppo deriva dalla​​ ​​ didattica. Quest’ultima, al momento della verifica, ha bisogno di fatti certi a proposito delle innovazioni adottate e lo studio critico delle valutazioni è il momento base, che aiuta a fornirgliene.

Bibliografia

Piéron H.,​​ Examens et docimologie,​​ Paris, PUF, 1963; Bonboir A.,​​ La docimologie,​​ Paris, PUF, 1972; Calonghi L.,​​ Valutare,​​ Novara, De Agostini, 1983; Coggi C. - A. M. Notti (Edd.),​​ D., Lecce, Pensa Multimedia, 2002;​​ Dubus A.,​​ La notation des élèves: comment utiliser la docimologie pour une évaluation raisonnée, Paris, Armand Colin, 2006.

L. Calonghi - C. Coggi




DOMANDA EDUCATIVA

 

DOMANDA EDUCATIVA

L’esigenza di​​ ​​ formazione può essere letta come d.e. personale e sociale, individuale, di gruppo, comunitaria.

1.​​ La pedagogia dell’offerta.​​ Nel nostro tempo sembra abbastanza evidente la ambivalenza di una pedagogia dell’offerta. Essa parte solitamente da progetti, programmi e modelli da trasmettere e far accogliere: è normalmente pedagogia di obiettivi e progetti stabiliti altrove. La metodologia educativa assume il compito di dare attuazione a tali obiettivi o progetti, senza un momento precedente di metodologia pedagogica di ricerca nel campo, per rilevare la d.e. da cui partire e con funzione di riferimento costante lungo l’intero processo di risposta. Tale pedagogia e i sovra-sistemi, che stanno alla radice dell’offerta, presentano debolezze interne, anche a motivo del pluralismo contestuale o di critiche esterne di rifiuto da parte di minoranze non disposte a lasciarsi manipolare. Ma se le pedagogie trasmissorie vengono colte come lontane rispetto alla realtà viva di bisogni, attese e domande, tuttavia, oggi, si hanno nuove forme di proposizione di pedagogia dell’offerta. Adulti e giovani risentono o soggiacciono supinamente alle indicazioni e ai messaggi dei sovra-sistemi che impongono comportamenti e offrono risposte pre-confezionate ai loro scopi: ieri quelli politico-ideologici oggi quelli del neocapitalismo internazionale e del mercato mondializzato. I bisogni sono indotti, l’omologazione è provocata, il consenso e l’adesione catturati. Nel campo dell’educazione, la pedagogia dell’offerta si è presentata come esigenza di adeguazione al mercato del lavoro, al successo professionale e esistenziale all’altezza dei trend attuali, magari innestata su istanze di autorealizzazione, di buona qualità della vita, di accesso ai beni di consumo, di equità e correttezza sociale. Le ricerche, i progetti, i programmi, i libri dell’offerta educativa sono molto sofisticati e sistematici a riguardo, offrono ideali, ricette di soluzioni dei problemi, modi di acquisizione di competenze.

2.​​ Verso una pedagogia della d.e.​​ Rispetto ad una pedagogia dell’offerta sembra oggi importante una pedagogia della d. o forse meglio una pedagogia del campo-d. Essa potrebbe costituire un nuovo indirizzo di pedagogia interdisciplinare. Nella pedagogia della d. persone informate, sensibili, responsabili, competenti e attive, individuano – rispetto alla problematica umana e esistenziale attuale – un campo problematico emergente, personale e / o sociale, adulto e soprattutto giovanile, generale o particolare, speciale e / o specifico; lo leggono in termini educativi di bisogno e possibilità, cioè di d. di intervento valido e efficace per risolverne i problemi di qualità della vita in esso presenti e per promuoverne o consolidarne forme qualificabili come umanamente degne a livello di esistenza personale e comunitaria; analizzano situazioni, necessità, risorse e condizioni; elaborano progetti e programmi di risposta o quanto meno di proposta educativa. La rispondenza alla d. giudica la validità della risposta-proposta.

3.​​ La d.e.​​ In effetti, la d.e. nasce in profondità, nei luoghi e nei tempi della vita individuale e comunitaria, nel suo sorgere, nel suo crescere e maturare. Ma la vita non si sviluppa sempre pacificamente; per cause interne ed esterne trova spesso condizioni di ingiustizia e di esclusione, di oppressione e repressione, di dominazione e di strumentalizzazione manipolatrice, di conflitto e lotta, di difficoltà e limite, di debolezza e errore, di fragilità e peccato: perciò si fa​​ problema,​​ ma sempre​​ valore-problema,​​ in quanto i problemi sono situazioni problematiche della vita, delle persone, del mondo e del loro intrinseco valore. Così nasce nel campo e nei campi la tensione di appello interiore e quindi la invocazione implicita o espressa, e cioè la d. che chiede o vuole ascolto, attenzione, comprensione, cioè intervento di aiuto per la​​ soluzione​​ che liberi i valori di vita e ne risolva i problemi. La soluzione viene da​​ risposte​​ a quanto è palese nella d., aggiungendo e accettando​​ proposte​​ alla d. profonda, ad attese latenti e possibili che all’inizio sono al di là delle capacità di d. esplicita. Si delinea così il quadro completo della educazione personale, sociale, epocale, umana. La credenza e la fede religiosa, in genere e quella cristiana in particolare, vi scorgono l’ordine del trascendente e della grazia, che non ha tanto una d. diretta, ma piuttosto una risonanza nelle profondità dell’uomo fatto da Dio e secondo Dio, a sua immagine e somiglianza, animato da tensioni infinite. In ogni caso bisognerà impostare e prolungare un cammino di​​ ricerca​​ per individuare e definire contenuti, processi, progetti e programmi; per incrementare il dialogo e il confronto democratico. Il risultato atteso è la​​ condivisione ideale​​ e la​​ convergenza operativa.

4.​​ Il​​ campo-d. e i campi-d.​​ La comprensione della d.e. richiede un ulteriore approfondimento del​​ campo-d.​​ e dei​​ campi-d.​​ Il​​ campo-d.​​ totale di riferimento, intervento e azione è, idealmente, il campo della persona, ma realmente è il campo-umanità, campo delle persone oggi viventi sulla faccia della terra nella loro generalità. Bisogna definirne e assumervi pedagogicamente le d., progettare risposte per risolvervi pedagogicamente i problemi di vita e valore. All’interno di questi orizzonti planetari, per interventi e soluzioni più concrete sarà necessario individuare​​ campi-d.​​ particolari dove siano possibili analisi, interpretazioni, elaborazioni di progetti, piani e metodi di risposta. Non è difficile capire come oggi sia profonda, la d. globale e articolata di educazione diretta delle persone, ma anche di soluzione, attraverso l’educazione, degli enormi valori-problemi di vario genere, che inquietano i circa sei miliardi di abitanti della terra. Continenti, nazioni, gruppi e singole persone dilatano sempre più e meglio i loro stili di vita, ma vivono anche dilaniati da ingiustizie, oppressioni, impotenza, indegnità di vita, abbandoni fisici e materiali, culturali e spirituali. La d.e. si specifica nelle diverse d. particolari (e nei diversi campi di d.): quelle dei giovani, degli adulti, degli anziani, delle famiglie, dei gruppi, dei movimenti, dell’associazionismo, delle comunità, della società civile, dei diversi soggetti sociali, delle comunità locali, nazionali, internazionali, mondiali, umane.

5.​​ La pedagogia della d.​​ La d.e. chiede un’adeguata e congruente pedagogia. Di tale compito si possono delineare i momenti principali: a)​​ Assumere la d.​​ Le d. si formano nella intimità esistenziale dei vari campi, come concreti vissuti di bisogni, possibilità e tensioni. Si​​ formulano​​ a livello di coscienza implicita ed esplicita interna, sotto forma di interessi e di desideri, e a livello di espressione esterna, sotto forma di richieste di intervento e aiuto personale e sociale, intersoggettivo e istituzionalizzato. Devono​​ essere percepite e assunte,​​ da responsabili e competenti capaci di formulare e / o dare risposte. È indispensabile un filtraggio di qualificazione, di priorità, di organizzazione, ma non di esclusione o manipolazione, con partecipazione d’impegno e competenza. b)​​ Analizzare la d.​​ La realtà del campo-valore-problema deve essere analizzata in tutte le dimensioni che permettono di individuare con precisione la natura della d., le necessità che essa impone di risolvere, le risorse che offre, le condizioni interne e esterne di operabilità. Questo si ottiene ricavando i dati dai sovrasistemi in cui si colloca, e da cui deriva, dove cerca e progetta la soluzione: il sistema della​​ ​​ personalità (quale struttura, dinamica e situazione antropologica olistica e particolare); i sistemi di​​ ​​ appartenenza e partecipazione sociale, culturale, politica; i sistemi educativi paralleli e interferenti. Dopo di ciò si può pensare al progetto. c) «Educare» la d.​​ La d. del campo e dei soggetti interessati non può essere assunta grezza. Fin dai primi interventi è necessario aiutare i soggetti, gli ambienti, le istituzioni coinvolte, a definirne il senso vero e completo, ad approfondire carenze, soprattutto a rendere consapevoli aspetti e condizioni nascoste, che superano l’immediato, spesso solo simbolico e parziale, e che vanno esplicitati, sostenuti, promossi, consolidati. d)​​ Aprire alla proposta.​​ Avviene quasi sempre che la d. riveli tensioni e integrazioni che stanno al di là dei punti di partenza e di primo approccio. Non si tratta solo di aggiunte estrinseche, ma anche di comprensione della normalità dello stato di invocazione e di attesa che l’immediato contiene e rivela. La d. trova aperture e compiutezza, ma anche la proposta, che nasce per questa via, avrà garanzia di aggancio, di investimento dinamico favorevole per il consenso impegnativo.

Bibliografia

Lawton D.,​​ Programmi di studio ed evoluzione sociale. Dalla teoria alla pratica,​​ Roma, Armando, 1973; Girardi G.,​​ Per quale società educare?,​​ Assisi, Cittadella, 1975;​​ Furter P.,​​ Les systèmes de formation dans leurs contextes,​​ Berne-Frankfurt, P. Lang, 1980; Dalle Fratte G. (Ed.),​​ L’analisi dei bisogni. Prospettive teoriche e metodologiche emergenti da una ricerca in campo educativo,​​ Trento, Fed. Scuola Materna, 1983; Freire P.,​​ La pedagogia degli oppressi, Torino, EGA, 2002; Gianola P.,​​ Il campo e la d.,​​ il progetto e l’azione. Per una pedagogia metodologica.​​ Edizione a cura di C. Nanni, Roma, LAS, 2003.

P. Gianola - C. Nanni




DOMANDE NELL’INSEGNAMENTO

 

DOMANDE NELL’INSEGNAMENTO

Le d. sono azioni linguistiche generalmente usate per ottenere informazioni. Possono essere utilizzate in moltissimi contesti: nell’intervista, in prove di​​ ​​ valutazione dell’apprendimento, in contesti giuridici o in conversazioni con amici. Data la loro straordinaria efficacia nello stimolare un’attività della mente, sono state particolarmente studiate e ritenute uno strumento molto diffuso ed efficace per l’apprendimento. In questo ambito si distinguono due tipi di d.: d. rivolte direttamente durante una lezione; d. rivolte durante la lettura di un testo da apprendere.

1.​​ Tassonomie di d.​​ Il tipo di d. non è indifferente circa il processo mentale che induce; per questo si sono prodotte molte «tassonomie» (classificazioni) dei tipi di d. che possono essere utilizzate da un​​ ​​ insegnante. In genere la classificazione è costruita o in base ad una descrizione di processi mentali o in riferimento alla complessità del processo cognitivo che induce o in riferimento al «dove» può essere trovata la risposta. Si distinguono così d. che: a) spingono semplicemente ad un rilevamento o ricupero di informazioni (si chiede di: vedere, osservare, provare, nominare, ricordare, descrivere, contare); b) richiedono di stabilire un collegamento tra conoscenze nuove e previe (integrare, completare, descrivere, ricordare, definire, connettere, collegare, parafrasare); c) spingono ad un’analisi più approfondita (sintetizzare, analizzare, spiegare il perché, classificare, mettere in una sequenza, riassumere, stabilire analogie); d) pongono una sfida al pensare, immaginare e formulare ipotesi predittive, scoprire (applicare un principio, pianificare, giudicare, predire, inventare, inferire, ipotizzare, generalizzare, ecc.).

2.​​ Uso appropriato ed efficace delle d.​​ Non basta che l’insegnante sappia scegliere la d. che stimola maggiormente l’attività di riflessione. Egli deve anche saper usare questo strumento in modo appropriato. Numerose ricerche offrono un ampio ventaglio di indicatori che possono essere utili a questo scopo: a) contestualizzare la d.: creare cioè un clima non valutativo, dare un senso di libertà nel rispondere, saper trasformare la risposta sbagliata in una corretta, rilanciare ad un’ulteriore riflessione la risposta ricevuta; b) interpretare le diverse risposte dello studente: distinguere cioè tra risposta corretta, ma rapida e sicura, risposta corretta, ma esitante, risposta non corretta per mancanza di riflessione, risposta non corretta per carenza di conoscenza di fatti o del processo e reazioni diverse a seconda dei diversi tipi di risposta; c) dare tempo per la risposta: quanto più è alto il livello di attività cognitiva che la d. induce, tanto maggiore deve essere il tempo lasciato per trovare la risposta. Un tempo maggiore, oltre a garantire un maggior numero di risposte corrette, permette, anche risposte più articolate e complete; d) porre d. non superiori alle possibilità dello studente: una buona d. deve essere preparata esaminando le conoscenze previe che la risposta esige e i processi che richiede; e) fare d. chiare: strutture sintattiche complesse, d. multiple, uso di un lessico troppo astratto non facilitano la comprensione della d. e quindi rendono difficile una risposta; f) sviluppare le proprie conoscenze sulla materia di insegnamento; esse infatti migliorano la qualità e la pratica delle d.

Bibliografia

Anderson L. - C. Everston - J. Brophy,​​ An experimental study of effective teaching in first-grade reading groups,​​ in «Elementary School Journal» 79 (1979) 193-223; Rowe M. B.,​​ Wait time - slowing down may be a way of speeding up,​​ in «American Educator» 2 (1987) 1; Gall M. D. - M. T. Artero-Boname, «Questioning strategies», in T. Husen - T. N. Postlethwaite (Edd.),​​ The International encyclopedia of education,​​ Oxford, Pergamon Press,​​ 21995, 4875-4882.

M. Comoglio




DONNA

 

DONNA

Il termine d. da​​ dŏmna​​ (m), forma sincopata del lat.​​ domina​​ (signora, padrona) da​​ dominus​​ (signore, padrone), analogicamente al biblico «´​​ /​​ iššah», entra nella lingua nel 1294. Preposto a un nome femminile, conserva il senso lat. di qualifica nobiliare attribuita alle consorti di personaggi autorevoli o rappresentativi. Nel linguaggio comune indica la persona adulta di sesso femminile. Nel termine d. confluiscono opposte reazioni emotive socio-culturali e socio-religiose che vanno dall’esaltazione all’umiliazione / sudditanza, come pure polarità alternative, quali Eva / Maria, Diavolo / Angelo, Seduttrice / Consolatrice, Nemica / Rifugio. Spesso indica la d. in relazione, come figlia, sorella, sposa, madre dell’uomo. Difficilmente indica la d. concreta; in questo caso si usa il plurale. Spesso evoca la condizione asimmetrica della d. rispetto all’uomo, un’asimmetria che ha radici remote e persiste nonostante le azioni positive a favore della parità, come se non potesse essere eliminata, ma solo spostata in avanti.

1.​​ Dalla disputa all’autocoscienza femminile.​​ Nel 1595 Orazio Plata traduce e divulga l’opera di Acidalius Valens,​​ Disputatio perjucunda qua anonimus probare nititur «mulieres homines non esse»: «le d. non sono uomini», una tesi tanto ovvia da risultare ridicola, richiama però la​​ mens​​ misogina che identifica la persona umana con il maschio. Graziano (sec. XII) lo affermava sicuro: «L’immagine di Dio è nel maschio creato unico, origine di tutti gli uomini, che ha ricevuto da Dio il potere di governare come suo sostituto, perché è immagine di Dio unico. Ed è per questo che la d. non è fatta ad immagine di Dio» (Decretum Gratiani​​ q. 5, c. 33). È una concezione abbastanza generalizzata; è presente in numerose culture anche alternative tra loro; favorisce il transito indisturbato di stereotipi e resiste persino nella modernità: l’unità del genere umano si realizza nel maschio, il principe (archón) che rappresenta il principio (arché). Quindi, la d. è diversa dall’uomo nel senso che è inferiore, minore, bisognosa di essere custodita e sorvegliata. La coscienza dell’uguaglianza ancora nel sec. XVI è solo di d. dell’élite. Con il diffondersi della filosofia razionalistica, che fonda i diritti sulla comune natura umana, matura la consapevolezza dell’uguaglianza tra gli esseri umani che, però, viene più facilmente riconosciuta al servo che alla d. La Rivoluzione francese proclama l’uguaglianza, la libertà, la fraternità; diffonde le idee liberal-democratiche, redige la​​ Dichiarazione dei diritti del cittadino; non riconosce, però, la cittadinanza alla d. Olympie de Gougues viene ghigliottinata nel 1793 per la sua​​ Déclaration des droits de la femme et de la citoyenne​​ (1791). Le d. più consapevoli danno vita a movimenti di emancipazione, iniziano rivendicando dei diritti civili, ma progressivamente estendono la richiesta alla piena cittadinanza in ambito socio-politico, familiare e religioso. Negli anni ’60 dall’idea di emancipazione si passa a quella di liberazione con la denuncia dei sistemi culturali maschilisti che ritengono la d. il secondo sesso (S. de Beauvoir,​​ Il​​ secondo sesso,​​ 1948). Si accende un vivace dibattito sul rapporto dialettico natura / cultura. Le scienze antropologiche, specie quelle umanistiche, lasciano intravedere l’urgenza di superare la contrapposizione perché l’identità si costruisce dal convergere in unità di molteplici fattori, in particolare il patrimonio genetico, contesto, autodeterminazione del soggetto.

2. L’attuale percorso: tessendo rapporti,​​ cercando vie nuove.​​ Negli anni ’70 inizia una riflessione propositiva sulla differenza, talvolta espressa in forme radicali che inferiorizzano il maschile a vantaggio del femminile, ricalcando con il segno opposto le orme del patriarcato. Al di là di questi esiti, il movimento di pensiero con altre espressioni culturali, specie con la riflessione sulla reciprocità, ha offerto un contributo significativo: ha risvegliato in molte d. il desiderio e l’impegno di crescere in un’identità più profonda, rifiutando l’omologazione al modello maschile e valorizzando la propria e l’altrui diversità come risorsa; ha spinto anche l’uomo a mettere in crisi gli stereotipi e le ambiguità dell’antropologia​​ recepta; è sempre più condivisa l’idea che l’umanità è uniduale nel confronto e nella reciprocità di maschile e femminile. In questo percorso le ragazze, valorizzando le possibilità offerte dalla scolarizzazione di massa, hanno sovente superato i ragazzi: è la generazione femminile del sorpasso negli studi universitari, nelle qualifiche professionali, non però nei poteri decisionali. In questo itinerario di nuova consapevolezza va riconosciuto, non solo a livello ecclesiale, ma globale, il ruolo singolare svolto da Giovanni Paolo II che con la​​ Mulieris dignitatem​​ ha divulgato le acquisizioni emerse dagli studi delle d., specie della teologia al femminile, le ha ricontestualizzate nella​​ Lettera alle d.​​ e in altri interventi. Esse sono riproposte, poi, nel​​ Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa. Il Papa ha coniato l’espressione «genio femminile» (MD​​ 30,31;​​ Lettera​​ 9-12). È una via singolare per approfondire l’identità e la missione della d.: in questa via – teorica e pratica – sono coinvolti d. ed uomini in reciprocità, valorizzando le rispettive diversità, gestendo responsabilmente gli eventuali conflitti, per costruire una umanità più giusta e solidale.

3.​​ L’antropologia biblico-cristiana fonte di ispirazione per un nuovo umanesimo.​​ Molte studiose, di estrazioni culturali diverse, negli anni ’80 hanno interpellato le teologhe a mettere in luce i valori simbolici femminili presenti nella tradizione biblico-cristiana, in particolare nelle Sacre Scritture, specie i due racconti della creazione (Genesi​​ 1-3) e la vita e opera di Gesù, e nell’esperienza monastica e religiosa, specie le congregazioni religiose femminili di fine ’700 e ’800 dalle quali emergono d. che con il loro protagonismo anticipano alcune istanze del femminismo. Si individuano raccordi interessanti tra aspirazioni ed istanze umane, specie femminili, e messaggio biblico-cristiano. I due racconti della creazione evidenziano la fondamentale uguaglianza tra d. e uomo che insieme costituiscono l’immagine di Dio; indicano che la sessualità umana non è una semplice differenza fisica, ma è segno nel corpo della chiamata all’amore, che la d. non riceve la sua identità dall’uomo, né viceversa. Nella loro singolarità sono le uniche creature dell’universo che Dio ha creato per se stesse, offrendo loro il dono della sua comunione. Quindi, l’identità e la dignità della creatura umana sono inalienabili, perché radicate in Dio e in Lui giungono a pienezza; la specificità dei due non è isolamento, né la loro unione dice subordinazione della d. all’uomo. La persona umana, maschio e femmina, è un evento che accade davanti a Dio e da Lui è salvaguardata; è il vertice della creazione e suo garante a nome di Dio, con la missione di portarla a compimento. Gesù con la sua vita, la sua opera e la sua predicazione rivela il mistero della creatura umana, la sua bellezza: «vale più di tutti gli esseri dell’universo». Nel ricondurre la creazione al suo principio, la riscatta dal male, rivendica la dignità di immagine divina per ogni persona, al di là della sua appartenenza socio-culturale o religiosa, persino al di là della sua condizione morale. Così, poveri, piccoli, peccatori, d., tutti sono destinatari privilegiati del Regno. Smaschera le ideologie che inferiorizzano la d.; denuncia la doppia morale / la legislazione ipocrita che colpisce la d. adultera e rimanda libero l’uomo. Dichiara che ogni persona, al di là delle differenze di sesso, lingua, cultura, religione, è fatta per Dio, per rivelare / annunciare il suo Nome. La vede nella sua integralità: non divide lo spirito dal corpo, anzi nella resurrezione proclama la dignità della corporeità. Raccoglie i figli di Dio dispersi nell’unica famiglia, costituendo una comunità religiosa ove le gerarchie sono capovolte: il primo è l’ultimo, il capo è il servo; elimina ogni criterio di discriminazione; offre alla parità tra i sessi il fondamento che nessuna legge umana può eludere o misconoscere: Dio Amore. Le d. riconoscono, perciò, in Lui il loro liberatore e nel suo messaggio trovano una fonte alla quale attingere per dare senso alla vita. Maria è l’icona perfetta della d., espressione compiuta del genio femminile, proprio nell’accoglienza operosa perfetta del progetto del Creatore sulla sua creatura. Quale Nuova Eva, con Gesù, Nuovo Adamo, è punto di riferimento nel cammino verso la pienezza della d. e dell’uomo, non rappresentando simmetricamente gli attributi femminili (Maria) e quelli maschili (Gesù) ma, piuttosto, segnalando il principio biblico per cui Dio fin dall’inizio ha voluto l’umanità come maschio e femmina. Indicano, quindi, la via della piena realizzazione nella trasparenza dell’amore. In questo modo la differenza non è divisione, tanto meno contrapposizione, l’uguaglianza non è cancellazione dell’altra polarità, ma una reciprocità fondata su Dio e aperta all’universo. Oggi soprattutto è urgente ricomprendere questo messaggio per elaborare e tradurre in prassi un umanesimo nuovo ove le tre dimensioni – teologale, umanistica e cosmica – si raccordino in unità secondo il progetto originario della creazione in Cristo, ove la differenza d. / uomo sia valorizzata nel cammino di uguaglianza nella dignità e di differenza sessuale, oltrepassando ogni tentazione di predominio e ogni fascinazione di isolamento («Non è bene che l’uomo sia solo»). Il cammino è lungo. A livello personale dura tutta la vita che non è mai ripetizione, anzi è sempre libertà protesa verso il bene e il vero. Prendere la scorciatoia della identità costruita occasionalmente dalla libertà individuale, secondo il paradigma della «società liquida» (Bauman) o del mondo virtuale, non è un guadagno; è piuttosto una perdita, genera paura e solitudine, segna il regno del «superuomo» e l’eliminazione dei piccoli, radicale alternativa all’unità della famiglia umana. Lo documentano le fatiche dell’ONU nelle Sessioni della Commissione sulla condizione della d. (cfr. la 49a​​ CSW: 28.02-12.03-2005), come pure quelle dell’EU (cfr. iniziative per l’anno 2007 dedicato alla parità). Il cammino di identità della d. chiama in causa l’uomo e interpella le scienze dell’educazione.

4.​​ Le scienze dell’educazione.​​ Sono richiamate ad offrire il proprio contributo alla costruzione di un umanesimo nuovo, nel quale la coscienza della differenza sessuale non sia rimossa, ma alimentata; la dimensione teologale emerga sempre più come indispensabile per salvaguardare dai vari attentati la dignità della persona, specie della d. A livello educativo queste scienze vengono interpellate ad elaborare una vera educazione nell’identità sessuale in una corretta coeducazione ove siano eliminati gli stereotipi ed emerga la dignità di immagine di Dio. Per la realizzazione di tali obiettivi è necessario ed urgente ri-centrare la cultura in tutte le sue espressioni nel senso dell’antropologia uni-duale, oltrepassando il relativismo e accogliendo la prospettiva teologica. La d., quindi, pone la questione antropologica: come la d. è relativa all’uomo, l’uomo è relativo alla d., ed entrambi trovano la loro radicale identità nella relazione con Dio e da Lui sono fatti custodi dell’universo.

Bibliografia

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M. Farina