1

CODICE

 

CODICE

È una regola, o un sistema di regole, che stabilisce equivalenze tra un sistema di significanti (piano dell’espressione) ed un sistema di significati (piano del contenuto).

1. Pensato in questi termini esso svolge due fondamentali funzioni: a) comunicativa, dato che senza l’apporto di un appropriato intervento di codifica (e di decodifica) non è possibile alcuna comunicazione (senza una grammatica ed una sintassi la parola rimane muta); b) espressiva, in quanto non esiste un uso standard del c., ma esso si declina in rapporto alle diverse sensibilità degli emittenti (si può fare un uso convenzionale o poetico della parola con risultati chiaramente molto diversi). Il c. non è mai sperimentabile fuori da un contesto: esso cioè non opera mai isolatamente, ma sempre contemporaneamente e in maniera organica rispetto alla varietà di tutti gli altri c. Questi sono articolabili secondo un doppio criterio: sono c. in senso​​ verticale​​ i c.​​ generali​​ (quelli in base ai quali possiamo dire che il cinema è cinema),​​ particolari​​ (un certo modo di pensare il cinema),​​ singolari​​ (sono istituiti​​ ex novo​​ e appartengono spesso a un singolo testo); sono c. in senso​​ orizzontale,​​ invece, i c.​​ narrativi​​ (che comprendono le strutture narrative del testo, le regole linguistiche e le modalità di discorso impiegate nella sua costruzione), i c.​​ percettivo-figurativi​​ (iconici, scenografici, prossemici, cinesico-gestuali), i c.​​ linguistici e sonori.

2. Dal punto di vista sociologico il ruolo giocato dal c. è particolarmente importante come distintivo di un determinato​​ ​​ gruppo sociale o di una certa​​ ​​ cultura: nel primo caso, più che di c. è opportuno parlare di lessici, cioè di sottocodici costituiti da frasi gergali, modi di dire, espressioni dotate di senso esclusivamente all’interno del contesto linguistico entro cui sono utilizzati (si pensi allo​​ slang​​ delle minoranze etniche nelle metropoli americane, o al linguaggio dei gruppi giovanili); nel secondo caso il c. è strumento di produzione e organizzazione del sapere che contraddistingue una certa società in una determinata epoca storica, in modo tale che dalla conoscenza del c. dipenda l’accesso al sapere che esso struttura (è il caso dell’aristotelismo per il​​ ​​ Medioevo o dell’allegoria per il Barocco).

3. Il carattere condizionale del c. ai fini della comunicazione e il suo rilievo in ordine alla definizione di sottosistemi sociali e universi culturali rendono ragione della sua importanza pedagogica. La si può indicare in diverse direzioni: a) per quanto riguarda il rapporto tra c. e comunicazione educativa nella padronanza dei c. della comunicazione va individuata una delle competenze fondamentali dell’insegnante. Grazie a tale competenza è possibile da una parte attivare un’adeguata comunicazione didattica (facendo ricorso alla voce, al gesto, alla prossemica, agli strumenti tecnologici), dall’altra riconoscere nei c. della comunicazione attivati dagli alunni nella classe le loro aspirazioni, le loro difficoltà, il loro eventuale disagio; b) in continuità con questo discorso va registrata la rilevanza pedagogica di una conoscenza dei rapporti che legano il c. (i c.) con particolari gruppi sociali o contesti culturali per potere attivare in relazione ad essi una mediazione pedagogica adeguata. Nei diversi ambiti (didattico, formativo, pastorale) la conoscenza dei c. attraverso i quali un sistema socio-culturale si costruisce è funzione della possibilità di intervenire con efficacia sui soggetti che a tale sistema appartengono; c) un ultimo aspetto di importanza dei c. in contesto educativo va infine ricondotto ai media, in particolare i media digitali (Internet, telefono cellulare, videogiochi) che particolare rilievo dimostrano di avere nella attuale cultura giovanile. In margine a questi media è facile riconoscere come il problema stia nella conoscenza dei loro linguaggi, ovvero di tipo alfabetico. Educare al corretto uso dei c. significa in quest’ottica educare alla possibilità di comunicare in maniera responsabile, che è poi il primo essenziale obiettivo dell’educazione linguistica (​​ linguaggio).

Bibliografia

Eco U.,​​ La struttura assente,​​ Milano, Bompiani, 19853; Segre C.,​​ Avviamento all’analisi del testo letterario,​​ Torino, Einaudi, 1985; Ardrizzo G. (Ed.),​​ L’esilio del tempo. Mondo giovanile e dilatazione del presente, Roma, Meltemi, 2003; Rivoltella P. C.,​​ Screen generation. Gli adolescenti e le prospettive dell’educazione nell’età dei media digitali, Milano, Vita e Pensiero, 2006.

P. C. Rivoltella




CODIGNOLA Ernesto

 

CODIGNOLA Ernesto

n. a Genova nel 1885 - m. a Firenze nel 1965, educatore e pedagogista italiano.

1. Allievo dell’hegeliano Jaja, laureatosi in filosofia a Pisa nel 1910, dopo aver insegnato nelle scuole secondarie, divenne professore universitario di pedagogia, dal 1918 incaricato a Pisa, dal 1925 ordinario al Magistero di Firenze. Di orientamento idealista, vivamente partecipe nei dibattiti e nelle iniziative per l’innovazione scolastica, collaborò con​​ ​​ Gentile per la sua Riforma della scuola, specie per quanto riguarda il nuovo Istituto Magistrale. Fondò e diresse l’Ente nazionale di Cultura con sede in Firenze, che dal 1923 al 1934 ebbe la «delega» per la gestione di scuole elementari rurali «non classificate» in Toscana e in Emilia. Fondò e diresse importanti riviste scolastiche, pedagogiche e culturali: «Levana» (1922-1928), «La Nuova Scuola Italiana» (1923-1938), «Civiltà Moderna» (1929-1943): «forse la testimonianza più bella di quegli anni difficili» (Garin, 1974, 167), «Scuola e Città» (dal 1950). Con apertura anche alla cultura straniera (con lancio di​​ ​​ Dewey dopo la II guerra mondiale), diresse negli anni ’20 prestigiose collane presso l’editore Vallecchi, e, da lui fondata nel 1926, La Nuova Italia. Fu il fondatore e direttore dal 1944 della Scuola-città Pestalozzi di Firenze, ispirata a principi educativi di attivismo, cooperazione democratica, autogoverno. Scrisse numerose opere pedagogiche teoriche e di politica scolastica.

2. Devoto e Garin hanno distinto per C. tre periodi (Garin, 1974): uno di preparazione e attuazione della Riforma Gentile; uno, nella forte delusione per i cedimenti statali del Concordato del 1929, di dominante organizzazione e promozione culturale e editoriale; uno infine, con la Liberazione, di polemica laica per la difesa della scuola statale. La storia culturale di C., ha osservato Borghi, è segnata dalla costante attribuzione della «funzione primaria alla azione educativa», finalizzata alla promozione dell’«autonomia del pensiero e della volontà dell’individuo», in un’azione «liberatrice» esaltata prima a livello di coscienza e di cultura, poi in chiave attivistica e democratica, con un’opera concreta di emancipazione degli uomini impegnati e partecipi nel comune contesto di tutti. Un’«evoluzione paradigmatica» e storicamente esemplare e stimolante nella sua tensione e autorevole serietà.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ E. C.,​​ La riforma della cultura magistrale,​​ Catania, Battiato, 1917;​​ Il problema educativo,​​ 3 voll., Firenze, La Nuova Italia, 1935-36;​​ Educazione liberatrice,​​ Ibid., 1949;​​ La nostra scuola,​​ a cura di D. Izzo, Ibid., 1970. b)​​ Studi:​​ Izzo D. et al.,​​ Prospettive storiche e problemi attuali dell’educazione: studi in onore di E.C.,​​ Ibid., 1960; Garin E.,​​ Intellettuali italiani del XX secolo,​​ Roma, Editori Riuniti, 1974; Cambi F.,​​ La «scuola di Firenze»​​ (da C. a Laporta,​​ 1950-1975), Napoli, Liguori, 1982.

G. Cives