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CENTRO GIOVANILE

 

CENTRO GIOVANILE

Vi è anzitutto una questione terminologica che va chiarita. Da una parte la dizione c.g. suppone di assumere il termine come sinonimo (o quasi) di​​ ​​ oratorio (nel qual caso il più delle volte si unificano i due con la terminologia di oratorio-c.g.); dall’altra si suppone una certa differenziazione che esamineremo.

1. Il primo caso è frequente soprattutto fuori Italia, in particolar modo nei Paesi di lingua spagnola. In questi il termine «oratorio» rimanda non alle esperienze ricche che si legano alla tradizione italiana, come ambiente che nel suo insieme risponde al programma di educazione cristiana integrale della gioventù, soprattutto nel tempo lasciato libero da altre istituzioni e passando attraverso le domande più diversificate dei giovani; al contrario esso sta a indicare un luogo di accoglienza di ragazzi e giovani per le sole attività del​​ ​​ tempo libero, e soprattutto per il gioco (come appare a prima vista entrando in un «normale» oratorio: il ricreatorio), oppure come appendice della parrocchia soprattutto per la catechesi dei ragazzi (oratorio), e dunque con connotazioni che potrebbero sapere di passato e di un certo clericalismo. Il termine c.g. allora renderebbe meglio, con la sottolineatura dei destinatari specifici, l’insieme del «progetto». I referenti dei termini diversi sono comunque la stessa realtà che si vuole indicare. Nella realtà italiana in effetti quando si utilizza la dizione ampia oratorio-c.g. è per indicare tutto quell’insieme di progettualità educativa a favore dei giovani stessi, diversificando al suo interno, per le diverse fasce di età, itinerari formativi, attività, metodologie, e sollecitando i giovani a diventare gruppo-circolo e ad aprirsi maggiormente all’impegno nel volontariato socio-politico e nell’animazione educativa.

2. Nel secondo caso (quando si vuole distinguere tra oratorio e c.g.), si intende esprimere, rispetto all’oratorio, una specifica differenziazione. E allora l’oratorio viene inteso come un ambiente indirizzato ai ragazzi (fino alla preadolescenza), con prevalente apertura alla massa, con livelli di appartenenza vari e spontanei, con speciale sottolineatura dell’aspetto ludico ed espressivo, dove l’educazione viene continuata nella forma della socializzazione assieme alle altre agenzie educative, soprattutto la famiglia, e dove l’educazione religiosa avviene soprattutto attraverso la catechesi sacramentale. Il c.g. viene invece pensato come ambiente destinato ai giovani, con un prevalente rapporto di gruppo (gruppi giovanili), con un’organizzazione e aggregazione più determinate e con un peso decisivo dell’impegno umano-cristiano.

3. Nei due casi sono naturalmente i destinatari che determinano la diversità della realizzazione. Si può dire che nel c.g. i giovani sono non solo destinatari, ma promotori, soggetti attivi, assieme agli adulti-educatori, della loro personale formazione ed elaborazione di un progetto di vita, chiamati in causa e sollecitati a liberare le loro risorse e potenzialità, in attivo scambio con le proposte culturali e religiose, con una decisa spinta alla scelta vocazionale. Le proposte dunque diventano più esigenti, le iniziative più diversificate, il grado di coinvolgimento più stretto. Volendo indicare alcuni settori specifici di questo impegno giovanile, si possono citare i seguenti: il settore educativo animativo, quello socioculturale, quello socio-politico, di impegno per lo sviluppo e di educazione al servizio (servizio civile, volontariato, anche missionario), di ricerca anche vocazionale.

4. Negli ultimi anni, in Italia, si è notevolmente ridotto l’utilizzo del termine «c.g.» riferito all’oratorio in cui operano da protagonisti anche i giovani, oltre ai ragazzi e agli adolescenti, anche perché la società civile e le istituzioni del territorio (associazioni, partiti politici, assessorati…) hanno dato vita a numerosi centri di aggregazione, ambienti di incontro per adolescenti e giovani (ma anche per ragazzi più piccoli), aconfessionali e destinati a occupare il tempo libero extrascolastico ed evitare che i ragazzi lo trascorrano in strada o a casa perlopiù da soli. La comunità territoriale infatti si è resa sempre maggiormente conto della necessità di occuparsi dell’educazione dei propri ragazzi e ragazze e di organizzarsi e organizzare luoghi adeguati di aggregazione, di offerte soprattutto in campo espressivo e ludico. Il C. promuove così l’incontro tra soggetti diversi e abilita a una capacità e qualità specifica: la «socialità». Esso si propone dunque come palestra e come setting in cui sviluppare abilità e competenze sociali, e insieme come luogo di espressione del riconoscimento del valore e del funzionamento dello spazio sociale.

Bibliografia

Orlando V.,​​ Il​​ c.g. nella Chiesa e nel territorio,​​ in «I Quaderni dell’Animatore» 18, Leumann (TO), Elle Di Ci, 1985; CSPG,​​ Frontiere per gruppi giovanili,​​ Ibid., 1988; Id.,​​ Gruppi giovanili a servizio nella società,​​ Ibid., 1989; Vecchi J. E., «L’Oratorio salesiano: luogo di nuova responsabilità e missionarietà giovanile», in​​ L’Oratorio dei giovani: insieme per essere fedeli alla vocazione giovanile e popolare,​​ Roma, CISI, 1993, 55-72;​​ Atti del primo Meeting dei c. di aggregazione giovanile, Rovigo, 2006.

G. Denicolò




CERRUTI Francesco

 

CERRUTI Francesco

n. a Saluggia (Vercelli) nel 1844 - m. a Torino nel 1917, educatore e pedagogista italiano.

1. Di famiglia contadina, C. rimase orfano di padre a due anni; nel 1856 entrò come allievo nella prima istituzione educativa fondata da don​​ ​​ Bosco a Torino-Valdocco; si fece salesiano (1862) e fu ordinato sacerdote (1866). Ottenne il dottorato in lettere (1866) presso l’Università di Torino, dove ebbe come professore di antropologia e pedagogia​​ ​​ Rayneri. Nel 1885, chiamato al Consiglio generale dei​​ ​​ Salesiani, fu responsabile degli studi e della stampa. Rimase in carica fino alla morte, realizzando una significativa opera di organizzazione e promozione delle scuole salesiane e delle​​ ​​ Figlie di Maria Ausiliatrice.

2. La produzione letteraria di C. è ampia su svariati temi (letteratura, storia, religione, educazione e didattica); un centinaio di scritti riguardano argomenti pedagogici; fra di essi testi per gli istituti magistrali:​​ L’insegnamento secondario classico in Italia​​ (1882),​​ Storia della pedagogia in Italia​​ (1883),​​ Elementi di pedagogia​​ (1895),​​ Norme per l’insegnamento della aritmetica​​ (1897). C. collaborò in diversi giornali («L’Unità Cattolica», «La Stampa», «L’Italia Reale», «Il Momento») con scritti sulla politica scolastica del tempo e a difesa dei valori umanistici e cristiani della scuola. I suoi interventi furono apprezzati dal ministro della Pubblica Istruzione Paolo Boselli. Infine un nucleo significativo di scritti va individuato attorno al sistema preventivo:​​ Idee di don Bosco sull’educazione e sull’insegnamento​​ (1886),​​ Don Bosco educatore​​ (1898),​​ Una trilogia pedagogica: ossia Quintiliano,​​ Vittorino da Feltre e don Bosco​​ (1908),​​ Il problema morale nell’educazione​​ (1916).

3. L’autore è ritenuto il «sistematore delle scuole e degli studi» salesiani (Luchelli, 1917, 22) e «uno dei più fedeli interpreti del pensiero e del sistema pedagogico di D. Bosco» (Atti,​​ 1903, 151). Va ricordata anche la sua opera nell’ambito degli istituti educativi delle Figlie di Maria Ausiliatrice.

Bibliografia

a)​​ Fonti:​​ Atti del III congresso dei Cooperatori salesiani,​​ Torino, Tip. Salesiana, 1903; F.C.,​​ Lettere circolari e programmi di insegnamento (1885-1917). Introduzione, testi critici e note a cura di J. M. Prellezo, Roma, LAS, 2006. b)​​ Studi: Luchelli A.,​​ Don F.C. consigliere scolastico generale della Pia Società Salesiana,​​ Torino, S.A.I.D., 1917; Prellezo J. M.,​​ F.C. direttore generale delle scuole e della stampa salesiana,​​ in «Ricerche Storiche Salesiane» 5 (1986) 127-164; Id.,​​ Paolo Boselli e F.C. Carteggio inedito (1888-1912), in «Ricerche Storiche Salesiane» 19 (2000) 87-123.

J. M. Prellezo




CERTIFICAZIONE DEGLI APPRENDIMENTI

 

CERTIFICAZIONE​​ DEGLI APPRENDIMENTI

1.​​ Introduzione.​​ La c.d.a. rappresenta un’azione tesa a descrivere in modo sistematico le acquisizioni della persona ed a registrarle in modo condiviso tra i diversi attori del sistema educativo e del mondo del lavoro, con l’indicazione delle esperienze (formali, non formali ed informali) su cui tali acquisizioni sono state formate. La c. si riferisce a due categorie di fenomeni: a) le​​ competenze​​ intese come fattori che qualificano il grado di autonomia e di responsabilità della persona a fronte di specifiche categorie di compiti / problema dal rilevante valore personale, sociale e professionale; b) nel contempo, essa specifica le​​ conoscenze​​ e le​​ abilità, ovvero le risorse di cui la persona si è impadronita e che ha saputo certamente mobilitare nel lavoro di soluzione dei compiti / problema indicati. Nella c.d.a. debbono essere evidenziati i livelli di padronanza delle competenze, che possono essere indicati per gradi progressivi: basilare, adeguato, eccellente.

2.​​ Spiegazione. La spinta finalizzata alla elaborazione di strumenti atti a certificare gli apprendimenti delle persone deriva da tre cause differenti: a) la necessità di garantire la leggibilità e la confrontabilità degli esiti dei percorsi di apprendimento da parte delle imprese che necessitano di personale da impegnare nella propria struttura, tenuto conto della perdita di valore delle tradizionali declaratorie professionali; b) la necessità di consentire – entro grandi sistemi economici e sociali qual è l’ambito dell’Unione europea – la riconoscibilità degli apprendimenti così da consentire la mobilità delle persone ed il loro accesso ai vari sistemi sociali ed economici propri dei diversi stati nazionali; c) la necessità di finalizzare i percorsi formativi a vere e proprie competenze, ovvero non solo al sapere, ma alla sua attivazione effettiva da parte del soggetto nei contesti reali di impegno e dei compiti-problema che questi evidenziano.

2.1. In campo​​ scolastico​​ la c. mira a sollecitare un approccio per competenze e quindi a superare una metodologia eccessivamente centrata sulla didattica disciplinare per trasferimento di nozioni ed abilità, aprendo la strada ad una formazione più autentica in cui la persona è chiamata a confrontarsi con situazioni reali – più o meno problematiche – che sollecitano la sua attenzione, responsabilità e attivazione al fine di giungere ad una soluzione idonea e soddisfacente. Tali competenze della persona sono dimostrate dalla natura dei problemi fronteggiati, dalla metodologia di intervento, dalla capacità di superare crisi e difficoltà, dalla riflessione discorsiva sulle esperienze attraverso un linguaggio pertinente ed in grado di evidenziare tutti gli aspetti in gioco e quindi di «dimostrare» concretamente l’effettivo possesso del sapere.

2.2. In campo​​ professionale, la c. richiede innanzitutto un’intesa preliminare tra organismi formativi e strutture dell’economia intorno ad un metodo di descrizione delle competenze e ad un repertorio di profili professionali di riferimento per l’azione formativa; inoltre esige una convergenza di sforzi e di strumenti al fine di qualificare il percorso formativo con esperienze virtuali o reali entro le quali la persona sia sollecitata alla mobilitazione delle proprie capacità e risorse; infine richiede un’intesa circa la valutazione ed in particolare la validazione delle competenze acquisite, che rivestono in tal modo un significato non solo legale, ma sostanziale e condiviso. In tal modo la valutazione-c. non si realizza in rapporto a standard «scritti sulla carta», ma in riferimento alla concreta realtà di esercizio delle competenze indicate con il coinvolgimento diretto dei partner sociali. L’azione di c. non può pertanto essere concepita come una mera compilazione amministrativa di schede, ma rappresenta un’azione complessa di natura autenticamente sociale, tesa a soddisfare i seguenti criteri: a) la​​ comprensibilità​​ del linguaggio, che deve riferirsi – in forma narrativa e non quindi in modo stereotipato – a locuzioni e sintagmi che consentano ai diversi attori di visualizzare le competenze descritte; b) l’attribuibilità​​ delle competenze al soggetto tramite l’indicazione delle evidenze che consentano di contestualizzarle entro processi reali in cui egli è coinvolto insieme ad altri attori; c) la​​ validità​​ dei metodi adottati nella valutazione e validazione delle competenze stesse, con specificazione del loro livello di padronanza.

2.3. Circa il​​ modello di c., si prevedono normalmente due fattispecie: a) La c. è​​ legale​​ quando si riferisce al titolo di studio posseduto e indica il rapporto tra il possesso di tale titolo e l’effettiva padronanza delle acquisizioni che vi sono implicate. In tal modo l’atto certificativo risulta un’aggiunta – una sorta di appendice – rispetto alle prassi valutative ed amministrative proprie dei titoli di studio. b) La c. è​​ sociale​​ quando il certificato cui ci si riferisce rappresenta una documentazione composita che consente di rendere trasparente – quindi leggibile entro categorie comprensibili – la dotazione della persona di capacità, saperi, abilità e competenze, in riferimento alle esperienze entro cui queste si sono formate.

2.4. Nel caso italiano, la funzione certificativa risulta variamente citata nelle leggi relative al sistema educativo ed al mercato del lavoro, anche se il sistema difetta di una vera e propria​​ istituzione​​ di tale funzione, con l’indicazione degli organismi e delle figure professionali cui è fatta carico e delle metodologie e con la precisazione del valore di tali certificati per la persona che li possiede come pure degli impegni per i vari organismi una volta che questa esibisca documenti attestanti la sua preparazione. Infatti, l’oggetto della c. non va visto solo in chiave dichiarativa, ma anche valutativa. In questo secondo significato, esso rappresenta un​​ credito formativo, ovvero l’attribuzione alla specifica acquisizione certificata di un​​ valore esigibile​​ presso un organismo formativo, in vista del raggiungimento di uno specifico titolo. Essa quindi presenta un valore di accessibilità oltre che di risparmio del tempo previsto per coloro che non possiedono le acquisizioni dimostrate nel certificato.

2.5. Il​​ peso reale​​ (in termini di accesso alle azioni formative e di risparmio di tempo) di tale valore viene attribuito da parte dell’organismo ricevente, se questo riconosce la c. emessa da quello inviante ed attribuisce a questa c. un valore in ordine ad un quadro metodologico e descrittivo dei fenomeni oggetto dell’atto certificativo. Di conseguenza, il semplice rilascio di un documento certificativo da parte di un qualsiasi organismo non rappresenta di per sé un credito; perché un credito sia tale bisogna che ci sia un «potere» che lo riconosce o che impone alle organizzazioni coinvolte di riconoscerlo. Tale potere risulta da un’intesa condivisa dai diversi attori, in forza della quale si definiscono i criteri di individuazione delle acquisizioni ed il percorso formativo e relativo livello entro cui la persona può indirizzarsi.

2.6. I crediti formativi sono pertanto da intendere in senso sostanziale, ovvero non solo in riferimento allo sforzo necessario in termini di tempo per soddisfarli (è questa la concezione universitaria del credito), ma precisamente agli apprendimenti effettivamente posseduti e validamente accertati. Il credito inteso in senso sostanziale non può essere gestito tramite processi automatici. Esso richiede un approccio discreto, in grado di attribuire alla documentazione attestante gli apprendimenti il giusto valore in termini di personalizzazione del percorso formativo. Ciò richiede comunque un dialogo ed una negoziazione tra i soggetti coinvolti (organismo inviante, organismo ricevente, persona interessata). Ciò definisce un metodo di lavoro necessariamente relazionale e dialogico-narrativo.

Bibliografia

Schön D. A.,​​ Il professionista riflessivo, Milano, Dedalo, 1983;​​ Aubret J. - F. Aubret - C. Damiani,​​ Les bilans personnels et professionnels, Paris, Éditions Eap-Inetop, 1990;​​ Cepollaro G. (Ed.),​​ Competenze e formazione, Milano, Guerini & Associati, 2001; Comoglio M.,​​ La valutazione autentica e il portfolio, paper, Roma, 2001;​​ Ajello A. M. (Ed.),​​ La competenza, Bologna, Il Mulino, 2002;​​ CIOFS / FP,​​ Prova di valutazione per la qualifica: addetto ai servizi di impresa, Roma, 2003.

D. Nicoli