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CALASANZ José de

 

CALASANZ José de

n. a Peralta de la Sal nel 1557 - m. a Roma nel 1648, educatore spagnolo, santo, fondatore degli​​ ​​ Scolopi.

1. La vita di C. (noto in Italia con il nome di Calasanzio) trascorre in Spagna (1557-1592) e a Roma (1592-1648). Consegue il dottorato in teologia, lavora con vari vescovi, è precettore dei loro domestici. Con questa esperienza si trasferisce a Roma aspirando ad un canonicato; però non riesce nell’intento e arriva a dire, nel 1600: «Ho trovato a Roma il miglior modo di servire Dio, aiutando questi poveri ragazzi; non lo lascerò per nulla al mondo». Dal 1595 si dedica alle opere di carità in diverse congregazioni, tra cui quella della Dottrina cristiana, dove si impartisce l’insegnamento del​​ ​​ catechismo a fanciulli e fanciulle la domenica e i giorni festivi e si insegna ad alcuni a leggere, scrivere e fare di conto; sembra che si sia iscritto alla Dottrina cristiana nella seconda metà del 1599. C. vuole che questa Congregazione gestisca le scuole quotidiane e gratuite da lui fondate nella chiesa di s. Dorotea, ma non vi riesce.

2. In queste scuole, che chiamò «Scuole Pie» (come l’Ordine religioso che le ha fatte sopravvivere), la dottrina cristiana fu la materia principale. C. si preoccupò, tra l’altro, di trovare una metodologia catechistica diversa da quella utilizzata per le altre discipline scolastiche, benché anche la catechesi seguisse la​​ Legge del dinamismo​​ psicologico​​ da lui enunciata per tutte le materie: «Nell’insegnamento della​​ ​​ grammatica e in qualunque altra materia, risulta di gran profitto per l’allievo che il​​ ​​ maestro segua un metodo semplice, efficace e, per quanto possibile, breve. Per questo si metterà tutto l’impegno nello scegliere il migliore fra quelli indicati dai più dotti ed esperti nella materia» (Constituciones,​​ n. 216). Si seguirà, inoltre, un metodo uniforme, tenuto conto della regionalizzazione e della creatività dei maestri. C. vuole catechisti preparati, un programma ben strutturato, libri, tecniche e tempi adeguati. Benché inserito nel campo della ragione e della cultura, vi è un momento nell’apprendimento catechistico nel quale il fanciullo deve realizzare gli atti richiesti dalla fede che apprende; e tutti gli alunni devono fare la preghiera personale nel​​ ​​ collegio. Questo insegnamento deve essere sistematico, universale e uniforme e, tenendo conto delle scansioni scolastiche, si deve attuare sin dai primi anni e giornalmente. C. si serve del catechismo per le lezioni di lettura (compitazione, sillabazione ad alta voce). Nelle sere della domenica e dei giorni festivi il catechismo viene insegnato nelle chiese parrocchiali a tutto il popolo con una speciale partecipazione degli alunni. Nel noviziato, lo scolopio deve apprendere già «il modo di insegnare la dottrina cristiana» ed i catechisti debbono avere «la cultura e l’autorità che caratterizza il sacerdozio».

3. C. pubblicò un suo catechismo, intitolato​​ Alcuni misteri della Vita e Passione di Cristo Signor Nostro da insegnarsi alli scolari dell’infime classi delle Scuole Pie​​ (la​​ ediz., Roma, 1599; ultima, 1691). Utilizzò e fece utilizzare i catechismi di Bellarmino, Romano, di s. Carlo​​ ​​ Borromeo e le opere di C. Franciotti. Instaurò e mantenne per 50 anni nelle sue scuole (fondò 37 collegi in Italia, Germania, Polonia, Ungheria, Boemia e Moravia) un organizzato e completo movimento catechistico. Davanti ad un tribunale difese il diritto del povero all’educazione primaria e media elementare. Viene considerato il creatore della scuola popolare moderna (1597).

Bibliografia

Santha G.,​​ De sancti Fundatoris nostri in Confraternitate Doctrinae christianae Urbis,​​ praesentia,​​ industria,​​ muneribus,​​ in «Ephemerides Calasanctianae» 6 (1958) 149-161; Cueva D.,​​ Catequesis calasanciana,​​ in «Analecta Calasanctiana» 65 (1991) 109-134; Spinelli M.,​​ J.d.C.,​​ pionero de la escuela popular, Madrid, Ciudad Nueva, 2002.

V. Faubell




calcolo delle PROBABILITÀ

 

PROBABILITÀ: calcolo delle

L’aggettivo​​ probabile​​ (dal lat.​​ probabilis,​​ meritevole di approvazione, ma anche verosimile, credibile) viene usato in riferimento a qualcosa che può essere vero, essere accaduto o accadere, ma su cui non si è in grado di pronunciarsi con sicurezza. Il sostantivo p. può essere quindi usato per indicare la «qualità» di ciò che è probabile e, in modo più rigoroso, il grado di attendibilità (espresso numericamente) di ciò che è considerato probabile.

1.​​ Origini del calcolo delle p.​​ L’interesse per i problemi posti dai risultati del gioco (dei dadi in particolare) si sviluppa nel sec. XVII e vede impegnati uomini famosi. Se ne occuparono occasionalmente G. Galilei e N. Tartaglia. Il punto di partenza per lo sviluppo di un’organica teoria della p. è però rappresentato da alcuni problemi, sempre relativi ai giochi d’azzardo, posti da un assiduo giocatore, il Cavaliere de Meré, a Pascal. Questi non solo risolse i problemi proposti ma ne fece oggetto di scambi epistolari con Fermat, ponendo le basi per la riflessione sul concetto di p. e per la sua sistemazione in quel grandioso edificio matematico che è l’attuale calcolo delle p. L’argomento fu sviluppato in modo organico da G. Bernoulli, la cui opera​​ Ars conjectandi​​ apparve postuma nel 1713. Le riflessioni sulla p. trovano una sistemazione teorica nelle opere di P.S. Laplace, in particolare nella​​ Théorie analytique des probabilités​​ del 1812.

2.​​ Interpretazioni della p.​​ La nuova disciplina ha posto all’attenzione degli studiosi diversi problemi: il significato da attribuire al concetto di p.; il modo di esprimere numericamente (misurare) i valori di p.; la costruzione del calcolo delle p. Le principali soluzioni proposte si possono così riassumere. L’interpretazione classica​​ afferma che la p. di un evento è data dal rapporto tra il numero dei casi favorevoli (successi) all’evento stesso e il numero dei casi possibili, supposti ugualmente possibili. La definizione, presente in Bernoulli, è stata teorizzata da Laplace e largamente adottata fino ai primi decenni del Novecento. L’interpretazione frequentista​​ vede la p. come il «limite» della frequenza relativa di un evento casuale in una serie di prove ripetute nelle stesse condizioni, al crescere del numero delle prove. Si tratta di un punto di vista da tempo applicato in​​ ​​ statistica (previsione della mortalità, assicurazioni, ricerche in campo fisico, medico...). Supponendo la ripetizione delle prove, questa definizione non è applicabile ad eventi isolati (es.: previsione del successo di una squadra in una determinata partita). Inoltre non sempre è facile giustificare la costanza delle condizioni nella ripetizione di prove e anche il concetto di «limite» (che non coincide con quello matematico) suscita qualche perplessità. L’interpretazione logicistica:​​ la p. viene considerata come una relazione tra proposizioni, che permette di estendere il campo di applicazione della logica formale. La principale difficoltà al riguardo sembra quella dell’assegnazione di una «misura» (p.) dell’aspettativa di un evento. L’interpretazione soggettivistica:​​ la p. viene definita come grado di fiducia che una persona manifesta nei confronti dell’aspettativa di un evento. Essa rappresenta l’interpretazione più ampia di p. (ingloba le precedenti). L’impostazione assiomatica:​​ rappresenta il tentativo di costruire su basi solide l’edificio del calcolo delle p., assumendo come primitiva la nozione di p. ed enunciando alcuni assiomi che permettono di procedere in modo logico e coerente, come accade in altri campi della matematica (geometria, aritmetica). Suo iniziatore qualificato il russo A.N. Kolmogorov, che la propose in una pubblicazione del 1933. Essa è utilizzabile nel contesto delle diverse interpretazioni di p. sopra ricordate.

3.​​ Le distribuzioni di p.​​ Per la descrizione teorica e lo studio di fenomeni aleatori sono importanti le distribuzioni di p. Tra esse si indicano in particolare: 1)​​ La distribuzione binomiale:​​ è la più semplice da costruire, poiché basta utilizzare le «semplici» premesse ricordate sopra e ricorrere all’algebra e precisamente allo sviluppo delle potenze di un binomio (di qui il nome di distribuzione binomiale) per i calcoli. A questa distribuzione si perviene considerando prove che ammettono solo due risultati A o B (come nel lancio di una moneta: testa o croce). Eseguendo n prove nelle stesse​​ condizioni e con p. costante (e quindi q = 1 - p), la p. di ottenere x risultati (0 ≤ x ≤ n) favorevoli, per es. ad A (uscita di testa nel lancio di una moneta) è data da p(x) = (n) pxqn-x, termine generico dello sviluppo del binomio (p + q)n. Di questa distribuzione è possibile calcolare il valore medio (o atteso), che si dimostra essere μ​​ = np e la dispersione dei risultati attorno ad esso fornita da σ = √npq. 2)​​ La distribuzione normale:​​ a differenza delle precedenti, si applica alla descrizione di variabili casuali continue. Ad essa si può giungere sia considerandola come approssimazione della distribuzione binomiale (teorema di De Moivre-Laplace) o come modello matematico unificatore per presentare l’andamento degli errori di misura di fenomeni naturali (Laplace e Gauss – dal nome di quest’ultimo deriva anche l’appellativo di distribuzione gaussiana). Essa è caratterizzata dalla media μ e dalla varianza σ2.​​ Data la sua fondamentale importanza essa è stata tabulata [sono stati calcolati, per diversi valori di z (​​ statistica), le aree comprese fra la media (0) e i punti z stessi].

4. Modelli probabilistici.​​ Il ricorso a questi modelli, interessa ormai tutti i campi della ricerca e rappresenta l’insostituibile fonte a cui attinge abitualmente la statistica inferenziale per risolvere i suoi problemi. Anche un modello apparentemente semplice e relativamente facile da costruire come quello binomiale può prestarsi a molte applicazioni: nascite in famiglia (M o F); risposte a domande del tipo Giusto - Sbagliato; comportamento di un ratto in un labirinto (Destra - Sinistra). Di particolare importanza è la distribuzione normale. In primo luogo perché l’esame delle distribuzioni empiriche di alcuni fenomeni naturali (la distribuzione degli errori accidentali di misura in particolare) suggerisce spesso il ricorso al modello normale come il più adatto per lo studio della situazione. Ma l’importanza della distribuzione normale è sottolineata soprattutto dal fatto che essa si propone come buona approssimazione ad altre distribuzioni teoriche, laboriose e difficili da trattare.

5.​​ Significato educativo.​​ Nel ricorso ai modelli probabilistici occorre tuttavia considerare, oltre all’utilità pratica, il valore teorico. Le distribuzioni teoriche di p. descrivono l’andamento di fenomeni in situazioni di incertezza. Ciò permette di offrire un riferimento sicuro per la valutazione delle situazioni di vita (tra esse quelle educative), in vista di scelte (decisioni) tese a ridurre al minimo le possibilità di errore (non ad escluderlo, ovviamente). Di qui l’utilità di approfondire il significato del ricorso ai modelli probabilistici e di creare per tempo (anche e soprattutto a livello di scuola) interesse alla loro conoscenza e utilizzazione.

Bibliografia

De Finetti B.,​​ Teoria della p.,​​ voll. 1-2, Torino, Einaudi, 1970; Costantini D.,​​ Introduzione alla p.,​​ Torino, Bollati Boringhieri, 1977; D’Amore B.,​​ P. e Statistica, Milano, Angeli, 1986; Boffa M. - C. Caredda,​​ P. e insegnamento elementare,​​ Torino, SEI, 1990; Ottaviani M. G.,​​ Una bibliografia ragionata sulla didattica della P. e​​ della Statistica nella scuola, in «Induzioni», 1991, n. 2; Baldi P.,​​ Calcolo delle p. e statistica,​​ Milano, McGraw-Hill, 1992; Scozzafava R.,​​ Primi passi in p. e statistica, Bologna, Zanichelli, 1995; Orsi R.,​​ P. e inferenza statistica,​​ Bologna, Il Mulino, 1995; Dacunha-Castelle D.,​​ La scienza del caso:​​ Previsioni e p. nella società contemporanea, Bari, Dedalo, 2001; Bergamini M. - A. Trifone,​​ Elementi di​​ p. e statistica descrittiva, Bologna, Zanichelli, 2001; Prodi R. - M. T. Sainati,​​ Scoprire la matematica:​​ P.​​ e statistica, Milano, Corbi e Ghisetti, 2003; Negrini P. - M. Magagni,​​ La P., Roma, Carocci, 2005.

S. Sarti




CALONGHI Luigi

 

CALONGHI Luigi

n. a San Bassano (Cremona) nel 1921 - m. a Torino nel 2005, pedagogista sperimentale e docimologo, sacerdote salesiano.

1. Si è laureato in filosofia e teologia; specializzato in Psicopedagogia presso l’Università di Lovanio (Belgio) con R.​​ ​​ Buyse. È stato docente, direttore d’istituto, preside e Rettore della Pontificia Università Salesiana di Roma e professore ordinario all’Università Statale di Torino, Salerno e Roma.​​ è​​ stato Presidente dell’IRRSAE Piemonte. Ha collaborato attivamente al rinnovamento della scuola it. partecipando a convegni e commissioni tecniche del MPI. Particolare impegno ha dedicato dal 1977 al 1993 alla messa a punto della scheda di valutazione per la scuola media (D.M. 5.5.93).

2. Ha sviluppato ampie ricerche empiriche in ambito didattico e docimologico, validando strumenti di rilevazione e controllando ipotesi innovative con il supporto di affinate tecniche statistiche e di approfondimenti qualitativi (riflessione verbalizzata). Ha messo la ricerca a servizio dei problemi della scuola, predisponendo manuali, sussidi diagnostici, test e guide. Ha una vasta produzione scientifica che conta più di 50 voll.; oltre 60 contributi a voll. e quasi 200 articoli. È stato membro del comitato scientifico di numerose riviste; cofondatore di «Orientamenti Pedagogici» e della SIRD; consulente scientifico di sussidiari, testi di lettura, batterie di prove oggettive per la scuola elementare e media. Ha contribuito all’affinamento della metodologia della ricerca didattico-educativa, alla sua diffusione tra gli insegnanti e ha dato un contributo significativo all’introduzione delle teorie e delle pratiche della valutazione formativa nella scuola dell’obbligo italiana.

Bibliografia

C.L.,​​ Valutazione, Brescia, La Scuola, 1976; Id.,​​ Sperimentazione nella scuola, Roma, Armando, 1977; Nanni C. (Ed.),​​ La ricerca pedagogica didattica, Roma, LAS, 1997; La Marca A. (Ed.),​​ Ricerca,​​ educazione,​​ didattica. L’opera di L.C.: sviluppi attuali,​​ Palermo, Palumbo, 2006.

C. Coggi