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BIBBIA

 

BIBBIA

La B. è oggi largamente riconosciuta come il «grande codice» (N. Frye) della cultura occidentale ed ancora di più, per milioni di persone – da oltre venti secoli – vale come documento di fede, anche in ciò che concerne l’educazione. Ciò legittima una doverosa e critica attenzione ai valori che essa propone. L’argomento sarà pertanto affrontato da due punti di vista: quale educazione viene proposta dalla B.; come la B. in quanto libro sacro della religione ebraico-cristiana può essere valorizzata in funzione educativa, specificamente religiosa.

1.​​ La concezione di educazione nella B.​​ È doveroso dire subito che l’educazione in senso stretto non è un tema centrale della B. Essa fa delle affermazioni generali, dona delle indicazioni indirette, suscita conclusioni non di rado congetturabili. Danno una qualche luce documenti educativo-scolastici del medio oriente antico (Egitto e Mesopotamia) per i tempi prima di Cristo (AT), mentre per i primi cristiani (NT) continua a valere l’eredità ebraica, avendo sullo sfondo, ma non di più, la grande paideia greca e romana. Dalla B., è possibile raccogliere certe indicazioni fenomeniche ed insieme mettere in luce una propria concezione di fondo, la quale, data la natura della B., è eminentemente religiosa.

1.1.​​ Il fatto educativo.​​ Si possono distinguere due principali forme educative: familiare ed extrafamiliare. a) La​​ ​​ famiglia​​ è il referente costante e dominante, come in tutto il mondo antico. La testimonianza più qualificata è data dalla tradizione sapienziale dove numerosi sono gli insegnamenti per bene allevare i figli (es. Sir 30,1-13), con l’uso del termine tecnico dell’educazione ebraica:​​ musar​​ (rad.​​ jsr).​​ Quanto valore avesse tale educazione familiare appare dal fatto che nei libri sapienziali, e nel Deuteronomio, il saggio trasmette il suo insegnamento interpellando gli uditori con la formula «figlio mio» e propone se stesso come «padre» (Prv 1, 8; Dt 1,31; 32,8). Nei tempi cristiani continua la predominanza della famiglia (Ef 6,1-4). Un’eccellente affermazione sintetica riguarda lo sviluppo di Gesù ragazzo, del quale si dice che «era sottomesso» a Maria e a Giuseppe e «cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,51-52). L’educazione familiare è quella propria di una cultura patriarcale: la madre si cura dei figli in tenera età, poi subentra il padre che dà ai figli maschi una educazione che è essenzialmente formazione religioso-morale e professionale. b) La​​ scuola​​ e il contesto sociale. Più avanti nell’evoluzione sociale, al seguito della monarchia (sec. X-VI a.C.), si rende possibile una sorta di scolarizzazione in funzione dei bisogni della corte e dello Stato, ma come fatto elitario e assai circoscritto («scribi», 1 Cr 27,32). La scuola (la prima volta è nominata in Sir 51,23) prende estensione nel periodo del giudaismo (538 a.C.-70 d.C.), quando per la presenza del dominio straniero urge il bisogno assoluto di fare memoria delle tradizioni religiose e civili onde assicurare la stessa identità del popolo. c)​​ Contenuti e metodo.​​ I contenuti sono attinti dalle tradizioni e dalla sapienza degli antenati, come pure dall’esperienza del quotidiano (Ger 35; Sal 78,1-8; Gb 15,17-19; Prv 1-9), sono sempre finalizzati alla religione (Legge) che diventa così matrice culturale e veicolo di nazionalità. Insigne è la cura didattica, dove prevale lo stile orale, mnemonico, ricco di stimoli, come appare dalla qualità letteraria della B. È lecito pensare che alla scuola siano da collegare alcuni libri biblici o sue parti: la storia di Giuseppe (Gn 37-50), Tobia, Ester, Siracide, Sapienza. L’educazione, sia quella paterna, sia quella data dai saggi, è sempre concepita come una​​ severa disciplina​​ che implica abbondantemente la correzione e il castigo («chi risparmia il bastone, odia suo figlio», Prv 13,24; 3,11-12; Eb 12,4-11). Sarà l’evoluzione della rivelazione, con l’affermazione del primato della carità secondo Gesù Cristo, ad addolcire il metodo (Ef 6,1-4) e naturalmente a dare all’educazione (paideia​​ nel NT) una connotazione tipica dell’umanesimo cristiano.

1.2.​​ L’idea di educazione.​​ È necessario riconoscere che nella B., in quanto documento teologico, sta al primo posto, non l’educazione di una persona, ma la sua​​ salvezza religiosa,​​ grazie alla partecipazione all’alleanza e all’osservanza della legge di Dio. È lungo tale percorso che sono investite tutte le realtà naturali e dunque anche l’ambito educativo (educatore, educando, educazione) che ne viene intimamente trasformato. Il segno linguistico più espressivo appare dal fatto che Dio stesso si presenta come educatore. Ma qui conviene mettere in rilievo alcuni tratti di questa concezione credente di educazione. a) Nell’Antico Testamento,​​ notiamo come l’educazione sia intesa in funzione della celebrazione della fede nel rito della Pasqua, tramite le​​ catechesi eziologiche​​ o domestiche (Es 12,24-27; 13,8-9; Dt 6,20-25; Gs 4,6-7.21-22). Il ricordo dell’esodo, che tali insegnamenti richiamano, intende guidare il popolo facendogli prendere coscienza della portata sempre attuale di quello che Dio ha compiuto una volta per tutte al tempo di quella grande e decisiva liberazione ed alleanza. A questa funzione educativa che è propria della rivelazione storico-profetica (Os 11,1), se ne accompagna un’altra concezione, complementare eppur innovativa, propria della​​ riflessione sapienziale.​​ Dalle testimonianze della parte antica di Prv (10-29) si ricava che per i saggi scopo dell’educazione è il conseguimento della sapienza (Prv l,2s), cioè dell’abilità, affinata dall’esperienza, di risolvere concretamente i problemi posti dalle diverse situazioni di vita. Non dunque soltanto da una rivelazione dall’alto, ma piuttosto dall’interno delle realtà create da Dio, emerge un tracciato educativo da valorizzare. L’importante è essere guidati dal «timore di Dio, inizio della sapienza» (Prv 1,7), anzi «scuola della sapienza» (Prv 15,33). Da una parte la creazione con i suoi ordinamenti naturali, dunque anche la ragione, la ricerca, il sapere hanno valenza educativa e dall’altra parte queste acquisizioni non hanno valore assoluto, sottostanno al rispetto profondo del mistero trascendente di Dio (è il senso di «timore di Dio»). Si può parlare di un «umanesimo educativo in Israele» (G. von Rad), di «umanesimo devoto» (B. di Gerusalemme).​​ Tale e tanta è la fiducia in Dio, da accogliere con valore teologico le espressioni secolari proprie dell’umana ricerca anche in ambito educativo. Si accennava sopra al concetto di​​ pedagogia di Dio.​​ Vi è al proposito una concezione che – al seguito dei Padri della Chiesa (Ireneo,​​ ​​ Clemente Alessandrino, Origene...) – intende tutta l’opera di Dio nella storia come «pedagogia». Ma questa è una concezione talmente lata da diventare generica ed ambigua (così in G. E. Lessing). Stando ai testi dove a Dio sono associati i termini​​ musar​​ e​​ paideia​​ (40 volte nell’AT e 11 nel NT) si vede piuttosto che la «pedagogia di Dio» è una costruzione teologica al fine soprattutto di motivare, spiegandole, le sofferenze e i castighi del popolo di Dio. Non per nulla il motivo appare in testi storico-profetici, in Geremia in particolare, e chiaramente, nel NT in Eb 12,5-6. Pedagogia di Dio sono i «castighi» che purificano e correggono i costumi del popolo. b) Nel​​ Nuovo Testamento,​​ il credo religioso ha il suo centro assoluto nella persona ed opera di Gesù Cristo. Si affacciano così altri aspetti teologici che investono l’ambito educativo in misura di grande efficacia nella successiva tradizione cristiana. Ne nominiamo tre:

– La rivalutazione del bambino.​​ È noto come nel mondo antico, non solo ebraico, il minore avesse scarso rilievo. Si può dire che egli valesse per il suo futuro di adulto. Di conseguenza assieme alla naturale tenerezza si associa un rigore quasi crudele (2 Re 2,23s; Prv 13,24; 22,15). Nel farsi della Rivelazione un fattore importante di cambio si afferma quando il minore, il più giovane, diventa oggetto della elezione divina per una missione speciale nel popolo. Pensiamo a Samuele (1 Sam 1-3), a Davide (1 Sam 16). Ma soprattutto a Gesù, che accogliendo e difendendo i bambini e facendoli modello per l’entrata nel Regno di Dio (Mc 9,33-37; 10,13-16), è colui che esalta non la psicologia dei piccoli o qualche loro disposizione interiore particolare, ma la tenerezza di Dio a loro riguardo. Ne dovrà essere segnata qualsiasi azione nei loro confronti, in primis l’educazione.

– Gesù appare come didaskalos,​​ maestro.​​ Da Clemente Alessandrino fino ad oggi, Gesù «maestro» (41 volte nei vangeli) è stato compreso in senso educativo. Di fatto, come ha dimostrato R. Riesner, egli ha praticato ampiamente lo stile di rabbi del suo tempo, dove era notevole l’impianto pedagogico-didattico. Ma è anche vero che egli assai più che un maestro, è nativamente profeta carismatico, la cui autorità di docenza (Mc 1,22) è totalmente legata all’avvenimento del Regno, e dunque va compresa in chiave soteriologica, soprannaturale. Sicché è inutile, oltreché impossibile, ricavare una sorta di metodologia pedagogica rivelata, una didattica sacra. È stato infatti notato che in tale caso Cristo sarebbe stato un maestro piuttosto fallito, se badiamo alla conclusione della sua vita terrena.

–​​ La paideia del Signore.​​ Ma il testo più autorevole a riguardo dell’educazione appare in Ef 6,1-4. Rientra in una «tavola domestica», ossia in un codice etico che riguarda i rapporti familiari: tra sposi, tra padrone e schiavi e – nel caso nostro – tra genitori e figli. Vi si legge un rapporto di reciprocità: «Figli, obbedite ai vostri genitori», «e voi padri non inasprite i vostri figli». Cui si aggiungono le parole conclusive: «ma allevateli nell’educazione (paideia)​​ e nella disciplina del Signore (tou Kyriou)».​​ Colpiscono due aspetti: 1) l’estrema laconicità di direttive, quando anche per i primi cristiani si imponeva la rilettura del fatto educativo in chiave cristiana di fronte ad un attrezzatissimo e seducente mondo pagano; 2) la connessione tra due densissime parole,​​ paideia​​ che nel mondo greco del tempo, significa l’educazione compiuta come contenuto e come metodo, e​​ Kyrios,​​ Signore, che nel linguaggio paolino indica il Cristo risorto dai morti nel massimo della sua potenza ed attualità salvifica. Connettendo i due aspetti, si viene ad affermare che laddove (nelle famiglie cristiane) il​​ Kyrios​​ è accolto nella fede che si fa carità, allora la paideia si può realizzare, avvalendosi di quelle risorse che l’umana ricerca ed esperienza possono via via indicare. Questo pensiero, che è coerente con l’universo mentale paolino (Fil 4,8), indica germinalmente un fondamentale approdo della visione cristiana di educazione: il riferimento al​​ Kyrios​​ vale come ispirazione, animazione, verifica del compito educativo, ma non come concreta soluzione, che è da inventare volta per volta; né per sé esprime antitesi allo sforzo umano di educazione, ma anzi franca attenzione, pur trattandosi di ordinamenti naturali imperfetti e bisognosi di redenzione.

2.​​ La valorizzazione della B. nell’educazione.​​ È eminentemente di ordine religioso-cristiano, ma non manca un interesse culturale per la storia degli effetti che il libro ha prodotto lungo i secoli. a)​​ In relazione all’educazione della fede,​​ la B. si propone come documento della religione cristiana, necessaria memoria storica nel processo della fede, suo linguaggio normativo, esperienza della «Parola di Dio». A livello strettamente culturale, la B. aiuta a decifrare e riconoscere tanta parte del mondo di valori umani e dell’immaginario collettivo che sorreggono fino ad oggi la cultura occidentale. Studiosi di letteratura, di storia ed ermeneutica delle culture e di psicologia sociale e del profondo stanno esplorando progressivamente la vasta sedimentazione della tradizione biblica. b) Fra le tante​​ vie dell’incontro con la B.,​​ ricordiamo la catechesi biblica, segnatamente la pratica della storia sacra, l’insegnamento religioso nella scuola, le scuole della Parola con l’esercizio della​​ Lectio Divina​​ (​​ Gruppi di ascolto).​​ Oggi inizia ad affermarsi il grande cambio apportato dal Vaticano II: l’incontro personale con la B. in se stessa (Dei Verbum​​ 22) da parte, idealmente, di ogni cristiano e della comunità dei semplici fedeli. c) La​​ didattica della B.,​​ in quanto testo letterario fatto oggetto di studio, ha la sua legittimità e specificità. Importa incontrare un testo, lasciarsi interrogare da esso, lavorare sul testo, reagire ad esso. Di fronte al rischio del​​ ​​ fondamentalismo viene rivendicata la necessità del metodo storico critico, cui si possono accompagnare, in modo integrativo, non sostitutivo, metodi di tipo sincronico (come lo strutturalismo). Oggi si insiste sul bisogno di una assimilazione vitale del Libro Sacro. Ciò avviene mediante una corretta correlazione tra B. ed esperienza, o, come afferma C. Mesters, importa «saper leggere la B. con la vita e la vita con la B.».

Bibliografia

Jentsch W.,​​ Urchristliches Erziehungsdenken. Die Paideia Kyriou im Rahmen der hellenistisch-jüdischen Umwelt,​​ Gütersloh, C. Bertelsmann Verlag, 1951; Marrou I. H.,​​ Storia dell’educazione nell’antichità,​​ Roma, Studium, 1966; Bissoli C.,​​ B. e educazione.​​ Contributo storico-critico ad una teologia​​ dell’educazione,​​ Roma, LAS, 1981; Lemaire A.,​​ Le scuole e la formazione della B. nell’Israele antico,​​ Brescia, Paideia, 1981; Frye N.,​​ Il grande codice. La B. come letteratura,​​ Torino, Einaudi, 1986; Pontificia Commissione Biblica,​​ L’interpretazione della B. nella Chiesa,​​ Roma, LEV, 1993; Prellezo J. M., «Educazione e scuola nell’antico Oriente», in J. M. Prellezo - R. Lanfranchi,​​ Educazione e pedagogia nei solchi della storia,​​ vol. I,​​ Dall’educazione antica alle soglie dell’Umanesimo,​​ Torino, SEI, 2004, 7-35; Theissen G.,​​ Motivare alla B. Per una didattica aperta della B., Brescia, Paideia, 2005; Bissoli C., «Va e annuncia» (Mc 5,19). Manuale di catechesi biblica, Leumann (TO), Elle Di Ci , 2006.

C. Bissoli




BIBLIOGRAFIA PEDAGOGICA

 

BIBLIOGRAFIA PEDAGOGICA

Informa sui problemi educativi avvalendosi dei fondamentali scritti pedagogici. Si tratta di un concetto in fase di revisione, dato che il supporto materiale su cui è basato il pensiero educativo non si limita più esclusivamente alla carta stampata (libro, documento, fogli sciolti), ma può riferirsi anche ad ogni tipo di supporto magnetico o elettronico (microfilm, libri elettronici, videogrammi o registrazioni sonore).

1. Senza la conoscenza e l’aggiornamento della b., l’educazione potrebbe diventare un lavoro puramente empirico e abitudinario e la scienza pedagogica potrebbe risentire di notevoli ristagni. Essa richiede: rapidità di accesso, aggiornamento e riuscita, in modo che si possa organizzare in maniera economica. È sempre più complicato operare una cernita precisa dato l’alto numero di pubblicazioni sia teoriche che pratiche. È certo tuttavia che oggi la tecnologia è venuta in aiuto dello studioso mediante i mezzi elettronici che facilitano la ricerca e la selezione bibliografica. Lo scopo ultimo della b.p. è triplice: individuare il procedimento e le soluzioni offerte, individuare e applicare o meno il tipo di possibile utilizzazione delle soluzioni date in modo che esse aiutino a definire e a chiarire il problema attuale, a progettare il futuro ed infine approfondire lo studio e la ricerca dei problemi educativi passati e presenti. La b.p. si può suddividere in tanti settori corrispondenti ai contenuti della pedagogia generale oltre a quelli che costituiscono il campo definito​​ ​​ «Scienze dell’educazione» e che non sono propriamente pedagogici (storia, sociologia, biologia, ecc. dell’educazione).

2. I principali Paesi pubblicano annualmente o ogni pochi anni tutta la propria produzione letteraria: la fonte di queste pubblicazioni è l’ISBN (International Standard Book Number).​​ Le più importanti basi di dati sono attualmente EURYDICE, EUDISED, ERIC e FRANCIS-S. L’Unesco e l’Unione Europea ne hanno editato molte. Ogni nazione è solita avere alcune banche-dati di libri, riviste, leggi, biblioteche, ecc. di educazione. Tutte le reti nazionali possono accedere alla rete mondiale INTERNET (rete di reti o «autopiste di informazione») per l’accesso alla b.p.

Bibliografia

Juif​​ P. - F. Davero,​​ Manuel bibliographique des sciences de l’éducation,​​ Paris, PUF, 1968; BIE,​​ Bibliographie pédagogique annuelle,​​ Genève, Bureau International d’Éducation, 1955-1969;​​ Bibliographie Pädagogik / Educational bibliography,​​ Berlin, Verlag für Wissenschaft und Bildung, 1966-1992;​​ Proyecto B.I.B.E. - Project International Bulletin on Bibliography on Education,​​ Madrid, Coculsa, 1981-1996.

V. Faubell




BIBLIOTECA

 

BIBLIOTECA

Il nome che si usa in it. e in alcune altre lingue per indicare la b. si rifà etimologicamente al gr. ed è composto da due elementi:​​ biblíon​​ (libro) e​​ théke​​ (custodia). In ingl. invece il nome proviene dai vocaboli latini​​ liber​​ e​​ librarius: la b. si chiama​​ Library​​ e il bibliotecario​​ Librarian. Le b. sono oggi in una fase emergente, sia come reazione alla scossa dello sviluppo informatico, sia soprattutto per l’impegno dei bibliotecari e, particolarmente in Italia, per l’incentivo dell’Associazione Italiana B.

1.​​ Dall’origine delle b. all’era digitale. Nell’immaginario comune la b. è associata ai libri. Per b. s’intende di solito​​ lo spazio​​ o​​ l’edificio​​ dove i libri sono raccolti e ordinati sistematicamente. Tuttavia, propriamente parlando, più che con lo spazio fisico la b. s’identifica con la raccolta dei libri o con​​ diverse raccolte di libri unite insieme​​ (bibliografia: dalla stessa parola greca​​ biblíon​​ +​​ graphé, scrittura).

1.1. All’origine della b. – circa 4.000 anni fa – le informazioni importanti erano scolpite su​​ pietra,​​ legno​​ o​​ metallo​​ specialmente nei palazzi dei sovrani o in luoghi pubblici. Una abbondante documentazione scritta su​​ tavolette di creta​​ è stata trovata negli scavi di varie città antiche della regione mesopotamica e della Siria. In Egitto i testi si scrivevano su fogli di​​ papiro​​ e altrove su membrane di pelle o​​ pergamene​​ (dalla città di Pergamo, situata nell’attuale Turchia). Le pergamene cucite insieme costituirono i​​ rotoli​​ che contenevano di seguito testi anche lunghi, mentre ritagli di papiro o pezzi di pergamena, piegati in due e cuciti a mano tra di loro, costituirono i​​ volumi​​ a forma di libro, come si usa ancora ai nostri giorni con la​​ carta, stampata e rilegata meccanicamente. Si deve inoltre notare che nelle b. ci sono sempre stati i​​ supporti non cartacei​​ (iscrizioni e pitture murarie, bassorilievi e statue, monete e medaglie, mappe e strumenti vari) dai quali gli studiosi ricavano informazioni utili per le loro ricerche. È quanto avviene nelle b. storiche, per es. nella B. Apostolica Vaticana e in altre del genere, dove sono tutelate molte testimonianze raccolte lungo i secoli.

1.2. La distinzione tra b. e​​ ​​ archivio è stata introdotta in tempi recenti, separando alcuni documenti per garantirne meglio la loro custodia e la conservazione, soprattutto quando si tratta di originali autografi, copie uniche e pregiate. Analogamente altri documenti e soprattutto oggetti sono stati radunati nei​​ ​​ musei, che già nell’antichità affiancavano le b. più famose e solo da due o tre secoli hanno acquistato appunto una destinazione storica, scientifica, didattica o di​​ ​​ educazione artistica. Infine, da una sessantina di anni esistono i centri di documentazione, specializzati in particolari settori di studio e di ricerca, distinti dalle b. e continuamente aggiornati.

1.3. Nel XX sec. si sono sviluppate varie tecniche di riproduzione e di produzione di documenti. Oltre ai classici documenti scritti le b. hanno cominciato ad ospitare fotografie, microfilm, cassette, LP, nastri magnetofonici, CD, CDRom, DVD, ecc. Tuttavia da poco più di una decina di anni​​ Internet​​ consente di consultare e scaricare i testi dalla rete informatica. In tal modo il progresso tecnologico ha aperto prospettive talmente nuove da rendere possibile le cosiddette​​ b.​​ «senza pareti» o b. «virtuali». Fino agli ultimi anni del XX sec. ci si doveva recare nelle b. per consultare i libri oppure i volumi dovevano essere presi in prestito, quando il regolamento delle b. lo permetteva, mentre oggi si può comunque accedere direttamente ai documenti, quando essi sono​​ digitalizzati​​ e disponibili​​ on line.

2.​​ La b. e l’educazione tra isolamento e «villaggio globale». Superato lo stadio più antico della tradizionale trasmissione orale, è stata la b. il luogo dove si è andato raccogliendo, conservando e tramandando il patrimonio culturale dell’umanità. La diligente produzione dei copisti – dall’antichità greco-romana al periodo medievale – e l’inarrestabile espansione della stampa – da Gutenberg ai nostri giorni – confluirono nelle b. degli studiosi e dei mecenati, dei monasteri e delle università. Solo più tardi le b. hanno assunto la funzione di promozione sociale.

2.1. Le trasformazioni delle b. nel tempo e nei diversi luoghi – in contesti geografici, etnici, sociali e linguistici differenti – rispecchiano la storia della​​ ​​ cultura.​​ Non deve sorprendere perciò che da sempre la b. sia stata​​ un punto di riferimento fondamentale​​ per l’​​ ​​ educazione e per la​​ ​​ formazione​​ delle persone​​ e per le scienze, alla radice delle applicazioni professionali e tecniche. La cultura può essere intesa in senso ampio come l’insieme dei tratti che caratterizzano i diversi popoli, il loro modo di vivere e di essere e non solo come conoscenza acquisita. Nella percezione più diffusa e – bisogna riconoscerlo – nella storia stessa delle b., esse sono state «tabernacolo della cultura ‘colta’» piuttosto che dimostrarsi «crogiolo di cultura ‘allargata’», cioè sensibili alla «cultura della vita quotidiana» e aperte alla «cultura ‘popolare’».

2.2. Il panorama delle b. è molto variegato e propone un ventaglio di tipologie​​ secondo l’organizzazione e la struttura delle b., le risorse documentarie possedute dalle b. e la diversità degli utenti che frequentano le b.: dalle grandi b. alle più piccole, dalle b. pubbliche alle b. private, dalle b. nazionali o centrali alle b. regionali, provinciali, comunali e di quartiere, dalle b. specializzate alle b. di semplice lettura, dalle b. universitarie alle b. scolastiche, dalle b. popolari alle b. ambulanti, ecc. Di fronte ad una tale varietà è evidente che tra le b. debba esistere​​ complementarità piuttosto che concorrenza. Ognuno deve scegliere con cura quella b. che può rispondere meglio alle proprie esigenze. In India un famoso bibliotecario e studioso, Shiyali Ramamrita Ranganathan, aveva formulato già nel 1931 con parole molto semplici le seguenti regole: «1) I libri esistono per essere usati; 2) a ogni libro il suo lettore; 3) a ogni lettore il suo libro; 4) risparmia il tempo del lettore; 5) la b. è un organismo che cresce». Anticipava, in tal modo, un orientamento che è attualmente un dato acquisito.

2.3. Se nel passato il bibliotecario doveva occuparsi soprattutto della conservazione del patrimonio documentario della b., oggi egli è chiamato a portare l’attenzione sul​​ servizio agli utenti. Non si tratta di trascurare le risorse che la b. possiede, bensì di valorizzarle al massimo rendendole fruibili nel migliore dei modi. L’espansione dell’​​ informazione e la produzione editoriale hanno raggiunto ingenti dimensioni e un ritmo travolgente mentre la​​ rete informatica​​ ha aperto orizzonti inimmaginabili. Internet è divenuta una risorsa straordinaria, ma anche una galassia. La​​ potenza​​ di Internet è di mettere a disposizione tutto ciò che viene caricato e, allo stesso tempo, il​​ rischio​​ di Internet è di essere travolti da un fiume in piena di informazioni non organizzate.

2.4. È fondamentale non perdere di vista​​ in prospettiva educativa​​ che il compito delle b., come la missione delle scuole e dei maestri, non è solamente quello di trasmettere nozioni. La ricerca degli utenti nelle b., lo studio degli studenti che frequentano l’università e l’apprendimento degli allievi nelle scuole di ogni grado non si possono ridurre ad un processo di accumulo di informazioni.​​ L’educazione e la formazione​​ sono un esercizio di crescita,​​ di integrazione e di maturazione​​ che coinvolgono il soggetto stesso in un continuo «ricevere e dare» e in un’attività di​​ autentica e profonda​​ ​​ comunicazione.

3.​​ In sintesi. Le considerazioni fatte si possono riassumere nei seguenti enunciati, apparentemente paradossali: a) La b. è una realtà aperta che organizza e gerarchizza il sapere. Non ci si «rifugia» in b. per «chiudersi dentro», ma per «aprire una finestra sul mondo», per «aprirsi agli altri». b) Senza rinunciare alla funzione bibliotecaria originale molte b. stanno attualmente cercando modalità e strategie nuove per diventare esse stesse «spazi socioculturali» che offrono occasioni di condivisione e promuovono iniziative di aiuto scolastico e di dialogo su problemi concreti. c) Più che nel passato, le b. possono costituire «luoghi di socializzazione» e «spazi di confronto». Da soli, in camera di fronte al monitor, si ha l’impressione di «dialogare con il mondo», rischiando invece di «isolarsi narcisisticamente». d) Oggi le b., come le scuole e le università, si trovano di fronte ad una difficile scommessa: aiutare i propri utenti a passare dal «taglia e incolla» al pensiero critico, dalla «smania dell’informazione facile» all’apprendimento e alla conoscenza creativa.

Bibliografia

Associazione Italiana B.: http: / / www.aib.it; Solimine G.,​​ La b. Scenari,​​ culture,​​ pratiche di servizio, Roma / Bari, Laterza, 2004; Gamba A. M. - M. L. Trapletti (Edd.),​​ La b. su misura. Verso la personalizzazione del servizio, Milano, Bibliografica, 2007; Tamaro A. M. - A. Saltarelli,​​ La b. digitale, Milano, Bibliografica, 2007; Guerrini M. el al.,​​ Biblioteconomia. Guida classificata, Ibid., 2007.

J. Picca