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BONTÀ

 

BONTÀ

La b. è eccellenza nell’essere e nel fare; è promozione del bene nella linea dei bisogni fondamentali e dei progetti esistenziali di vita; è espressione di autorealizzazione. Essa soddisfa​​ i bisogni di appartenenza e di stima,​​ i quali dispongono ad una positiva identità personale e sociale​​ (​​ Maslow).

1. La b. orienta nei fini e nei metodi educativi. La b. dei fini attiva la b. dell’essere; la b. nel fare manifesta la b. dell’essere. L’esperienza della b. «ricevuta» stimola le energie interattive di appartenenza nella sicurezza dell’identità sociale, e quelle di stima d’identità personale, base diretta dello sviluppo nell’auto-realizzazione. L’eccellenza dell’esser buono è unita alla competenza del ben fare. L’​​ ​​ educando abbisogna dei segni di b. e di​​ ​​ amorevolezza; si sente stimolato se si sente amato. La b. è accettazione positiva incondizionata (​​ Rogers): ci sono sempre delle ragioni per amare, e l’amore è l’ottimo stimolo per un funzionamento ottimo.

2. L’​​ ​​ educatore buono è un «essere-per-l’altro». Egli dispone di risorse di benevolenza-b.: obiettività, generosità, tolleranza, delicatezza, modestia, empatia, cordialità, collaborazione, compassione, affetto, allegria. La b. genera fiducia: la fiducia garantisce l’efficacia dell’​​ ​​ intervento educativo, e fonda l’accettazione vicendevole. Pure l’obbedienza è conseguenza naturale della fiducia e della b. La b. definisce l’educatore nell’uso del potere. La forza della b. desta apertura e ricettività, apre all’​​ ​​ obbedienza: questa è conseguenza della fiducia in un clima di libertà e spontaneità. Così, si promuove, nell’ordine, la speranza del bene. La b. introduce l’educazione nel «sistema della b.». L’educatore buono, per la sua buona eccellenza e la sua buona competenza, fa buoni gli educandi. Lo stile delle relazioni definisce l’educatore: la b. è stile che facilita il bene dell’identità personale e sociale. La b. fa buono l’educando in eccellenza e competenza: nella cultura della volontà d’amore.

Bibliografia

Pavanetti E.,​​ La bondad. Ensayo,​​ Madrid,​​ Oriens,​​ 31963;​​ Remplein H.,​​ Psychologie der Persönlichkeit,​​ München, Reinhardt,​​ 61976; Gatti G.,​​ Professione: educatore cristiano; le sue risorse: religione,​​ ragione,​​ amorevolezza,​​ testimonianza,​​ coscienza dei propri limiti, Leumann (TO), Elle Di Ci, 1995; Todisco O.,​​ Averroè nel dibattito medievale: verità o b.?, Milano, Angeli, 1999.

A. Sopeña




BORROMEO Carlo

 

BORROMEO Carlo

n. ad Arona nel 1538 - m. a Milano nel 1584, riformatore ed educatore religioso, santo.

1.​​ Vita.​​ Figlio del conte Gilberto, feudatario di Arona, viene fatto abate a 12 anni, si laurea in diritto a Pavia a 21, viene chiamato a Roma dallo zio, il papa Pio IV, come cancelliere della Chiesa e nominato cardinale e arcivescovo di Milano a 22. A 27 anni, dopo la morte del papa, fa ingresso nella sua diocesi e lavora alacremente alla riforma di essa e delle diocesi suffraganee, adoperandosi per la riapertura e conclusione del Concilio di Trento, fino alla morte, vent’anni dopo, all’età di 46 anni.

2.​​ L’opera educativa.​​ B. fu un grande organizzatore, il massimo del sec. XVI. Organizzò il Concilio e la vita ecclesiastica; diede le​​ Regole​​ per organizzare i Seminari, le​​ ​​ Scuole della Dottrina Cristiana, il clero e le confraternite; organizzò la carità in tempo di carestia, i soccorsi durante la peste. Promosse scuole e collegi per l’educazione dei laici. Incaricò l’umanista​​ ​​ Antoniano di scrivere il trattato​​ Dell’educazione cristiana dei figliuoli,​​ e il card. Valerio di comporre un’opera di retorica. Fondò nel seminario di Milano una tipografia per la diffusione della buona stampa. Personalmente e con il gruppo degli amici si era interessato, fin dagli anni di Roma, di dispute letterarie e teologiche, dimostrando di possedere una solida cultura.

3.​​ Il​​ contributo all’educazione religiosa.​​ Fondò o restaurò i santuari di Rho, Varallo, Cannobio, ecc.; promosse il rito ambrosiano. Passò alla storia come il modello del nuovo vescovo riplasmato dal Concilio di Trento, le cui decisioni venivano prese a modello in innumerevoli altre diocesi. Promosse vigorosamente l’educazione e le​​ ​​ Scuole della Dottrina Cristiana, inserendole nel cuore della pastorale parrocchiale; a Milano, durante il suo episcopato, esse passarono da poche decine a 740, con circa 50 mila iscritti. Diede loro figura giuridica, impegnandosi personalmente a stenderne le​​ Regole,​​ entrate in vigore fin dal 1579, anche se stampate solo nel 1585. Il governo delle Scuole e della Compagnia della Dottrina Cristiana viene centralizzato a livello diocesano. Particolarmente intensa è l’insistenza sulla conversione e sulla pietà personale del maestro catechista e di tutti i membri della Compagnia e sul loro spirito comunitario. San Carlo vuole che le classi siano piccole: da 4 a 6 fanciulli / e. La separazione dei sessi è di rigore. Il tempo è la domenica pomeriggio. Si usano premi piccoli e grandi, e severi castighi per i renitenti. Grande importanza assume la disputa / gara, non a scopo didattico, ma dimostrativo e selettivo.

Bibliografia

Premoli O.,​​ S.C.B. e la cultura classica,​​ in «La Scuola Cattolica» 45 (1917) 427-440; Mols R.,​​ St. Charles Borromée,​​ pionnier​​ de la pastorale moderne,​​ in «Nouvelle Revue Théologique» 79 (1957) 600-622; Deroo A.,​​ S.C.B.,​​ il cardinale riformatore,​​ Milano, Ancora, 1965; Giuliani A.,​​ La catechesi a Milano nel secolo di S.C.,​​ in «La Scuola Cattolica» 118 (1984) 580-615; Toscani X.,​​ Le «Scuole della Dottrina Cristiana» come fattore di alfabetizzazione,​​ Novara, Studi Novaresi, 1985.

U. Gianetto




BOSCO Giovanni

 

BOSCO Giovanni

n. nella località dei Becchi nel comune di Castelnuovo d’Asti nel 1815 - m. a Torino nel 1888, educatore italiano, fondatore della Società di S. Francesco di Sales (Salesiani di Don B., SDB) e dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA).

1. Don B. nasce al termine del periodo rivoluzionario-napoleonico (1789-1815) e la sua formazione culturale e sacerdotale (1815-1844) si compie in piena Restaurazione: prima in ambiente socio-religioso rurale, poi nella cittadina di Chieri, infine a Torino, capitale del regno sardo (Piemonte, Liguria, Sardegna, contea di Nizza e ducato di Savoia), una delle dieci entità politiche nelle quali era stata divisa l’Italia al Congresso di Vienna. Giovanni è il figlio minore in una famiglia di modesti agricoltori, costituita dai genitori Francesco e Margherita Occhiena, la nonna paterna, il fratellastro Antonio, il fratello maggiore Giuseppe. Orfano di padre a 21 mesi (1817), apprende i primi elementi del leggere e dello scrivere da un sacerdote di un paese vicino, fa la prima comunione nel 1826, è garzone di campagna dal febbraio 1828 all’autunno 1829, frequenta la prima scuola elementare regolare dal dicembre 1830 all’estate 1831. In quattro anni percorre a Chieri le sei classi del «collegio» (la prima inferiore, le tre classi di grammatica, l’anno di umanità e quello di retorica) e, in seminario (1835-1841), i due anni del corso di filosofia e, in quattro anni, i cinque del corso di teologia. Sacerdote nel giugno del 1841, durante il triennio di qualificazione pratico-pastorale nel Convitto Ecclesiastico di Torino (1841-1844) ha i primi contatti con ragazzi immigrati dalla campagna e dalla montagna in cerca di lavoro o incontrati in sporadiche visite nelle carceri o nelle strade e piazze della capitale subalpina.

2. Nel biennio 1844-1846, assunto in una delle opere della nobile vandeana Juliette Colbert vedova del marchese Falletti di Barolo, dà forma al suo «oratorio», in gran parte ambulante. Si rivelano subito due caratteristiche fondamentali della sua personalità: mentalità e cultura ispirata alla religiosità popolare delle origini, arricchita dalla familiarità con libri di storia ecclesiastica, affinata nel Convitto grazie allo studio della morale alfonsiana assimilata soprattutto nei suoi aspetti applicativi (in particolare nella pratica del sacramento della confessione e nella direzione delle anime); insieme, vivacità di intelligenza pratica, coinvolgente intuizione delle problematiche situazioni umane proprie di una città in crescita, concretezza realizzatrice. Dal novembre del 1846 Don B., che in estate si era sciolto da ogni impegno con la Barolo, si dedicava a tempo pieno al suo oratorio, stabilito all’estremo nord-est di Torino, nel borgo Dora, località Valdocco. Ivi perfeziona e amplia le sue iniziative benefiche: attività religiose e ricreative, classi di alfabetizzazione domenicali e serali, ricerca di lavoro e assistenza morale dei giovani apprendisti; contemporaneamente si dà alla predicazione popolare e scrive i primi libri di storia religiosa e devozionali. L’assistenza ai giovani e l’attività letteraria assumono carattere di accentuata «prevenzione» e difesa in seguito all’acuirsi dei fenomeni determinati dalla svolta politica, religiosa, sociale, culturale, intervenuta nel regno sardo tra il 1847 e il 1855: la liberalizzazione della stampa, il moltiplicarsi dei giornali di opinione, il proselitismo protestante, il distacco delle istituzioni civili da vincoli ecclesiastici, lo scontro tra Stato e Chiesa (1850 e 1855). In favore delle classi popolari Don B. propugna le ragioni della fede cattolica con un giornale di breve durata (tra la fine di ottobre 1848 e inizio maggio 1849), opuscoli e libri apologetici, in particolare, dal 1853, la fortunata pubblicazione quindicinale delle «Letture Cattoliche» (uscite fino alla seconda metà del ’900). Sul versante educativo, oltre che nei tre oratori torinesi (s. Francesco di Sales, s. Luigi Gonzaga, Angelo Custode), egli opera con primario impegno nella «casa annessa» al primo oratorio di Valdocco, un «ospizio» nel quale organizza laboratori interni di arti e mestieri (legatori, calzolai, sarti, falegnami, fabbri, tipografi, librai) (1853-1862) e le cinque classi del «ginnasio» (1855-1859).

3. A sostegno delle opere in espansione (l’Oratorio di S. Francesco di Sales di Valdocco arriverà negli anni ’60 a 800 ospiti, studenti e artigiani), Don B. riesce ad attirare l’appoggio di larghe cerchie di amici, benefattori, collaboratori, pubblicisti: papi (Pio IX e Leone XIII), re (Carlo Alberto, Vittorio Emanuele II, Umberto I), principi e principesse di Casa Savoia, gente di corte, nobili e banchieri, autorità religiose e civili, municipali, provinciali, ministeri (in specie degli Interni e della Guerra), direttori di giornali, ecclesiastici e laici di tutte le estrazioni sociali, suscitando la fattiva simpatia anche di personaggi non benevoli verso il clero, come Urbano Rattazzi, e deputati della sinistra liberale e radicale. Il coinvolgimento diventa particolarmente pressante in occasione della fondazione e dell’ampliamento delle varie opere educative, nella diffusione delle «Letture Cattoliche», nell’organizzazione delle grandi lotterie, nella costruzione di chiese (s. Francesco di Sales, 1852-1853, Maria Ausiliatrice, 1864-1868, s. Giovanni Evangelista a Torino, 1878-1882, Sacro Cuore di Gesù a Roma, 1880-1887). L’intraprendenza, il consenso di giovani collaboratori, le crescenti richieste di fondazioni da parte di autorità religiose e civili (vescovi, sacerdoti, municipi, notabili) e i generosi aiuti mai venuti meno spingono Don B. ad estendere gradualmente le sue istituzioni giovanili, che oltretutto gli permettono di uscire da scomode strettoie locali. Dal 1863 si avventura fuori Torino, dal 1869 in Liguria, nel 1875 in Francia e in Argentina con l’apertura missionaria verso la Patagonia (1880), in Uruguay, in Brasile, in Spagna, in Cile, in Ecuador (ultima tappa, lui vivente). Non è solo estensione quantitativa di opere, ma anche versatilià delle loro espressioni. L’oratorio originario per esterni, sempre prediletto sul piano affettivo, lascia spazio sempre maggiore a case di educazione per gli «interni», più decisamente «preventive», sotto forma di collegi con scuole per studenti della classe media e di ospizi per studenti e artigiani di classi più umili.

4. Per garantire continuità e stabilità alle sue opere torinesi e a quelle successive, intorno al 1854 Don B. aveva incominciato a pensare a una qualche forma più stabile di organizzazione spirituale e regolamentata dei potenziali collaboratori nell’«opera degli oratori», intesa nel senso più esteso e vario, approdando in tappe successive alla fondazione dei due istituti di vita consacrata, maschile e femminile, denominati​​ Società di s. Francesco di Sales​​ (1859-1869) (​​ Salesiani) e​​ Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice​​ (o Suore Salesiane)​​ (1872). Nelle Costituzioni della Società di s. Francesco di Sales Don B. aveva introdotto anche la figura dei soci «esterni». Negata per essi l’approvazione romana, arrivava attraverso diverse approssimazioni (Associati alla Congregazione di S. Francesco di Sales, 1873,​​ Unione cristiana,​​ 1874,​​ Associazione di buone opere,​​ 1875) all’Unione dei Cooperatori Salesiani​​ (1876), una «specie» di terz’ordine di ecclesiastici e laici che aveva «per fine principale la vita attiva nell’esercizio della carità del prossimo e specialmente della gioventù pericolante» (Cooperatori salesiani ossia un modo pratico per giovare al buon costume ed alla civile società,​​ 1877, in​​ Opere Edite​​ XXVIII, 365-369). Per essa egli lanciava subito come organo di informazione e di collegamento il​​ Bollettino Salesiano, un mensile di vastissima diffusione in più lingue, ancor oggi vivo e vitale in tutti i continenti.

5. Nell’ultimo ventennio si crea, soprattutto negli ambienti cattolici moderati, in Italia, in Germania, in Francia, in Spagna, l’immagine di un Don B. educatore «nuovo» della «gioventù povera e abbandonata», «pericolante» per sé e «pericolosa» per l’ordine morale e sociale; risolutore del problema sociale dei giovani operai; e taumaturgo, in specie accanto al santuario di Maria Ausiliatrice a Torino e nei due viaggi trionfali a Parigi (1883) e a Barcellona (1886). La straordinaria attività, l’instancabile ricerca di sussidi finanziari, il carattere conservatore e talora retrivo di certe fasce di sostenitori e ammiratori non mancarono di attirargli le critiche e le aggressioni satiriche di certa stampa laicista e anticlericale. Peraltro, esse furono nettamente superate dall’ammirazione illimitata da parte di grandi masse e della stampa cattolica e da valutazioni positive di apprezzabili settori del mondo laico italiano ed estero (Traniello [Ed.], 1987, 209-251).

6. Segno di contraddizione ha continuato ad essere Don B., per altro verso, lungo il difficoltoso​​ iter​​ del processo di beatificazione e canonizzazione (1890-1934). Esso fu seguito con fiducia ed entusiasmo dalle schiere vastissime degli ammiratori e devoti, mentre fu oggetto di qualche riserva da talune esigue cerchie di ecclesiastici e di laici cattolici meno convinti del tipo di spiritualità da lui espresso. Gli si rimproverava eccessivo attivismo, si manifestavano perplessità circa un presunto squilibrio tra impegno temporale e vita di preghiera, tra ricorsi e accorgimenti umani e fiducia nella provvidenza, tra diplomazia e rettitudine di intenzione; si credette di trovare elementi conflittuali tra difesa della propria congregazione e ossequio alla gerarchia, tra rigido concetto della vita religiosa e insufficienza dei mezzi formativi (noviziato, studi teologici, formazione spirituale). Sono riserve che una seria storiografia critica ha potuto agevolmente dissolvere, approdando alla lucida immagine di un tipo di autentica santità, radicata profondamente nella tradizione cattolica e, insieme, aperta alle esigenze della «modernità» a tutti i livelli: santità personale, pedagogia, pastorale giovanile e popolare, spiritualità, socialità, ecclesialità, visione rinnovata della «vita consacrata» in funzione di una «nuova educazione» (Stella, 1988).

7. Come educatore e catechista e quale fondatore di Istituti di consacrati e di consacrate Don B. ha scritto moltissimo, in gran parte ricorrendo a fonti di seconda mano, talvolta quasi rielaborando pubblicazioni altrui, ma con tratti personali inconfondibili e non raramente geniali. Importanti sono gli scritti relativi al suo sistema educativo, il​​ ​​ «sistema preventivo», e quelli legati alla fondazione della Società salesiana e all’approvazione delle sue​​ Costituzioni. Ma la gran parte della produzione libraria (con iniziative tipografiche ed editoriali parallele) fu rivolta soprattutto alla gioventù e al popolo. Si accenna ai principali gruppi: a) scritti per l’educazione scolastica e catechistica:​​ Storia ecclesiastica ad uso delle scuole​​ (1845),​​ Il sistema metrico decimale ridotto a semplicità​​ (1846),​​ Storia sacra per uso delle scuole​​ (1847),​​ Maniera facile per imparare la storia sacra​​ (1855),​​ Storia d’Italia raccontata alla gioventù​​ (1855); b) le biografie di tre alunni dell’Oratorio di Valdocco, s. Domenico Savio (1859), Michele Magone (1861), Francesco Besucco (1864); e i racconti semibiografici su Giuseppa ne​​ La conversione di una valdese,​​ Pietro ne​​ La forza della buona educazione​​ (1855),​​ Valentino​​ (1866),​​ Severino​​ (1868),​​ Angelina​​ (1869),​​ Massimino​​ (1874); c) scritti devozionali e agiografici:​​ Il giovane provveduto​​ (1847),​​ La chiave del paradiso​​ (1856),​​ Porta teco cristiano​​ (1858),​​ II mese di maggio​​ (1858), seguito da vari fascicoli sulla Madonna, venerata sotto il titolo di Maria Ausiliatrice (1865), inoltre,​​ Associazione de’ divoti di Maria Ausiliatrice canonicamente eretta in Torino​​ (1869),​​ Opera di Maria Ausiliatrice per le vocazioni allo stato ecclesiastico​​ (1875); la vita di s. Martino (1855), s. Pancrazio (1856), s. Pietro (1856), s. Paolo (1857), s. Giuseppe (1867),​​ Biografia del sacerdote Giuseppe Caffasso esposta in due ragionamenti funebri​​ (1860); d) scritti in difesa della fede, della Chiesa cattolica e del papa:​​ La Chiesa cattolica-romana è la sola vera Chiesa di Gesù Cristo​​ (1850),​​ Avvisi ai cattolici​​ (1853),​​ Il​​ cattolico istruito nella sua religione​​ (1853),​​ Conversazioni tra un avvocato ed un curato di campagna sul sacramento della confessione​​ (1855),​​ Due conferenze tra due ministri protestanti ed un prete cattolico intorno al purgatorio e intorno ai suffragi dei defunti​​ (1857), la lunga serie di​​ Vite dei papi​​ dei primi tre secoli della Chiesa​​ (1857-1865); e) scritti ameni e azioni sceniche:​​ Novella amena di un vecchio soldato di Napoleone I​​ (1862),​​ Fatti ameni della vita di Pio IX​​ (1871),​​ Dramma. Una disputa tra un avvocato ed un ministro protestante​​ (1853),​​ La casa della fortuna. Rappresentazione drammatica​​ (1865).

Bibliografia

B. G.,​​ Opere edite​​ (ediz. anastatica), 38 voll., Roma, LAS, 1976-1977, 1987; Id.,​​ Memorie dell’Oratorio di S. Francesco di Sales. Dal 1815 al 1855,​​ a cura di A. Ferreira , Ibid., 1991; Id.,​​ Epistolario,​​ a cura di F. Motto, voll. I-IV (1835-1875), Ibid., 1991, 1996, 1999, 2003; Caviglia A.,​​ «D.B.». Profilo storico,​​ Ibid.,​​ 31934; Ceria E.,​​ San G.B. nella vita e nelle opere,​​ Torino, SEI, 1937; Lemoyne G. B. - A. Amadei - E. Ceria,​​ Memorie biografiche di D. (del Beato... di San) G.B.,​​ 18 voll., San Benigno Canavese (Torino), SAID-Buona Stampa / SEI, 1898-1937; Cerrato N.,​​ Il​​ linguaggio della prima storia salesiana. Parole e luoghi delle «Memorie biografiche di D.B.»,​​ Roma, LAS, 1991; Stella P.,​​ Gli scritti a stampa di San G.B.,​​ Ibid., 1977; Id.,​​ D.B. nella storia della religiosità cattolica,​​ 3 voll., Ibid., 1979-1988; Id.,​​ Don B. nella storia economica e sociale (1815-1870),​​ Ibid., 1980; Tuninetti G., «L’immagine di Don B. nella stampa torinese (e italiana) del suo tempo», in​​ Don B. nella storia della cultura popolare,​​ a cura di F. Traniello, Torino, SEI, 1987;​​ Don B. nella storia,​​ a cura di M. Midali, Atti del 1° Congresso Internazionale di Studi su Don B., Roma, LAS, 1990 (in sp. a cura di J. M. Prellezo, Ibid., 1990; in ing. a cura di P. Egan e M. Midali, Ibid., 1993); Gianotti S. (Ed.),​​ Bibliografia generale di don B.,​​ vol. I:​​ Bibliografia italiana 1844-1992,​​ Ibid., 1995; Desramaut F.,​​ Don B. en son temps (1815-1888),​​ Torino, SEI, 1996; Diekmann H.,​​ Deutschsprachige Don-B.-Literatur 1883-1994, Roma, LAS, 1997;​​ Stella P.,​​ Don B., Bologna, Il Mulino, 2001; Braido P.,​​ Don B. prete dei giovani nel secolo delle libertà, 2 voll., Roma, LAS,​​ 22003.

P. Braido




BRAILLE metodo

 

BRAILLE: metodo

Dopo molti sforzi nel corso dei secoli per rendere più facile ai non vedenti l’insegnamento della lettura e della scrittura, il francese Louis B. (1809-1852) inventò un metodo che presto fece fortuna in tutto il mondo. Non vedente dall’età di tre anni, B. entrò a tredici nell’Istituto dei Ciechi a Parigi, dove in seguito insegnò. Inventò il metodo che porta il suo nome e lo fece conoscere nel 1829, nel suo libro scritto in rilievo​​ Procédé pour écrire les paroles,​​ la musique et le pain-chant;​​ tale metodo è giunto fino ai nostri giorni con poche modifiche importanti. Si utilizza un​​ B. integrale,​​ nel quale si riproduce ogni lettera mediante punti in rilievo ed un​​ B. abbreviato,​​ che comprende un codice di abbreviazioni per le parole più usate o per gruppi di lettere più frequenti. Grazie a questo sistema i non vedenti possono leggere qualsiasi tipo di libro con una certa rapidità, affrontare studi superiori e ricoprire incarichi di responsabilità. Con sei punti incisi in rilievo in colonna possono essere rappresentati 63 diversi disegni e con essi tutte le lettere dell’alfabeto, segni ortografici, numeri e note musicali. Per scrivere si utilizzano incavature emisferiche fatte su carta adatta con la punta di un punzone di acciaio. In tutti i Paesi sviluppati esistono collegi, riviste, libri e biblioteche per i non vedenti.

Bibliografia

Ceppi​​ E.,​​ I minorati della vista,​​ Roma, Armando, 1969;​​ Williams M.,​​ B. reading,​​ in «The Teacher of the Blind»​​ 3 (1971) 103-116;​​ Deminard D.,​​ Dictionnaire d’histoire de l’enseignement,​​ Paris, Éditions Universitaires,​​ 1981; Henri P.,​​ La vida y la obra de L.B., Madrid, ONCE, 1988.

B. Delgado




BUBER Martin

 

BUBER Martin

n. a Vienna nel 1878 - m. a Gerusalemme nel 1965, pensatore ebreo.

1. Di antica famiglia ebraica originaria di Leopoli, professore di religione ed etica ebraica all’università di Francoforte dal 1923, nello stesso anno pubblica il suo testo filosofico fondamentale «Ich und Du»​​ («Io e Tu»). Dal 1925 al 1954 lavora con F. Rosenzweig alla nuova traduzione tedesca della Bibbia ebraica. Nel 1938 emigra in Palestina. B. è probabilmente il più rappresentativo pensatore ebreo del sec. XX. In lui la filosofia si coniuga con la tradizione ebraica, l’esegesi biblica e la riflessione teologica. La sua concezione dialogica trova il riferimento ultimo nella teologia dell’alleanza tra Dio e il popolo. Peraltro, nello stare in una relazione Io-Tu con la natura, gli altri, gli esseri spirituali e con Dio (cui si contrappone una relazione di tipo Io-Esso), si coglie il senso autentico della vita e la​​ ​​ persona prende coscienza di sé e della propria soggettività.

2. Sebbene B. non abbia sviluppato una approfondita teoria dell’educazione, la problematica educativa emerge in molti suoi scritti. Nella dimensione interpersonale essa è fondata nel «principio dialogico» dell’Io-Tu e finalizzata alla formazione del «grande carattere». Nella dimensione comunitaria del «Noi», essa spinge alla conversione individuale e sociale, a ricercare il dialogo tra comunità diverse ed apre verso l’utopia della «communitas communitatum» e della pace in cui gli uomini siano «una cosa sola».

Bibliografia

B.M.,​​ Werke,​​ 3 voll., München, Kösel, 1962-1964; trad. it.:​​ Il principio dialogico e altri saggi,​​ Cinisello Balsamo (MI), San Paolo, 1993; Milan G.,​​ Educare all’incontro. La pedagogia di M.B.,​​ Roma, Città Nuova,​​ 42002; Zank M. (Ed.),​​ New perspectives on M. B., Tübingen, Mohr Siebeck, 2006.

C. Nanni




BUDDHISMO

 

BUDDHISMO

Il termine B. deriva da Buddha-Dharma, che significa l’Insegnamento (Dharma) dell’«Illuminato» (il Buddha). Siddharta Gautama, nome con cui il Buddha era conosciuto prima dell’illuminazione, nacque a Lumbini, nel sud dell’odierno Nepal, nel VI sec. a.C. È il fondatore del B.

1.​​ Aspetti generali.​​ Il B. è sia una filosofia che una religione; è una raccolta di dottrine e un modo di vivere. Come filosofia, è una teoria dell’esistenza basata su tre elementi essenziali: il dolore (dukha),​​ la transitorietà (anicca)​​ e la non individualità (anatta).​​ Come religione, il B. mostra la «via» verso la beatitudine finale (nirvana),​​ che non è nient’altro che la liberazione definitiva dalla catena delle successive rinascite: queste rinascite sono dovute all’intrinseco potere causale dell’azione (karma)​​ e possono essere eluse tramite la rinuncia ed il distacco. Nel B. perciò non c’è posto per la mediazione degli dei e per la realtà perenne dell’esistenza, principi fondamentali dell’​​ ​​ Induismo. Il B. si fonda su tre tesori: il Buddha, il Dharma che egli insegna e il Sangha (o la comunità di monaci e suore) il cui ruolo è di praticare e trasmettere il suo insegnamento. Ci sono due rami principali del B.: il primo è il Theravada (la dottrina degli Anziani), conosciuto anche come Hinayana (piccolo veicolo); questo è il tipo di B. che è andato affermandosi nei seguenti paesi: Sri Lanka, Myanmar, Thailandia, Laos e Kampuchea. Il secondo è il Mahayana (grande veicolo): ha seguaci in Cina, Giappone e Corea.

2.​​ Idee pedagogiche.​​ Il B. andò affermandosi verso l’inizio del V sec. a.C., in un periodo in cui la maggior parte della gente era rimasta delusa dai rituali e sacrifici vedici e l’istruzione era monopolio dei bramini, la classe sacerdotale. Buddha ed i suoi discepoli scelsero di insegnare in Pali, la lingua comune del popolo; essi insegnavano a chiunque, indipendentemente dalla casta, dal credo o dal sesso. Per quei tempi fu un fatto rivoluzionario. L’istruzione e l’insegnamento buddhista si incentrarono intorno ai monasteri, e divennero parte della storia del monachesimo buddhista. Sin dall’inizio i monasteri buddhisti si impegnarono nell’istruzione sia secolare che religiosa. Il risultato di ciò fu una diffusa crescita dell’istruzione elementare e dell’istruzione superiore. I monasteri servivano al duplice scopo di insegnare e preparare le persone per il sacerdozio. Dato che lo scopo ultimo della vita è il raggiungimento del Nirvana (eterna beatitudine dell’essere puro), l’istruzione era fondamentalmente indirizzata verso questo fine. I giovani discepoli erano affidati ad un insegnante conosciuto per la sua integrità morale, l’autoconcentrazione, la saggezza, il distacco e la sapienza. I suoi compiti consistevano nell’istruire i discepoli sui precetti della retta condotta, su elementi di moralità, su questioni relative al Dharma (insegnamento) e ai Vinayas (regole monastiche). Il nucleo centrale dell’insegnamento includeva invariabilmente le quattro nobili verità esposte dal Buddha nel suo primo sermone dopo l’illuminazione, cioè l’esistenza del dolore, le sue origini, la sua estinzione e l’ottuplice sentiero che conduce alla fine del dolore e alla rinascita. L’istruzione buddhista raggiunse il suo acme tra il V e l’VIII sec. d.C. in seguito alla fondazione della famosa Università di Nalanda sotto i re Gupta. All’apice della fama, l’Università di Nalanda aveva 1.500 insegnanti e più di 10.000 studenti da tutta l’Asia. Oltre alle materie religiose, ne venivano insegnate altre, quali legge, matematica, astronomia, logica, metafisica, medicina, arti e mestieri, e letteratura. Persino oggi, il B. ha molto da offrire per la crescita e lo sviluppo dell’uomo come essere umano: la meditazione e la preghiera, il culto e la comunità, il distacco dal mondo, la via della salvezza e la ricerca dell’Assoluto. Il B. quindi rimane una filosofia ed una religione autorevole, a cui si rivolgono in molti, ed il suo valore pedagogico per la vera promozione dell’uomo non sarà mai sufficientemente enfatizzato.

Bibliografia

Humphreys C. (Ed.),​​ The wisdom of Buddhism, London, Unwin Brothers Ltd., 1960; Ling L.,​​ The Buddha,​​ London, Temple Smith, 1973; Mookerji R. K.,​​ Ancient Indian education,​​ New Delhi, 1974; Sir Hari Singh Gour,​​ The spirit of Buddhism,​​ voll.​​ I​​ &​​ II,​​ New Delhi, Cosmo Publications, 1986; Goyal S. R.,​​ A history of Indian Buddhism,​​ Kusmanjali Prakashan, Meerut, 1987.

G. Kuruvachira




BUGIA

 

BUGIA

Asserzione coscientemente non conforme alla​​ ​​ verità con lo scopo d’indurre altri in errore. Tale asserzione può essere fatta attraverso la parola, lo scritto, il gesto o anche il silenzio. L’uso del termine b. si riferisce in modo particolare all’​​ ​​ infanzia.

1. Il bambino è in grado di dire b., allorché acquista la capacità di distinguere il vero dal falso e ciò avviene verso i 6-7 anni. All’inizio dell’età scolare la b. è fisiologica e svolge una funzione adattiva alla realtà. Il bambino cioè vi ricorre per conseguire la propria autonomia e per difendere il proprio mondo interno nei confronti dell’ambiente, avvertito come troppo intrusivo. Esistono due principali tipi di b.: a)​​ b. utilitaristica, al fine di conseguire un vantaggio o evitare un castigo (es.: la falsificazione del voto); b)​​ b. compensatoria,​​ al fine di evadere da una situazione di​​ ​​ frustrazione (es.: inventarsi una famiglia più ricca).

2. Il ricorso sistematico alla b. denuncia un esasperato bisogno di onnipotenza ed un’intolleranza nei confronti della realtà. In un simile contesto, può avvenire che l’individuo si trasformi in un bugiardo inconscio e quindi sia incapace di riconoscere che sta mentendo. È il caso di chi comunica superficialmente, senza colore, senza sensibilità e con contenuti futili, e di chi ricorre sistematicamente al cliché nel suo modo di parlare e di agire. Talvolta può avvenire che alcune b. volontarie vengano utilizzate per comunicare in codice verità inconsce. Il bugiardo psicopatico, ad es., usa la b. come metafora attraverso cui inconsciamente cerca di dire una verità che gli è difficile manifestare in termini realistici. Un tipico aspetto patologico della b. è rappresentato dalla​​ mitomania,​​ in cui si manifesta la tendenza ad un’accentuata confabulazione, fino a sfociare, nei casi estremi, nel delirio d’immaginazione ed in comportamenti perversi. Il mitomane è un soggetto labile, iperemotivo e suggestionabile ed evidenzia una seria difficoltà di adattamento alla realtà.

Bibliografia

Sutter J. M.,​​ La b. del bambino,​​ Roma, Paoline, 1974; Ekman P.,​​ I volti della menzogna,​​ Firenze, Giunti, 1985; Langs R.,​​ La comunicazione inconscia nella vita quotidiana,​​ Roma, Astrolabio, 1988; Anolli L. - M. Balconi - R. Ciceri,​​ Fenomenologia del mentire: Aspetti semantici e psicologici della menzogna,​​ in «Archivio Psicologia Neurologia e Psichiatria» 55 (1994) 1-2, 268-295; Abraham K. et al.,​​ Bugiardi e traditori, Torino, Bollati Boringhieri, 1994; Delloz D.,​​ La b., Milano, Ancora, 2002.

V. L. Castellazzi




BÜHLER Karl

 

BÜHLER Karl

n. a Meckesheim (Baden) nel 1879 - m. a Los Angeles nel 1963, psicologo tedesco.

1. Allievo a Friburgo di J. von Kries, dopo essersi laureato in medicina (1903) e in filosofia (1904) lavora sotto la guida di O. Külpe. Tra il 1907 e il 1908 pubblica quattro lavori in cui, utilizzando il metodo dell’introspezione controllata, si propone di studiare i «contenuti» complessi della mente, con l’intento di mettere in rilievo i processi (o atti o funzioni) che veicolano l’elaborazione di tali contenuti e ricorre, per ottenere dai propri soggetti informazioni dettagliate sui processi decisionali seguiti, a una tecnica di intervista di tipo clinico. Sulla base di risultati sperimentali, B. sostiene il carattere non sensoriale di molti elementi che contraddistinguono la coscienza nei compiti cognitivi nonché l’impossibilità di classificare taluni «elementi di pensiero» nella stessa categoria che comprende le sensazioni o le immagini. Pur continuando a muoversi in ambito sperimentale, sottolinea inoltre l’esigenza di collocare lo studio del pensiero lungo una dimensione ontogenetica e nel suo libro​​ Lo sviluppo psichico del bambino​​ (1918) affronta il problema della formazione dei concetti nel bambino e quello dei rapporti tra pensiero e linguaggio, e delinea una periodizzazione dello sviluppo psichico a cui negli anni successivi avrebbero fatto riferimento diversi psicologi.

2. Insegna a Dresda e quindi a Vienna dal 1922 al 1938. Nel 1927 con il libro​​ La crisi della psicologia,​​ che avrà grande risonanza (tradotto in it., 1979), denuncia l’estrema frantumazione in scuole separate della psicologia contemporanea e propone, come essenziale per la fondazione di una concezione unitaria dei processi psichici, un’analisi critica dei principi concettuali delle scuole psicologiche dell’epoca. Abbandonato l’introspezionismo di Würzburg, si avvicina alle tesi dell’indirizzo gestaltico. Negli anni ’30 porta avanti, insieme con il gruppo di linguisti del circolo di Praga, una serie di ricerche di estrema rilevanza sulla psicologia del linguaggio. Arrestato nel 1938 dai nazisti, si rifugia dapprima a Oslo ed emigra successivamente negli Stati Uniti, dove insegnerà psicologia al Saint Thomas College di Saint Paul e dal 1945 all’Università di Los Angeles, California.

Bibliografia

Wellek K. K.,​​ K. B. 1879-1963,​​ in «Arch. Ges.​​ Psychol.» 116 (1964) 3-8;​​ Symposium on K. B’s contribution to psychology,​​ in «Journal of General Psychology» 75 (1966) 181-219; Marion P.,​​ K. B. e la «crisi della psicologia»,​​ in «Per un’analisi storica e critica della psicologia» 4-5 (1978) 33-62.

F. Ortu - N. Dazzi




BULIMIA

 

BULIMIA

La b. consiste in una fame insaziabile ed incontrollabile. Il termine deriva da due parole greche (bous​​ =​​ bue e​​ limòs​​ = fame). Letteralmente: «fame da bue».

1. Tale disturbo, come per l’​​ ​​ anoressia, nella maggioranza dei casi riguarda il sesso femminile. Tra gli studenti universitari, le femmine denunciano la percentuale del 4,5% contro lo 0,40% dei maschi. Esso inoltre è dalle 5 alle 10 volte più diffuso dell’anoressia. La b. di solito compare verso i 15-16 anni, con punte massime dopo i 20 anni. Il decorso è intermittente con tendenza verso la cronicizzazione.

2. I sintomi principali della b. sono: ricorrenti episodi di abbuffate senza alcun controllo, vomito auto-indotto, uso di lassativi o di diuretici, eccessiva preoccupazione per il peso corporeo, ricorso all’alcol o a sostanze stupefacenti, scarsa​​ ​​ stima di sé, ricerca di appoggio,​​ ​​ depressione. A differenza delle anoressiche, le bulimiche tendono ad essere sessualmente attive, anche se poi denunciano una certa difficoltà nell’ottenere soddisfazione dei loro bisogni emotivi. Entro questo contesto, l’orgia alimentare viene vissuta, per un verso, come tentativo di «prendersi cura» e, per un altro, come rabbia nei confronti dell’oggetto frustrante e deludente.

Bibliografia

Igoin L.,​​ La boulimie et son infortune,​​ Paris, PUF, 1979; Gordon R. A.,​​ Anoressia e b. Anatomia di un’epidemia sociale,​​ Milano, Cortina, 1991;​​ Sánchez Cárdenas M.,​​ Le comportement boulimique,​​ Paris, Masson,​​ 1991; Lavanchy P.,​​ Il corpo in fame, Milano, Rizzoli, 1994; Selvini Palazzoli M.,​​ Ragazze anoressiche e bulimiche, Milano, Cortina, 1998; Miller J. A.,​​ Gli imbrogli del corpo, Roma, Borla, 2006; Jeammet Ph.,​​ Anoressia b., Milano, Angeli, 2006; Recalcati M. - M. Zuccardi Merli,​​ Anoressia,​​ b. e obesità, Torino, Bollati Boringhieri, 2006.

V. L. Castellazzi




BULLISMO

 

BULLISMO

Il termine italiano b. viene dalla parola inglese​​ bullying​​ (tiranneggiare), termine usato nella letteratura internazionale per connotare il fenomeno delle prepotenze tra pari in un contesto di gruppo.

1.​​ Definizione e descrizione del fenomeno. «Il b. consiste nella messa in atto di comportamenti aggressivi, offensivi, umilianti, tendenti all’isolamento ed alla ridicolizzazione, ripetuti costantemente da uno o più alunni (i bulli) nei confronti di un compagno di solito più debole o diverso in qualche caratteristica (la vittima) al cospetto di altri compagni (i testimoni) che si divertono per l’aggressione, incitando i bulli a continuare oppure facendo finta di niente, mantenendo il silenzio e l’omertà» (Mariani, 2005, 75). Secondo questa definizione per poter parlare di b. ci devono essere tre attori: a) il bullo, b) la vittima, c) i testimoni. I coetanei possono assumere, all’interno del gruppo, ruoli diversi, ponendosi dalla parte del bullo, intervenendo a sostegno delle vittime o rimanendo semplici osservatori. C’è anche da sottolineare che si instaura una sorta di complementarità tra bullo e vittima, in quanto quest’ultimo non è in grado di porre fine al sopruso, anzi lo alimenta con i suoi comportamenti goffi e maldestri. I bulli possono essere di tre tipi: a)​​ Il bullo aggressivo:​​ tale soggetto è aggressivo su chiunque possa essere identificato come vittima e non si preoccupa minimamente delle conseguenze del suo comportamento. È impulsivo, è favorevole alla violenza, ha un forte desiderio di dominare gli altri, è molto forte sia psicologicamente che fisicamente, è del tutto insensibile ai sentimenti degli altri ed infine ha un’elevata stima di sé. b)​​ Il bullo ansioso:​​ tale categoria di soggetti ha più problemi di qualsiasi altro bullo o vittima, condividendo molte delle caratteristiche di quest’ultima. Infatti è sia ansioso che aggressivo, è insicuro di sé, e spesso se la prende con ragazzi più grandi e più forti di lui. c)​​ Il bullo passivo:​​ in quest’ultima categoria di bulli rientrano tutti quegli individui che affiancano il leader. Lo fanno per due motivi principali: il primo è per proteggere se stessi, il secondo è per avere lo status di appartenenza al gruppo (Marini - Mameli, 1999, 63). Anche la​​ vittima​​ fa parte del «sistema»: ha la funzione del «capro espiatorio». È un / a ragazzo / a che evidenzia difficoltà nel difendersi e si trova in una situazione di impotenza nei confronti di coloro che lo / a molestano. Presenta elevati livelli di ansia e insicurezza, scarsa autostima; tende ad essere più debole dei coetanei e più preoccupato per l’incolumità fisica. Vi è anche la categoria di vittima provocatrice che è una combinazione di modelli reattivi, ansioso ed aggressivo.

2.​​ L’intervento.​​ Per risolvere o modificare il fenomeno del b. sono necessari interventi​​ ad hoc. Il compito degli insegnanti è quello di intervenire precocemente per modificare comportamenti che tendono a cronicizzarsi. È importante sviluppare una collaborazione tra insegnanti, educatori e famiglia (sovente causa iniziale della violenza del bullo). Ma è soprattutto decisivo lavorare sul gruppo-classe. Ci sono esercizi che aiutano gli alunni a prendere coscienza della grave ingiustizia che si sta perpetrando, dei problemi che essa maschera, delle possibilità che hanno di risolvere, cooperando, i loro problemi. Esistono delle tecniche specifiche per aiutare i bulli a ridurre la loro violenza e altre per sostenere la vittima e farle acquisire delle competenze per reagire più adeguatamente. Sono ormai collaudati i «Circoli di Qualità» (CQ) che hanno una metodologia specifica per affrontare il problema. L’importante è che la scuola, di fronte a tale fenomeno, non lo neghi o lo banalizzi. Essa deve reagire con una serie di provvedimenti anti-b. Se non ha un esperto, può acquisirlo dall’esterno, per esempio uno psicologo specializzato sull’argomento. Poco opportuna appare invece la presenza di un tutore dell’ordine.

Bibliografia

Olweus D.,​​ B. a scuola.​​ Ragazzi oppressi,​​ ragazzi che opprimono, Firenze, Giunti, 1996; Fonzi A.,​​ Il​​ b. in Italia: il fenomeno delle prepotenze a scuola dal Piemonte alla Sicilia. Ricerche e prospettive d’intervento, Ibid., 1997; Marini F. - C. Mameli,​​ Il b. nelle scuole, Roma, Carocci, 1999; Sharp S. - P. K. Smith,​​ Bulli e prepotenti nella scuola: prevenzione e tecniche educative,​​ Trento, Erickson, 2000; Lawson S.,​​ Il b.: suggerimenti per genitori ed insegnanti, Roma, Editori Riuniti, 2001; Mariani U.,​​ Alunni cattivissimi: come affrontare il b.,​​ l’iperattività,​​ il vandalismo ed altro ancora, Milano, Angeli, 2005; Di Sauro R. - M. Manca,​​ Strategie di intervento e prevenzione del b. in adolescenza, Roma, Edizioni Kappa, 2006.

G. Vettorato